Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 14 giugno 2019, n. 26271.
La massima estrapolata:
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la violazione degli obblighi inerenti la formazione e l’informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l’incolumità dei lavoratori permane nel tempo e l’obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto.
Sentenza 14 giugno 2019, n. 26271
Data udienza 7 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 07/06/2018 del TRIBUNALE di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MOLINO Pietro che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi e chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Torino con sentenza del 7 giugno 2018, ha condannato (OMISSIS) alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda relativamente ai reati di cui agli articolo 55, comma 5, lettera C, in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 36, comma 1, lettera A – capo C -, articolo 55, comma 5, lettera C, in relazione al articolo 36, comma 2 lettera A – capo D -, 55, comma 5, lettera C, in relazione al articolo 37 comma 1, lettera B – capo E -; reati accertati il 2 aprile 2013. Per i reati di cui ai capi A e B dell’imputazione (articolo 159, comma 1 in relazione al articoli 96, 87, comma 2 lettera C in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 1) e’ stata dichiarato di non doversi procedere per estinzione degli stessi per prescrizione.
2. L’imputato ha proposto appello trasmesso a questa Corte di Cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Violazione di legge, articolo 159, c.p.p. e articolo 81 c.p. e vizio della motivazione per omessa dichiarazione della prescrizione anche per i reati di cui ai capi C, D ed E dell’imputazione e per l’omessa unificazione degli stessi, comunque, con la continuazione.
Sin dall’aprile del 2013 erano adempiuti gli obblighi imposti per l’eliminazione delle violazioni di cui ai capi A e B dell’imputazione, come evidenziato nella stessa sentenza impugnata.
Anche i restanti reati per i quali e’ intervenuta la condanna avrebbero dovuto essere dichiarati estinti per prescrizione poiche’ il lavoratore (OMISSIS) al quale dovevano essere impartite le istruzioni per la sicurezza sul lavoro non aveva mai ripreso il servizio dopo l’infortunio, con cessazione dell’attivita’ al 10 aprile 2015.
In via subordinata in considerazione del fatto che con una sola azione l’imputato aveva violato piu’ disposizioni di legge si prospettava l’applicazione dell’articolo 81 c.p., comma 1, o del comma 2.
Ha chiesto quindi l’annullamento della decisione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta inammissibile, in quanto generico ed in fatto, non si confronta con le motivazioni della sentenza e non prospetta vizi di legittimita’ avverso le motivazioni della decisione del Tribunale.
Il lavoratore infortunato, (OMISSIS), non aveva mai ricevuto formazione specifica sui rischi per gli infortuni sul lavoro. Mentre per il P.O.S. e per la scala il datore di lavoro immediatamente ottemperava, predisponendo il P.O.S. e sostituendo la scala con un idoneo ponteggio, con la cessazione della permanenza dei reati; per la formazione del lavoratore, invece, niente era stato effettuato. Il datore di lavoro aveva ottenuto delle proroghe fino al 10 aprile 2015; conseguentemente come evidenziato dalla sentenza impugnata la cessazione della permanenza dei reati in oggetto e’ avvenuta solo alla data del marzo 2015, con la cessazione dell’attivita’.
Infatti, il reato in oggetto deve ritenersi permanente (vedi per la permanenza gia’ Cass. Sez. 3, 18 giugno 2012, n. 24085, Macovei, incidentalmente, Cass. Sez. 3A 4.10.2007 n. 4063, Franzoni, Rv. 238540; v. anche Cass. Sez. 4, 8.6.2010 n. 34771, Orazzini) in quanto gli obblighi inerenti l’informazione e la formazione del lavoratore sono da ritenersi di durata poiche’ il pericolo per l’incolumita’ del lavoratore permane nel tempo, e continua in capo al datore di lavoro l’obbligo all’informazione e alla corretta formazione. L’obbligo di formazione del resto non e’ limitato solo al momento dell’assunzione ma perdura nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro; la cessazione della permanenza conseguentemente si verifica o alla concreta formazione o all’interruzione del rapporto di lavoro (eliminazione concreta del rischio).
I reati, quindi, non risultavano prescritti alla data della sentenza.
4. Del tutto generico il motivo sull’applicazione dell’articolo 81 c.p..
Era onere del ricorrente specificare in fatto ed allegare davanti al giudice di merito gli elementi utili per la sussistenza del medesimo disegno criminoso o del concorso formale: “Ai fini del riconoscimento della continuazione in sede di cognizione, incombe sull’interessato l’onere di indicazione e allegazione degli specifici elementi dai quali possa desumersi l’identita’ del disegno criminoso. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello di disattendere la richiesta volta al riconoscimento della continuazione non avendo l’appellante ne’ prodotto la sentenza, ne’ articolato alcun argomento circa la sussistenza di un unico disegno criminoso, limitandosi a richiedere l’acquisizione della pronunzia al collegio)” (Sez. 2, n. 2224 del 05/12/2017 – dep. 19/01/2018, Pellicoro, Rv. 27176801).
Il ricorrente si e’ limitato alla richiesta dell’applicazione dell’articolo 81 c.p., in sede di legittimita’.
5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.
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