In tema di espropriazione parziale per pubblica utilità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 settembre 2024| n. 23959.

In tema di espropriazione parziale per pubblica utilità

In tema di espropriazione parziale per pubblica utilità, una volta accertata l’unità funzionale tra la parte espropriata e quella rimasta in proprietà del privato e la negativa incidenza del distacco della prima dalla seconda, l’indennità di occupazione legittima è correttamente determinata in misura percentuale rispetto alle somme astrattamente dovute a titolo di indennità di esproprio, ivi comprese quelle imputabili al deprezzamento delle porzioni residue dell’immobile rimaste nella giuridica disponibilità del proprietario, anche se non sono divenute di fatto inutilizzabili a causa della realizzazione dell’opera pubblica.

Ordinanza|6 settembre 2024| n. 23959. In tema di espropriazione parziale per pubblica utilità

Data udienza 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Prova civile – Consulente tecnico di ufficio – CTU – Valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio – Efficacia vincolante per il giudice – Esclusione – Giudice – Indicazione degli elementi probatori, dei criteri di valutazione e degli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del CTU

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. ABETE Luigi – Presidente

Dott. VAROTTI Luciano – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi– Relatore

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 18817/2019 r.g. proposto da

(…) Srl (p.i.v.a. Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’Avv. Mi.Lu. e dall’Avv. Sa.Lu., giusta procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Ga.Al., in Roma, in via (…), che chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato

-ricorrente –

contro

(…) Spa (c.f. Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla via dei Portoghesi, n. 12

-controricorrente-

e

(…) s.c.p.a. (p.i.v.a. Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Ma.Ma. e dall’Avv. Ca.Pi., giusta procura speciale in calce al controricorso

-controricorrente-

avverso la ordinanza della Corte di appello di Caltanissetta n. 764/2018, depositata in data 6 dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/6/2024 dal Consigliere dott. Luigi D’Orazio;

In tema di espropriazione parziale per pubblica utilità

RILEVATO CHE

1. Con decreto di esproprio del 5/12/2016, notificato in data 31/01/2017, la (…) s.c.p.a., in qualità di Contraente Generale nominata dall'(…) Spa con contratto del 2.07.2010, ha provveduto all’espropriazione di una porzione pari a mq 497 dell’area con annesso fabbricato a destinazione commerciale, censita al N.C.E.U. del Comune di Caltanissetta, foglio 153 part. 407 sub 3 al fine dell’ampliamento della SS (Omissis) “di P” tratto dal Km (Omissis) al Km (Omissis).

Il terreno oggetto della procedura ablativa, già interessato da occupazione d’urgenza disposta con il decreto del 2/04/2012 per una maggiore estensione, era nella titolarità della (…) Srl. L’indennità determinata in sede amministrativa, pari ad Euro 23.137,07 (di cui Euro 7.455,00 per indennità base di esproprio, Euro 12.558,00 per soprassuolo, Euro 2.293,45 per occupazione ed Euro 830,62 a saldo indennità restituite), veniva contestata dalla società proprietaria mediante richiesta di stima ex art. 21 D.P.R. 327/2001.

Nelle more, considerata l’emissione del decreto di esproprio, la (…) Srl ha avanzato richiesta di determinazione giudiziale dell’indennità (RG 92/2017), giudizio riunito alla successiva opposizione avverso la stima dei tecnici, medio tempore intervenuta (RG 280/2017).

2. La Corte di appello di Caltanissetta ha accolto l’opposizione proposta dalla società proprietaria, determinando in Euro 198.008,00 l’indennità di espropriazione e in Euro 25.000,55 l’indennità di occupazione. In particolare, la Corte territoriale, dichiarando di aderire all’espletata CTU (“ed il CTU, all’esito di un’indagine coerente che questa Corte ritiene di condividere”), ha determinato il valore dell’area espropriata alla data di immissione in possesso (2/4/2012) in Euro 64.288,00 – di cui Euro 29.820,00 quale valore venale dell’area ed Euro 34.468,00 a titolo di costo delle opere di soprassuolo dismesse (pavimentazione stradale in calcestruzzo, recinzione con muretti in calcestruzzo, inferriata e cancello).

La Corte territoriale, sempre sulla scorta della consulenza (“sulla base della CTU”), ha determinato il deprezzamento dell’area residua in Euro 128.720,00 ovvero Euro 40/mq – quale risultante della differenza di valore del reliquato ante (Euro 400,00/mq) e post esproprio (Euro 360,00/mq) – moltiplicato per la superficie di 3218 mq residui– 2865 mq di superficie del fabbricato oltre l’area pertinenziale residua al 20%.

La Corte di appello ha quantificato l’indennità di occupazione d’urgenza dall’immissione in possesso (11/05/2012) al decreto di esproprio (31/01/2017) in Euro 25.000,55, sulla base del seguente calcolo 64.288,00 (valore dell’area espropriata) 12= Euro 5.357,33 x 4 anni =21.429,00 a cui aggiungere Euro 3.571,55 (5.357,33 12 x 8 mesi).

La Corte territoriale ha escluso il riconoscimento delle altre somme richieste a titolo di indennità di occupazione temporanea del fabbricato per l’impossibile utilizzazione di fatto dello stesso in costanza dei lavori e l’indennizzo per l’impatto dell’attività cantieristica sui luoghi, ritenendo le stesse di natura risarcitoria con conseguente incompetenza del giudice adito in unico grado.

In ultimo, la Corte di appello ha condannato la (…) s.c.p.a. e (…) Spa, in solido, alla refusione delle spese di lite, oltre quelle della CTU.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la (…) Srl, depositando anche memoria scritta.

4. Hanno resistito con controricorso l'(…) Spa e la (…) s.c.p.a., che ha depositato memoria scritta.

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CONSIDERATO CHE

5. Con motivo preliminare il ricorrente chiede la correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza impugnata laddove la Corte di appello ha ordinato il deposito delle somme accertate al “Comune di Gela”, soggetto estraneo al giudizio.

5.1. La richiesta è inammissibile.

Infatti, nel caso in cui sia stato già proposto ricorso per cassazione avverso una sentenza viziata da errore materiale, l’istanza di correzione non può essere proposta dinanzi alla Corte di legittimità, ma unicamente al giudice di merito, a norma dell’art. 287 c.p.c.

Tale principio deve ancor più essere confermato dopo la pronuncia di parziale illegittimità costituzionale di tale articolo, da parte della sentenza n. 335 del 2004 della Corte costituzionale, sicché il solo giudice competente alla correzione è quello che ha

emesso la sentenza affetta dall’errore (Cass., sez. L, 12/5/2005, n. 9968; Cass., sez. 2, 26/1/2016, n. 1420).

Tra l’altro, dalle memorie depositate dalla (…) e dalla (…) risulta che gli errori materiali sono stati corretti dalla Corte di appello.

6. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce la “Violazione dell’art 360 c.p.c., comma 1 n. 3, in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 371 (rectius 327) del 2001 art. 33 – Violazione dell’art 360 c.p.c., comma 1 n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In particolare, la società contesta il mancato riconoscimento delle somme accertate dal CTU per il costo delle opere strumentali al ripristino dell’agibilità dell’immobile e per spostare la fossa Imhoff, aventi natura indennitaria di soprassuolo e non di danno.

Tali voci di indennizzo erano conseguenti ai ripristini necessari, quantificate dalla CTU in Euro 40.000,00 per il piazzale ed Euro 5445,00 per la fossa Imhoff. Esse non potrebbero essere annoverate tra i danni, come erroneamente ha ritenuto la Corte d’Appello, ma dovrebbero essere inserite nel perimetro dei “soprassuoli”, con diritto alla indennità di esproprio.

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6.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

6.2. Invero, per questa Corte il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass., sez. 1, 19/4/2022, n. 12481).

Nella specie, però, il motivo è articolato in poche righe, nelle quali si confondono i profili di richiesta di indennizzo del soprassuolo, con ulteriori richieste di risarcimento dei danni, attraverso il richiamo alle risultanze della CTU che non vengono trascritte neppure nei punti salienti, indispensabili a rendere comprensibile il tenore della doglianza.

Si fa riferimento, infatti, dopo un fugace accenno ad “opere di soprassuolo dismesse… (pavimentazione stradale in cls, recinzione con muretti in c.l.s., inferriata a cancello)” che sembrerebbero essere state già riconosciute dalla Corte territoriale per la somma di Euro 34.468,00, ad ulteriori voci relative ai “necessari conseguenziali ripristini” in alcun modo adeguatamente esplicitate, salvo un generico rimando alla CTU, che le avrebbe ritenute “congrue”.

7. Con il secondo motivo di impugnazione rubricato “Violazione dell’art 360 c.p.c., comma 1 n. 3 in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. 371 (rectius 327) del 2001, art. 33 e Violazione dell’art 360 c.p.c., comma 1 n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” la ricorrente lamenta l’incongruenza tra una prima affermazione della Corte di adesione all’espletata CTU e la successiva riduzione, rispetto a quanto accertato dal tecnico, del deprezzamento e della percentuale di incidenza della superficie pertinenziale, in difetto di adeguata motivazione, oltre ad evidenti errori di calcolo ed in ogni caso con errata determinazione della perdita di valore dei reliquati.

In particolare, la Corte territoriale ha dichiarato espressamente di adeguarsi alle conclusioni del CTU, ma poi se ne sarebbe discostata, senza motivazione adeguata.

Con riferimento al deprezzamento della parte residua del fondo, il giudice d’appello lo ha quantificato nella somma di Euro 40,00 m², da computarsi nella differenza tra il valore del bene (parte residua) prima dell’espropriazione, pari ad Euro 400,00 m² ed il valore dopo l’espropriazione, pari ad Euro 360,00 m²; in tal modo ha moltiplicato il valore al metro quadrato di Euro 40,00 per mq 3218, calcolati sommando alla superficie del fabbricato di mq 2865, quella pertinenziale residua al 20%; per una somma complessiva di Euro 128.720,00.

In tal modo, però, la Corte territoriale avrebbe disatteso le indicazioni del CTU effettuandone una “macroscopica riduzione”.

Il CTU aveva determinato il valore del deprezzamento, ossia della parte residua del bene espropriato, in Euro 248.375,00, a fronte della liquidazione del giudice d’appello pari ad Euro 128.320,00.

L’errore commesso dal CTU si rinverrebbe nella differenza di valore al metro quadrato dell’immobile prima dell’esproprio e dopo l’esproprio, stimato in Euro 40 m², in luogo di Euro 60 al metro quadrato come accertato dal CTU.

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In realtà, però tale valore è stato calcolato dalla Corte d’Appello nella differenza fra Euro 400,00 al metro quadrato prima dell’esproprio ed Euro 360 al metro quadrato dopo l’esproprio, mentre il CTU ha computato un valore prima dell’esproprio pari ad Euro 400,00 al mq, ma un valore dopo l’esproprio pari ad Euro 340,00 al mq, e non Euro 360,00 al mq.

Vi sarebbe, poi, un ulteriore errore commesso dalla Corte territoriale, in quanto “senza alcuna motivazione” avrebbe assunto l’estensione della superficie pertinenziale, rispetto alla superficie dell’edificio, pari al 20%, “in luogo del 25% determinato dal CTU in calce alla pagina 13 della sua relazione”.

Vi sarebbe poi anche un errore materiale, in quanto, pur tenendo conto della superficie residua pari al 20%, il valore della stessa sarebbe di mq 3223, in luogo di mq 3218 utilizzati dal giudice d’appello per il computo del deprezzamento.

Già solo la mera correzione degli errori materiali, porterebbe il valore dell’area residua ad Euro 193.380,00 (ossia mq 3223 X euro/mq 60), cifra nettamente superiore a quella di Euro 128.720,00 indicata nella sentenza della Corte d’Appello ed ancora inferiore al valore di Euro 248.375,00 determinato dalla CTU, che la Corte aveva dichiarato di condividere.

Peraltro, sarebbe corretta la valutazione da parte del CTU al 25% della superficie pertinenziale (in luogo del 20% riconosciuto in sentenza), quanto all’area pertinenziale, dovendosi tenere conto “dell’intimo rapporto di strumentalità tra le aree libere da destinare a parcheggio e spazio di manovra, essenziali all’esercizio dell’attività commerciale, ed il locale stesso”.

A fronte di una superficie commerciale di metri quadri 3435,50, il valore ante esproprio dell’intero bene era di Euro 1.374.200,00.

Il valore post esproprio del bene era di Euro 1.125.825,00, con un deprezzamento di Euro 248.375,00 (1.374.200,00 – 1.125.825,00).

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Aggiunge la ricorrente che non sarebbero state esaminate le note critiche della CTP Arch. Milazzo, in ordine alla considerazione del CTU Cordao, per il quale i lavori “hanno certamente reso incomodo (l’uso dell’immobile) e poco idoneo alla destinazione commerciale del fabbricato”.

Vi sarebbe stata, dunque, “La perdita di vocazione dell’immobile all’utilizzo commerciale”.

7.1. Il motivo è fondato nei termini riportati di seguito.

7.2. Trova qui applicazione la giurisprudenza di legittimità per cui le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del CTU (Cass., sez. 1, 18/7/2019, n. 19468; Cass., n. 2, 22/12/2017, n. 30733; Cass., n. 17757 del 2014).

Nel nostro ordinamento, infatti, vige il principio “judex peritus peritorum”, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In ambedue i casi, l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass., sez. L, 7/8/2014, n. 17757).

In particolare, si è ritenuto che il giudice che abbia disposto una consulenza tecnica cd. percipiente può anche disattenderne le risultanze, ma solo ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle

conclusioni del CTU (Cass., sez. 3, 11/1/2021, n. 200; Cass., sez. 3, 25/11/2021, n. 36638).

7.3. Nella specie, la Corte d’Appello, pur dichiarando di condividere pienamente le conclusioni del CTU (“questa Corte al fine di valutare la fondatezza delle pretese della ricorrente ha disposto consulenza tecnica, ed il CTU, all’esito di un’indagine coerente che questa Corte ritiene di condividere, ha concluso…), in realtà se ne è distaccata, senza alcuna motivazione.

7.4. In particolare, con riferimento alla quantificazione del deprezzamento dell’area residua, la Corte territoriale ha reputato di determinare il valore al metro quadrato in Euro 40,00, pari alla differenza tra il valore ante esproprio di Euro 400,00 al metro quadrato e quello post esproprio in Euro 360,00 al metro quadrato, procedendo poi a moltiplicare la somma di Euro 40 m² per la superficie residua pari a mq 3218, ottenendo la somma di Euro 128.720,00.

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La superficie pertinenziale residua è stata computata pari al 20% rispetto a quella complessiva.

7.5. Al contrario, dagli stralci della CTU adeguatamente riportati nel ricorso per cassazione – per i profili che la disamina del mezzo de quo agitur involge – emerge in modo chiaro lo scostamento della decisione della Corte territoriale rispetto alle valutazioni del CTU, che aveva determinato il valore del deprezzamento nella somma maggiore di Euro 248.375,00.

La differenza tra le due cifre emerge dalla considerazione che il CTU ha determinato, non in Euro 40,00 al metro quadrato, il valore del deprezzamento, ma in Euro 60,00 al metro quadrato, procedendo alla differenza tra il valore ante esproprio di Euro 400,00 a metro quadrato ed il valore post esproprio di Euro 340,0 al metro quadrato e non Euro 360,00 al metro quadrato come erroneamente ha fatto la Corte d’Appello.

Tenendo conto del computo del CTU, dunque, vi sarebbe stato un errore di lettura della Corte territoriale.

Per il CTU il valore post esproprio è stato calcolato in Euro 340,00 al metro quadro (CTU “alla luce di quanto sopra, ritenendo di dover assumere un valore di mercato pari ad euro/mq 340,00, si ottiene un valore commerciale complessivo dell’immobile pari ad Euro 1.125.825,00”).

7.6. Inoltre, quanto alla superficie pertinenziale rispetto alla superficie dell’edificio, effettivamente la Corte d’Appello ha assunto un valore pari al 20%, in luogo del 25%, determinato dal CTU “in calce alla pagina 13 della sua relazione”.

7.7. Altra divergenza si rinverrebbe nel calcolo effettivo della superficie commerciale residua, in quanto, pure considerando il 20% del valore tra superficie pertinenziale e superficie di pavimento dell’edificio, “la stessa viene determinata in mq 3218, mentre in effetti, la stessa deve quantificarsi in mq 3223”.

7.8. Infine, la Corte territoriale, senza motivare, e limitandosi ad indicare le sole cifre, avrebbe disatteso il metodo di stima del CTU, determinando il deprezzamento della superficie residua “nel prodotto tra la differenza del valore unitario dell’immobile ante procedimento ed il medesimo valore all’esito delle penalizzazioni indotte dalle conseguenze materiali del procedimento di espropriazione, rapportandosi esclusivamente alla porzione dell’immobile residua ante espropriazione”.

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Il CTU, invece, avrebbe determinato il deprezzamento “quale differenza del valore dell’immobile nella consistenza e prezzo unitario ante esproprio e il valore dell’immobile nella consistenza e prezzo unitario post esproprio, prezzo unitario che ha tenuto conto del declassamento dell’immobile a seguito delle invasive limitazioni all’accesso dallo stesso subite”.

Pertanto, il giudice del rinvio dovrà, ove intenda discostarsi dalle valutazioni del CTU, dare adeguata motivazione su ogni aspetto critico sopra indicato.

8. Con il terzo motivo di ricorso la (…) Srl si duole della “Violazione dell’art 360 c.p.c., comma 1 n. 3, in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 371 (rectius 327) del 2001, art 33. Violazione dell’art 360 c.p.c., comma 1 n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” per il mancato riconoscimento dell’indennità di occupazione del fabbricato e delle somme già indicate nel primo motivo di ricorso. Il giudice d’appello avrebbe errato nel porre al CTU quesiti sul valore locativo mensile del fabbricato, nonché sulle spese sostenute ritenute congrue e documentate per sistemare il piazzale e spostare la fossa Imhoff per poi escludere l’indennità di occupazione e la natura indennitaria di soprassuolo delle altre voci di spesa e la correlata competenza della Corte di appello in unico grado.

La Corte d’Appello, dunque, pur avendo proceduto alla quantificazione del valore locativo del fabbricato, individuato dal CTU nella somma di Euro 12.915,00, ha reputato di non riconoscere tale forma di indennizzo.

Vi sarebbe stata, allora, una limitazione temporanea dell’uso dell’immobile, analogamente a quello avvenuto per il terreno.

Il valore di Euro 12.915,00, moltiplicato per il periodo di occupazione temporanea dalle 2/4/2012 al 31/1/2017, data di notifica del decreto di esproprio (4 anni, 10 mesi 5 giorni), avrebbe condotto ad un’indennità di occupazione pari ad Euro 751.222,50, ossia Euro 12.915,08 X 58 (mesi) +12.915/30 X 5.

Alternativamente (subordinatamente), con riferimento all’art. 50 del D.P.R. n. 327 del 2001 (occupazione temporanea) l’indennità deve essere determinata per ogni anno pari ad 1/12 di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area, sicché, utilizzando il valore applicato dal CTU si otterrebbe la somma di Euro 555.087,73.

8.1. Il motivo è infondato.

Infatti, non emerge in alcun modo che la ricorrente, a seguito dell’espropriazione parziale, abbia perduto l’utilizzo del fabbricato. Anzi, proprio dalla CTU, riportata in stralcio sia dalla ricorrente (sub motivo secondo) che dalla controricorrente (…) s.c.p.a., risulta che “i lavori eseguiti, necessari per la modifica dell’assetto viario previsti dal progetto di raddoppio della S.S.(Omissis), non hanno di fatto impedito l’accesso all’immobile, né il suo uso, ma lo hanno certamente reso incomodo e poco idoneo alla destinazione del fabbricato”.

9. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “Violazione dell’art 360 c.p.c., comma 1 n. 3, in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. 371 (rectius 327) del 2001, art. 50-Violazione dell’art. 360 c.p.c. , comma 1 n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, contestando l’erronea determinazione dell’indennità di occupazione quale conseguenza dell’errata quantificazione dell’indennità di espropriazione, dell’errore materiale afferente all’estensione del terreno occupato e del mancato riconoscimento dell’indennità di occupazione per il fabbricato di fatto inutilizzabile nel corso dei lavori.

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La Corte d’Appello ha calcolato l’indennità di occupazione temporanea urgente, considerando il valore del terreno espropriato e solo alcune componenti del soprassuolo.

In realtà, sarebbe pacifico in giurisprudenza che l’art. 50 del D.P.R. n. 327 del 2001, ai fini del calcolo dell’indennità di occupazione temporanea comprende tutte le voci delle indennità di esproprio “quali ne siano le componenti ed i criteri di calcolo”. Dovevano essere dunque computate nel valore dell’indennità di esproprio anche le componenti imputabili al deprezzamento subito dalle porzioni residue dell’immobile rimase nella giuridica disponibilità del proprietario.

9.1. Il motivo è fondato (al di là del possibile assorbimento, dovendo il giudice del rinvio procedere a nuovi calcoli per determinare l’indennità di espropriazione, che costituisce il parametro per l’indennità da occupazione temporanea, un dodicesimo del valore).

10. Per questa Corte, infatti, seppure ai fini del calcolo dell’indennità ex art. 22-bis del D.P.R. n. 327 del 2001, sussiste un collegamento funzionale tra occupazione temporanea ed espropriazione (Cass., sez. 1, 23/5/2022, n. 16528; che richiama Cass. Sez.U., n. 10362 del 2009), pure se la prima è diretta a compensare la privazione del godimento del bene occupato e l’altra a “ristorare” l’ablazione, nel senso che il perimetro di tutela è lo stesso, nonostante siano distinti i beni della vita oggetto del “ristoro”.

Ne consegue che l’unica indennità di esproprio, anche comprensiva del pregiudizio alla porzione non espropriata, è il parametro di calcolo ex art. 50 del D.P.R. n. 327 del 2001 dell’indennità di occupazione temporanea (Cass., sez. 1, 23/5/2022, n. 16528).

Pertanto, la Corte territoriale, una volta accertata l’unità funzionale tra la parte espropriata e quella residua e la negativa influenza del distacco della prima della seconda, avrebbe dovuto determinare l’indennità di occupazione legittima in misura percentuale rispetto alle somme astrattamente dovute a titolo di indennità di espropriazione “ivi comprese quelle imputabili al deprezzamento subito dalle porzioni residue dell’immobile rimaste nella giuridica disponibilità del proprietario, pur se non siano divenute di fatto inutilizzabili a causa della realizzazione dell’opera pubblica” (Cass. n. 16528 del 2022; Cass., Sez. U., 25/6/2012, n. 10502, per cui l’indennità di occupazione legittima “va commisurata alla definitiva indennità di espropriazione effettivamente dovuta”).

A tale principio si deve dare continuità, essendo coerente con l’esigenza di garantire una piena reintegrazione patrimoniale del privato.

Peraltro, l’art. 50 del D.P.R. n. 327 del 2001 è attualmente il solo criterio normativo esistente per compensare l’occupazione temporanea collegabile all’espropriazione di qualunque tipologia di suolo, edificabile e inedificabile (Cass., n. 12366 del 2018).

11. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in ordine motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, che provvederà anche sulla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

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P.Q.M.

accoglie il secondo motivo ed il quarto motivo; dichiara inammissibili il motivo preliminare ed il primo motivo; rigetta il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 19 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2024.

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