Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 giugno 2024| n. 15400.
In tema di distinzione tra erede e legatario
In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’articolo 588 del codice civile, l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (“institutio ex re certa”) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato.
Ordinanza|3 giugno 2024| n. 15400. In tema di distinzione tra erede e legatario
Data udienza 30 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: SUCCESSIONI E DONAZIONI – Legato – Ammissibile in caso di assegnazione da parte del testatore di singoli beni – Sussiste. (Cc, articoli 588, 1362 e 1369)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 20637-2020 proposto da:
Ar.Em., rappresentato e difeso dall’avvocato RO.SA.;
– ricorrente –
contro
Ar.Em., elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato MA.ME., rappresentata e difesa dall’avvocato RO.PA.;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 627/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/04/2020;
Lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
In tema di distinzione tra erede e legatario
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Ar.Em. conveniva in giudizio il fratello Ar.Em.
Ar.Em. deducendo che in data 27 maggio 2013 era deceduta la madre Gr.Co. che con testamento pubblico del 12/1/2009 aveva nominato erede universale il convenuto, legando all’attrice, in sostituzione della quota di legittima, la quota indivisa spettante alla de cuius su di un immobile sito in P.
Aggiungeva che aveva rinunciato al legato, essendo intenzionata ad acquisire la qualità di erede, con il conseguimento della quota di legittima.
Chiedeva quindi accertarsi che il testamento ledeva i propri diritti di legittimaria, con la conseguente sua riduzione.
Si costituiva il convenuto che assumeva che il testamento in realtà prevedeva l’istituzione come erede ex re certa anche dell’attrice, e che il bene assegnatole aveva in ogni caso valore superiore alla quota di riserva.
In tema di distinzione tra erede e legatario
Il Tribunale di Agrigento, con la sentenza del 18 luglio 2016, ritenuta la disposizione testamentaria della quale l’attrice era beneficiaria un legato in sostituzione di legittima, e preso atto della rinuncia allo stesso, determinava il valore dell’asse relitto tramite la riunione fittizia, ed accertava la lesione della quota vantata dall’attrice, disponendo la reintegra delle disposizioni testamentarie, con assegnazione all’istante della piena proprietà di un appartamento caduto in successione nonché di una cappella gentilizia, con relativa concessione, sita nel cimitero di P.
Avverso tale sentenza proponeva appello il convenuto, cui resisteva Ar.Em.
La Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 627 del 27 aprile 2020 ha rigettato il gravame, condannando l’appellante anche al rimborso delle spese del grado.
In tema di distinzione tra erede e legatario
Quanto al primo motivo con il quale si contestava che la disposizione a favore dell’attrice contenuta nel testamento fosse un legato, la sentenza rilevava che il tenore letterale della disposizione deponeva per la correttezza della soluzione del Tribunale.
Infatti, la stessa così recitava: “Lego e lascio a titolo di legittima, la piena proprietà della parte spettantemi sul fabbricato sito in P, corso Odierna, a mia figlia Ar.Em. “.
La qualificazione in termini di legato era supportata dal rilievo per cui all’attrice era stata lasciata solo la quota di un immobile, mentre al convenuto tutti i restanti cespiti immobiliari.
Ancora la testatrice aveva usato per la figlia il verbo “lego”, riferendo invece per il figlio la volontà di istituirlo erede universale in tutto il resto del suo patrimonio. Inoltre, la clausola a favore della figlia era accompagnata dalla previsione che la obbligava, in caso di vendita, a preferire il fratello Ar.Em., e ciò sottintendeva la volontà di concentrare tutto il patrimonio immobiliare nelle mani del figlio.
La qualifica come legato sostitutivo ex att. 551 c.c., e non come legato in conto, era supportata dal rilievo che il richiamo alla quota di legittima evidenziava l’intento di soddisfare con il bene oggetto della previsione, il diritto della figlia, quale legittimaria, tacitandola di ogni altra pretesa sul patrimonio ereditario.
In tema di distinzione tra erede e legatario
A fronte di tali argomenti l’appellante non aveva sviluppato alcuna seria critica, essendosi limitato a riprodurre la personale convinzione circa la diversa qualificazione della sorella quale erede testamentaria.
La volontà di prevedere un legato sostitutivo trovava poi il conforto anche nella circostanza che già in vita i rapporti tra la de cuius e la figlia si erano interrotti, sicché era verosimile ritenere che la prima avesse voluto escluderla dalla successione, attribuendole solo un bene a titolo di legato, ed a soddisfacimento di tutti i suoi diritti ereditari.
Non poteva nemmeno accedersi alla tesi di una divisione testamentaria, stante la diversa qualifica di legataria espressamente attribuita all’attrice.
Doveva altresì essere disattesa la richiesta di addivenire ad un progetto di divisione ed alla successiva estrazione a sorte, posto che il giudizio non aveva ad oggetto lo scioglimento di una comunione, ma la tutela della quota di legittima tramite l’azione di riduzione.
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La sentenza, poi, aggiungeva che non era stata formulata alcuna seria critica ai criteri con i quali si era provveduto alla reintegra, essendo stata individuata la soluzione che effettivamente meglio era idonea ad assicurare la tutela della quota dell’appellata.
Quanto alle doglianze mosse alla CTU, la Corte d’Appello evidenziava che già l’ausiliario d’ufficio aveva offerto un’esauriente risposta ad ogni contestazione dell’appellante, indicando il corretto metodo estimativo dei beni (non potendosi fare affidamento esclusivo sui valori ricavati dall’Osservatorio OMI dell’Agenzia delle Entrate) avendo ponderato i dati ricavati dalla banca dati dell’Agenzia delle Entrate con gli elementi correlati alle peculiari caratteristiche degli immobili da stimare (collocazione, ubicazione, destinazione, stato di conservazione, panoramicità, prospettive edificatorie).
2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Ar.Em., sulla base di quattro motivi.
Ar.Em. resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza.
3. Il primo motivo di ricorso denuncia ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c. la violazione dell’art. 132 c.p.c. per la motivazione apparente della sentenza d’appello.
La stessa si è limitata a dedurre che l’appellante non aveva sviluppato puntuali censure alla decisione del Tribunale quanto alla qualificazione della disposizione testamentaria in favore dell’attrice, non avvedendosi del contenuto del giudizio che verteva proprio sulla corretta interpretazione delle volontà testamentarie. Inoltre, si è limitata a richiamare per relationem gli argomenti del Tribunale.
In tema di distinzione tra erede e legatario
Il motivo è inammissibile.
Preme rilevare che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., ed al fine di chiarire la corretta esegesi della novella, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte che con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, hanno ribadito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, ed è solo in tali ristretti limiti che può essere denunziata la violazione di legge, sotto il profilo della violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4.
Nella fattispecie, atteso il tenore della sentenza impugnata, deve escludersi che ricorra un’ipotesi di anomalia motivazionale riconducibile ad una delle fattispecie che, come sopra esposto, in base alla novella consentono alla Corte di sindacare la motivazione, avendo la sentenza motivato, sia pure per relationem, sulla base delle argomentazioni del giudice di primo grado, circa le ragioni che deponevano per la correttezza della soluzione raggiunta dal Tribunale, soddisfacendo in tal modo il principio del cd. minimo costituzionale della motivazione, facendo quindi proprio il ragionamento alla base della sentenza appellata, la cui correttezza non si riteneva che fosse stata inficiata dalle difese spese in appello.
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4. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 588, 1362, 1367 e 1369 c.c., quanto all’interpretazione della scheda testamentaria, con l’erronea qualificazione della disposizione in favore dell’attrice come legato, anziché come istituzione di erede.
Richiamata la regola dell’applicazione anche alla materia testamentaria dei criteri interpretativi dettati per i contratti, la censura rileva che la soluzione dei giudici di appello ha frustrato quelle che erano le reali intenzioni della testatrice, la quale si era determinata a disporre di tutto il suo patrimonio.
Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1, c.p.c.
Quanto alla contestazione in merito alla corretta applicazione dell’art. 588 c.c., bisogna innanzitutto ricordare che è consolidato orientamento di questa Corte quello secondo cui, nell’interpretazione del testamento, il giudice di merito, mediante un apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se congruamente motivato, deve accertare, in conformità al principio enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore, valutando congiuntamente l’elemento letterale e quello logico ed in omaggio al canone di conservazione del testamento (Cass. n. 24163/2013; 23278/2013). In particolare, l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale, ove il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli ed individuati beni (Cass. n. 23393/2017).
Inoltre (cfr. Cass. n. 24163/2013) in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (“institutio ex re certa”) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato (cfr. Cass. n. 6125/2020).
Nella fattispecie emerge che la sentenza gravata nel pervenire all’approdo interpretativo qui contrastato è partita proprio dal tenore letterale delle espressioni usate nell’atto di ultima volontà, evidenziando che solo per il ricorrente era stata prevista l’istituzione quale erede universale, con la specificazione che allo stesso era attribuito ” tutto il resto del mio patrimonio”.
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Viceversa, come si rileva dal contenuto del testamento sopra riportato, per la figlia manca l’utilizzo di analoga espressione letterale, avendo invece fatto uso del verbo ” legare”, che assume un ben preciso significato tecnico – giuridico.
La stessa circostanza che per i due figli siano state utilizzate espressioni letterali ben differenti e che le stesse siano contemplate in occasione della redazione di un testamento pubblico, impone di ritenere che tale differenza non sia priva di rilevanza e che appunto giustifichi, proprio sul piano dell’interpretazione letterale, la conclusione che solo il figlio era stato istituito come erede, essendosi invece disposto di un semplice legato in favore della figlia.
Né può indurre a diversa conclusione la circostanza che effettivamente il testamento abbia esaurito l’intero asse, posto che tale risultato risulta del tutto compatibile anche con la previsione, accanto all’istituzione di erede (nella specie peraltro effettuata in maniera residuale, avendo attribuito al figlio tutto il resto del patrimonio al netto di quanto legato alla figlia), di un semplice legato, costituendo anche questa una modalità con la quale disporre del patrimonio ereditario.
L’utilizzo di espressioni letterali munite di una significativa pregnanza sia letterale che giuridica, la circostanza che la disposizione in favore dell’attrice avesse ad oggetto un bene specifico, a differenza di quella invece della quale era beneficiario il ricorrente, appaiono elementi che già di per sé soli depongono per l’incensurabilità dell’interpretazione offerta dalla Corte d’Appello che, al fine di confermare la bontà dell’esito cui era approdata, ha richiamato anche il dato della differenza di valore tra le due attribuzioni, l’intento della de cuius di concentrare il patrimonio immobiliare in favore del figlio, rafforzato dalla previsione che attribuiva la prelazione al ricorrente in caso di vendita da parte della appellata del bene attribuitole per testamento, ed infine l’interruzione dei rapporti tra la madre e la figlia, che consentiva di comprendere, avuto riguardo alle vicende personali, il perché la figlia fosse risultata beneficiaria solo di un legato e peraltro al precipuo fine di tacitare i suoi diritti di legittimaria.
A fronte di tali puntuali ed argomentate considerazioni, risulta quindi evidente che la doglianza, al di là della formale indicazione delle norme di legge che si assume siano state violate, mira a sovvertire l’esito cui è pervenuto il giudice di merito, senza però effettivamente evidenziare gli errori ermeneutici commessi, quasi a voler sostituire la propria personale interpretazione del testamento a quella offerta dal giudice di merito, ma senza però palesarne l’assoluta implausibilità.
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5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 649, 1362, 1367 e 1369 c.c. con l’errata qualificazione del legato.
Si sostiene che la sentenza gravata ha confermato la tesi secondo cui l’attrice sarebbe stata beneficiata di un legato in sostituzione di legittima, trascurando però che il testamento oggetto di causa era stato redatto da un notaio il quale, se fosse stato quello l’intento della de cuius, avrebbe utilizzato ben più specifiche espressioni.
Il motivo deve essere dichiarato del pari inammissibile alla luce di considerazioni analoghe a quelle già svolte in occasione della disamina del motivo che precede.
Infatti, ribaditi i criteri ermeneutici ai quali deve attenersi il giudice nell’interpretazione del testamento, va altresì ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, al fine della configurabilità del legato in sostituzione di legittima, occorre che dal complessivo contenuto delle disposizioni testamentarie risulti l’inequivoca volontà del “de cuius” di tacitare il legittimario con l’attribuzione di determinati beni, precludendogli la possibilità di mantenere il legato e di attaccare le altre disposizioni per far valere la riserva, laddove, in difetto di tale volontà, il legato deve ritenersi “in conto” di legittima.
Inoltre, è stato ribadito che ai fini dell’individuazione del legato in sostituzione di legittima, non occorre che la scheda testamentaria usi formule sacramentali, essendo sufficiente che risulti l’intenzione del “de cuius” di soddisfare il legittimario con l’attribuzione di beni determinati senza chiamarlo all’eredità (Cass. n. 824/2014).
Peraltro, stabilire se una disposizione testamentaria in favore di un legittimario integri un legato in sostituzione o in conto di legittima, implicando un apprezzamento dei fatti, è compito demandato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (cfr. da ultimo, Cass. n. 18583/2011).
Nella fattispecie, come sopra ricordato, il giudice di merito ha ampiamente ed esaurientemente motivato le ragioni in base alle quali la disposizione in favore dell’attrice era un legato ed in particolare in sostituzione di legittima, deponendo in tal senso il fatto che l’attribuzione avveniva “a titolo di legittima”, e che mirava a tacitarla di ogni sua pretesa successoria, essendo manifestato dal restante contenuto della scheda testamentaria l’intento di invece istituire come erede, con il miglior trattamento successorio possibile, l’odierno ricorrente.
Anche in questo caso il motivo risulta inammissibile in quanto volto a sovrapporre la personale interpretazione del negozio testamentario a quella offerta dal giudice di merito con adeguata motivazione ed in conformità dei principi espressi da questa Corte.
6. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c. per omesso esame dei denunciati vizi della CTU.
Si evidenzia che nel corso del giudizio aveva espresso varie critiche all’operato dell’ausiliario di ufficio, le quali non sono state in alcun modo esaminate dalla sentenza impugnata.
Il motivo è inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c.
Infatti, in base a tale norma, applicabile alla fattispecie ratione temporis, trattandosi di appello introdotto in data successiva all’11 settembre 2012, non è possibile in caso di cd. doppia conforme, e cioè laddove la sentenza di appello abbia confermato quella di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto su cui si fonda la sentenza appellata, dedurre in sede di ricorso per Cassazione il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 co. 1 c.p.c.
Peraltro, ed escluso che il semplice richiamo alle osservazioni del perito di parte possa essere idoneo ad individuare il fatto storico di cui sarebbe stata omessa la disamina, la lettura della motivazione della sentenza impugnata consente invece di affermare che in realtà la sentenza di appello, alle pagg. da 7 a 9, ha ampiamente fornito risposta ai rilievi critici dell’appellante, specialmente per quanto attiene ai criteri estimativi dei beni immobili, il che denota come sia anche privo di fondamento l’assunto secondo cui le critiche sarebbero rimaste prive di valutazione.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
7. Attesa l’inammissibilità del ricorso, il ricorrente è condannato alle spese del presente giudizio, da liquidarsi secondo dispositivo.
8. Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per la stessa impugnazione.
In tema di distinzione tra erede e legatario
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato, se dovuto, per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 30 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2024.
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