Corte di Cassazione, civile, Sentenza|10 maggio 2021| n. 12359.
In tema di dirigenza pubblica, il trattamento economico del direttore sanitario delle aziende sanitarie è determinato sulla base dei parametri retributivi previsti dalla contrattazione collettiva per le posizioni apicali della dirigenza medica, da valutarsi al momento della stipula del contratto d’opera intellettuale, senza che possano rilevare i successivi adeguamenti “in melius” di detti parametri nel corso del rapporto; né un siffatto sistema può considerarsi irragionevole, tenuto conto, da un lato, della mera eventualità del disallineamento dei compensi tra posizioni professionali peraltro diverse, e, dall’altro, della natura temporanea di un tale effetto, in ragione della limitata durata del vincolo contrattuale – derivante da un rapporto autonomo a tempo determinato – del direttore sanitario.
Sentenza|10 maggio 2021| n. 12359
Data udienza 19 gennaio 2021
Integrale
Tag/parola chiave: ASL – Direttore sanitario – Contratto di diritto privato – Lavoro autonomo – Rilevanza dei d.p.c.m. n. 502/95 e n. 319/2001 – Fissazione dei criteri per la determinazione degli emolumenti – Riferimento alla contrattazione collettiva – Insussistenza di clausole espresse di incremento in ragione dei miglioramenti futuri – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere
Dott. SPENA Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE n. (OMISSIS) DI PESCARA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1118/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 07/10/2013 R.G.N. 441/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2021 dal Consigliere Dott. MAROTTA CATERINA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI ROBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1118 resa in data 7 ottobre 2013, la Corte d’appello di L’Aquila confermava la decisione del Tribunale di Pescara che aveva respinto la domanda proposta, nei confronti dell’Azienda Sanitaria n. 3 di Pescara, da (OMISSIS), direttore sanitario, per ottenere le differenze di trattamento economico, come riconosciuto in sede di contratto d’opera intellettuale sottoscritto il 12/3/2009, in forza del miglioramento, da parte della contrattazione collettiva, dei parametri retributivi relativi al personale della dirigenza medica della medesima Azienda.
Riteneva la Corte territoriale che il compenso del direttore dovesse essere parametrato al trattamento economico per le posizioni apicali della dirigenza medica da valutarsi al momento della stipula del contratto e non dunque in modo dinamico (tempo per tempo).
Evidenziava, in particolare, che il trattamento da corrispondere al direttore sanitario dovesse essere fissato preventivamente dalla Regione, in conformita’ a quanto previsto dal D.P.C.M. n. 502 del 1995, articolo 2, comma 5, come modificato dal D.P.C.M. n. 319 del 2001, e cio’ sia ai fini del buon andamento della P.A. sia ai fini del bilancio, sicche’ gli adeguamenti in melius dei parametri retributivi previsti dai c.c.n.l. intervenuti dopo la sottoscrizione del contratto d’opera intellettuale si applicavano solo ai contratti individuali stipulati successivamente, in assenza di un diverso provvedimento della Regione.
Rilevava, inoltre, che l’applicazione della dinamica retributiva riferibile alla contrattazione collettiva propria dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato non potesse trovare applicazione con riferimento ad un contratto d’opera intellettuale che esaurisce l’autonomia negoziale delle parti per tutto il periodo di durata ivi previsto.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) con tre motivi.
3. L’Azienda sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Pescara ha resistito con controricorso.
4. La causa e’ stata chiamata all’adunanza camerale del 16 gennaio 2020 per essere poi rimessa alla pubblica udienza.
5. Il ricorrente ha depositato memorie (sia in prossimita’ dell’adunanza camerale sia prima della pubblica udienza).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3 bis, comma 8, del D.P.C.M. n. 502 del 1995, articolo 2, comma 5, e dei principi generali in materia di rapporti di lavoro.
Assume che la Corte territoriale abbia male interpretato la normativa di riferimento.
Richiama la pronuncia di questa Corte (Cass. 27 novembre 2013, n. 26515) per sostenere che la tesi della Corte territoriale si sarebbe potuta condividere solo se il contratto di lavoro del direttore sanitario fosse stato stipulato in epoca anteriore al D.P.C.M. n. 319 del 2001.
Sottolinea che la disciplina in questione e’ nata dall’esigenza di garantire al direttore sanitario (e al direttore amministrativo) un trattamento economico correlato alla peculiarita’ degli incarichi ricoperti ed in particolare alla posizione sovraordinata rispetto alla dirigenza e che la prevista salvezza del “limite minimo” conferma che non puo’ il trattamento economico risultare piu’ basso di quello della dirigenza apicale, cosa che si verificherebbe in assenza di un adeguamento “tempo per tempo”.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione.
Sostiene che la Corte territoriale abbia omesso del tutto di esaminare la questione posta dall’appellante relativa alla circostanza che il trattamento economico del direttore sanitario deve essere ancorato alla retribuzione prevista per la dirigenza apicale.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia nullita’ sentenza per illogicita’ della motivazione ai sensi dell’articolo 132 c.p.c..
Sostiene che i giudici del merito, pur avendo affermato che occorre fare riferimento al contratto individuale (che, nello specifico, richiamava costantemente le norme del D.P.C.M. n. 502 del 1995 come modificato dal D.P.C.M. n. 319 del 2001), abbia, poi, in modo illogico e contraddittorio escluso che possano applicarsi le clausole migliorative del c.c.n.l..
4. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati.
5. Il contratto (e conseguente rapporto) intercorrente tra l’Azienda sanitaria ed il direttore sanitario (idem est per il direttore generale ed il direttore amministrativo), e’ regolato per legge (Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3, comma 6 e introdotto dal Decreto Legislativo n. 229 del 1999, articolo 3-bis, comma 8) come contratto di diritto privato, stipulato in osservanza delle norme sul lavoro autonomo, alla cui tipologia, sub specie di prestazione d’opera professionale-intellettuale, esso dunque si riporta, con i tratti propri anche della collaborazione coordinata e continuativa (Cass. 3 dicembre 2009, n. 14349).
Si tratta di contratto caratterizzato da significativi tratti eteronomi, essendo rimessa la determinazione dei suoi contenuti “ivi compresi i criteri per la determinazione degli emolumenti” ad appositi D.P.C.M. (articolo 3, comma 6 cit.), cosi’ come alle Regioni e’ demandata la disciplina delle cause di risoluzione del rapporto (articolo 3-bis, comma 8 cit.).
6. Successivamente all’emanazione del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3, comma 6, e’ stato emanato il D.P.C.M. n. 502 del 1995 che, nel testo originario, ha distinto, quanto al trattamento economico, il direttore generale rispetto ai direttori sanitario e amministrativo (pur introducendo elementi di raccordo tra l’uno e gli altri, v. infra).
L’articolo 1, comma 5, di tale d.p.c.m. ha previsto che il trattamento economico omnicomprensivo del direttore generale e’ individuato dalla Regione in relazione a determinati parametri (a) volume delle entrate di parte corrente della unita’ sanitaria locale o dell’azienda ospedaliera; b) numero di assistiti e di posti letto; c) numero di dipendenti) e non puo’ risultare superiore a lire duecentomilioni, potendo essere integrato di una ulteriore quota, fino al 20% dello stesso, sulla base dei risultati di gestione ottenuti e della realizzazione degli obiettivi fissati annualmente dalla regione, misurata mediante appositi indicatori.
L’articolo 2, comma 5, del medesimo d.p.c.m. si e’ occupato del trattamento economico del direttore sanitario e del direttore amministrativo stabilendo che lo stesso e’ fissato dalla Regione in misura pari al 70% del trattamento base attribuito al direttore generale. Anche in questo caso e’ stata riconosciuta la possibilita’ dell’integrazione di un’ulteriore quota, fino al 20% dello stesso, sulla base dei risultati di gestione ottenuti e della realizzazione degli obiettivi fissati annualmente dal direttore generale e misurata mediante appositi indicatori. E’ stato, altresi’, precisato che tale trattamento economico complessivo non puo’ risultare inferiore alla somma dello stipendio iniziale lordo, dell’indennita’ integrativa speciale, della tredicesima mensilita’ e dell’indennita’ di direzione dei dirigenti apicali del Servizio sanitario nazionale.
7. E’, quindi, intervenuto il Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3 bis, comma 8, introdotto dal Decreto Legislativo n. 229 del 1999 il quale, dopo aver ribadito che il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario e’ esclusivo ed e’ regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile, ha stabilito che il trattamento economico dei suddetti direttori e’ definito “in sede di revisione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 1995, n. 502, anche con riferimento ai trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale per le posizioni apicali della dirigenza medica e amministrativa”.
8. E’ cosi’ stato emanato il D.P.C.M. n. 319 del 2001 che, modificando il precedente D.P.C.M. 592 del 1992, ha disposto, all’articolo 1, comma 5 che, fermi i parametri da considerare cosi’ come gia’ previsti, il trattamento economico annuo del direttore generale non puo’ essere superiore a lire trecentomilioni e puo’ essere integrato di una ulteriore quota, fino al 20% dello stesso, previa valutazione, sulla base dei criteri determinati ai sensi del comma 5 del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3-bis, comma 5 e successive modificazioni, dei risultati di gestione ottenuti e della realizzazione degli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, assegnati al direttore generale annualmente dalla regione.
Al successivo articolo 2, comma 5, e’ stato previsto che al direttore sanitario e al direttore amministrativo e’ attribuito un trattamento economico definito in misura non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale rispettivamente per le posizioni apicali della dirigenza medica ed amministrativa e che la regione definisce tale trattamento economico tenendo conto sia di quello attribuito al direttore generale sia delle posizioni in strutture organizzative complesse, in un’ottica di equilibrio aziendale. La disposizione ha, altresi’, precisato che i trattamenti economici annui sono omnicomprensivi e, salvo il limite minimo di cui al primo periodo (misura non inferiore non inferiore a quella prevista dalla contrattazione collettiva nazionale rispettivamente per le posizioni apicali della dirigenza medica ed amministrativa), non possono essere fissati in misura superiore all’80% del trattamento base attribuito al direttore generale. Il predetto trattamento puo’ essere integrato di un’ulteriore quota, fino al 20% dello stesso, sulla base dei risultati di gestione ottenuti e della realizzazione degli obiettivi fissati annualmente dal direttore generale e misurata mediante appositi indicatori.
E’ stato, inoltre, inserito il comma 5 bis secondo cui la Regione puo’ disporre che il trattamento economico del direttore generale sia integrato fino ad un importo massimo di 10 milioni, in relazione a corsi di formazione manageriale e ad iniziative di studio ed aggiornamento, promosse dalla regione ed alle quali il direttore generale debba partecipare per esigenze connesse al proprio ufficio.
9. In sintesi, i due d.p.c.m. che rilevano nella presente causa (n. 502 del 1995 e n. 319 del 2001), ancorche’ il contratto in questione sia stato stipulato dopo il d.p.c.m. del 2001, prevedono, il primo, che il compenso “complessivo” del direttore sanitario (e del direttore amministrativo) e quindi comprensivo del trattamento base e dell’eventuale incremento del 20% di “risultato” (Cass. 16 marzo 2020, n. 7303) non sia inferiore alla somma di alcune voci della remunerazione dei dirigenti medici apicali; il secondo, che tale compenso non sia inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale per la dirigenza amministrativa e sanitaria con l’aumento del 20% di “risultato” come misura di incremento ulteriore.
Il D.P.C.M. del 1995 prevede che il compenso dei direttori sanitari ed amministrativi sia pari al 70% del compenso base stabilito per il corrispondente direttore generale, salvo l’aumento, per entrambi, del 20% di “risultato”.
Il D.P.C.M. del 2001 prevede, invece, che tale compenso non possa superare nel massimo l’80% del compenso stabilito per il corrispondente direttore generale, salvo ancora l’aumento del 20 di “risultato”.
Sono, infine, previsti in entrambi i d.p.c.m., per il direttore genarle, tetti massimi (rispettivamente pari agli allora 200 milioni e poi 300 milioni di lire), cui pero’ si aggiunge il 20% di “risultato” e, secondo il d.p.c.m. del 2001, un ulteriore possibile importo per la frequenza di corsi di formazione manageriale.
10. Tanto premesso, va evidenziato, per una completa esegesi delle disposizioni che qui rilevano, che non sussiste alcun contrasto tra le previsioni sui massimali e le norme del Decreto Legislativo n. 502 del 1992 che hanno rimesso ai d.p.c.m. la regolazione dei compensi dei direttori sanitario e amministrativo e del direttore generale.
Il Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3, comma 6, come detto, ha demandato al d.p.c.m. la fissazione dei “criteri per la determinazione degli emolumenti” e l’articolo 3-bis, comma 8, ha affermato che tale trattamento economico e’ “definito…”, con cio’ riprendendo la medesima dizione della L. n. 419 del 1998, articolo 2, comma 1, lettera u)., di delega, anche in relazione alla contrattazione collettiva dei medici apicali.
Ne’ la “fissazione” di criteri e tanto meno la “definizione” del trattamento possono dirsi in se’ in contrasto con la fissazione di un massimo uniforme su base nazionale.
Non puo’ poi neanche ipotizzarsi che l’articolo 3, comma 6 o l’articolo 3-bis, comma 8 abbiano operato con eccesso di delega nel rimettere al D.P.C.M. la regolamentazione dei compensi o nel non imporre un vincolo di coerenza costante tra contrattazione dei medici apicali e compenso ai direttori amministrativo e sanitario e al direttore generale.
Infatti la regola di “definizione” dei compensi in coerenza con la contrattazione collettiva, rispetto a rapporti di durata limitata, e’ rispettata anche se non si realizzi una revisione dinamica dei corrispettivi, mentre, per altro verso, la fissazione di massimi rappresenta “un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo” (Corte Cost. 16 dicembre 2016, n. 278; Corte Cost. 24 settembre 2015, n. 194) ove si consideri, in una logica che guardi all’intervento normativo nella sua globalita’ e non nella solo prospettiva di singoli interessati, la regolazione uniforme sul piano nazionale dei servizi e dell’organizzazione sanitaria che si andava nel complesso a realizzare.
11. Cio’ posto si rileva che il vincolo imposto dalla norma primaria (articolo 3-bis, comma 8 cit.) rispetto alla contrattazione collettiva e’ del tutto generico, prevedendosi soltanto che i trattamenti economici siano definiti “anche con riferimento, ai trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale per le posizioni apicali della dirigenza medica e amministrativa”.
Tale previsione, invero, non risulta in termini generali ostativa ad un vincolo dinamico rispetto alla contrattazione collettiva, nel senso che al mutare di essa possano mutare i trattamenti gia’ contrattualmente stabiliti per il direttore generale e per i direttori amministrativo e sanitario; tuttavia deve ritenersi che la stessa, per la genericita’ del richiamo, sia egualmente compatibile anche con la fissazione di limiti minimi e massimi non suscettibili di variazione in aumento nel corso del rapporto, comunque di durata non superiore ai 5 anni e, con il D.P.C.M. n. 319 del 2001, non inferiore ai 3 anni. In sostanza, con detta disposizione, l’aggancio alla contrattazione collettiva ben puo’ essere stato previsto in funzione di un minimo garantito all’atto della stipula del contratto.
In concreto i d.p.c.m. non prevedono un tale adeguamento, ne’ esso e’ compatibile con il sistema da essi introdotto.
Infatti, pur nelle sensibili diversita’ esistenti tra i due d.p.c.m., rispetto ad entrambi la variazione, al mutare della contrattazione collettiva dei medici, degli importi previsti per i direttori sanitari ed amministrativi, necessariamente dovrebbe essere proiettata, stante la proporzione fissata rispetto al compenso per il direttore generale, anche sul trattamento di questi ultimi e ne potrebbe derivare, qualora i compensi per ciascuna dirigenza fossero stati gia’ fissati nei massimi, lo sforamento del tetto stabilito per i compensi del direttore generale.
Ma i d.p.c.m. in nessun modo prevedono la possibilita’ di una variazione di tali massimi.
Ne deriva che l’incremento dei compensi al variare della contrattazione collettiva puo’ essere ammessa esclusivamente a livello di contrattazione individuale di specifiche clausole in tal senso e per effetto della natura privatistica del contratto, purche’ restino rispettati i massimi rispettivamente dettati dalla normativa eteronoma, ma tale ipotesi nel caso di specie non risulta in alcun modo evocata in causa.
Il sistema di cui ai d.p.c.m. non riconosce altre variazioni di compensi “base” che non siano quella appena ipotizzata e in particolare non prevede alcun automatismo di variazione in corso di rapporto per effetto del modificarsi della contrattazione collettiva dei medici apicali.
12. Tutto cio’ comporta la conferma dell’orientamento, gia’ espresso da queta Corte seppure rispetto a fattispecie regolata solo dal D.P.C.M. n. 502 del 1995, ove tuttavia gia’ si e’ precisato che solo con il D.P.C.M. n. 319 del 2001 “fu stabilito chiaramente che “al direttore sanitario e al direttore amministrativo e’ attribuito un trattamento economico definito in misura non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale rispettivamente per le posizioni apicali della dirigenza medica ed amministrativa””, ma cio’ avvenne “sempre senza alcuna disposizione circa la pretesa equivalenza nel tempo del compenso del direttore sanitario al trattamento stipendiale della dirigenza medica” (Cass. 27 novembre 2013, n. 26515).
13. Nel quadro di cui sopra e’ chiaro che la previsione secondo cui il contratto con il direttore generale ed i direttori sanitario e amministrativo e’ “stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile”, contenuta nell’articolo 3-bis, comma 8 cit., assume, quanto a libera determinazione della volonta’ contrattuale delle parti e in specie, delle parti private dei rapporti, portata minimale.
In sostanza, l’ambito negoziabile e’ ridotto ai margini che non ricevono stretto vincolo dalla richiamata normativa, in cui i d.p.c.m. comunque intervengono a completare dall’esterno la disciplina di fonte legale (Cass. 10 giugno 2009, n. 13385); margini entro i quali, come detto, oltre, ove possibile, ad un’oscillazione del compenso tra i minimi e i massimi, potrebbe anche ammettersi una clausola che prevedesse l’incremento, in ragione dei miglioramenti di cui alla contrattazione collettiva, dei trattamenti non gia’ stabiliti negli stessi massimi possibili.
Al di fuori di tale ambito, i suddetti direttori possono soltanto non accettare la nomina, ma non hanno effettivi spazi di libera contrattazione.
La stipula del contratto – ed in cio’ si riduce in tali casi il richiamo alle regole privatistiche – ha l’effetto di comportare l’accettazione di quanto indicato nel contratto, anche sotto il profilo delle misure economiche, per l’intera durata (3 o 5 anni) di esso, trascorsa la quale, la rinnovabilita’ di cui e’ menzione nella legge (articolo 3-bis, comma 8 cit.) non esclude certamente che essa sia condizionata dall’interessato ad una diversa fissazione delle misure del compenso.
14. Appurato che il sistema normativo e’ da intendere nel senso sopra indicato, occorre ulteriormente precisare che un rinvio fisso (come, nella specie, senza alcuna clausola espressa di incremento in ragione dei miglioramenti futuri) non comporta la violazione dei principi di adeguatezza e sufficienza di cui all’articolo 36 Cost. ed all’articolo 2233 c.c., comma 2.
Si deve, infatti, considerare che il rapporto tra le Aziende e il direttore sanitario (come anche quello con il direttore generale ed il direttore amministrativo), ha natura di rapporto di lavoro autonomo, come espressamente desumibile dal richiamo dell’articolo 3-bis, comma 8, al “titolo terzo del libro quinto del codice civile” e come sempre affermato dalla gia’ citata giurisprudenza di questa Corte.
A fondamento di tali rapporti vi e’, dunque, un atto di autonomia privata del prestatore d’opera professionale il quale, per quanto la volonta’ resti avvinta dalle regole imposte dalla normativa di settore, mantiene il carattere proprio dell’accettazione negoziale di un certo assetto degli obblighi reciproci per tutta durata, contenuta in un lasso da 3 a 5 anni, dei rapporti, cessati i quali, anche la prosecuzione non potrebbe che avvenire sulla base di un nuovo contratto, in ipotesi da adeguare ai nuovi parametri medio tempore eventualmente intervenuti.
Cio’ esclude altresi’ che si possa ragionare in termini di adeguatezza o sufficienza del compenso.
Sotto il profilo civilistico costituisce infatti ius receptum quello per cui soltanto ove il contratto non sia liberamente pattuito e’ ammessa la determinazione del compenso in ragione dell’importanza dell’opera (Cass. 4 giugno 2018, n. 14293; Cass. 25 gennaio 2017, n. 1900; Cass. 5 ottobre 2009, n. 21235).
Nel fenomeno giuridico in esame, l’autonomia negoziale, per quanto contratta, nei limitati termini sopra indicati, persiste e quindi non vi e’ luogo ad una qualche valutazione sostitutiva di adeguatezza.
E’ analogamente ius receptum il fatto che l’articolo 36 Cost., si riferisce soltanto ai rapporti di natura subordinata e non al lavoro autonomo (Cass. n. 1900/2017 e Cass. n. 21235/2009 citate), ne’, rispetto ai rapporti qui in esame, esiste una norma di richiamo vincolistico ad un’apposta contrattazione collettiva, come e’ per i rapporti convenzionali di cui al L. n. 833 del 1978, articolo 48, ed al Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 8.
15. Da altro punto di vista il ricorrente sostiene che la rigidita’ del sistema comporta il rischio di alterare l’ordine di rilevanza degli incarichi, perche’, in caso di innalzamento della retribuzione dei medici apicali, non si avrebbe innalzamento dei compensi di chi – nella specie il direttore sanitario – e’ posto in posizione superiore rispetto ad essi.
In effetti puo’ accadere, in un sistema cosi’ impostato (e specialmente poteva accadere nel meno favorevole regime del d.p.c.m. del 1995), che, nel corso dei tre o cinque anni di durata dei rapporti, il trattamento dei direttori sanitario e amministrativo, ancor piu’ se fissato nei minimi pari ai trattamenti dei dirigenti medici apicali, possa in concreto essere divenuto inferiore a questi ultimi, per effetto del sopravvenire di una nuova contrattazione collettiva (invero, e’ assai piu’ difficile che cio’ avvenga, almeno considerando i compensi “base”, per il direttore generale, in quanto il differenziale rispetto ai direttori sanitario e amministrativo – dal 2001 fissato almeno nel 20% – rende improbabile che, essendo il trattamento iniziale dei direttori fissato almeno nel minimo dei trattamenti dei medici apicali, si determini superamento di questi ultimi rispetto al compenso del vertice aziendale massimo, nel limitato lasso temporale di durata dei contratti).
D’altra parte, il sistema non puo’ dirsi per cio’ solo irragionevole.
Il trattarsi in un caso (dirigenti medici apicali) di dipendenti con rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato (e non autonomo e a tempo determinato, come e’ per il direttore generale e i direttori sanitario e amministrativo), incaricati di attivita’ (quella strettamente medica), in parte eterogenea, anche per responsabilita’ specifica, sempre rispetto a detti direttori, esclude che, si debba necessariamente ragionare in termini di assoluta e costante proporzionalita’, per quanto il direttore generale sia responsabile della gestione complessiva dell’Azienda, in cio’ coadiuvato dai direttori sanitario e amministrativo (Decreto Legislativo n. 502 del 1992 articolo 1, comma 1-quater).
Viceversa, il quadro complessivo (mera eventualita’ dell’effettivo disallinearsi dei compensi e comunque natura temporanea dell’effetto, in ragione della limitata durata del vincolo contrattuale dei direttori sanitario e amministrativo e del direttore generale; diversita’ delle posizioni professionali) consente di ritenere non necessariamente irragionevole il fatto che solo in via iniziale vi sia precisa parametrazione sui compensi dei medici apicali.
16. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
17. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
18. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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