Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 7 maggio 2020, n. 14013.
Massima estrapolata:
In tema di diffamazione a mezzo stampa, il cronista che raccoglie notizie in via confidenziale dalle forze dell’ordine che hanno condotto un’operazione di polizia giudiziaria può invocare, qualora la notizia non risulti veritiera, la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca a condizione che abbia assolto all’onere di esaminare, controllare e verificare l’informazione, offrendo la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità di un cronista che, nel riportare la notizia di un arresto, aveva erroneamente indicato l’imputato come imparentato ad un esponente della criminalità organizzata, sulla scorta di una informazione fornitagli confidenzialmente dall’ufficiale di polizia giudiziaria operante, ma non aveva effettuato su di essa alcun controllo).
Sentenza 7 maggio 2020, n. 14013
Data udienza 12 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Diffamazione – Mezzo stampa – Confidenza fatta al cronista da un ufficiale della polizia giudiziaria – Scriminante – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
Dott. SCARLINI Enrico – rel. Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/03/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa FILIPPI PAOLA che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 marzo 2018, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nola, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per intervenuta remissione di querela, eliminando le statuizioni civili poste a suo carico, e, confermandone la penale responsabilita’, rideterminava la pena inflitta all’odierno ricorrente (OMISSIS) in Euro 1.000 di multa.
(OMISSIS) ed (OMISSIS) erano stati accusati del delitto di diffamazione aggravata consumata a danno di (OMISSIS) con la pubblicazione di due articoli, sul (OMISSIS) del 18 e del 19/9/2008, (OMISSIS), quale redattore del primo, (OMISSIS), quale direttore responsabile del quotidiano, e, in relazione al secondo articolo, privo di sottoscrizione, quale corresponsabile del suo contenuto, contenenti frasi che ne offendevano la reputazione, affermando che questi, arrestato per estorsione, fosse, contrariamente al vero, il fratello di (OMISSIS), defunto capo clan del (OMISSIS), cosi’ suggerendo che appartenesse a clan camorristici.
1.1. La Corte di merito, in risposta ai dedotti motivi di appello, osservava che:
– l’articolista (OMISSIS), dopo avere affermato che la fonte delle notizie pubblicate era stato il maresciallo (OMISSIS), aveva aggiunto che il vincolo di parentela del (OMISSIS) con il defunto capo clan poteva essergli stato da questi riferito per errore o poteva egli avere equivocato su quanto gli era stato comunicato;
– e comunque, anche se la fonte di tale notizia fosse stato realmente l’ufficiale di polizia giudiziaria, il cronista, considerando che la stessa gli era stata riferita al di fuori dei canali ufficiali, avrebbe dovuto sondarne la veridicita’ (Cass. n. 41135/2001) non essendo comunque sufficiente l’autorevolezza della fonte (Cass. nn. 51619/2017, 23695/2010, 27106/2010) ad evitare i doverosi accertamenti che non erano stati invece compiuti;
– tali considerazioni rendevano superflua l’escussione del maresciallo;
– la notizia pubblicata, suggerendo al pubblico l’esistenza di precisi e stretti legami dell’arrestato con i clan camorristici, non poteva certo dirsi irrilevante sulla complessiva reputazione della persona offesa, come illustrata negli incriminati articoli;
– la recidiva andava esclusa per la natura colposa del reato ma non potevano concedersi le circostanze attenuanti generiche per le ragioni illustrate dal primo giudice.
2. Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo deduce la violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva, in specie l’assunzione della deposizione del maresciallo dei carabinieri (OMISSIS) che aveva proceduto all’arresto del (OMISSIS) e che era stata la fonte dalla quale l’articolista (OMISSIS) aveva tratto la notizia pubblicata.
Un’audizione la cui decisivita’ era evidente. Pur se (OMISSIS) stesso aveva ammesso di avere dedotto il vincolo di parentela dell’arrestato con l’indicato boss, forse fraintendendo quanto gli era stato confidato.
2.2. Con il secondo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in riferimento alla disconosciuta esimente putativa del diritto di cronaca avendo comunque l’articolista ricevuto la notizia del legame di parentela da fonti di natura ufficiali, il citato maresciallo, pur se in forma privata.
2.3. Con il terzo motivo censura il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, apoditticamente negate, anche considerando che, quanto al rilievo delle precedenti condanne, era stata esclusa la pur contestata recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso promosso nell’interesse di (OMISSIS) e’ inammissibile.
1. Si deve innanzitutto ricordare che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, quando l’articolista (da cui promana la responsabilita’ del direttore del quotidiano per omesso controllo, responsabilita’ che diventa diretta nel caso di articolo, come il secondo citato in imputazione, redazionale, in quanto privo di sottoscrizione: Sez. 5, n. 52743 del 28/09/2017, Ambrosetti, Rv. 271782) riceve delle notizie in via confidenziale, dalle forze dell’ordine che hanno condotto un’operazione di polizia giudiziaria, oltre l’ufficialita’ della tenuta conferenza stampa, questa Corte ha avuto modo di precisare che:
– poiche’ non puo’ ritenersi di per se’ attendibile la confidenza di un ufficiale di polizia giudiziaria, il cronista, che raccolga, al di fuori delle comunicazioni ufficiali fornite nel corso di una conferenza stampa, ulteriori notizie relative ad attivita’ di indagine, deve assumersi l’onere di verificarle direttamente e di dimostrarne la pubblica rilevanza (Sez. 5, n. 41135 del 15/10/2001, Ruvolo, Rv. 220258);
Regola che, nel particolare caso concreto, identico all’odierna fattispecie, costituisce l’applicazione dei piu’ generali principi di diritto secondo i quali:
– la scriminante, anche solo putativa, dell’esercizio del diritto di cronaca e’ configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all’onere di esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (Sez. 5, n. 51619 del 17/10/2017, Tassi, Rv. 271628);
– l’esimente, anche solo putativa, del diritto di cronaca giudiziaria non puo’ essere affermata in ragione del presunto elevato livello di attendibilita’ della fonte se il giornalista non ha provveduto a sottoporre al dovuto controllo la notizia (Sez. 5, n. 23695 del 05/03/2010, Brancato, Rv. 247524);
– l’esimente, anche solo putativa, del diritto di cronaca giudiziaria puo’ essere invocata in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, non solo se abbia provveduto comunque a verificare i fatti narrati, ma abbia altresi’ offerto la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicita’ dei fatti (Sez. 5, n. 27106 del 09/04/2010, Ciolina, Rv. 248032).
1.1. Se ne deduce che, anche se fosse vero che il (OMISSIS) fosse venuto a sapere del presunto vincolo parentale della persona offesa con il boss defunto dal maresciallo che aveva condotto le indagini, in via confidenziale – ed il (OMISSIS) stesso ne ha dubitato – cio’ non l’avrebbe esentato da controllare la veridicita’ della notizia, riscontro che, invece, non aveva affatto compiuto.
Cosi’ che del tutto superflua risulta l’escussione del maresciallo medesimo e, di conseguenza, manifestamente infondato il primo motivo di ricorso.
Come manifestamente infondato risulta il secondo motivo speso, appunto, sul mancato riconoscimento dell’esimente putativa del diritto di cronaca, in assenza di qualsivoglia attivita’ di controllo della confidenza ricevuta circa il legame parentale della persona offesa.
2. E’ inammissibile anche il terzo motivo, speso sul diniego delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della persuasivita’ della motivazione della Corte di merito che aveva ritenuto congruo, anche su tale punto, l’argomento utilizzato dal Tribunale che aveva distinto, a tal fine, le due posizioni, (OMISSIS) e (OMISSIS) ( (OMISSIS) era stato poi prosciolto per la rimessione della querela, espressamente avvenuta nei suoi soli confronti), incensurato il primo, gravato da precedenti condanne il secondo.
Ne’ tale diniego risulta di per se’ impedito, come si pretende nel ricorso, dal mancato riconoscimento della recidiva in relazione alle menzionate condanne (Sez. 3, n. 45528 del 15/03/2018, Rv. 273963).
Si deve poi ricordare che, quando la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e’ giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita’, e’ insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
3. All’inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di Euro 2.000 alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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