Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 12 marzo 2019, n. 7096.

La massima estrapolata:

In tema di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne e’ l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c. sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilita’ solidale.
L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, benche’ non abbia la custodia dei fondi privati che la fiancheggiano e, quindi, non sia tenuto alla loro manutenzione, ha l’obbligo di vigilare affinche’ dagli stessi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada, nonche’ – ove, invece, esse si verifichino – quello di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere, sicche’ e’ in colpa, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1176 c.c., comma 2, e dell’articolo 2043 c.c., qualora, pur potendosi avvedere con l’ordinaria diligenza della situazione di pericolo, non l’abbia innanzitutto segnalata ai proprietari del fondo, ne’ abbia adottato altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione

Ordinanza 12 marzo 2019, n. 7096

Data udienza 25 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 18926-2016 proposto da:
COMUNE DI CASTELVETRANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA gia’ (OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 146/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.
IL COLLEGIO:
Raccomanda la redazione di motivazione in forma semplificata:

PREMESSO

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 27.1.2016 n. 146, in parziale riforma della decisione di prime cure ha accolto la domanda di condanna al risarcimento dei danni proposta da (OMISSIS) nei confronti del Comune di Castelvetrano, ritenuto responsabile, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., delle lesioni personali subite dall’attore infortunatosi cadendo, mentre era alla guida del proprio ciclomotore, a causa di una buca non segnalata presente sulla strada comunale, ed ha liquidato il danno biologico temporaneo e permanente, oltre al danno per spese sanitarie, in complessivi Euro 15.907,88 all’attualita’.
La Corte distrettuale ha rigettato, invece, la domanda di manleva proposta dal Comune nei confronti di (OMISSIS) s.p.a., avendo accertato che i lavori stradali commissionati da quest’ultima erano stati eseguiti in piena autonomia dalla ditta appaltatrice (OMISSIS) s.r.l., non convenuta in giudizio, unica responsabile della situazione di pericolo determinata dall’omesso ripristino del manto asfaltato e della mancata segnalazione della buca.
La sentenza di appello e’ stata impugnata per cassazione dal Comune di Castelvetrano con un unico motivo articolato in plurime censure.
Hanno resistito con controricorso (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS) s.p.a.)
La causa e’ stata ritenuta definibile mediante procedimento in camera di consiglio, in adunanza non partecipata, ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., comma 1, n.n. 1) e 5), e dell’articolo 380 bis c.p.c., essendo formulata proposta di inammissibilita’ del ricorso.
Entrambi i resistenti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c..

RITENUTO

Preliminarmente va disposto lo stralcio della memoria illustrativa depositata in Cancelleria dal resistente (OMISSIS) a mezzo posta.
In tema di giudizio di cassazione, le memorie ex articolo 380 bis c.p.c., se depositate a mezzo posta, devono essere dichiarate inammissibili, tanto che nulla in esse proposto possa essere preso in considerazione, non essendo applicabile l’articolo 134 disp. att. c.p.c. in quanto previsto esclusivamente per il ricorso ed in controricorso (cfr. Corte cass. Sez. 2, Ordinanza n. 182 del 04/01/2011; id. Sez. 2, Sentenza n. 7704 del 19/04/2016; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8835 del 10/04/2018).
Il Comune ricorrente, con l’unico motivo, censura la sentenza per violazione dell’articolo 2051 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ per omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’unico argomento svolto nell’ambito della esposizione dal Comune si incentra sulla erronea considerazione da parte del Giudice di appello del rapporto di custodia tra l’ente pubblico ed il bene, in quanto: a) i lavori riguardavano un intervento di urgenza su cavi elettrici, non di competenza del Comune; b) (OMISSIS) era concessionaria di suolo pubblico essendo collocati i cavi nel sottosuolo in forza di diritto di servitu’ coattiva.
Il motivo, come formulato ed argomentato nella esposizione, e’ inammissibile, non essendo dato distinguere quale sia il vizio di legittimita’, tra quelli denunciati in rubrica, cui debbano riferirsi gli argomenti svolti.
Osserva il Collegio che, se la cumulativa denuncia, con il medesimo motivo, di vizi attinenti alle ipotesi previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5) (idest: formulazione di un singolo motivo articolato in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo), non impedisce l’accesso del motivo all’esame di legittimita’ allorche’ esso, comunque, evidenzi distintamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie (ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), cosi’ da consentire alla Corte di individuare agevolmente ciascuna autonoma critica formulata alla sentenza impugnata in relazione ai diversi vizi di legittimita’ contestati in rubrica (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 9793 del 23/04/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015), diversamente, il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimita’, si palesa inammissibile tutte le volte in cui l’esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno di entrambe le censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso, infatti, le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimita’ ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 c.p.c., non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto dell’articolo 360 c.p.c., e dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).
In ogni caso, anche a volere riferire gli argomenti al vizio per “errore di fatto” ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ appena il caso di rilevare che il Comune non indica alcun “fatto storico decisivo” omesso nella valutazione del materiale istruttorio compiuta della Corte d’appello.
Quanto alla circostanza che (OMISSIS) fosse titolare di un diritto di servitu’ coattiva (per passaggio di cavi interrati nella strada pubblica), in virtu’ di un rapporto di concessione di suolo pubblico disciplinato da norme regolamentari, premesso che la questione non risulta sia stata dedotta ed esaminata in contraddittorio nel corso dei gradi di merito, e premesso che il Comune neppure specifica quando sia stato prodotto in giudizio l’atto di concessione, ne’ ove lo stesso possa essere reperito negli atti processuali, in palese violazione della prescrizione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e’ appena il caso di rilevare che quando anche l’atto di concessione fosse da individuare nel “titolo costitutivo del diritto reale parziario”, tale diritto non comporterebbe, comunque, il venire meno del rapporto di custodia tra il bene e l’ente locale proprietario, non potendo ritenersi trasferita all'(OMISSIS), stante il carattere limitato del titolo, la piena ed esclusiva disponibilita’ e gestione della strada pubblica, laddove questa – ove interessata da lavori di appalto commissionati dalla societa’ titolare del diritto di servitu’ coattiva – sia rimasta aperta al traffico dei veicoli e dei pedoni. Come, infatti, costantemente affermato da questa Corte, in tema di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne e’ l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c. sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilita’ solidale (giurisprudenza consolidata: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 06/07/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 20825 del 26/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 12425 del 16/05/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 12811 del 23/07/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 15882 del 25/06/2013).
Del tutto inconferenti sono i richiami giurisprudenziali contenuti nel ricorso.
Il precedente di Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9309 del 08/06/2012, non concerne, infatti, danni subiti dagli utenti della strada pubblica, sibbene danni lamentati per la interruzione del servizio di somministrazione idrica ed in tal caso, infatti, mancano i presupposti stessi della responsabilita’ del custode, a nulla rilevando che le tubazioni danneggiate si trovassero interrate al di sotto di una strada comunale. Del pari impropriamente richiamato e’ il precedente di Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 23562 del 11/11/2011 che attiene alla responsabilita’ dell’ente o societa’ concessionaria, nella specie l'(OMISSIS), in relazione alle strade e autostrade che le sono affidate e in relazione alle quali esercita i diritti e i poteri attribuiti all’ente proprietario.
Peraltro proprio il precedente da ultimo indicato, seguito da numerosi altri, viene ad affermare un principio di diritto controproducente alla tesi difensiva sostenta dal Comune.
Ed infatti, l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, benche’ non abbia la custodia dei fondi privati che la fiancheggiano e, quindi, non sia tenuto alla loro manutenzione, ha l’obbligo di vigilare affinche’ dagli stessi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada, nonche’ – ove, invece, esse si verifichino – quello di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere, sicche’ e’ in colpa, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1176 c.c., comma 2, e dell’articolo 2043 c.c., qualora, pur potendosi avvedere con l’ordinaria diligenza della situazione di pericolo, non l’abbia innanzitutto segnalata ai proprietari del fondo, ne’ abbia adottato altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 22330 del 22/10/2014; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 6141 del 14/03/2018), principi che lo stesso Comune appare condividere laddove, nel ricorso, ammette che rimaneva, comunque, affidata alla Amministrazione locale l’attivita’ “finalizzata ad accertare, una volta ricevuta la comunicazione di fine lavori dell'(OMISSIS), il corretto adempimento all’obbligo formalmente assunto dalla s.p.a. in ordine al ripristino a regola d’arte della sede stradale “.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il Comune ricorrente va condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo, non venendo in questione, in assenza di proposizione di ricorso incidentale, il regolamento delle spese di primo e secondo grado, come e’ stato definito dal Giudice di appello con statuizione divenuta irrevocabile.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida, in favore di (OMISSIS) s.p.a. in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, ed in favore di (OMISSIS) in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. (OMISSIS) dichiaratosi antistatario.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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