In tema di appalto il termine per la denuncia dei vizi

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 maggio 2024| n. 13821.

In tema di appalto il termine per la denuncia dei vizi

In tema di appalto, in linea generale, il termine per la denuncia dei vizi a pena di decadenza ai sensi dell’articolo 1667, comma 2, Cc decorre dalla scoperta dei vizi. Ne consegue che la data di consegna dell’opera è decisiva, nel senso che solo dopo la consegna può aversi la scoperta delle difformità o dei vizi, entro sessanta giorni dalla quale il committente deve eseguire denuncia all’appaltatore. Inoltre, mentre prima dell’accettazione e della consegna dell’opera non vengono in rilievo problemi di denuncia e di prescrizione per vizi comunque rilevabili, è al momento della consegna che il committente può fare rilevare i vizi conosciuti o conoscibili in corso d’opera. In questo modo il committente evita che l’opera si consideri accettata in quanto ricevuta senza riserve ai sensi dell’articolo 1665 comma 4 del Cc, con la conseguente esclusione della garanzia secondo l’espressa previsione dell’articolo 1667 comma 1 del Cc. (Nella fattispecie, ha osservato la Suprema Corte, eseguendo l’accertamento in fatto a essa spettante e che rimane esterno al sindacato di legittimità, la Corte d’appello ha accertato che la consegna dell’intera opera, e non solo di una parte come sostengono i ricorrenti, era avvenuta – senza che risultasse la formulazione di riserve – prima del 17 novembre 2005, data di presentazione della domanda per l’agibilità. Quindi la pronuncia si sottrae alle critiche dei ricorrenti, laddove da quella data la Corte d’appello ha fatto decorrere il termine per la denuncia dei vizi, non avendo i committenti – sui quali incombeva l’onere di dimostrare la denuncia e la sua tempestività – dimostrato che si trattasse di vizi occulti, per i quali termine decorresse da un momento successivo nel quale i vizi fossero stati scoperti. Al contrario, i ricorrenti sostengono che, essendo i vizi palesi e non essendo stata l’opera accettata, non vi fosse necessità della denuncia ai fini della garanzia).

Sentenza|17 maggio 2024| n. 13821. In tema di appalto il termine per la denuncia dei vizi

Data udienza 7 MAGGIO 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto – Omesso completamento dell’opera – Responsabilità dell’appaltatore – Inapplicabilità della disciplina della garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera – Denuncia dei vizi dell’opera – Decorrenza del termine dalla loro scoperta – Rigetto del ricorso

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta da:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. CAVALLINO Linalisa – Relatore

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 8303/2019 R.G. proposto da:

Al.Gi., c.f. omissis, Ga.Ma., c.f. omissis, rappresentati e difesi dall’avv. Fr.Za., con domicilio digitale omissis

ricorrenti

contro

(…) DI (…) Snc, Ca.Fa.,

intimati

avverso la sentenza n. 3783/2018 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 6-8-2018,

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7-52024 dal consigliere Linalisa Cavallino,

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Carmelo Celentano, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso,

udita l’avv. Fr.Za. per i ricorrenti

In tema di appalto il termine per la denuncia dei vizi

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1326/2016 depositata il 24-9-2016 il Tribunale di Pavia ha respinto l’opposizione proposta da Al.Gi. e Ga.Ma. al decreto ingiuntivo con il quale erano stati condannati a pagare a (…) di (…) Snc Euro 113.400,00 oltre iva, a titolo di saldo del corrispettivo del contratto di appalto stipulato per la ristrutturazione dell’immobile di loro proprietà sito a G in via omissis; ha rigettato anche le domande riconvenzionali di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno proposte dagli opponenti.

Il Tribunale ha ritenuto che era stato concluso dalle parti oralmente contratto di appalto, che la mancanza di accordo sul prezzo comportava l’applicazione dell’art. 1657 cod. civ. e che il valore delle opere eseguite era pari a Euro 188.423,30 oltre iva; quindi, detratto l’acconto di Euro 75.000,00 iva esclusa pagato, ha determinato in Euro 113.423,00 oltre iva e interessi il residuo credito della società appaltatrice; ha rigettato le domande di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno per vizi e difetti ex art. 1668 cod. civ., proposte solo nei confronti della società appaltatrice e non del direttore dei lavori Ca.Fa. citato in manleva dalla società, per mancanza di prova di tempestiva denuncia dei vizi.

2. Avverso la sentenza Al.Gi. e Ga.Ma. hanno proposto appello, che la Corte d’appello di Milano con sentenza n. 3783/2018 depositata il 6-8-2018 ha integralmente rigettato, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese del grado a favore della società appellata, essendo rimasto contumace l’appellato Ca.Fa.

Per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso proposti, la sentenza ha rigettato il primo motivo di appello, con il quale gli appellanti avevano chiesto il rinnovo della c.t.u.; ha dichiarato che le omissioni del consulente d’ufficio erano state lamentate alle pagg. 8 e 9 del ricorso in appello in modo generico e quindi non erano suscettibili di dare contezza di errori e omissioni del consulente rispetto ai quesiti formulati; ha aggiunto che le censure all’elaborato, laddove erano state più precise alle pagg. 10 e 11 dell’atto di appello, si esaurivano nel richiamo ai rilievi del consulente di parte, che avevano già trovato esaustiva replica nella relazione a chiarimenti del consulente d’ufficio, che esattamente il Tribunale aveva recepito; ha rilevato che, a fronte delle repliche del consulente d’ufficio, gli appellanti non avevano mosso specifici rilievi dal punto di vista tecnico scientifico, né con riferimento alla stima delle opere, né con riguardo ai vizi denunciati; gli appellanti si erano limitati a sottolineare il divario tra il valore attribuito alle opere dal consulente d’ufficio rispetto a quello indicato dal consulente di parte, per cui l’impugnazione si risolveva nell’esposizione di meri dubbi sull’attendibilità del risultato che non giustificava la richiesta rinnovazione delle indagini.

In tema di appalto il termine per la denuncia dei vizi

Di seguito la sentenza ha rigettato il secondo motivo di appello, con il quale gli appellanti avevano sostenuto che la loro domanda avrebbe dovuto essere esaminata sulla base delle previsioni di cui agli artt. 1453 e 1455 cod. civ. Ha evidenziato che gli opponenti avevano agito lamentando l’incongruità dei prezzi applicati e quindi l’inesistenza del credito e avevano chiesto in via riconvenzionale la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno ex artt. 1667 e 1668 cod. civ., in ragione dei vizi delle opere eseguite; ha rilevato che l’applicazione delle previsioni di cui agli artt. 1453 e 1455 cod. civ. presupponeva l’allegazione da parte dei committenti dell’esatto contenuto del contratto di appalto, l’indicazione puntuale delle opere commissionate all’appaltatrice e di quelle non eseguite, così da potere ritenere che la domanda, seppure introdotta lamentando i vizi e difetti dell’opera, potesse sottendere una domanda di risarcimento conseguente alla mancata realizzazione delle opere appaltate; ha dichiarato che tale deduzione e tale offerta di prova erano totalmente mancate, mentre sarebbero state necessarie, considerando che il contratto di appalto era stato stipulato in forma orale e senza preventiva definizione del prezzo, il che lasciava sottintendere come anche il contenuto delle opere appaltate non avesse avuto una precisa definizione. Ha aggiunto che era pacifico che nell’attività di ristrutturazione erano intervenute altre imprese su incarico dei committenti e ciò rendeva ancora più incerta la definizione dell’oggetto dell’appalto, mentre era irrilevante che il giudice di primo grado avesse dichiarato che l’opera complessivamente non era finita, in quanto non era stata affidata all’appellata l’attività di ristrutturazione nella sua interezza.

Di seguito la sentenza ha dichiarato che non vi era stata la denuncia tempestiva dei vizi palesi, in quanto la riconsegna dell’immobile era avvenuta prima del 17-11-2005, data di presentazione della richiesta del certificato di agibilità, e gli appellanti avevano denunciato i vizi solo con raccomandata del 28-5-2007. In ordine ai vizi occulti, la sentenza ha dichiarato che l’appello era inammissibile, in quanto faceva generico rinvio alla consulenza d’ufficio ed era altresì infondato, perché i committenti non avevano dato prova che i vizi fossero stati scoperti soltanto con la consulenza di parte del 18-5-2007; ha evidenziato che tale consulenza elencava i vizi senza indicare la data della scoperta e la precedente consulenza redatta il 107-2006 già dava atto della presenza dei vizi e dei difetti.

3.Al.Gi. e Ga.Ma. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.

È rimasta intimata (…) di (…) Snc, alla quale la notificazione è stata eseguita a mezzo pec con consegna del messaggio in data 28-2-2019 al difensore Sabrina Tavazza all’indirizzo omissis e al difensore domiciliatario Em.Mo. all’indirizzo omissis; è rimasto intimato anche Ca.Fa., al quale la notifica è stata eseguita a mezzo pec con consegna del messaggio il 28-2-2019 all’indirizzo omissis.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 7-5-2024 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “applicabilità delle norme dettate in materia di responsabilità contrattuale ex artt. 1453 – 1455 c.c. Art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per aver ritenuto domanda nuova quella formulata in appello ex art. 1453 – 1455 cod. civ. in luogo a quella ex artt. 1667 – 1668 codice civile del primo grado”, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata laddove ha dichiarato che la loro richiesta di applicazione delle disposizioni generali sulla risoluzione del contratto per inadempimento integrasse domanda nuova inammissibile in appello. Evidenziano che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, non vi era stato alcun mutamento dei fatti costitutivi posti a fondamento della domanda, perché già in primo grado risultava pacifica la mancata ultimazione dei lavori appaltati; quindi rilevano di avere chiesto in appello solo una diversa qualificazione giuridica della fattispecie, consentita anche se proposta per la prima volta in appello perché non integrante violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.

1.1. Il motivo è infondato.

È acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che la comune responsabilità dell’appaltatore ex art. 1453 e 1455 cod. civ. non è esclusa dalle speciali disposizioni degli artt. 1667 e 1668 cod. civ., né è governata da queste disposizioni piuttosto che da quelle generali degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., perché le predette disposizioni speciali integrano, senza escluderla, l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale, che rimangono perciò applicabili nei casi in cui l’opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o quando l’appaltatore abbia eseguito l’opera con ritardo o, pur avendo eseguito l’opera, si rifiuti di consegnarla; quindi, nel caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina della garanzia, che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (Cass. Sez. 2 15-12-1990 n. 11950 Rv. 470167-01, Cass. Sez. 2 9-8-1996 n. 7364 Rv. 499107-01, Cass. Sez. 3 6-4-2006 n. 8103 Rv. 588580-01, Cass. Sez. 2 22-1-2015 n. 1186 Rv. 633973-01, Cass. Sez. 3 13-4-2018 n. 9198 Rv. 648467-01, per tutte).

La sentenza impugnata non si è discostata dai principi esposti, perché ha escluso l’applicazione delle disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento in mancanza dell’allegazione sul mancato compimento delle opere oggetto del contratto di appalto; la sentenza ha evidenziato l’irrilevanza del dato che le opere di ristrutturazione dell’immobile non fossero terminate, a fronte della mancanza di prova sull’oggetto dell’incarico dato alla società appaltatrice e ha considerato l’ulteriore dato, acquisito in causa, che opere erano state eseguite anche da altre imprese su incarico degli stessi committenti. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, al fine di ritenere che le opere oggetto di appalto non fossero state concluse, non era sufficiente che dagli atti risultasse che i lavori non erano stati terminati, ma sarebbe stata necessaria l’allegazione in ordine al contenuto del contratto di appalto e in ordine al fatto che le opere previste nel contratto non erano state completate, così da individuare l’inadempimento dell’appaltatore nel non avere completato l’opera. Invece, nel momento in cui avevano chiesto la riduzione del prezzo ex art. 1668 cod. civ., i committenti avevano presupposto che il prezzo richiesto riguardasse tutte le opere oggetto del contratto e non avevano lamentato il danno riferito al mancato completamento dell’opera, ma avevano chiesto il risarcimento del danno riferito ai vizi dell’opera; quindi, esattamente la Corte d’appello ha ritenuto la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., perché è avvenuta solo con l’atto di appello la modificazione dei fatti posti a fondamento delle domande, nel senso che solo nell’atto di appello i committenti hanno dedotto che l’appaltatore non aveva eseguito tutte le opere oggetto del contratto, al fine di applicare le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento e sul risarcimento del danno.

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2.Con il secondo motivo, rubricato “art. 360 1° comma n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per omesso esame circa un documento decisivo per il giudizio relativo alla prova del mancato completamento dell’opera”, i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata non abbia considerato il computo metrico prodotto quale doc. 1 con l’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo; evidenziano che il computo metrico era elemento essenziale per individuare le opere oggetto del contratto e che la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato il mancato completamento di quelle opere. Quindi sostengono che erroneamente la Corte d’appello abbia ritenuto non dimostrata la circostanza della parziale realizzazione delle opere appaltate, incorrendo in nullità per mancata valutazione di prova decisiva ai fini del giudizio.

2.1. Il motivo è inammissibile.

L’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio non può integrare nullità ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., perché costituisce il vizio espressamente disciplinato dall’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. Non ricorrono nella fattispecie neppure i presupposti per riqualificare il vizio ai sensi del n.5 dell’art. 360 cod. proc. civ., in quanto nella fattispecie, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme”, il motivo di cui al n.5 dell’art. 360 co.1 non può essere proposto ex art. 348-ter ult. co. cod. proc. civ. ratione temporis vigente, essendo stato il giudizio di appello instaurato dopo la data dell’11-9-2012 e il giudizio di cassazione prima del 28-2-2023 (cfr. Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202-01, per tutte).

Del resto si esclude anche che le deduzioni svolte nel motivo individuino una nullità della sentenza denunciabile ex art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ., perché la nullità per violazione dell’art 132 cod. proc. civ. sussiste esclusivamente nel caso in cui la motivazione sia totalmente omessa, o apparente o contraddittoria così da essere incomprensibile, a condizione che il vizio risulti dallo stesso testo della sentenza (Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880-01, per tutte); nella fattispecie non si ravvede tale vizio, in quanto la sentenza impugnata ha evidenziato la mancanza di offerta di prova in ordine al contenuto del contratto di appalto intercorso tra le parti, per cui ha esercitato il potere riservato al giudice di merito sull’apprezzamento delle risultanze probatorie.

3.Con il terzo motivo, rubricato “art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1667 cod. civ. in relazione all’asserito obbligo di denuncia dei vizi palesi, prima dell’avvenuta accettazione dell’opera da parte dei committenti”, i ricorrenti lamentano che sia stata ritenuta tardiva la denuncia dei vizi da loro eseguita, in quanto l’opera non era mai stata da loro accettata.

3.1. Il motivo è infondato.

In linea generale, il termine per la denuncia dei vizi a pena di decadenza ai sensi dell’art. 1667 co.2 cod. civ. decorre dalla scoperta dei vizi. Ne consegue che la data di consegna dell’opera è decisiva, nel senso che solo dopo la consegna può aversi la scoperta delle difformità o dei vizi, entro sessanta giorni dalla quale il committente deve eseguire denuncia all’appaltatore (cfr. Cass. Sez. 2 24-1-2018 n. 1748 Rv. 647786-01). Inoltre, mentre prima dell’accettazione e della consegna dell’opera non vengono in rilievo problemi di denuncia e di prescrizione per vizi comunque rilevabili, è al momento della consegna che il committente può fare rilevare i vizi conosciuti o conoscibili in corso d’opera (cfr. Cass. Sez. 2 30-7-2004 n. 14584 Rv. 575142-01); in questo modo il committente evita che l’opera si consideri accettata in quanto ricevuta senza riserve ai sensi dell’art. 1665 co.4 cod. civ. (cfr. Cass. Sez. 2 3-6-2020 n. 10452 Rv. 657792-01), con la conseguente esclusione della garanzia secondo l’espressa previsione dell’art. 1667 co.1 cod. civ.

Nella fattispecie, eseguendo l’accertamento in fatto a essa spettante e che rimane esterno al sindacato di legittimità, la Corte d’appello ha accertato che la consegna dell’intera opera, e non solo di una parte come sostengono i ricorrenti, era avvenuta -senza che risultasse la formulazione di riserve- prima del 17-11-2005, data di presentazione della domanda per l’agibilità. Quindi la pronuncia si sottrae alle critiche dei ricorrenti, laddove da quella data la Corte d’appello ha fatto decorrere il termine per la denuncia dei vizi, non avendo i committenti -sui quali incombeva l’onere di dimostrare la denuncia e la sua tempestività, cfr. Cass. Sez. 2 9-8-2013 n. 19146 Rv. 627397-01- dimostrato che si trattasse di vizi occulti, per i quali il termine decorresse da un momento successivo nel quale i vizi fossero stati scoperti. Al contrario, i ricorrenti sostengono che, essendo i vizi palesi e non essendo stata l’opera accettata, non vi fosse necessità della denuncia ai fini della garanzia; però, in via assorbente rispetto a ogni altra questione, tale tesi non si confronta con l’accertamento in ordine alla consegna dell’opera perché, per non ricadere nella previsione dell’art. 1665 co. 4 cod. civ. in ordine alla presunzione di accettazione derivante dalla consegna senza riserve, i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare di avere denunciato i vizi palesi al momento della consegna o almeno entro sessanta giorni dalla consegna.

4. Con il quarto motivo, rubricato “art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione alla sostenuta inammissibilità dell’appello relativo ai vizi occulti”, i ricorrenti lamentano che sia stato ritenuto inammissibile il loro motivo di appello avente a oggetto i vizi occulti, per il fatto di essere stato formulato solo con richiamo alla pag. 23 della c.t.u.

5. Con il quinto motivo, rubricato “art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. violazione degli articoli 1665,1666 e 1667 cod. civ. in merito al termine di decorrenza della denuncia dei vizi occulti e sulla ripartizione dell’onere della prova”, i ricorrenti, richiamando i principi secondo i quali solo la certezza oggettiva dell’esistenza dei vizi legittima la denuncia, censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto che già la prima perizia facesse decorrere il termine per la denuncia dei vizi, in quanto si trattava di perizia volta a eseguire solo la stima delle opere eseguite.

5.1. Il quinto motivo è infondato, con la conseguente inammissibilità del quarto motivo.

La sentenza impugnata ha accertato in fatto, in termini che rimangono estranei al sindacato di legittimità, che già la perizia del 10-7-2006 elencava pure i vizi occulti e sulla base di questo dato ha ritenuto tardiva la denuncia; ha altresì accertato che la seconda perizia, dalla quale i ricorrenti vorrebbero fare decorre il termine per la denuncia, nulla diceva in ordine alla scoperta dei vizi, mentre neppure gli appellanti avevano dedotto alcunché sul punto. È evidente che, nel ragionamento svolto dalla Corte d’appello, la circostanza che già la prima perizia elencasse i vizi dimostrava che i vizi all’epoca erano già compiutamente conosciuti dai committenti; quindi non vi pone alcuna questione di violazione dei principi in materia, ma si rimane nell’ambito dell’accertamento di fatto riservato al giudice di merito esterno al sindacato di legittimità.

6. Con il sesto motivo, rubricato “in relazione all’omessa rinnovazione/sostituzione c.t.u. art. 360 1° comma n. 5 c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’omessa rinnovazione della c.t.u.”, i ricorrenti lamentano che sia stata rigettata la loro istanza di rinnovazione della consulenza d’ufficio; prospettano l’omesso esame di fatti decisivi in relazione agli errori commessi dal consulente d’ufficio con riguardo all’areazione dei locali adibiti ad abitazione e dei locali adibiti a laboratorio, nonché alla valutazione dell’impianto di riscaldamento e deducono che la sentenza sia solo apparentemente motivata con riferimento alla relazione a chiarimenti del c.t.u.

6.1. Il motivo, laddove lamenta omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., è inammissibile ex art. 348-ter ult. co. cod. proc. civ. da applicare ratione temporis, per le ragioni già sopra esposte, vertendosi anche sul punto in ipotesi di “doppia conforme”.

Il motivo, laddove lamenta l’apparenza della motivazione, è infondato, in quanto la sentenza, con gli argomenti finalizzati al rigetto del primo motivo di appello – aventi a oggetto le questioni sulla rinnovazione della consulenza d’ufficio e sui chiarimenti resi dal consulente d’ufficio -, sopra già sinteticamente riportati, ampiamente soddisfa il minimo costituzionale entro il quale è circoscritto il sindacato di legittimità, consentendo di seguire i passaggi del ragionamento svolto dal giudicante per la formazione del suo convincimento. Infatti è acquisito il principio secondo il quale l’attuale formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. comporta la riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; come già sopra esposto, l’anomalia di esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01).

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7.Con il settimo motivo, rubricato “art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2055 cod. civ., per non aver la sentenza tenuto conto del principio di solidarietà attiva tra le parti congiuntamente responsabili nella realizzazione dell’illecito”, i ricorrenti evidenziano che l’art. 2055 cod. civ. si applica anche nel caso di responsabilità contrattuale e nella fattispecie comportava la responsabilità solidale con l’appaltatrice del direttore dei lavori; perciò lamentano che la sentenza impugnata non si sia pronunciata sul loro motivo di appello, con il quale avevano censurato la pronuncia di primo grado, laddove aveva dichiarato che i vizi avrebbero comunque potuto essere addebitati alla società appaltatrice solo per la somma pari alla metà dell’importo complessivo.

7.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse in quanto, essendo stata rigettata la domanda dei committenti volta a ottenere il risarcimento dei danni per i difetti dell’opera a causa dell’intervenuta decadenza, la sentenza non aveva ragione di affrontare la questione della responsabilità solidale per i difetti di società appaltatrice e direttore dei lavori.

8. In conclusione il ricorso è interamente rigettato, senza nulla disporre sulle spese del giudizio di legittimità, essendo le controparti rimaste intimate.

In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il 7 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2024.

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