In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 settembre 2024| n. 23961.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado, la sua legittimazione attiva e passiva si trasmette agli eredi, i quali vengono a trovarsi, per tutta l’ulteriore durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario di ordine processuale, sicché, ove l’impugnazione sia stata proposta nei confronti di uno soltanto degli eredi della parte deceduta, il giudice d’appello deve ordinare, anche d’ufficio ed a pena di nullità, l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi, o comunque ritenere gli stessi legittimati ove si costituiscano spontaneamente.

 

Ordinanza|6 settembre 2024| n. 23961. In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

Data udienza 19 giugno 2024

Integrale

Tag/parola chiave: PROCEDIMENTO CIVILE – Parti – Morte di una di esse – Legittimazione attiva agli eredi – Litisconsorzio necessario – Impugnazione della sentenza fatta da un solo coerede – Conseguenze. (Cpc, articoli 285, 299, 300 e 330)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi

Dott. ABETE Luigi – Presidente

Dott. VAROTTI Luciano – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – Relatore

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 20907/2019 r.g. proposto da

Città Metropolitana di Firenze (c.f. Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce alla costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. Fr.Za. e dall’Avv. Cr.Pe. dell’Avvocatura della Città Metropolitana di Firenze, elettivamente domiciliata in Roma, Via (…), presso lo studio dell’Avv. Gi.Le., i quali chiedono di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato

-ricorrente –

contro

Bi.El. (c.f. Omissis) e Bi.Fr. (c.f. Omissis), rappresentate e difese dall’Avv. Al.Fi., il quale chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni di cancelleria presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, (…), presso e nello studio dell’Avv. Fr.Ca.

-controricorrenti-

avverso la ordinanza della Corte di appello di Firenze n. 1187/2018, depositata in data 28 maggio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/6/2024 dal Consigliere dott. Luigi D’Orazio;

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

RILEVATO CHE

1. Il Consiglio provinciale di Firenze con le deliberazioni n. 851/C del 24/7/1979 e n. 1205/C del 12/11/1979, approvava il progetto esecutivo dell’opera pubblica costituita dalla realizzazione di un raccordo sopraelevato di congiunzione (in parte sul terrapieno, in parte su un ponte) tra due strade provinciali, la S.P. n. (Omissis) e la S.P. n. (Omissis); tale raccordo successivamente acquisiva la denominazione di “strada provinciale n. (Omissis) circonvallazione ovest di E”.

Il progetto veniva riapprovato con la deliberazione del Consiglio provinciale n. 485/C della 30/7/1981, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1 della legge n. 1 del 3/1/1978. L’area era destinata in parte a “viabilità di progetto” ed in parte a “zona con vincolo di rispetto”.

Con ordinanza n. 566 del 28/8/1981 veniva disposta l’occupazione di urgenza, per una durata massima di 36 mesi dalla data dell’ordinanza, di una serie di terreni, tra i quali, per una superficie complessiva di mq 6650, un apprezzamento di proprietà degli originari attori, individuato al NCT del Comune di Empoli nel foglio di mappa n. 6, da porzione delle particelle 159 e 371.

Lo stato di consistenza veniva redatto in data 1/10/1981.

Con la deliberazione del Consiglio provinciale n. 373/C del 6/7/1982 il progetto originario veniva modificato con l’approvazione di una variante, assumendosi come termine finale per le espropriazioni il termine di 36 mesi dalla data della deliberazione.

Veniva redatto un nuovo stato di consistenza il 21/9/1982, che riduceva la superficie di terreno occupata a mq 5700.

Con la deliberazione n. 183/C del 26/3/1984 del Consiglio provinciale veniva approvata una seconda variante al progetto originario e veniva contestualmente autorizzata, per il completamento dei lavori, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 della legge n. 1 del 3/1/1978, l’occupazione in via d’urgenza di una ulteriore superficie (mq 1480) delle particelle n. 159 e 371 del foglio di mappa n. 6 NCT del Comune di Empoli, per un periodo massimo di 60 mesi.

I proprietari venivano invitati il 12 luglio 1984 a partecipare alle operazioni di redazione dello stato di consistenza e di immissione in possesso, che sarebbero avvenute il 29/8/1984.

La redazione dello stato di consistenza del verbale di immissione in possesso avveniva il 29/8/1984.

In data 2/9/1988 si verificava l’irreversibile trasformazione dei fondi.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

Con decreto del Presidente della Provincia n. 36 delle 10/2/1989 l’indennità provvisoria di espropriazione veniva determinata in Lire 102.774.000,00 e la relativa somma, rifiutata da controparte, veniva depositata presso la Cassa depositi e prestiti.

Con decreto del Presidente della Giunta provinciale n. 306 del 26/11/1989 veniva poi disposta l’occupazione definitiva dei terreni occupati di Roveda degli attori, per una superficie complessiva di mq 7180.

Il decreto di esproprio veniva emesso il 25/11/1989, n. 306. Al momento dell’emanazione di tale decreto era vigente la variante n. 22 al PRG del Comune di Empoli del 1974, adottata dal Consiglio comunale il 22/2/1988, poi approvata dalla Giunta regionale il 20/6/1988, che destinava i terreni in parte a “viabilità di progetto” ed in parte a “zona con vincolo di rispetto”.

Tale previsione a viabilità da parte degli strumenti urbanistici portava alla realizzazione del raccordo tra il nuovo ponte sull'(Omissis), la provinciale (Omissis) per F e la provinciale (Omissis) del (Omissis) e la statale (Omissis).

Trattavasi di una delle principali vie di comunicazione stradale del territorio comunale di Empoli, previste al punto 1 dell’art. 7 della legge n. 1150 del 1942.

2. Con atto di citazione notificato il 14/7/1989 i proprietari Bi.Ra., Bi.Ca., Bi.Pa. vedova Mo. e La.Ga., vedova Bi., convenivano in giudizio la Provincia di Firenze chiedendo a) il risarcimento del danno subito per effetto della perdita della proprietà del terreno rappresentato al N.C.T. del Comune di Empoli nel foglio di mappa 6 da porzione di mq 3300 della particella n. 159 e da porzione di mq 2400 della particella 371, per una superficie complessiva di mq 5700; b) il pagamento di indennità di occupazione legittima per i due periodi di questa, e cioè per l’occupazione prima di mq 6650 dal 1/10/1981 al 21/9/1982, e poi della ridotta superficie di mq 5700 dal 21/9/1982 al 6/7/1986.

3. Nel corso del giudizio di prime cure decedevano Bi.Ra., cui faceva seguito la nuova costituzione delle attrici Bi.Pa. e Bi.Ca., anche quali eredi del fratello, e poi La.Ga. (usufruttuaria), con conseguente interruzione del processo, riassunto dalle proprietarie Bi.Pa. e Bi.Ca.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

4. La prima CTU, espletata dall’Arch. Bo.En., con relazione depositata il 30/7/1997, veniva integrata con relazione del 25/7/2008, espletata dall’ingegner Co.Ca.

In particolare, la convenuta evidenziava “l’irrilevanza delle concrete potenzialità edificatorie di fatto delle aree, stante il conclamato difetto di possibilità legale, inopinatamente sottovalutato o non valutato dal CTU”.

In entrambe le CTU non si faceva il minimo accenno alla sussistenza o meno di possibilità legali di edificazione dell’area.

La convenuta criticava anche il secondo elaborato peritale. Infatti, anche nella relazione del 23/6/2008 il CTU, dopo avere individuato gli strumenti urbanistici vigenti al momento di apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione (30/7/1981) ed al momento dell’irreversibile trasformazione (2/9/1988), affermava che in assenza della previsione “a viabilità” le particelle “avrebbero avuto una destinazione residenziale similarmente a quelle limitrofe…” concludendo “per l’edificabilità delle stesse, senza dunque la verifica delle possibilità legali”.

La CTU neppure verificava se la destinazione urbanistica a viabilità avesse natura di vincolo espropriativo o invece conformativo del diritto di proprietà.

Alla data di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio (30/7/81) l’area era destinata in parte a “viabilità di progetto” e in parte a “zona con vincolo di rispetto”.

5. Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 2235 del 6/7/2010, accoglieva le domande attore, dichiarando il diritto al risarcimento del danno derivante dall’acquisizione illecita dovuta ad occupazione appropriativa delle aree, di cui riconosceva l’edificabilità, in base alle risultanze della CTU.

Pertanto, condannava la Provincia di Firenze a corrispondere alle attrici la somma di Euro 590.546,90, a titolo di risarcimento del danno per illecita condotta acquisitiva.

6. Avverso tale sentenza proponeva appello la Provincia di Firenze, provvedendo al pagamento di complessivi euro 1.244.220,68 in favore delle attrici, con atto di liquidazione n. 2468 del 30/5/2012.

La sentenza era censurata per i seguenti motivi 1) omessa pronuncia in ordine all’eccepita incompetenza funzionale del Tribunale sulla domanda di determinazione dell’indennità di occupazione legittima; 2) erroneità della sentenza per aver compreso nel risarcimento del danno anche le somme dovute per occupazione legittima; 3) erroneità della sentenza per mancata individuazione dell’effettivo periodo di occupazione illegittima; 4) erroneità della sentenza in relazione alla ritenuta natura edificabile dei terreni; 5) erroneità della sentenza nella parte in cui non aveva riconosciuto l’insussistenza dell’occupazione appropriativa in riferimento ai mq 1480 occupati a seguito della deliberazione del Consiglio provinciale n. 183/C del 26/3/84.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

6.1. Alla prima udienza del 20/12/2011, nel corso del giudizio d’appello, emergeva che Bi.Pa. era deceduta e che alla medesima erano succedute le figlie Bi.El. e Bi.Fr.

La Provincia procedeva “all’integrazione del contraddittorio mediante citazione delle eredi della Signora Bi.Pa., notificata in data 5/1/2012”.

Le eredi di Bi.Pa. si costituivano eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello, in quanto introdotto nei confronti della parte deceduta già nel corso del giudizio di primo grado, trattandosi peraltro di litisconsorzio facoltativo e di cause scindibili.

7. La Corte d’Appello, con sentenza del 28/5/2018, senza entrare nel merito dell’eccezione di inammissibilità articolata da parte appellata, rigettava il gravame.

In particolare, con riguardo al primo motivo richiamava la giurisprudenza di legittimità per cui la Corte d’Appello, competente funzionalmente, poteva confermare in sede di gravame la statuizione del Tribunale, adito per il risarcimento del danno da occupazione illegittima, che aveva deciso anche in relazione alla determinazione di indennità di occupazione legittima.

I motivi secondo e terzo erano dichiarati inammissibili per difetto di specificità.

Il quarto motivo di appello, invece, veniva respinto in quanto il CTU aveva correttamente argomentato circa le potenzialità edificatorie effettive delle due particelle oggetto di causa.

Affermava la Corte che “gli strumenti urbanistici richiamati dal perito e vigenti nell’arco di tempo 1981-1988, dimostrano come le zone limitrofe a quella occupata avessero destinazione residenziale”, aggiungendo che “il CTU ha inoltre ben descritto come la vicinanza di zone abitate, lo sviluppo di infrastrutture e la dotazione di servizi, conferisse ai beni delle appellate la vocazione edificatoria poi riconosciuta anche dal Tribunale nell’appellata sentenza”.

La Corte territoriale rimarcava che “(t)ale concreta aspettativa di edificabilità conferiva quindi ai detti beni/terreni i valori di mercato applicati (diversi dei valori agricoli), calcolati dal CTU correttamente in quanto la stima è stata operata portando un abbattimento che trova giustificazione anche in considerazione dei tempi che sarebbero occorsi per il passaggio ad una edificabilità effettiva”.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Città metropolitana di Firenze, depositando anche memoria scritta.

9. Hanno resistito con controricorso Bi.El. e Bi.Fr., depositando anche memoria scritta.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

CONSIDERATO CHE

10. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione dell’art. 5-bis, comma 3, della legge n. 359 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”.

In particolare, è erronea la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto infondato il quarto motivo di appello, con cui l’amministrazione aveva contestato la condanna al pagamento della somma di Euro 590.546,90, a titolo di risarcimento del danno per occupazione acquisitiva della complessiva superficie di mq 7180, sulla base della ritenuta natura edificabile di tale area e, conseguentemente, sulla base del valore di mercato dei terreni edificabili.

La Corte d’Appello ha condiviso le conclusioni del CTU, ritenendo sussistenti le potenzialità edificatorie delle due particelle “valutando unicamente il requisito dell’edificabilità di fatto”.

Si è basata esclusivamente sulla “vicinanza di zone abitate, (sullo) sviluppo limitrofo di infrastrutture e (sulla) dotazione di servizi”, circostanze tutte “afferenti all’edificabilità di fatto che conferirebbero ai beni delle signore Bi. la vocazione edificatoria”.

Il giudice d’appello, dunque, in violazione dell’art. 5-bis della legge n. 359 del 1992, avrebbe riconosciuto natura edificabile all’area occupata prescindendo dall’esame delle previsioni urbanistiche e, quindi, dalla edificabilità legale.

Sarebbe stato del tutto omesso l’accertamento della destinazione “legale” dell’area.

In realtà, l’area poteva essere considerata edificabile esclusivamente laddove, “al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza ed autosufficienza dell’edificabilità legale”.

L’edificabilità di fatto poteva rilevare solamente in via complementare (ed integrativa) agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidendo sul calcolo dell’indennizzo.

Questa Corte, si sarebbe pronunciata (Cass., n. 3544 del 2014) proprio con riferimento “alla stessa procedura espropriativa oggetto del presente giudizio”, affermando che “l’edificabilità legale del suolo espropriato dovesse essere accertata verificando se la destinazione ad usi collettivi dell’area avesse o meno un contenuto conformativo”.

Nella CTU del 29/7/97 non si faceva il minimo riferimento alla sussistenza o meno di possibilità legali di edificazione dell’area, limitandosi il CTU ad affermare l’edificabilità di fatto.

Nella successiva relazione del 23/6/2008, integrata in data 25/7/2008, il CTU rilevava che gli strumenti urbanistici vigenti al momento di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio ed al momento dell’irreversibile trasformazione destinavano l’area a “viabilità”.

In particolare, per la giurisprudenza di legittimità la destinazione a viabilità aveva natura di vincolo conformativo qualora il collegamento stradale previsto dal PRG avesse le caratteristiche di cui al punto 1 dell’art. 7 della legge 1150 del 1942, ossia si trattasse di “viabilità principale”. Il vincolo aveva invece carattere espropriativo in caso di previsione di opere stradali poste all’interno ed al servizio delle singole zone.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

Doveva essere esaminata la tipologia urbanistica delle opere di viabilità in questione, ma tale analisi non era stata in alcun modo effettuata dal CTU.

11. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.”.

Allo scopo di agevolare il giudice d’appello, l’amministrazione, all’atto della costituzione in giudizio, aveva depositato il documento n. 7, contenente la certificazione del servizio urbanistica del Comune di Empoli del 30/8/2011, attestante come la viabilità oggetto di giudizio risultasse compresa fra le principali vie di comunicazione stradale del territorio comunale di Empoli ai sensi del comma 2, punto 1, dell’art. 7, della legge n. 1150 del 1942.

Il CTU, infatti, non aveva prodotto la certificazione di destinazione urbanistica delle aree.

Trattavasi di documento di per sé idoneo a determinare un esito sostanzialmente diverso della controversia.

12. Preliminarmente deve essere affrontata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalle controricorrenti Bi.El. e Bi.Fr., quali eredi di Bi.Pa. deceduta l’11/1/2007.

In particolare, sarebbe inammissibile l’appello proposto dalla Provincia di Firenze nei confronti di Bi.Pa., notificato il 14/9/2011, quando Bi.Pa. era già deceduta l’11/1/2007, e di tale circostanza era stata messa a conoscenza la Provincia, che aveva chiesto l’identificazione degli eredi per procedere al pagamento delle somme di cui alla sentenza di primo grado, favorevole alle attrici.

L’appello, ad avviso delle controricorrenti, doveva essere notificato, invece, proprio alle eredi di Bi.Pa., identificate a seguito della corrispondenza intercorsa con la Provincia di Firenze.

L’inammissibilità dell’appello nei confronti delle eredi di Bi.Pa. comportava l’inammissibilità del ricorso per cassazione (“il che però non elude l’inammissibilità dell’appello nei confronti delle eredi di Bi.Pa., con la consequenziale inammissibilità – almeno in parte qua – del ricorso per cassazione”).

L’inammissibilità dell’appello, peraltro, emergeva anche sotto un differente profilo, in quanto sulla base di un nuovo mandato alle liti, per la prosecuzione del giudizio in appello si era costituita la Città metropolitana di Firenze, quale ente subentrato alla Provincia di Firenze. Ma la costituzione dell’ente subentrato era rivolta contro “Bi.Pa. e Bi.Ca.”, non anche contro Bi.El. e Bi.Fr.. La costituzione, allora, non era valida nei confronti di queste ultime “per evidente difetto di procura, con abbandono del gravame a loro carico”.

12.1. L’eccezione non è fondata.

Poiché la Corte di appello non ha pronunciato sulla questione di rito, ma ha rigettato l’appello nel merito, trattasi di decisione avvenuta alla stregua della “ragione più liquida” (“La Corte ritiene che, a prescindere dalla fondatezza o meno dell’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per essere, a seguito della sua notificazione eseguita a mani del procuratore, intervenuta la decadenza ex art, 327 c.p.c. nei confronti degli eredi della convenuta Bi.Pa. – questione controvertibile – e su cui esistono orientamenti diversi – , l’appello si presenti manifestamente infondato nel merito”), le controricorrenti avrebbero dovuto proporre ricorso incidentale, per impedire la formazione del giudicato su tale questione processuale.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

Infatti, per questa Corte l’ordine di trattazione delle questioni, imposto dall’art. 276, comma 2, c.p.c., mentre lascia libero il giudice di scegliere, tra varie questioni di merito, quella che ritiene “più liquida”, gli impone, per contro, di esaminare per prime le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito. La violazione di tale regola costituisce una causa di nullità del procedimento che è, tuttavia, sanata se non venga fatta valere con l’impugnazione o, nel caso in cui la parte che ne risulti svantaggiata sia quella vittoriosa in primo grado ed appellata, con l’appello incidentale (Cass., sez. 6-3, 26/11/2019, n. 30745; anche Cass., sez. 2, 13/9/2022, n. 26850; in termini Cass., Sez. U., 12/5/2017, n. 11799, per cui il giudice “deve necessariamente seguire un criterio di decisione che gli impone di decidere prima le questioni di rito, in quanto esse pregiudicano astrattamente la possibilità di decidere nel merito”).

Ed infatti, l’applicabilità del principio della “ragione più liquida” postula che essa, pur essendo logicamente subordinata ad altre questioni sollevate, si presenti comunque equiordinata rispetto a queste ultime nella capacità di condurre alla definizione del giudizio; tale principio non opera nell’ipotesi in cui le diverse ragioni si caratterizzino per il fatto di condurre potenzialmente ad esiti definitori reciprocamente non sovrapponibili, con la conseguenza che l’illegittimo assorbimento in tal modo disposto comporta il vizio di omessa pronuncia (Cass., sez. 2, 9/1/2024, n. 693).

12.2. Inoltre, deve aggiungersi che dagli atti di causa emerge l’avvenuto decesso di Bi.Pa. l’11/1/2007, nel corso del giudizio di prime cure, ma tale evento non è stato in alcun modo dichiarato in udienza dal difensore della Bi.Pa.

12.3. Successivamente, a seguito della sentenza di prime cure che aveva condannato la Provincia di Firenze a pagare ai proprietari dei terreni la somma di Euro 306.300,25 a titolo di risarcimento del danno da illecita condotta acquisitiva e quella di Euro 186.438,40 a titolo di risarcimento del danno da temporanea occupazione illegittima, la Provincia di Firenze ha chiesto i dati per procedere al pagamento.

In questa sede era stato comunicato alla Provincia l’avvenuto decesso di Bi.Pa. l’11/1/2007.

12.4. Trova però applicazione l’orientamento di legittimità di questa Corte, a sezioni unite, per cui la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 cod. proc. civ.,

è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330, primo comma, cod. proc. civ., senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di uno degli eventi previsti dall’art. 299 cod. proc. civ. da parte del notificante (Cass., sez. un., 4 luglio 2014, n. 15295; che supera Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15783, cui si richiama Cass., sez. 3, 7 gennaio 2011, n. 259). Tale pronuncia è stata poi seguita dalla giurisprudenza di legittimità successiva (Cass., sez. 5, 23 marzo 2021, n. 8037; Cass., sez. 2, 22 agosto 2018, n. 20964; Cass., sez. 5, 9 maggio 2018, n. 11072; Cass., sez. 5, 17 dicembre 2014, n. 26495).

Si è, dunque, ritenuto che, in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300, quarto comma, cod. proc. civ. (Cass., sez. un., 4 luglio 2014, n. 15295). Ovviamente, si è precisato che un primo limite è rappresentato dalla circostanza che la parte abbia conferito procura alla lite, solo per il giudizio di prime cure, sicché il difensore, che non abbia dichiarato o notificato l’evento, potrebbe solo ricevere la notifica della sentenza dell’atto di impugnazione, ma non potrebbe mai né notificare validamente la sentenza né, tantomeno, interporre o costituirsi nel giudizio di gravame; un secondo limite è costituito dalla procura speciale ad impugnare per cassazione, nel senso che il procuratore costituito per i giudizi di merito potrebbe solo ricevere la notifica della sentenza o dell’atto di impugnazione per cassazione, ma non potrebbe né validamente notificare la sentenza, né resistere con controricorso, né, tantomeno proporre ricorso in via principale o incidentale (Cass., sez. un., 4 luglio 2014, n. 15295).

12.5. Nella specie, dunque, del tutto correttamente, in assenza della dichiarazione in udienza dell’intervenuto decesso di Bi.Pa. l’11/1/2007, nel corso del giudizio di prime cure, la Provincia di Firenze ha notificato l’appello a Bi.Pa. il 14/9/2011.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

12.6. A nulla rileva l’intercorsa corrispondenza tra la Provincia di Firenze e i proprietari dei terreni, tra cui Bi.Ca. e Bi.Pa., per il pagamento delle somme come da condanna del Tribunale di Firenze in prime cure. Sulla questione è chiara la presa di posizione di questa Corte, a sezioni unite, per cui “essendo indispensabile ed insostituibile la comunicazione formale dell’evento da effettuarsi dal procuratore della parte deceduta o che ha perduto la capacità di stare in giudizio, e non avendo perciò rilevanza la conoscenza che dell’evento le altre parti abbiano aliunde, l’effetto interruttivo del processo è prodotto da una fattispecie complessa costituita dal verificarsi dell’evento e dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fattane dal procuratore alle altre parti” (Cass., Sez. U., n. 15295 del 2014, cit.).

12.7. Pertanto, anche la costituzione della Città metropolitana di Firenze, già Provincia di Firenze, nei confronti di “Bi.Pa. e Bi.Ca.” è avvenuta correttamente, trattandosi di mero refuso, in quanto è certo ed inequivocabile il riferimento alla costituzione nel giudizio RG n. 1826/2011.

Tra l’altro, dopo il rigetto dell’istanza di sospensione ex art. 351 c.p.c., con ordinanza del 20/12/2011, la Provincia di Firenze, in data 9/1/2012, ha notificato l’atto di appello anche a Bi.El. e Bi.Fr., ma ciò è avvenuto quando era stato già correttamente instaurato il contraddittorio con la citazione dell’appello a Bi.Pa., deceduta, nel corso del giudizio di prime cure, senza che l’evento fosse stato correttamente dichiarato in modo formale.

La Città metropolitana di Firenze è intervenuta nel giudizio d’appello per la prosecuzione in data 27/3/2017, a contraddittorio integro.

13. Risulta infondata anche l’eccezione sollevata in sede di appello, al momento della loro costituzione, da Bi.El. e Bi.Fr., per l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello nei loro confronti vertendosi in un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo.

In realtà, come già chiarito, l’appello iniziale formulato dalla Provincia di Firenze era stato correttamente notificato a Bi.Pa., benché deceduta, non essendo stato formalizzato l’avvenuto decesso.

La Provincia di Firenze ha poi volontariamente provveduto alla notifica dell’atto d’appello anche nei confronti delle eredi di Bi.Pa., ma il contraddittorio a quel punto era già perfettamente integro.

Peraltro, costituisce orientamento consolidato di legittimità quello per cui, in caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado, la sua legittimazione attiva e passiva si trasmette agli eredi, i quali vengono a trovarsi, per tutta l’ulteriore durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario di ordine processuale, sicché, ove l’impugnazione sia stata proposta nei confronti di uno soltanto degli eredi della parte deceduta, il giudice d’appello deve ordinare, anche d’ufficio ed a pena di nullità, l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi, o comunque ritenere gli stessi legittimati ove si costituiscano spontaneamente (Cass., sez. 2, 2/4/2015, n. 6780).

14. Quanto alla pretesa inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto notificato al procuratore di Bi.Ca., deceduta il 9/6/2018, poiché il decesso non è stato formalizzato, resta valida la notifica al legale della stessa nel giudizio di appello.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

15. I motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati.

16. Va premesso che ai fini della determinazione del valore dei terreni espropriati deve farsi riferimento alla edificabilità di diritto e non a quella di fatto.

Si è ripetutamente affermato che, ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, l’art. 5-bis del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, conv. con modif. nella legge 8 agosto 1992 (ora recepito negli artt. 32 e 37 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) ha prescelto, quale unico criterio per individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato, quello dell’edificabilità legale, per cui un’area va ritenuta edificabile quando (e per il solo fatto che) essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, senza possibilità legale di edificazione tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente. Né rileva, in tali ultime ipotesi, che la destinazione zonale consenta la costruzione di edifici e attrezzature pubblici, atteso che l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica rimessa inderogabilmente all’iniziativa pubblica non è assimilabile al concetto di edificazione preso in considerazione dal menzionato art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 agli effetti indennitari, da intendersi come estrinsecazione dello “ius aedificandi” connesso al diritto di proprietà (Cass., sez. 1, 23/5/2014, n. 11503).

Ed infatti, l’art. 5-bis della legge n. 359 del 1992, ora recepito negli articoli 32 e 37 del D.P.R. n. 327 del 2001, ha prescelto quale unico criterio per la determinazione del valore dei beni quello dell’edificabilità legale, sicché un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. n. 11503 del 2014; che richiama Cass., n. 7987 del 2011; Cass. n. 9891 del 2007; Cass. n. 38 3/8/2004; Cass., n. 10570 del 2003; Cass., Sez. U., n. 17 2 e 173 del 2001).

Le possibilità legali di edificazione vanno, quindi, escluse tutte le volte in cui lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, con classificazioni che apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione (Cass. n. 1150 del 2014).

Deve tenersi conto, dunque, della edificabilità legale dell’area ablata all’epoca dell’adozione del relativo decreto di espropriazione, in base agli strumenti urbanistici già in essere, non potendosi tenere conto dell’aspettativa di edificabilità futura di un terreno in ragione dell’evoluzione degli strumenti urbanistici (Cass., sez. 1, 17/2/2021, n. 4228).

L’edificabilità deve essere dunque rapportata alla disposizione di piano vigente al momento del procedimento di esproprio.

16.1. Al più, si è ritenuto, che l’edificabilità legale debba essere completata o integrata dalle condizioni che, in concreto, inducono a conferire ai terreni la natura edificatoria e a determinarne il valore venale (edificabilità di fatto), dovendosi in modo esemplificativo, tenere conto della volumetria edilizia disponibile, delle eventuali cessioni di potenzialità volumetrica operate a favore di aree limitrofe, dell’ubicazione e di altre circostanze (Cass., sez. 1, 7/10/2016, n. 20241).

L’edificabilità di fatto, invece, ricorre in difetto della disciplina legale, in assenza cioè di un vigente piano regolatore generale o in caso di decadenza dal vincolo quinquennale.

17. Quanto ai vincoli di natura conformativa, costituisce principio consolidato di legittimità quello per cui il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, perlopiù spaziale, con un’opera pubblica (Cass., 22 dicembre 2022, n. 37574; Cass., sez. 1, 19 gennaio 2020, n. 207; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3609).

Hanno, quindi, natura conformativa i vincoli inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale, o di parte di esso, in grado di incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle caratteristiche estrinseche o intrinseche o del rapporto perlopiù spaziale con un’opera pubblica. In tal caso, il vincolo assume carattere conformativo ed influisce sulla determinazione del valore dell’area espropriata (Cass., sez. 1, 14 marzo 2023, n. 7393).

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

Al contrario, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4321) e da esso deve prescindersi nella stima dell’area (Cass., sez. 1, n. 7393 del 2023, cit.). Si tratta di vincoli incidenti su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui localizzazione non può coesistere con la proprietà privata.

Solo i vincoli preordinati all’espropriazione danno diritto all’indennità, anche nel caso di loro reiterazione (Cass., sez. 1, 21 dicembre 2022, n. 37414).

18. Inoltre, questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito – sdoganando la possibilità di utilizzo “intermedio” dei beni – che, in tema di determinazione dell’indennità di occupazione legittima di terreni agricoli, per effetto della sentenza della Corte costituzionale

n. 181 del 2011, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (VAM), la stima deve essere effettuata in base al criterio del valore venale pieno, con la possibilità di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, sia suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, tale da attribuire allo stesso una valutazione di mercato che rispecchi possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria – fattispecie relativa all’occupazione di un’area destinata ad attrezzature sportive, campi da gioco ed attrezzature varie – (Cass., Sez. U., 19/3/2020, n. 7454).

Si è chiarito in motivazione che le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione (Cass., Sez. U., n. 7454 del 2000 vendi, cit.).

Con l’ulteriore precisazione per cui “ove una zona sia stata concretamente destinata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità) la classificazione apporta un vincolo che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, come tali soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia, con la conseguenza che l’area va qualificata come non edificabile, restando irrilevante la circostanza che la destinazione richieda la realizzazione di strutture finalizzate unicamente alla realizzazione dello scopo pubblicistico” (Cass., Sez. U., n. 7454 del 2020).

Pur essendo possibile dimostrare che, anche senza raggiungere il livello di edificatorietà, il fondo presenti caratteristiche che ne consentono lo sfruttamento per fini ulteriori e diversi da quello agricolo, e quindi di attribuire allo stesso una valutazione di mercato tale da rispecchiare la possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (Cass., Sez. U., n. 7454 del 2020).

19. Infine, deve evidenziarsi che la distinzione tra vincolo preordinato all’espropriazione e vincolo conformativo, si staglia in modo particolare in ambito di viabilità.

19.1. Particolarmente chiara, sul punto, la pronuncia di questa Corte n. 15519 del 7/12/2001, con cui si è chiarito che, premesso che il piano regolatore generale contiene di regola il programma generale di sviluppo urbanistico, e che le previsioni, necessariamente generiche, in esso contenute, sono condizionate dalle caratteristiche fisico – geografiche del territorio comunale, la destinazione di parti del territorio a determinati usi, pur preludendo ad una possibile acquisizione pubblica dei suoli necessari, resta estranea alla vicenda espropriativa, di modo che, pur non potendosi escludere, in particolari casi, che la destinazione di singole aree, in genere rimessa alle previsioni dello strumento di attuazione, sia direttamente indicata dal piano generale, l’indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (art. 7, secondo comma, n. 1 legge 17 agosto 1942 n. 1150), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel sistema dell’art. 5-bis legge 8 agosto1992, n. 359, basato sulla edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio; a meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (art. 13 legge 1150/42), di regola rimesse allo strumento di attuazione, e come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo.

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

Infatti, i collegamenti stradali sono previsti dal n. 1 dell’art. 7, 2º comma, della legge 17/8/42, n. 1150 (contenuto del piano generale), in base al quale “il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale. Esso deve indicare essenzialmente 1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti”.

Lo strumento di attuazione del piano generale è considerato, invece, dall’art. 13 della legge n. 1150 del 1942 (contenuto dei piani particolareggiati), in base alla quale “il piano regolatore generale è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione nei quali devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona…”.

Nel primo caso, allora, la previsione è per sua natura generale, e risponde a scelte dettate dalla programmazione a grandi linee del territorio nelle sue direttrici di sviluppo.

Nel secondo caso, invece, si tratta di opere al servizio delle singole zone, che rientrando nel novero delle previsioni particolari, è da ritenere siano appositamente destinate all’ablazione dei suoli necessari alla loro realizzazione, e in quanto integrante altrettanti vincoli espropriativi, di esse non deve tenersi conto ai fini del calcolo dell’indennità espropriativa, risentendo tali aree della natura assegnata alla singola zona cui sono di corredo.

Successivamente si è chiarito che l’inserimento delle opere di viabilità nel piano regolatore (art. 7, 2º comma, n. 1, della legge n. 1150 del 1942), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio assoggettate a destinazione viaria e di rispetto, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno ed a servizio delle singole zone (art. 13 della legge n. 1150 del 1942), di regola rimesso allo strumento di attuazione e, come tale, riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare, di carattere espropriativo, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica, incidente su specifici beni (Cass., sez. 1, 25/9/2007, n. 19924; Cass. n. 7/12/2001, n. 15519; Cass., n. 11/1/2002, n. 296).

In caso, dunque, di opere di grande viabilità che interessano una parte rilevante del territorio comunale, il vincolo imposto dal PRG non può essere qualificato come preordinato all’ablazione, consistendo invece in una limitazione di ordine generale che cade su una pluralità indistinta di beni e per una finalità di interesse pubblico che trascende i singoli interessi dei proprietari delle aree, che dunque dall’esecuzione dell’opera potranno trarre un beneficio (in motivazione Cass. n. 19924 del 2007).

20. Tra l’altro, un caso speculare a quello in esame è stato già affrontato da questa Corte, con sentenza 14/2/2014, n. 3544.

Si trattava proprio dell’opposizione alla stima proposta da un proprietario dopo l’occupazione di urgenza disposta ai fini dell’espropriazione dalla Provincia di Firenze, in relazione ad un terreno sito nel Comune di Empoli.

Dei due motivi di ricorso per cassazione avanzati dalla Provincia di Firenze ci si doleva dell’affermazione della Corte territoriale che aveva ritenuto edificabile il terreno espropriato sulla base della sola edificabilità di fatto, senza svolgere alcun accertamento con riguardo agli strumenti urbanistici.

La Corte di cassazione, nell’accogliere i due motivi, esaminati congiuntamente, ha evidenziato che ai fini del requisito della edificabilità legale, il giudice è chiamato ad accertare la destinazione “legale” dell’area in base alla classificazione urbanistica della zona in cui ricade.

A tal fine, dunque, “un’area va ritenuta edificabile soltanto quando – e per il solo fatto che – come tale essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici”, sicché le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui lo strumento urbanistico, vigente all’epoca con riferimento alla quale deve compiersi da ricognizione, abbia destinato la zona, con vincolo conformativo, ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico attrezzato, attrezzature pubbliche, viabilità).

Con la conseguenza che l’edificabilità legale può essere affermata solo se la predetta destinazione sia limitata e funzionale all’interno di una zona urbanistica omogenea espressamente classificata edificabile, a nulla rilevando, in tal caso, vincoli e prescrizioni che avvengono ad incidere, nell’ambito di tale zona, su beni determinati, sui quali si localizza la realizzazione dell’opera pubblica (Cass. n. 3544 del 2014; anche Cass., sez. 1, 5/6/2006, n. 13199, ove si distingue tra opere di viabilità previste dal piano regolatore e reti stradali poste all’interno a servizio delle singole zone).

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

21. Nella specie, la Corte d’Appello ha disatteso tutti i principi sopraindicati.

In particolare, ha valutato la sussistenza di una edificabilità meramente di fatto, senza procedere ad alcun accertamento in ordine alle edificabilità legale, da considerarsi in riferimento agli strumenti urbanistici presenti al momento del decreto di espropriazione.

L’edificabilità di fatto può, al più, avere un valore complementare rispetto a quella legale.

Al contrario, la Corte d’Appello si è trincerata dietro la affermazione per cui “gli strumenti urbanistici richiamati dal perito e vigenti nell’arco di tempo 1981-1988, dimostrano come le zone limitrofe a quella occupata avessero destinazione residenziale”, aggiungendo che “il CTU ha inoltre ben descritto come la vicinanza di zone abitate, lo sviluppo di infrastrutture e la dotazione di servizi, conferissero ai beni delle appellate la vocazione edificatoria poi riconosciuta anche dal Tribunale dell’appellata sentenza”.

È evidente l’allontanamento della Corte di merito dai principi di legittimità sopra enunciati.

22. Tra l’altro, la Corte territoriale ha completamente omesso di considerare la distinzione tra vincoli preordinati all’esproprio e vincoli conformativi, senza neppure considerare se le opere di viabilità in oggetto avessero natura conformativa oppure di vincolo preordinato all’esproprio.

Il giudice d’appello avrebbe dovuto, svolgendo adeguati accertamenti, in ordine alla qualificazione di suoli destinati alla realizzazione di opere di viabilità previste dal piano regolatore, attenersi al principio per cui l’indicazione delle opere necessarie, ex art. 7, 2º comma, n. 1, della legge n. 1150 del 1942, comporta una situazione di inedificabilità delle parti del territorio interessate, che non concreta un vincolo preordinato all’esproprio, a meno che non si tratti di destinazione assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone, ex art. 13 della legge n. 1150 del 1942, come tale riconducibili a vincolo imposto a titolo particolare, a carattere espropriativo (Cass., n. 1 del 5/6/2006, n. 13199).

23. La Corte d’Appello non ha neppure tenuto conto delle possibilità di utilizzo “intermedio” come indicate da questa Corte con la pronuncia sezioni unite n. 74 5/4/2020.

24. In tal senso, assume carattere decisivo il documento depositato solo in sede d’appello dall’amministrazione provinciale, contenente la “certificazione del servizio urbanistica del Comune di Empoli del 30/8/2011, attestante come la viabilità oggetto di giudizio risultasse compresa fra le principali vie di comunicazione stradali del territorio comunale di Empoli ai sensi del comma 2.1 dell’art. 7 della legge n. 1150 del 1942”.

Il carattere di decisività del documento risulta chiaro e consente di superare le preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c., nella versione all’epoca vigente, prima dele modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, che hanno limitato l’istruttoria in appello quanto alla produzione documentale, eliminando anche la possibilità di produrre documenti indispensabili.

La nuova disciplina è applicabile, infatti, alle sentenze conclusive del giudizio di primo grado pubblicate dopo l’11 settembre 2012 (Cass., sez. 2, 28/7/2021, n. 21606).

Nella specie, l’atto d’appello è stato notificato il 14/9/2011. Mentre la sentenza di primo grado è stata depositata il 7/7/2010.

Pertanto, non trova applicazione nella specie la nuova disposizione più restrittiva, quanto ai limiti istruttori di natura documentale (con esclusione della possibilità di produrre in appello anche i documenti indispensabili).

Resta, però, doverosa l’analisi della indispensabilità del documento prodotto solo in appello, applicandosi l’art. 345 c.p.c., prima del D.L. n. 83 del 2012.

Si è affermato, dunque, che nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass., Sez. U., n. 10790 del 2017; anche Cass., sez. L, 10/1/2023, n. 401).

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado

È stata scelta, dunque, l’opzione fatta propria dalla giurisprudenza maggioritaria per cui il concetto di indispensabilità beninteso come “influenza causale più incisiva della rilevanza” (Cass., Sez.U., n. 10790 del 2017; anche Cass., sez. 3, n. 25439 del 2019).

Sul punto, si è pronunciata la Corte di cassazione, a sezioni unite (Cass., Sez.U., 4/5/2017, n. 10790) seppure in relazione all’analoga disposizione di cui all’art. 345, 3º comma, c.p.c., nella versione successiva al decreto-legge n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012.

Si è affermato, dunque, che nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass., Sez. U., n. 10790 del 2017; anche Cass., sez. L, 10/1/2023, n. 401).

È stata scelta, dunque, l’opzione fatta propria dalla giurisprudenza maggioritaria per cui il concetto di indispensabilità beninteso come “influenza causale più incisiva della rilevanza”

(Cass., Sez. U., n. 10790 del 2017; anche Cass., sez. 3, n. 25439 del 2019).

Si tratta, dunque, di prove “assolutamente necessarie, essenziali, di cui non si può fare a meno, tale cioè da determinare la decisione del giudice in un senso anziché in un altro”. Una prova, quindi, diviene indispensabile “quando appaia idonea a sovvertire la decisione di primo grado, nel senso di mutare uno o più giudizi di fatto sui quali si basa la pronuncia impugnata, fornendo un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, in coerenza con i principi del giusto processo (Cass. n. 8568 del 2016).

Con la recente apertura di questa Corte per cui, in tema di giudizio di appello, la “prova nuova indispensabile” di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c. – nel testo antecedente al D.L. n. 83 del 2012, convertito con modif. dalla L. n. 134 del 2012 – rappresenta un concetto unitario, il quale implica che sia tale quella prova di per sé idonea a eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, qualunque ne sia la causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado(Cass., sez. 1, 29/3/2024, n. 8551; contra vedi Cass., sez. 1, 4/1/2024, n. 196, per cui il giudice può ammettere una prova nuova indispensabile, purché non sia stata dichiarata precedentemente inammissibile).

25. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà alla determinazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 19 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *