Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 31 agosto 2018, n. 21501.
La massima estrapolata:
In caso di mancata trascrizione del relativo atto costitutivo, la servitu‘ e’ inopponibile agli aventi causa, a titolo particolare, del proprietario del fondo servente, che abbiano acquistato in base ad un titolo regolarmente trascritto e sempre che la servitu‘ non sia stata portata a loro conoscenza, ed implicitamente da essi accettata, nei rispettivi atti di trasferimento della proprieta’, senza peraltro che, in quest’ultimo caso, ai fini di detta opponibilita’ sia sufficiente che, in luogo della descrizione della servitu’ esistente, l’atto di trasferimento contenga frasi generiche o di mero stile, ricorrenti negli atti notarili.
Le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e prescindendo dall’appartenenza di tale spazio a terzi.
In tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitu‘ nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta’ medesima, deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessita’ di una specifica attivita’ probatoria
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Le servitù prediali
Le distanze
Sentenza 31 agosto 2018, n. 21501
Data udienza 20 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26011-2013 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrenti –
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrenti all’incidentale –
avverso la sentenza n. 3327/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/08/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/03/2018 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e rigetto dell’incidentale;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che ha chiesto di riportarsi al controricorso incidentale.
I FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Monza, Sezione Distaccata di Desio, con sentenza depositata il 29/1/2010, accogliendo in parte la domanda avanzata da (OMISSIS), dichiaro’ la liberta’ dell’area in proprieta’ dell’attrice dalla pretesa servitu’ addotta da (OMISSIS) e (OMISSIS); inoltre, condanno’ quest’ultimi “a provvedere alla regolarizzazione della gronda, delle tre finestre aperte sul lato nord-est del proprio fabbricato e alla chiusura del cancello per cui e’ causa”.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 29 agosto 2013, accogliendo in parte l’appello principale dei primigenei convenuti e quello incidentale della (OMISSIS), nel resto confermando la sentenza di primo grado, rigetto’ la domanda dell’attrice diretta alla regolarizzazione delle tre finestre e alla chiusura del cancelletto e condanno’ il (OMISSIS) e la (OMISSIS) “ad arretrare il loro fabbricato in modo tale da rispettare la distanza di m. 5 dal confine di proprieta’”, e, in solido, a risarcire il procurato danno nella misura omnicomprensiva di Euro 1.000,00.
In estrema sintesi, al fine di rendere rapidamente apprezzabile la vicenda e il non coincidente opinamento fra le due statuizioni, e’ utile chiarire che con la domanda iniziale la (OMISSIS), dopo aver premesso di essere proprietaria di un compendio immobiliare, sul quale insisteva un fabbricato ad uso residenziale, a lei pervenuto per donazione paterna del 12/9/1991; che alla medesima non era opponibile, in quanto non trascritto e privo dei necessari requisiti di forma e sostanza, il contratto del 20/5/1989, stipulato dagli odierni ricorrenti con il di lei padre, (OMISSIS), con il quale era stata attribuita ai convenuti la facolta’ di edificare in deroga alle norme sulle distanze, sia tra fabbricati, che rispetto al confine, aveva chiesto condannarsi i convenuti: a) ad abbattere la porzione del loro fabbricato edificato in violazione di legge, oltre al risarcimento del danno, da stimarsi anche in via equitativa; b) ad eliminare le gronde collocate a distanza inferiore di quella legale, oltre al risarcimento del danno, da stimarsi anche in via equitativa; c) a chiudere le tre finestre, in quanto realizzate a distanza inferiore rispetto a quanto prescritto dall’articolo 905 cod. civ., oltre al risarcimento del danno, da stimarsi anche in via equitativa; d) ad eliminare il cancelletto, dal quale derivava un illegittima servitu’ di passo, oltre, anche in quest’ultimo caso, al risarcimento del danno per come sopra.
Alla pretesa attorea i convenuti avevano contrapposto che la scrittura privata intervenuta con il padre dell’attrice era a costei opponibile, trattandosi di erede, subentrante nella stessa posizione del de cuius.
Il Tribunale, considerato che l’attrice aveva acquistato, sia pure a titolo gratuito, inter vivos e non mortis causa, considero’ a lei inopponibile la scrittura di cui s’e’ detto e, dopo aver giudicato soddisfatto l’onere probatorio della titolarita’ per l’esercizio dell’actio negatoria servitutis, concluse come segue: 1) non conformita’ a legge della grondaia; 2) non applicabilita’ della regola sulle distanze fra fabbricati, in quanto i due edifici non erano fronteggianti; 3) illegittimita’ delle finestre, collocate in violazione dell’articolo 905 cod. civ.; 4) illegittimita’ del cancelletto, tale da permettere il transito sulla proprieta’ della (OMISSIS); 5) l’attrice non aveva “offerto alcun elemento” dal quale desumere l’entita’ dei danni.
La Corte locale, confermando nel resto la decisione di primo grado: 1) escluse la violazione dell’articolo 905 cod. civ., in quanto le finestre, anche a volerle considerare dirette (ed, invece, oblique erano parse a quel Giudice), sulla base degli accertamenti del CTU, si trovavano a 2 m. dalla proprieta’ della (OMISSIS); 2) il cancelletto si apriva su una striscia di terreno, la quale sibbene esile, era di esclusiva proprieta’ dei (OMISSIS)- (OMISSIS); 3) il Tribunale aveva omesso di prendere in esame la verifica del rispetto della distanza tra fabbrica e confine, senza che possa assumere rilievo la circostanza che i due fondi fossero separati da una striscia di terreno di proprieta’ comune, e considerato che il regolamento locale imponeva uno stacco di 5 m. dal confine, occorreva disporre condanna all’arretramento del manufatto, edificato a soli 29,5/30 cm. di distanza; 4) risultava equo liquidare, a titolo di danno omnicomprensivo, l’importo di Euro 1.000,00.
(OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono avverso la statuizione d’appello prospettando sette motivi di censura.
Resiste con controricorso (OMISSIS), svolgendo in seno al predetto atto ricorso incidentale, articolato su due censure.
In replica al ricorso incidentale hanno depositato controricorso i ricorrenti principali.
Entrambe le parti, all’approssimarsi dell’udienza di discussione hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i primi due motivi, tra loro collegati e dipendenti, i ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1350, 1346, 1372, 2644 e 949 cod. civ., articolo 81 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360, n. 3; nonche’ omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Il ricorso ripropone la tesi vanamente perorata dai ricorrenti nel corso del giudizio di merito di primo e secondo grado: poiche’ la (OMISSIS) era succeduta, quale erede universale, al padre, la stessa era soggetta ai limiti posti alla proprieta’ dal de cuius, tal quale a lei pervenuta per successione. Il contratto, portato dalle scritture private del 20/5/1989 e del 9/6/1989, aveva prodotto effetti reali, ai sensi degli articoli 1350 e 1346 cod. civ., ai quali la controricorrente non poteva sottrarsi, in quanto non poteva essere considerata terzo. Non assumeva rilievo la circostanza che la (OMISSIS) avesse agito affermandosi proprietaria per acquisto a titolo di donazione, poiche’: “al contempo erede del padre (…) in tale sua qualita’ (era subentrata) nei contratti da questi sottoscritti”.
Da cio’ derivava, ulteriormente, che la (OMISSIS) non era legittimata a promuovere l’azione di negatoria servitutis. Difatti, seguendo il ragionamento impugnatorio, dalle scritture in narrativa derivava che la proprieta’ della stessa confinava, per 4/5 m., con il fondo dei ricorrenti, stante che nel caso contrario, il terreno dei ricorrenti avrebbe confinato con l’originaria strada privata; in definitiva, con l’accordo di cui si discute si erano regolati i confini come nella planimetria, alla quale si era attenuto il CTU.
La Corte d’appello, dopo che il Tribunale aveva giudicato irrilevante la interposizione, tra i due confini, di un terreno altro, non aveva preso in considerazione la questione della legittimazione della (OMISSIS), che, invece, era rilevante in ogni grado del giudizio.
1.1. Il complesso censuratorio sopra esposto e’ infondato.
La (OMISSIS) ebbe ad acquistare l’immobile per atto inter vivos dal padre e, pertanto, il bene non faceva parte del relictum ereditario per la basica ragione che gia’ si apparteneva alla (OMISSIS) al momento dell’apertura della succesisone, costituendo la circostanza che costei fosse figlia ed erede del padre un evento accidentale del tutto irrilevante quanto alla sorte del predetto bene.
In caso di mancata trascrizione del relativo atto costitutivo, la servitu’ e’ inopponibile agli aventi causa, a titolo particolare, del proprietario del fondo servente, che abbiano acquistato in base ad un titolo regolarmente trascritto e sempre che la servitu’ non sia stata portata a loro conoscenza, ed implicitamente da essi accettata, nei rispettivi atti di trasferimento della proprieta’, senza peraltro che, in quest’ultimo caso, ai fini di detta opponibilita’ sia sufficiente che, in luogo della descrizione della servitu’ esistente, l’atto di trasferimento contenga frasi generiche o di mero stile, ricorrenti negli atti notarili (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 5158, 3/4/2003, Rv. 561789; Sez. 2, n. 9457, 28/4/2011, Rv. 617690).
Ovviamente, non e’ dirimente affermare che dal contratto a suo tempo stipulato dai ricorrenti con il padre della (OMISSIS) fossero derivati effetti reali, dovendosi qui fare applicazione della concorrente regola che subordina una tale efficacia nei confronti dei terzi alla previa trascrizione.
Nel resto la critica censuratoria muove rilievi in questa sede non esaminabili, in quanto fondati sul preteso contenuto delle scritture negoziali di cui s’e’ detto e su un riscontro dei luoghi, alternativo rispetto a quanto accertato dal Giudice del merito. La mancanza di specificita’ e autosufficienza rende, pertanto, inammissibile il chiesto vaglio.
Da quanto fin qui chiarito e’ del tutto evidente la infondatezza del prospetto vizio omissivo. Dell’articolo 360 cod. proc. civ., il n. 5 post riforma operata dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (pur dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi, che qui non ricorrono, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 62, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, avendo la Corte territoriale preso in considerazione il punto controverso.
2. Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 871, 872, 873, 949 e 2058 cod. civ., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; nonche’ omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5.
La condanna ad arretrare il fabbricato violava gli articoli 872 e 873 cod. civ., in quanto “l’unica distanza misurabile e’ tra gli spigoli degli edifici (peraltro irrilevante sotto il profilo del rispetto delle distanze legali) ed e’ pari a mt. 3”.
Quel che rilevava era la distanza minima imposta dal Comune di Verano Brianza in m. 5, salvo diversa convenzione registrata, senza che fosse stato imposto pure l’onere della trascrizione e, poiche’ sull’assolvimento del presupposto della registrazione si era fatto luogo, i ricorrenti erano stati autorizzati dalla P. A. all’intervento edilizio. Pertanto, di nessuna lesione poteva dolersi la controparte, dovendosi ritenere legittimamente derogato per libero accordo fra le parti il limite imposto dallo strumento comunale.
Con un secondo profilo i ricorrenti evidenziano che la condanna all’arretramento, implicante la demolizione parziale del fabbricato, avrebbe dovuto essere sostituita dalla condanna per equivalente, ai sensi dell’articolo 2058, cod. civ., apparendo il risarcimento del danno in forma specifica eccessivamente oneroso per il debitore.
2.1. La doglianza non e’ condivisa dalla Corte.
Quanto alla prima questione, i ricorrenti equivocano: la sentenza ha sanzionato il mancato rispetto della distanza del fabbricato rispetto al confine e, quindi, il richiamo alla misurazione della distanza tra fabbricati non e’ pertinente. Per completezza, sul punto, vai la pena soggiungere che le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e prescindendo dall’appartenenza di tale spazio a terzi (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 25890, 31/10/2017, Rv. 645803).
Non opponibili, in ragione di quanto deciso in ordine ai primi due motivi, i negozi stipulati con il dante causa della (OMISSIS), non puo’ essere presa in considerazione la deroga convenzionale che da essi i ricorrenti pretendono di far derivare.
Infine, svestita di apprezzabilita’ giuridica appare la tesi che pretende limitare il diritto reale del terzo in forza di un titolo negoziale non trascritto, sul presupposto che l’ente locale territoriale abbia stabilito per regolamento che la scrittura sia stata registrata, ma non anche trascritta. L’infondatezza e’ evidente: i provvedimenti edilizi espansivi della sfera del richiedente non possono giammai ledere i diritti soggettivi dei terzi e la prescrizione della registrazione imposta dal comune non ha affatto una simile inconcepibile pretesa, valendo, invece, a rendere certa l’esistenza e la data della convenzione privata, la quale, ovviamente non puo’ pregiudicare i diritti dei terzi.
Quanto alla seconda questione.
Costituisce principio fermo quello secondo cui, atteso il carattere assoluto dei diritti reali, la tutela degli stessi mediante reintegrazione in forma specifica non e’ soggetta al limite ex articolo 2058 c.c., comma 2, salvo che lo stesso titolare danneggiato chieda il risarcimento per equivalente (cfr., da ultimo, S.U., n. 10499, 2075/2016, Rv. 639689). Di conseguenza, in sede di esecuzione, l’articolo 2933 c.c., comma 2, che limita l’esecuzione forzata degli obblighi di non fare, vietando la distruzione della cosa che sia di pregiudizio all’economia nazionale, va riferito alle sole fonti di produzione o distribuzione della ricchezza dell’intero paese e, pertanto, non e’ invocabile per evitare lo spostamento di una costruzione alla distanza prescritta dalle norme in materia, comportando la persistenza di detta costruzione, al contrario, una lesione di pur rilevanti interessi individuali (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 25890, 31/10/2017, Rv. 645803).
3. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 889 c.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Poiche’, assumono i ricorrenti, “la meta’ (pari a mt. 1,5) della strada privata esistente a cavaliere tra i mappali (OMISSIS) appartiene ai signori (OMISSIS) – (OMISSIS) (ne deriva) che la sporgenza delle gronde di cm. 50 oltre il confine disegnato nella planimetria allegata alla scrittura privata del 20.05.1989 rispetta la distanza di mt. 1 dal confine originario, prevista dall’articolo 889 c.c., comma 2”.
3.1. Il motivo e’ inammissibile, implicandone il vaglio riesame del giudizio di merito, fondato su accertamenti fattuali, non ripercorribili in sede di legittimita’.
4. Con il quinto motivo, con il quale si denunzia la violazione degli articoli 81 e 112 cod. proc. civ., si afferma che la statuizione di condanna emessa dalla Corte d’appello, a cagione della sua genericita’, avrebbe potuto interpretarsi come riferentesi alla lunghezza dell’intero fabbricato; quindi, “anche per la parte non vicina a quello della signora (OMISSIS)”. Una tale conclusione avrebbe procurato vizio di ultrapetizione.
4.1. la prospettazione e’ inammissibile.
La censura, invero, ipotizza una lettura pregiudizievole del dispositivo, che il tenore della sentenza, nel suo complesso, mostra essere non solo congetturale, ma razionalmente ingiustificata. Non puo’ giammai essere dubbio, perche’ cosi’ risulta dalle emergenze di causa, dal tenore della motivazione e del correlato dispositivo, oltre che dalla logica corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che la condanna ad arretrare il fabbricato non puo’ che essere intesa per quanto di interesse giuridicamente tutelato della controparte, cioe’ solo per la parte dell’edificio dei ricorrenti confinante con la proprieta’ dei resistenti.
5. Con il sesto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 949 c.c., comma 2, articolo 872 c.c., comma 2 e articolo 2697 cod. civ., in quanto, nonostante che la (OMISSIS) non avesse fornito prova alcuna del pregiudizio economico, le era stata liquidata, a titolo di risarcimento del danno, l’ammontare di Euro 1.000,00.
5.1. Trattasi di critica priva di fondamento.
In tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitu’ nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta’ medesima, deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessita’ di una specifica attivita’ probatoria (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 25475, 16/12/2010, Rv. 615881).
6. Con il settimo motivo, denunziante violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 91 cod. proc. civ., s’invoca il favore delle spese, nello “auspicato accoglimento” del ricorso.
6.1. La pretesa e’ inammissibile, non trattandosi di un argomento censuratorio, il quale presuppone la denunzia di un errore in iudicando o in procedendo, bensi’, appunto, di una conseguenza dell’auspicato accoglimento del ricorso.
7. Con il primo motivo del ricorso incidentale la (OMISSIS) denunzia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 833, 1058, 1079 e 2697 cod. civ., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Espone la ricorrente incidentale che il rigetto della domanda volta alla chiusura del cancelletto non trovava spiegazione. Il manufatto era stato collocato, senza autorizzazione, “sul confine sud-est della proprieta’” della medesima, cosi’ “aprendo una fastidiosa servitu’ di transito pedonale su area di proprieta’ esclusiva (…) in quel tratto attualmente aperta e non recintata”. La Corte di merito aveva accertato che il cancelletto si apriva su un’area molto ristretta di proprieta’ della controparte, tuttavia, per la (OMISSIS), a cagione della conformazione dei luoghi e, in particolare della contiguita’ della propria proprieta’ e dell’esiguita’ della striscia di proprieta’ avversa, sarebbe stato inevitabile lo sconfinamento pedonale all’interno dell’area della ricorrente incidentale. Di talche’ all’opera avrebbe dovuto assegnarsi perlomeno natura emulatoria, avendo “chiara finalita’ di disturbo con i transiti nel cortile privato della sig.ra (OMISSIS)”.
7.1. Trattasi di censura manifestamente destituita di giuridico fondamento.
Accertato e non controverso che il cancello e’ posto in corrispondenza di una striscia di proprieta’ della controparte, la circostanza che accedendo dal predetta apertura sia possibile sconfinare all’interno della proprieta’ della ricorrente incidentale costituisce una evenienza possibile, ma non inevitabile. Non puo’, pertanto, seriamente mettersi in dubbio che il paventato esercizio abusivo di un potere di fatto corrispondente ad una servitu’ pedonale di transito non sussiste. Peraltro, la ricorrente incidentale, ben puo’ premunirsi dal rischio ipotetico che alcuno possa mettere piede sul suolo di sua proprieta’, sia pure casualmente ed occasionalmente, esercitando la facolta’ di separare il predetto suolo mediante recinzione.
L’assegnazione di natura emulativa all’apposizione del cancello costituisce prospettazione nuova, il cui fondamento, peraltro di non agevole configurazione, non puo’ essere verificato in sede di legittimita’.
8. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 872, 873 e 2043 cod. civ., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
La ricorrente incidentale contesta la quantificazione in sole Euro 1.000,00 la stima del danno patito. Misura, questa, che a cagione della sua minimalita’, non poteva che considerarsi simbolica e priva di capacita’ soddisfattiva.
8.1. Il motivo e’ inammissibile.
Trattasi di lamentela spoglia della specificazione di concreti indicatori quantitativi del danno, che avrebbero dovuto corredare la proclamata insoddisfazione per la liquidazione del giudice, al fine di renderla scrutinabile in questa sede.
In altri termini, la (OMISSIS) rappresenta al Giudice della legittimita’ che ha diritto ad un risarcimento in re ipsa che non sia simbolico e sia rappresentativo del danno sofferto; ma un tale condivisibile enunciato non e’ supportato da indicatori quantitativi del danno, sufficientemente specifici, nonostante che la Corte d’appello sul punto avesse, peraltro, espressamente stigmatizzato la deduzione del tutto generica in ordine al quantum del danno patito.
Devesi enunciare, in definitiva, il seguente principio di diritto: aver proclamato la simbolicita’ per esiguita’ della liquidazione non investe percio’ stesso del sindacato la Corte di cassazione, alla quale non puo’ essere assegnato il compito d’individuare, nel merito e peraltro d’ufficio, i concreti pregiudizi patiti e, di poi, in rapporto ad essi, la inadeguatezza assoluta della stima, tanto da doverla considerare meramente simbolica.
9. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale delle spese legali del presente giudizio.
10. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti (principale e incidentale), a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa per intero fra le parti le spese legali del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti (principale e incidentale), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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