Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 marzo 2024| n. 7170.

Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto risultanti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa. Ne consegue l’esperibilità della revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, mentre deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio.

 

Ordinanza|18 marzo 2024| n. 7170. Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

Data udienza 12 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Impugnazioni – Risarcimento del danno – Revocazione – Divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto – Sentenza e altri atti e documenti di causa – Svista percettiva immediatamente percepibile – Errore di fatto – Mancata decisione su uno dei motivi di ricorso – Motivazione parziale – Errore di giudizio – Inammissibile

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente Aggiunto

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sezione

Dott. ACIERNO Maria – Presidente di Sezione

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere-Rel.

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13484/2023 R.G. proposto da:

Sp.Or., Gr.St., domiciliati digitalmente all’indirizzo “(Omissis)”, rappresentati e difesi dall’avvocato Co. Se.;

– ricorrenti –

Contro

(…) Spa, n.q. di impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata digitalmente all’indirizzo “(Omissis)”, rappresentata e difesa dall’avvocato Sp. Gi. To.;

– controricorrente –

nonché contro

Gr.Ma., + Altri Omessi;

– intimati –

avverso la Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 9456/2023, depositata il 6 aprile 2023.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2023 dal Consigliere Vincenti Enzo.

Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso affidato ad un unico motivo, Sp.Or. e Gr.St. hanno impugnato, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, secondo comma, n. 4, c.p.c., la sentenza n. 9456 del 6 aprile 2023 di queste Sezioni Unite civili che ne dichiarava inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania del 19 marzo 2019, enunciando, altresì, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., i principi di diritto nell’interesse della legge in tema di incapacità a testimoniare disciplinata dall’art. 246 c.p.c.

2. – La presente controversia è insorta a seguito di azione risarcitoria promossa, nei confronti della Fondiaria Sai Spa (poi (…) Spa), quale impresa designata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, dai congiunti di Gr.Al. (figlio della Sp.Or. e fratello di Gr.St.) deceduto in conseguenza di un sinistro stradale, allorché – secondo la prospettazione attorea -, alla guida di un ciclomotore, con a bordo la trasportata Sc.Lu., veniva tamponato da autovettura rimasta sconosciuta.

Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

2.1. – L’adito Tribunale di Catania rigettò le domande degli attori per mancanza di prova, ritenendo inattendibili le dichiarazioni del teste Spampinato e inutilizzabili quelle rese del teste Sc.Lu., “la cui testimonianza era stata assunta nonostante l’eccezione di incapacità formulata dalla società convenuta, poiché incapace a testimoniare ai sensi dell’articolo 246 c.p.c.”; il giudice di primo grado reputò, peraltro, che quest’ultima testimonianza non fosse comunque sufficiente a fondare le pretese attoree.

3. – La decisione di primo grado, impugnata dagli attori soccombenti, veniva confermata dalla Corte d’appello di Catania, la quale ribadiva che il teste Spampinato era inattendibile e che “Sc.Lu., terza trasportata, era incapace a testimoniare, seppure integralmente risarcita dall’istituto assicuratore”.

4. – Per la cassazione di tale decisione proponevano, quindi, ricorso Sp.Or., Gr.St., affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi; impugnazione che, come detto, questa Corte a Sezioni Unite – investite ai sensi dell’art. 374 c.p.c. della risoluzione della questione concernente la portata applicativa dell’art. 246 c.p.c. – dichiaravano inammissibile con la predetta sentenza n. 9456/2023.

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4.1. – In particolare, con tale decisione, le Sezioni Unite, dopo aver enunciato il principio di diritto sulla non rilevabilità d’ufficio dell’incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c., affermavano, altresì, il principio secondo cui “ove la parte abbia formulato l’eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., l’interessato ha l’onere di eccepire subito dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità”.

4.2. – In forza di tale principio, veniva, quindi, reputato inammissibile, anzitutto, il primo motivo di ricorso che, nel denunciare, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 112, 115, 116, 157 e 246 c.p.c., censurava la decisione della Corte etnea non solo in ordine alla statuizione di inattendibilità del teste Sp., ma in particolare (per quanto specificamente rileva in questa sede) per aver erroneamente condiviso “la statuizione del primo giudice in ordine all’incapacità a testimoniare della terza trasportata sig.ra Sc.Lu., sebbene ritualmente ammessa in fase di istruttoria, ritenendola inutilizzabile ai fini della decisione”.

A tal riguardo, le Sezioni Unite affermavano che “ovvia conseguenza della configurazione della nullità nei termini indicati è che essa non possa formare oggetto di ricorso per cassazione se prima non sia stata fatta valere in grado d’appello (Cass. 23 novembre 2016, n. 23896; Cass. 19 marzo 2004, n. 5550; Cass. 20 aprile 1996, n. 3787). Nel caso di specie risulta dalla sentenza appellata che con l’appello si fosse sostenuta la tesi della non incapacità a testimoniare della Sc.Lu., sia perché integralmente risarcita, sia perché il suo diritto al risarcimento si era comunque prescritto, né dal ricorso risulta che, dopo la formulazione da parte dell’assicuratore dell’eccezione di incapacità della teste, la questione della proposizione dell’eccezione di nullità dopo la sua assunzione fosse stata in alcun modo sollevata”.

4.2. – Con la stessa sentenza n. 9456/2023 veniva, poi, dichiarata inammissibile anche la censura concernente l’attendibilità del teste Spampinato, poiché concernente “in pieno il merito della valutazione riservata al giudice, appunto, del merito”, nonché il secondo e terzo motivo di ricorso sulla mancata ammissione di consulenza tecnica sulla dinamica del sinistro stradale.

5. – Ha resistito con controricorso la (…) Spa, mentre non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati Gr.Ma., + Altri Omessi.

6. – Le parti costituite hanno, entrambe, depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione sollevata dai ricorrenti con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (che pone, comunque, questione rilevabile anche d’ufficio) di inammissibilità del controricorso per non essere l’atto stato notificato ai sensi dell’art. 370 c.p.c. nella formulazione antecedente alla novella recata dal D.Lgs. n. 149/2022 e ciò sulla premessa che dovrebbe trovare applicazione la disposizione previgente in ragione di quanto previsto dall’art. 35, comma 1, del citato D.Lgs. e del fatto che il presente “procedimento” era pendente “alla data del 28 febbraio 2023”, avendo avuto inizio, in primo grado, con atto di citazione del luglio 2011.

1.1. – Il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, così come modificato dalla legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha previsto una disciplina di carattere transitorio (dettata dall’art. 35) al fine di accompagnare la progressiva attuazione delle modifiche processuali da esso introdotte.

I ricorrenti richiamano a sostegno dell’eccezione il comma 1 del citato art. 35, il quale stabilisce: “Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti”.

Tuttavia, proprio in forza dell’inciso “salvo che non sia diversamente disposto”, i commi 5 e 6 dello stesso art. 35 dettano una disciplina apposita per il “ricorso per cassazione” (capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie).

A tali disposizioni deve, dunque, farsi riferimento per la disciplina transitoria che attiene alla proposizione di un “ricorso per cassazione”.

Il comma 5 prevede: “salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data”.

Il comma 6, a sua volta, stabilisce: “gli artt. 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio”.

Il comma 5, dunque, si riferisce a tutte le disposizioni del capo III del titolo III del libro secondo del codice di rito (e a quelle del capo IV disp. att. c.p.c.), applicabili dal 1° gennaio 2023 nella formulazione novellata dalla riforma del 2022 a condizione che il ricorso sia stato notificato dal 1° gennaio 2023.

Il successivo comma 6 restringe il cerchio a talune specifiche disposizioni – e, tra queste, anche proprio all’art. 391-bis c.p.c. – che, nella formulazione novellata dal D.Lgs. n. 149 del 2022, rende comunque applicabili dal 1° gennaio 2023, sebbene il ricorso sia stato notificato prima di tale data, ma non sia ancora stata fissata la discussione (in udienza o in camera di consiglio).

1.2. – Nella specie, il ricorso per cassazione proposto dai ricorrenti ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., per la revocazione di sentenza emessa dalle Sezioni Unite di questa Corte, è stato notificato il 6 giugno 2023: trova, dunque, applicazione puntuale il menzionato comma 5 dell’art. 35 del D.Lgs. n. 149/2022.

Al presente giudizio va, quindi, applicato l’art. 370 c.p.c. nella vigente formulazione, che non prevede più la notifica del controricorso, ma soltanto il suo deposito entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso; ciò che è avvenuto da parte della (…) Spa, che ha depositato, telematicamente, il controricorso il 17 luglio 2023.

2. – Con l’unico mezzo è dedotto errore di fatto in riferimento alla decisione assunta dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 9456/2023, sul primo motivo ricorso, assumendosi che la Corte sarebbe incorsa in “una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile”, là dove ha affermato che “nell’atto di appello … non risulterebbe che, dopo la formulazione da parte dell’assicuratore dell’eccezione di incapacità della teste, la questione della proposizione dell’eccezione di nullità dopo la sua attenzione fosse stata in alcun modo sollevata dagli appellanti”.

I ricorrenti riportano, quindi, stralci dell’atto di appello (tratti dalle relative pp. 10, 15 e 16), nonché della comparsa conclusionale depositata sempre nel giudizio di secondo grado (tratti dalle relative pp. da 6 a 8), al fine di dimostrare che, in sede di appello, avevano posto la questione della mancata proposizione dell’eccezione di nullità della testimonianza del teste Sc.Lu. dopo la sua assunzione.

3. – Il motivo – e con esso il ricorso – è inammissibile.

3.1. – Giova, anzitutto, rammentare che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa. Pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass. n. 26301/2018; Cass., S.U., n. 31032/2019).

La doglianza dei ricorrenti, che intenderebbe porsi nella prospettiva appena evidenziata, è, tuttavia, inammissibile perché, in via assorbente, non coglie – e, dunque, non impugna – la ratio decidendi che sorregge la sentenza oggetto del ricorso per revocazione.

Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

L’inammissibilità del primo motivo di ricorso proposto avverso la decisione della Corte di appello di Catania, con riferimento alla censura vertente sulla inutilizzabilità della testimonianza del teste Sc.Lu., è stata dichiarata dalla sentenza n. 9456/2023 non già perché l’atto di appello non contenesse la doglianza, nei confronti della sentenza di primo grado, di aver il Tribunale ritenuto non utilizzabile la testimonianza anzidetta nonostante la convenuta compagnia di assicurazione non avesse proposto tempestiva eccezione di nullità dopo la relativa assunzione, bensì perché i ricorrenti, in sede di legittimità, nonostante la sentenza di appello avesse dato conto di motivi di gravame non conducenti a detta doglianza (perché relativi soltanto a sostenere “la tesi della non incapacità a testimoniare della Sc.Lu., sia perché integralmente risarcita, sia perché il suo diritto al risarcimento si era comunque prescritto”), non avevano dato conto, con il ricorso per cassazione, “che, dopo la formulazione da parte dell’assicuratore dell’eccezione di incapacità della teste, la questione della proposizione dell’eccezione di nullità dopo la sua assunzione fosse stata in alcun modo sollevata”.

In altri termini, la sentenza n. 9456/2023 ha dichiarato inammissibile la censura per un difetto di specificità della stessa – specificità che si imponeva ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c. (come da giurisprudenza consolidata; cfr. tra le molte: Cass. n. 8425/2020; Cass. n. 8117/2022; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass. n. 12481/2022; Cass. n. 11325/2023; Cass. n. 21230/2023) -, avendo i ricorrenti mancato di indicare, nell’atto di impugnazione di legittimità, di aver proposto in appello un motivo di gravame fondato sulla mancata eccezione di nullità della testimonianza dopo la sua assunzione.

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I ricorrenti prospettano, invece, un errore di fatto revocatorio che atterrebbe alla lettura, da parte di questa Corte, dell’atto di appello, ma – come detto – la ratio decidendi della sentenza impugnata non riguarda affatto il contenuto dell’impugnazione di secondo grado (se in essa fosse effettivamente presente o meno la censura di omessa eccezione di nullità della testimonianza escussa; atto di appello che la sentenza n. 9456/2023, dunque, non ha preso in diretta considerazione), ma attiene esclusivamente al contenuto del ricorso per cassazione che, come detto, è stato ritenuto carente di specificità in relazione alla censura veicolata con il primo motivo e per tale ragione, quindi, dichiarata inammissibile.

4. – Con la memoria illustrativa i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata per revocazione sarebbe affetta da “ulteriori errori di percezione di fatto”.

A tal riguardo, giova, anzitutto, rammentare che nel giudizio civile di legittimità la memoria (sia quella ex art. 378 c.p.c., che quella di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c.) può soltanto illustrare le censure già proposte con il ricorso, ma non può contenerne di nuove, che, pertanto, sono da ritenere inammissibili (tra le molte: Cass. n. 17893/2020).

Ciò posto, inammissibile è la doglianza, veicolata solo con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (pp. 5 e 6), con la quale si assume che la sentenza n. 9456/2023 avrebbe fondato la declaratoria di inammissibilità del primo motivo del ricorso per cassazione sull’erroneo presupposto “che fossero gli odierni ricorrenti a dover coltivare la citata eccezione di nullità della testimonianza in sede di precisazione delle conclusioni, reputandola tacitamente rinunciata dagli stessi ai sensi dell’art. 157, terzo comma, c.p.c.”.

Peraltro, si tratta di censura che non solo deduce un errore di giudizio (e non un errore di fatto revocatorio), ma che non è neppure pertinente rispetto al decisum, che fonda la declaratoria di inammissibilità soltanto in riferimento alla “questione della proposizione dell’eccezione di nullità dopo la sua assunzione” (p. 26 della sentenza impugnata).

Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

Per il resto, con la memoria i ricorrenti si dolgono (pp. 3/5), in relazione al decisum, che la sentenza n. 9456/2023 avrebbe errato sull'”inesistenza di un presupposto processuale”, per aver ritenuto che il ricorso per cassazione dovesse farsi carico della “questione di nullità … se prima non fatta valere in grado di appello”, là dove era la (…), quale “parte interessata”, a dover far valere detta nullità, dopo aver sollevato l’eccezione di incapacità ex art. 246 c.p.c. del teste Sc.Lu.

Anche tale censura non denuncia un errore di fatto revocatorio, bensì un errore di giudizio (come tale, dunque, risultando comunque inammissibile) e, inoltre, mostra di non intendere la portata della ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto – coerentemente all’enunciato principio di diritto – che fossero gli appellanti a doversi dolere del fatto che, in assenza di proposizione da parte della compagnia di assicurazione convenuta della eccezione di nullità della testimonianza dopo la sua assunzione, il giudice non avrebbe potuto ritenere inutilizzabile la testimonianza stessa.

5. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette nei confronti delle parti rimaste soltanto intimate.

Impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di cassazione, il 12 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2024.

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