Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 15 giugno 2020, n. 11533.
La massima estrapolata:
Ai sensi dell’art. 230-bis cod. civ. l’impresa familiare, ha carattere residuale in quanto mira a coprire le situazioni di apporto lavorativo all’impresa del congiunto (parente entro il terzo grado o affine entro il secondo) che non rientrino nell’archetipo del rapporto di lavoro subordinato o per le quali non sia raggiunta la prova dei connotati tipici della subordinazione ed a confinare in un’area limitata il lavoro familiare gratuito. Per verificare l’esistenza dell’impresa familiare ed accertare la partecipazione alla stessa dei componenti della famiglia, è necessario che risulti allegata e dimostrata sia l’esercizio di un’impresa ma soprattutto un’attività lavorativa e, se del caso, un corrispettivo erogato dal titolare così da consentire di distinguere il caso del lavoro subordinato da quello della compartecipazione all’impresa familiare restando esclusa una causa gratuita della prestazione lavorativa per ragioni di solidarietà. È ben vero che, ai sensi dell’art. 230.bis cod. civ., non è richiesta una continuità di presenza in azienda, tuttavia è necessaria una continuità dell’apporto.
Sentenza 15 giugno 2020, n. 11533
Data udienza 3 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Impresa – Imprenditore – Impresa familiare – Carattere residuale – Fondamento – Lavoro subordinato e compartecipazione all’impresa – Distinzione – Accertamento – Criteri
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. GARRI Federico – rel. Consigliere
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6094-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 933/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 20/10/2015 R.G.N. 678/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2019 dal Consigliere Dott. GARRI FABRIZIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per l’inammissibilita’ o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Rossano che aveva rigettato la domanda con la quale (OMISSIS) aveva chiesto, a decorrere dall’anno 1987/1988, il riconoscimento dei propri diritti di compartecipazione lavorativa nell’impresa familiare, avente ad oggetto la produzione di olio e la gestione di un frantoio, e l’assegnazione di una quota ideale degli immobili comuni quale divisione della comunione tacita familiare.
2. Il giudice di secondo grado ha ritenuto coperto da giudicato il rigetto della domanda di accertamento dell’esistenza tra le parti di una comunione tacita familiare, ai sensi dell’articolo 230 bis c.c., u.c., non specificatamente impugnato nell’atto di appello.
3. Ha poi escluso che fosse provata l’esitenza dei requisiti necessari per affermare la partecipazione del ricorrente nell’impresa agricola familiare, legittimanti la tutela residuale prevista dall’articolo 230 bis c.p.c.. La sentenza ha evidenziato che dall’istruttoria era emerso che il ricorrente aveva avuto, nel corso degli anni, all’esterno il ruolo di finanziatore, garante fideiussore e di legale nei confronti di soggetti esterni su mandato del padre e del nucleo familiare mentre all’interno i rapporti potevano avere assunto connotazioni diverse, dalla societa’ di fatto alla mera prestazione patrimoniale e finanziaria resa a titolo di affectio familiaris. Ha conclusivamente escluso di poter qualificare diversamente l’azione, espressa nei termini di partecipazione all’impresa familiare, essendo rimasti “in ombra gli eventuali diversi caratteri dei descritti rapporti”.
4. Per la cassazione della sentenza propone ricorso (OMISSIS) affidato a due motivi ulteriormente illustrati da memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.. Resiste con controricorso (OMISSIS) erede dell’originario convenuto (OMISSIS).
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo di ricorso e’ denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 230 bis c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. per avere la Corte ritenuto insussistente l’impresa familiare e/o la comunione tacita familiare ed escluso la compartecipazione del ricorrente al lavoro dell’impresa ed omesso l’esame di fatti decisivi in violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
5.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere coperta da giudicato la statuizione di primo grado che aveva escluso l’esistenza di una comunione tacita familiare. Del pari erroneamente aveva escluso la partecipazione del ricorrente all’impresa familiare dando una lettura delle norme applicabili non corretta e trascurando di prendere in esame delle emergenze istruttorie decisive in tal senso.
6. Con il secondo motivo di ricorso e’ denunciato l’omesso esame di fatti decisivi e la mancanza di motivazione circa la sussistenza dei presupposti dell’impresa familiare e/o comunione tacita familiare e la violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
6.1. Ad avviso del ricorrente l’errore interpretativo in cui e’ incorso il Tribunale prima e poi la Corte di appello avrebbe comportato un radicale vizio della sentenza,nella quale sarebbe stato omesso l’esame dell’oggetto del giudizio nella sua interezza. La motivazione si sarebbe concentrata sull’esistenza o meno di un’impresa familiare coltivatrice di fondi, relativa ai coltivatori manuali della terra per i quali la comunanza di tetto e di mensa e’ elemento necessario per poter ritenere sussistente la partecipazione all’impresa. Al contrario il ricorrente aveva dedotto sin dal primo grado di aver partecipato alla creazione di un “comune pecunio familiare”, una comunione tacita familiare. Cosi’ facendo la Corte di merito, con motivazione incomprensibile, avrebbe rigettato la domanda perche’ le vicende prospettate non erano compatibili con la natura residuale dell’istituto dell’impresa familiare.
7. Le censure, da trattare congiuntamente, non possono essere accolte.
7.1. La domanda formulata dal ricorrente era fondata sulla premessa dell’esistenza di una impresa familiare a decorrere dal 1987 – quando era stato acquistato un terreno edificabile con il contributo economico del ricorrente ed era stato realizzato un frantoio a cui erano seguiti atti di acquisto di terreni, erano state apportate migliorie ai fondi, costruiti edifici ad uso agricolo, acquistate olive per la molitura, anche con crediti agevolati per il mezzogiorno – e fino al 2007 – quando per dissidi con il padre ne era stato estromesso. Era stata percio’ chiesta l’attribuzione di una quota degli utili e dei beni in misura proporzionale all’apporto prestato.
7.2. Il giudice di appello, dopo aver verificato che la statuizione della sentenza di primo grado che aveva escluso l’esistenza tra le parti di una comunione tacita familiare non era stata specificatamente impugnata ed era percio’ passata in giudicato, ha ritenuto che neppure si potesse ravvisare un’impresa familiare, istituto del quale ha posto in rilievo il carattere residuale e suppletivo per apprestare tutela ai rapporti di lavoro comune svolti all’interno della famiglia.
8. Tanto premessolle censure, da trattare congiuntamente, non possono essere accolte.
8.1. In primo luogo va rilevato che non e’ stata specificatamente censurata l’affermazione del giudice di appello che ha ritenuto che si fosse formato il giudicato sul capo della sentenza di primo grado che aveva escluso che fosse ravvisabile tra le parti una comunione tacita familiare, ai sensi dell’articolo 230 bis c.c., u.c..
8.2. L’affermazione avrebbe dovuto essere specificatamente censurata riproducendo quanto meno per estratto i passi della sentenza di primo grado e dell’appello cosi’ da consentire al Collegio la verifica della correttezza o meno dell’affermazione della Corte di appello. Al contrario il ricorrente si limita a riferire di aver contestato tutto ed insiste nel ritenere che l’interpretazione data e’ errata laddove fa riferimento alla comunanza di tetto e di mensa utilizzata dal Tribunale. Non si comprende pero’ se tali rilievi erano stati gia’ formulati nell’appello.
8.3. Va poi evidenziato che la censura che investe l’affermazione del giudice di appello che ha escluso la partecipazione dell’odierno ricorrente ad un’impresa familiare, di cui e’ stata esclusa la stessa esistenza, pretende da questa Corte una diversa valutazione dei fatti storici esaminati piuttosto che denunciare un vizio di sussunzione dei fatti accertati nella fattispecie astratta regolata dalla legge.
8.4. In tema di ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, il controllo di legittimita’ non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attivita’ ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma e’ esteso alla verifica della corretta sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nel paradigma normativo di riferimento (cfr. Cass. 29/08/2019 n. 21772, 28/05/2019 n. 14505).
8.5. Si tratta di controllo che investe da un canto la verifica dell’avvenuta corretta definizione dei tratti caratteristici dell’istituto da applicare e dall’altro l’esatta corrispondenza dei fatti in concreto accertati alla fattispecie astratta delineata che puo’ essere censurata nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtu’ di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realta’ sociale (cfr. Cass. 20/05/2019 n. 13534).
8.6. La ricostruzione dei fatti, invece, appartiene all’apprezzamento del giudice di merito del quale costituisce attivita’ specifica ed esclusiva.
8.7. L’ingerenza nella loro ricostruzione da parte del giudice di legittimita’ e’ infatti limitata – successivamente alle modifiche apportate all’articolo 360 c.p.c., n. 5 dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 di conversione del Decreto Legge 22 giugno 2012 – n. 83, nell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Alla richiesta di verifica dell’esistenza di una tale omissione corrisponde un obbligo per il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”. Resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. Sez. un. 07/04/2014 n. 8053).
8.8. Tanto premesso, va rilevato che la Corte territoriale I nel ricostruire l’istituto dell’impresa familiare ed i tratti della partecipazione alla stessa, alla cui esistenza il ricorrente ancora la pretesa economica azionata, si e’ attenuto ai principi dettati da questa Corte che ha affermato che ai sensi dell’articolo 230 bis c.c., l’impresa familiare, ha carattere residuale in quanto mira a coprire le situazioni di apporto lavorativo all’impresa del congiunto (parente entro il terzo grado o affine entro il secondo) che non rientrino nell’archetipo del rapporto di lavoro subordinato o per le quali non sia raggiunta la prova dei connotati tipici della subordinazione ed a confinare in un’area limitata il lavoro familiare gratuito (cfr. Cass. 27/10/2014 n. 22751). Per verificare l’esistenza dell’impresa familiare ed accertare la partecipazione alla stessa dei componenti della famiglia e’ necessario che risulti allegata e dimostrata sia l’esercizio di un’impresa ma soprattutto un’attivita’ lavorativa e, se del caso, un corrispettivo erogato dal titolare cosi’ da consentire di distinguere il caso del lavoro subordinato da quello della compartecipazione all’impresa familiare restando esclusa una causa gratuita della prestazione lavorativa per ragioni di solidarieta’ familiare (cfr. Cass. 18/10/ 2005 n. 20157). E’ ben vero che, ai sensi dell’articolo 230 bis c.c., non e’ richiesta una continuita’ di presenza in azienda, tuttavia e’ necessaria una continuita’ dell’apporto (cfr. Cass. 23/09/2002 n. 13849).
8.9. Orbene applicando tali principi la Corte di merito ha accertato in fatto che l’attivita’ svolta dal ricorrente, il quale incontestatamente vive a Roma da molti anni dove esercita la professione di avvocato, non era compatibile con un coinvolgimento in posizione di dipendenza nell’impresa di famiglia. Inoltre ha escluso che fosse risultato provato lo svolgimento di un’attivita’ continuativa anche in regime di parasubordinazione. A tale conclusione la Corte di merito e’ giunta dopo aver verificato che era stato lo stesso ricorrente a descrivere il suo contributo all’attivita’ del padre come finanziatore dell’impresa di cui all’occorrenza si era fatto garante nei confronti di terzi creditori; consulente occasionale, in ragione delle sue specifiche competenze, trattando, laddove necessario con le banche, con l’agenzia per i finanziamenti per il mezzogiorno, con le imprese chiamate ad apportare migliorie ai fondi ed ai fabbricati sugli stessi insistenti. Una posizione non compatibile, sulla base delle allegazioni della stessa parte ricorrente e confermate dalle prove assunte, con la partecipazione ad un’impresa familiare nei termini e con le caratteristiche di residualita’ proprie dell’istituto.
9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del citato D.P.R., articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del citato Decreto del Presidente della Repubblica articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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