Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 luglio 2021| n. 19949.
Il ricorso per cassazione rimedio impugnatorio a critica vincolata.
Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, in quanto le censure – quand’anche fondate – non potrebbero comunque condurre, stante la intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa.
Ordinanza|13 luglio 2021| n. 19949. Il ricorso per cassazione rimedio impugnatorio a critica vincolata
Data udienza 26 marzo 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Lodo arbitrale – Decisione secondo equità – Ricorso per cassazione – Mera riproduzione del testo integrale dei motivi di gravame – Difetto di autosufficienza dei motivi – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 27800/2016 r.g. proposto da:
FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., (cod. fisc. P. Iva (OMISSIS)), in persona del curatore fallimentare Dott.ssa (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), con cui elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), con i quali elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in data 12 ottobre 2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/3/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Il ricorso per cassazione rimedio impugnatorio a critica vincolata
RILEVATO
Che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’impugnazione del lodo arbitrale del 19 aprile 2013 proposta da (OMISSIS) s.r.l., ora FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., nei confronti di (OMISSIS) S.P.A..
La corte del merito ha in primo luogo ricordato la vicenda procedurale, evidenziando che: i) con contratto sottoscritto in data 10.12.2008 (OMISSIS) s.r.l. aveva ceduto a (OMISSIS) S.P.A. il ramo d’azienda esercente attivita’ di produzione, trasporto e distribuzione di energia idroelettrica attraverso le centrali (OMISSIS), pattuendo un corrispettivo per la cessione pari ad Euro in Euro 31.075.224, al netto delle passivita’ accollate per Euro 10.600.000 e tenuto conto anche della penale di Euro 810.289,71 come dovuta alla concedente (OMISSIS) s.p.a. per l’anticipato riscatto dei beni strumentali; ii) insorti contrasti tra le parti (in relazione, tra le altre questioni alla presenza delle necessarie autorizzazioni delle linee elettriche, alla messa a disposizione dei beni immobili necessari e dei titoli delle servitu’ di passaggio, degli impianti e delle condutture) (OMISSIS) s.r.l. avviava, sulla base della prevista clausola arbitrale, il relativo procedimento, chiedendo la condanna della societa’ (OMISSIS) S.P.A. al pagamento di Euro 1.000.000 (pari al deposito cauzionale costituito a garanzia delle obbligazioni previste nell’articolo 8 del contratto), Euro 810.289,71 (pari alla penale per l’anticipato riscatto) ed Euro 165.000 per il preteso rimborso dei premi assicurativi inerenti ai beni oggetto di leasing; iii) (OMISSIS) S.P.A., convenuta in arbitrato, si difendeva, resistendo alle avverse domande e proponendo domande riconvenzionali intese ad accertare l’inadempimento di (OMISSIS) s.r.l. ed ottenerne la condanna al relativo risarcimento dei danni; iii) il lodo, depositato in data 19.4.2013, adottava le seguenti disposizioni: a) rigettava le domande di (OMISSIS) s.r.l., accertando l’inadempimento di quest’ultima alle obbligazioni di cui al contratto di cessione di ramo d’azienda del 10.1.2018 e disponendo, ai sensi dell’articolo 2932 c.c., il trasferimento da (OMISSIS) a (OMISSIS) dei diritti di proprieta’ e di servitu’, con ulteriore condanna di (OMISSIS) a procurare ad (OMISSIS) tutti i titoli di servitu’ mancanti entro il termine di 120 giorni dalla comunicazione del lodo; b) rigettava inoltre la richiesta di condanna al pagamento della penale di cui all’articolo 8 e dei relativi danni, condannando altresi’ la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento dei danni per difetto di autorizzazioni riguardanti gli elettrodotti e per il fermo tecnico delle centrali per l’esecuzione dei lavori necessari ed accertando il diritto di (OMISSIS) a trattenere la somma di Euro 1.000.000, in deposito cauzionale, a deconto delle somme dovute; iv) il lodo veniva dunque impugnato da (OMISSIS) s.r.l. ex articoli 828 c.p.c. e segg., con la richiesta di annullamento dello stesso sulla base di sei motivi di nullita’, il primo dei quali articolato ai sensi dell’articolo 829 c.p.c., n. 4 e gli altri cinque declinati ai sensi dell’articolo 829 c.p.c., nn. 4, 11, n. 12, comma 3 , e con ulteriore istanza, in sede rescissoria, di condanna della (OMISSIS) S.P.A. al pagamento delle somme gia’ invano richieste in sede arbitrale; v) intervenuto nelle more il fallimento di (OMISSIS) s.r.l., il processo veniva interrotto e dunque riassunto dalla curatela, con nuova costituzione anche di (OMISSIS) S.P.A.. La corte di appello ha dunque ritenuto che l’impugnazione del lodo rituale per nullita’ ex articolo 829 c.p.c., e’ ammessa solo per determinati vizi in procedendo e per inosservanza di regole di diritto e che tale impugnazione non abilita il giudice di appello a riesaminare nel merito la decisione degli arbitri, consentendo solo il cosidetto iudicium rescindens, consistente nell’accertare se sussista o meno taluna delle nullita’ previste dalla disposizione citata, come conseguenza di errori in procedendo o in iudicando ed essendo possibile la rivalutazione del merito della pronuncia arbitrale solo nel successivo ed eventuale giudizio rescissorio; ha dunque osservato che il primo motivo di censura, articolato come violazione dell’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 4 (pronuncia fuori dai limiti della convenzione di arbitrato) perche’ gli arbitri avrebbero deciso la controversia secondo diritto anziche’ secondo equita’, come richiesto nella clausola di arbitrato, ed omettendo peraltro di motivare sulla pronuncia di ogni singola domanda, era infondato sia perche’ la doglianza non era riconducibile nell’alveo applicativo di cui all’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 4, ma era semplicemente rivolta alla valutazione compiuta dagli arbitri circa l’inesistenza di un loro obbligo di applicare i principi equitativi di giudizio)sia perche’ la pronuncia fuori dei limiti della convenzione si rinviene nei ben diversi casi in cui gli arbitri decidano su domande delle parti che esorbitano dai detti limiti, dovendosi anche considerare, sul punto qui da ultimo in discussione, che l’articolo 817 c.p.c., comma 4, preclude l’impugnativa del lodo, per il ricordato motivo, alla parte che, nel corso dell’arbitrato, non abbia eccepito che le conclusioni delle altri parti esorbitano dai limiti della convenzione arbitrale; ha dunque evidenziato che oggetto di contestazione era in verita’ la motivazione impugnata e piu’ precisamente le modalita’ di esercizio, da parte degli arbitri, dei poteri equitativi loro riconosciuti dalle parti stesse in base alla clausola arbitrale; ha inoltre osservato che le restanti doglianze proposte con i motivi di gravame erano infondate in quanto volte a denunciare l’ingiustizia della decisione arbitrale in quanto quest’ultima non sarebbe corrispondente alla corretta valutazione delle risultanze istruttorie quanto all’obbligo di trasferimento di alcune unita’ immobiliari intestate alla precedente proprietaria, a quello di procurarsi i documenti comprovanti l’esistenza delle servitu’ e al trasferimento delle stesse (secondo motivo di gravame); ha inoltre rilevato l’inammissibilita’ ovvero l’infondatezza delle ulteriori censure rivolte al lodo arbitrale quanto alla decisione relativa alle conseguenze economiche della scelta dell’acquirente di riammodernare le linee (terzo motivo), alla penale stimata quale costo del riscatto in difetto delle condizioni previste (quarto motivo), al pagamento dei premi assicurativi dei beni oggetto di leasing (quinto motivo) e agli accessori e alle spese (sesto motivo), in quanto tutti i motivi investivano il merito della decisione a fronte di una clausola arbitrale che prevedeva al contrario la decisione secondo equita’ e l’inappellabilita’ della stessa e non potevano neanche essere intesi rettamente come denuncia di omissione ovvero di contraddittorieta’ tra le disposizioni del lodo.
2. La sentenza, pubblicata il 12 ottobre 2016, e’ stata impugnata da FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui (OMISSIS) S.P.A. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il ricorso per cassazione rimedio impugnatorio a critica vincolata
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 4. Si evidenzia in primo luogo che anche il lodo pronunciato secondo equita’ a norma dell’articolo 822 c.p.c., deve essere comunque adeguatamente motivato, dovendosi anche In tal caso fornire giustificazione logica e coerente delle decisioni assunte. Osserva ancora il ricorrente che era erronea la decisione della corte ambrosiana laddove aveva ritenuto non riconducibile il vizio denunciato nell’alveo applicativo di cui all’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 4, posto che il consapevole e dichiarato rifiuto della decisione secondo equita’ da parte degli arbitri – a cio’ invece vincolati dalla clausola arbitrale – costituisce vizio del lodo che ne consente l’impugnabilita’ ai sensi del sopra ricordato articolo 829, costituendo tale vizio error in procedendo. Si evidenzia ancora che i giudici arbitrali, incaricati di decidere secondo equita’, hanno il dovere di valutare la controversia secondo questo canone di giudizio, potendo anche affermare, all’esito delle loro valutazioni, che non vi sono ragioni per discostarsi dal diritto, ma non possono tuttavia pregiudizialmente decidere di utilizzare il metro della decisione secondo diritto. Osserva ancora il ricorrente che il collegio arbitrale ha invece affermato, in modo generico ed apodittico, che equita’ e diritto coincidono “nella maggior parte delle decisioni da adottare”, omettendo del tutto di argomentare – in ordine all’illustrazione delle decisioni sulle singole domande – per quale ragione le conclusioni raccolte nel dispositivo fossero da ritenersi eque. Si evidenzia in conclusione un duplice errore della Corte di merito, da un lato, nel non aver ritenuto sussumibile nel vizio di cui all’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 4, l’aprioristico rifiuto degli arbitri di decidere secondo equita’ pur essendo vincolati a tale metro di giudizio e, dall’altro, per non aver comunque ravvisato tale vizio nel lodo impugnato nel quale il collegio arbitrale aveva affermato nelle premesse che avrebbe utilizzato il parametro del giudizio secondo equita’ e nel quale i giudici arbitrali avevano omesso di dichiarare la conformita’ di quanto deciso secondo equita’.
1.2 Il motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilita’.
1.2.1 Giova in primis ricordare che, secondo gli insegnamenti di questa Corte di legittimita’, gli arbitri rituali, autorizzati a pronunciare secondo equita’ ai sensi dell’articolo 822 c.p.c., ben possono decidere secondo diritto allorche’ essi ritengano che diritto ed equita’ coincidano, senza che sia per essi necessario affermare e spiegare tale coincidenza, che puo’ desumersi anche implicitamente dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione, potendosi configurare l’esistenza di un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso solo quando gli arbitri neghino “a priori” la possibilita’ di avvalersi dei poteri equitativi loro conferiti (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 18452 del 08/09/2011 ove si e’ escluso l’eccesso dai limiti del mandato per il mero fatto di non aver gli arbitri fatto espressamente cenno al carattere equitativo del giudizio e di aver, invece, fatto riferimento a norme di diritto e ritenendo, altresi’, non logicamente sostenibile l’incompatibilita’ delle ragioni di equita’ con l’utilizzo di criteri interpretativi del contenuto negoziale di atti giuridici; Cass. 25 maggio 2007, n. 12319; Cass. 7 maggio 2003, n. 6933; ed altre: Sez. 1, Sentenza n. 23544 del 16/10/2013).
1.2.2 Cio’ posto e premesso, occorre evidenziare come nel caso in esame sia la sentenza impugnata sia il lodo riportato nel suo contenuto nel ricorso introduttivo (cfr. pag. 49 ricorso che richiama pag. 20 del lodo) non abbia in alcun modo affermato di escludere, in via pregiudiziale e definitiva, una decisione secondo equita’, pur essendo i giudici arbitrali a cio’ vincolati, limitandosi solo ad affermare la possibile coincidenza “nella maggior parte delle decisioni da adottare” tra giudizio secondo diritto e giudizio secondo equita’.
1.2.3 A cio’ deve aggiungersi che il motivo di censura risulta anche generico e non autosufficiente, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non riportando quali siano i passaggi argomentativi ove i giudici arbitrali si sarebbe discostati, in modo immotivato ed apodittico, dalla regola di decisione secondo equita’, e componendosi il motivo di censura solo di una generica lagnanza in ordine alla presunta decisione aprioristica degli arbitri (peraltro neanche dimostrata ne’ documentata) di decidere secondo diritto la controversia loro affidata.
1.2.4 Senza contare che la motivazione della sentenza di appello si fonda altresi’ su una concorrente ratio decidendi non impugnata, e cioe’ il rilievo secondo cui le censure articolate dall’appellante ai sensi dell’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 4, integravano, anziche’ una violazione dei limiti del mandato arbitrale contenuti nella relativa clausola contrattuale, una richiesta di rivalutazione delle modalita’ di esercizio dei poteri equitativi affidati con la predetta clausola agli arbitri. Ratio decidendi quest’ultima come si ripete – non impugnata con il motivo di ricorso qui in esame.
Sul punto, e’ utile ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte, il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, e’ inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, in quanto le censure, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; conf. Sezioni Unite: n. 7931/2013; Sez. 6, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019; Sez. 3, Sentenza n. 389 del 11/01/2007; Sez. 3, Sentenza n. 4687 del 12/5 /1999).
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 829, comma 1, nn. 4, 11, 12 e dell’articolo 829 c.p.c., comma 3, in relazione ai capi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11 e 12 del dispositivo del lodo. Si evidenzia l’erroneita’ della decisione impugnata laddove aveva ritenuto quali mere doglianze di ingiustizia della decisione inerenti il merito della controversia le specifiche censure mosse invece alle decisioni assunte dal collegio arbitrale nel lodo impugnato, tutte riconducibili invece a vizi di nullita’ previsti dall’articolo 829, con consequenziale erronea declaratoria di inammissibilita’ dei relativi motivi di appello.
2.1 Il secondo motivo presenta plurimi e convergenti motivi di inammissibilita’.
2.1.2 Sotto un primo profilo di osservazione, non puo’ essere dimenticato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimita’, il ricorso per cassazione redatto mediante la giustapposizione di una serie di documenti integralmente riprodotti e’ inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, il quale postula che l’enunciazione dei motivi e delle relative argomentazioni sia espressa mediante un discorso linguistico organizzato in virtu’ di un concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi, sicche’, senza escludere radicalmente che nel contesto dell’atto siano inseriti documenti finalizzati alla migliore comprensione del testo, non puo’ essere demandato all’interprete di ricercarne gli elementi rilevanti all’interno dei menzionati documenti, se del caso ricostruendo una connessione logica tra gli stessi, non esplicitamente affermata dalla parte (cfr. Sez. L, Ordinanza n. 26837 del 25/11/2020). Detto altrimenti, e’ inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione confezionato mediante l’assemblaggio di parti eterogenee del materiale di causa quando cio’ renda incomprensibile il mezzo processuale, perche’ privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonche’ dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo alla S.C. il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralita’ di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere (Sez. 6-1, Ordinanza n. 22185 del 30/10/2015; Sez. 5, Sentenza n. 18363 del 18/09/2015).
2.1.3 Cio’ posto, rileva il Collegio che la censura qui in esame, nel denunciare l’erroneita’ della decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto l’inammissibilita’ delle doglianze dell’appellante per essere le stesse volte a denunciare solo l’ingiustizia della decisione (e dunque il merito della decisione arbitrale) e non gia’ a dedurre profili di nullita’ del lodo ex articolo 829 c.p.c. – si limita in realta’ solo a riprodurre l’intero corpo dell’atto di citazione in appello (o meglio la parte piu’ consistente dello stesso), rinunciando ad illustrare, come avrebbe invece dovuto, i singoli motivi ritenuti inammissibili dal giudice di appello e la loro riconducibilita’ nel paradigma applicativo delle nullita’ di cui all’articolo 829 c.p.c., in relazione alle porzioni della decisione arbitrale di cui si era per l’appunto lamentata la nullita’.
Detto altrimenti, non si puo’ contrastare l’affermazione del giudice impugnato laddove quest’ultimo dichiari l’inammissibilita’ del motivo di gravame ovvero di impugnativa, limitandosi semplicemente a riprodurre nel motivo di ricorso per cassazione che denunci la conseguente erroneita’ della decisione l’integrale testo dei motivi di gravame, senza alcuna contrapposizione critica nei confronti della decisione impugnata e senza spiegare ove il giudice impugnato abbia effettivamente errato in tale valutazione di inammissibilita’.
2.1.4 Senza contare che il ricorrente trascura di impugnare le ulteriori rationes decidendi della motivazione impugnata, e cioe’ che le censure proposte si fondavano sulla ricostruzione fattuale dell’impugnante, non accolta dagli arbitri (che “pure nel lodo hanno analiticamente esaminato le tesi delle due parti e diffusamente motivato le scelte adottate”) e che, inoltre, le censure non erano neanche inquadrabili nel paradigma applicativo di cui all’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 11 e 12, con cio’ rendendo viepiu’ irricevibile la doglianza articolata nel secondo motivo di censura qui in esame.
3. Da ultimo, va segnalato che la “premessa” del ricorso introduttivo (pagg. 4-42) deve considerarsi inidonea ad introdurre motivi di ricorso inquadrabili nel paradigma applicativo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, non contenendo doglianze scrutinabili come censure di legittimita’ ne’ rispondendo ai requisiti e alle finalita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., nn. 3 e 4.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 15.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, dovute per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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