Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 marzo 2024| n. 7094.
Il ricorso per cassazione e l’esposizione sommaria dei fatti di causa
Il disposto dell’articolo 366, comma 2, n. 3, del Cpc – secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire alla Corte di legittimità di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti. Per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata. La mancanza di tali elementi si traduce, pertanto, in una prima ragione di inammissibilità del ricorso.
Ordinanza|15 marzo 2024| n. 7094. Il ricorso per cassazione e l’esposizione sommaria dei fatti di causa
Data udienza 9 febbraio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Omicidio colposo – Responsabilità medica – Cognizione rescissoria del giudice civile, ex art. 622 cod. proc. pen. – Fase di prosecuzione del processo penale – Esclusione – Natura di giudizio autonomo – Accertamento degli elementi oggettivi e soggettivi costitutivi dell’illecito civile ex art. 2043 cod. civ. – Censure inammissibili
REPUBBLICA ITALIANA
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06571/2020 R.G.,
proposto da
SA.GU.; rappresentato e difeso dagli Avvocati Da.Se. (…) e Da.Lu. (…), in virtù di procura in calce al ricorso per cassazione; elettivamente domiciliato in Roma, Viale (…), presso lo Studio dell’Avv. Ma.Ri. (…);
-ricorrente-
nei confronti di
ZA.AN.; elettivamente domiciliata in Roma, Via (…), presso lo Studio dell’Avv. Ia.Mi. (…), che la rappresenta e difende, in virtù di procura in calce al controricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 5747/2019 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30 dicembre 2019, notificata il 9 gennaio 2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 febbraio 2024 dal Consigliere Paolo Spaziani.
Il ricorso per cassazione e l’esposizione sommaria dei fatti di causa
fatti di causa
1. Con sentenza del 27 maggio 2013, il Tribunale di Belluno dichiarò Sa.Gu. colpevole del delitto di omicidio colposo commesso, nell’esercizio della professione medica, in danno di Za.Gi., paziente affetto da “adenocarcinoma rettale infiltrante” dal novembre 2002, che si era sottoposto alle sue cure dal febbraio 2003 al giugno 2005, allorché per l’aggravarsi della patologia era stato ricoverato in ospedale, ove era deceduto il 16 giugno 2005.
Secondo la contestazione accusatoria, ritenuta fondata dal Tribunale, il decesso di Za.Gi. sarebbe stato imputabile alla condotta imperita o comunque colposa di Sa.Gu., per avere questi convinto il paziente, durante il periodo in cui lo aveva avuto in cura: a rifiutare l’intervento chirurgico, seguito dall’assunzione delle terapie tradizionali chemioterapiche, consigliato da un altro medico che lo aveva visitato nel gennaio 2003; a seguire, in luogo di dette terapie, unitamente a diete alimentari vegetariane, quelle, cc.dd. alternative, fondate sull’assunzione di medicinali di tipo “ayurvedico”, sprovviste di sperimentazione e non previste, come forme di cura della patologia tumorale, in alcuna delle linee-guida riconosciute dalla comunità scientifica più accreditata; a non sottoporsi ad alcun esame strumentale che avrebbe consentito di controllare la progressione della neoplasia, anche a fronte di fenomeni di sanguinamento rettale e di ingrossamento dei linfonodi, effettivamente verificatisi nell’ottobre 2004, ma reputati dal dott. Sa.Gu. in linea con il decorso della patologia in via di guarigione; e per avere, in tal modo, favorito il decesso anticipato del paziente, decesso che sarebbe invece stato ritardato in modo apprezzabile se fosse stato tempestivamente praticato l’intervento chirurgico associato a chemio e radio-terapia di tipo adiuvante.
Con la predetta sentenza, il Tribunale di Belluno, oltre ad irrogare la sanzione penale prevista per il reato accertato, condannò l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, Za.An., sorella della vittima, liquidandolo nella somma di Euro 100.000.
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2. In seguito ad appello dell’imputato, la Corte territoriale di Venezia, con sentenza 28 aprile 2016, n.1682, dichiarò il reato estinto per prescrizione, ma, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., nella formulazione applicabile ratione temporis, decise sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza concernenti gli effetti civili, riformando – solo in ordine all’importo del risarcimento (ridotto ad Euro 60.000) – la condanna emessa in primo grado in favore della parte civile.
3. Il capo della decisione della Corte veneta del 2016, riguardante l’azione civile, fu annullato dalla Corte di cassazione-Quarta Sezione Penale, con sentenza 16 febbraio 2018, n. 7659.
Con questa pronuncia, la Corte di cassazione accolse la doglianza diretta a censurare il giudizio sul nesso causale formulato dalla Corte d’appello.
Richiamato il principio per cui il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comporta la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio (fu citata, in proposito, la Sentenza 10/07/200211/09/2002, n.30328, Franzese, delle Sezioni Unite Penali), la Corte di legittimità premise che nelle ipotesi di omicidio o lesioni colposi in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento all’attività specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
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Posta tale premessa generale, la Corte di cassazione osservò che, nel caso concreto, era mancata, nell’itinerario argomentativo del giudice a quo, «l’analisi della problematica relativa agli effetti che, nel caso di specie, avrebbero avuto le terapie tradizionali», ovverosia, la risposta al quesito «se, praticando queste ultime, il paziente sarebbe guarito o sarebbe sopravvissuto più a lungo o se l’intensità lesiva della patologia si sarebbe affievolita, anche sotto il profilo della presenza e dell’intensità del dolore»; pertanto, annullò la sentenza «agli effetti civili», rinviando al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demandò la regolamentazione delle spese tra le parti anche relativamente al giudizio di legittimità.
4. Riassunto il giudizio da Za.An. dinanzi alla Corte d’appello di Venezia, quale giudice civile competente, quest’ultima, con sentenza 30 dicembre 2019, n. 5747, ha condannato Sa.Gu. a pagare alla prima, già costituita parte civile nel processo penale, a titolo di risarcimento dei danni patiti in seguito alla morte del congiunto Za.Gi., la somma di Euro 60.000, oltre interessi legali su detto importo devalutato alla data del 16 giugno 2005 e via via rivalutato sino alla data della sentenza, nonché al pagamento delle spese di tutti i gradi di giudizio.
La Corte di merito, all’esito di ampia motivazione, ha effettuato il richiesto accertamento sulla sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa del medico e il decesso del paziente, basandosi sulle risultanze della perizia effettuata nel primo grado del giudizio penale e su quelle della consulenza tecnica espletata nel corso del procedimento per le indagini preliminari.
Al riguardo, la Corte territoriale, dopo aver premesso che all’epoca dei fatti, l’itinerario terapeutico più indicato era quello del c.d. trattamento “sandwich” (ovverosia dell’intervento chirurgico preceduto e seguito da trattamenti chemio e radio-terapici), ha osservato che, avuto riguardo «allo stato della malattia al momento della diagnosi», se Za.Gi. si fosse sottoposto a tale corretto trattamento, anziché assumere le medicine alternative prescrittegli da Sa.Gu. (che non avevano avuto «alcun effetto terapeutico»), egli, «con elevata probabilità», sarebbe sopravvissuto per un periodo notevolmente superiore ai due anni e otto mesi, stimabile in cinque anni nel 60% dei casi, ed avrebbe avuto anche una non irrilevante probabilità di guarigione, atteso che all’epoca dei fatti, l’intervento chirurgico e la chemio-radio-terapia portavano ad una regressione completa della neoplasia in percentuali variabili tra il 12% e il 27% dei casi; egli, inoltre, avrebbe avuto senz’altro una migliore qualità della vita, se avesse usato gli antidolorifici che, invece, il dott. Sa.Gu. gli aveva vietato persino nella fase terminale della malattia.
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Con riferimento al danno da perdita del rapporto parentale allegato da Za.An., la Corte di merito, sulla premessa che, provenendo la richiesta risarcitoria da uno stretto congiunto della vittima, il pregiudizio, in mancanza di prova contraria fornita dal convenuto, doveva reputarsi sussistente, ha proceduto alla liquidazione tenendo conto dell’età del defunto e del superstite e, considerando, peraltro, la situazione di non convivenza e il carattere non quotidiano delle reciproche frequentazioni.
5. Avverso la sentenza della Corte lagunare ha proposto ricorso per cassazione Sa.Gu., sulla base di sei motivi. Ha risposto con controricorso Za.An., chiedendo anche la condanna del ricorrente al risarcimento del danno, ex art.96, primo comma, cod. proc. civ, unitamente od alternativamente a quella al pagamento di una somma equitativamente determinata, ex art.96, terzo comma, cod. proc. civ..
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art 380-bis.1, cod. proc. civ.
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
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ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo viene denunciato, ai sensi dell’art. 360 n.
5 cod. proc. civ., «Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio».
Con questa censura – da qualificarsi, ad onta della rubrica, come omessa pronuncia e non come omesso esame – il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulle «domande preliminari e/o pregiudiziali circa la eccepita inammissibilità e/o improcedibilità dell’avverso appello», nonché «sulla domanda ex art. 96 cpc».
Sostiene che, vertendosi in ipotesi di rinvio disposto dalla Corte di cassazione, «la difesa dell’attore in riassunzione avrebbe dovuto limitarsi al solo specifico tema indicato dalla Corte di legittimità,
evitando quindi di allargare surrettiziamente l’esame ad una nuova rivisitazione della precedente sentenza emessa in primo grado dal Tribunale Penale di Belluno».
1.2. Con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ., «Violazione o falsa applicazione di norme di legge», senza peraltro indicare la norma o le norme che sarebbero state violate.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata, per avere indebitamente ritenuto che la pronuncia n.7659/2018 della Corte di cassazione penale non avesse emesso una pronuncia assolutoria nei suoi confronti e per avere altrettanto indebitamente reputato che la predetta pronuncia si fosse limitata ad annullare la condanna al risarcimento del danno emessa dal giudice penale d’appello; soggiunge che, comunque, anche in tale ipotesi, non si comprenderebbe per quale ragione e in base a quale parametro normativo la Corte di merito, anziché limitarsi a prendere atto di tale annullamento, abbia emesso una nuova condanna risarcitoria.
1.3. Anche con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ., «Violazione o falsa applicazione di norme di legge», senza peraltro indicare la norma o le norme che sarebbero state violate.
Viene censurata la sentenza impugnata per aver rinnovato il giudizio sulla sussistenza del nesso causale tra la condotta negligente ed imperita del medico e il decesso del paziente, sul rilievo che tale giudizio, nelle diverse argomentazioni in cui si è articolato, sarebbe stato inibito dal dictum della decisione della Corte di cassazione del 2018.
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Con riguardo al merito dell’accertamento, il ricorrente pone in luce «l’erroneità del richiamo a 6-8 settimane di distanza dalla diagnosi per il corretto intervento chirurgico» e l’omessa considerazione di una dichiarazione sui benefici della cura ayurvedica.
1.4. Anche con il quarto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ., «Violazione o falsa applicazione di norme di legge», senza peraltro indicare la norma o le norme che sarebbero state violate.
Il ricorrente lamenta, ancora, che la Corte veneziana non abbia tenuto conto che la Cassazione, nel 2018, aveva annullato la sentenza d’appello “agli effetti civili”, dictum che avrebbe impedito una nuova condanna risarcitoria.
Si duole, inoltre, che la Corte territoriale non abbia ritenuto assolto, da parte sua, l’onere di fornire la “prova contraria” atta a smentire il “peculiare rapporto” tra i fratelli Za.; prova che sarebbe stata desumibile dalla circostanza che la querela era stata proposta dalla sorella della vittima ben cinque anni dopo il decesso.
1.5. Con il quinto motivo viene denunciato, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., «Vizio di omessa pronuncia».
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Sul presupposto che il rinvio disposto dalla Corte di cassazione avesse ad oggetto esclusivamente la regolazione delle spese processuali, la sentenza impugnata viene criticata per non avere provveduto esclusivamente a tale regolazione, «con totale esclusione di ogni altra decisione».
1.6. Con il sesto motivo viene denunciata nuovamente la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (peraltro, sub specie non già di omessa pronuncia, bensì di ultra-petizione), per avere la Corte d’appello
riconosciuto all’attrice in riassunzione il diritto alla rivalutazione monetaria, quantunque essa non l’avesse richiesta.
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2. I motivi – da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro reciproca connessione – sono manifestamente inammissibili, per plurime ragioni.
2.1. In primo luogo, difetta l’esposizione sommaria ed intellegibile dei fatti, ai sensi dell’art.366 n. 3 cod. proc. civ., la cui ricostruzione, nei termini sopra illustrati, è stata possibile attingendo ad elementi estranei al ricorso, ovverosia alle diverse sentenze di merito e di legittimità che hanno costellato la presente vicenda processuale.
In assenza di tali elementi, la lettura del solo ricorso non avrebbe permesso – come invece avrebbe dovuto – l’individuazione dei fatti di causa, con conseguente pregiudizio dell’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, in contrasto con le prescrizioni di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 30/11/2021, n.37552).
Al riguardo va infatti ribadito che il disposto dell’art. 366, secondo comma, n. 3, cod. proc. civ. – secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa -risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire alla Corte di legittimità di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata (in tal senso, da ultimo, Cass. 12/01/2024, n.1352).
La mancanza di tali elementi si traduce, pertanto, in una prima ragione di inammissibilità del ricorso.
2.2. In secondo luogo, tutti i motivi di ricorso, ad eccezione del sesto, trovano il proprio (erroneo) fondamento in un macroscopico travisamento dei presupposti, del contenuto e degli effetti della pronuncia della Corte di cassazione-Sezione Quarta Penale 16/02/2018, n.7659.
2.2.a. Pare allora necessario avvertire che la detta pronuncia della Cassazione penale ha operato il giudizio rescindente della sentenza d’appello n.1682/2016, limitato «agli effetti civili», e ha conseguentemente rinviato al giudice civile competente per valore in grado d’appello, per il giudizio rescissorio, in applicazione della disposizione di cui all’art. 622 cod. proc. pen.
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Questa disposizione prescrive che, fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di cassazione, se annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile.
Nel primo ordine di ipotesi contemplato dalla norma (che concerne l’annullamento delle statuizioni sui capi civili, su ricorso dell’imputato o del pubblico ministero), rientrano sia i casi, verosimilmente più frequenti, in cui la responsabilità penale sia stata definitivamente accertata con esito positivo e l’annullamento riguardi le statuizioni civili censurate dall’imputato ai sensi dell’art.574 cod. proc. pen., sia i casi in cui l’annullamento riguardi le statuizioni civili, rese in applicazione dell’art.576 cod. proc. pen. (in seguito ad un nuovo apprezzamento incidentale della responsabilità penale dell’imputato da parte del giudice d’appello, reso necessario dall’impugnazione della sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado, proposta, ai soli effetti civili, dalla parte civile: Cass., Sez. Un. pen., 28/01/202104/06/2021, n. 22065, Cremonini), sia, infine, i casi in cui l’annullamento riguardi le statuizioni civili, rese – come nel caso di specie – in applicazione dell’art.578 cod. proc. pen., in seguito alla declaratoria, da parte del giudice di appello, dell’estinzione del reato per prescrizione o amnistia sopravvenute ad una valida condanna risarcitoria emessa nel grado precedente (Cass. Sez. Un. pen., 18/07/2013-27/09/2013, n. 40109, Sciortino).
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A tale ampio ventaglio di fattispecie, si aggiungono quelle racchiuse nella seconda ipotesi prevista dalla norma, che riguarda l’accoglimento del ricorso proposto dalla parte civile contro la sentenza di proscioglimento.
In tutte queste ipotesi, mentre sugli effetti penali della sentenza d’appello (che non formano oggetto del giudizio rescindente) si forma il giudicato, in seguito all’annullamento con rinvio dei capi che riguardano l’azione civile, dovrà svolgersi, nella sua sede propria (dinanzi al giudice civile competente per valore in grado d’appello), il giudizio rescissorio volto all’ (eventuale) accertamento dell’illecito civile
e alla formulazione del giudizio di responsabilità civile dell'(ex) imputato.
Il rinvio al giudice civile trova il suo fondamento nella definitività e intangibilità della decisione adottata in ordine alla responsabilità penale dell’imputato, che provoca il definitivo dissolvimento (così, in termini, Cass., Sez. Un. pen., 28/01/2021-04/06/2021, n. 22065, Cremonini, cit., Punto 15 della Motivazione) delle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione di parte civile nel procedimento penale, le deroghe alle modalità di istruzione e di giudizio dell’azione civile, imponendone i condizionamenti del processo penale, funzionali alle esigenze di speditezza del procedimento.
Movendo dal rilievo che ogni interesse penalistico deve ritenersi ormai definitivamente dissolto, questa Corte ha ripetutamente affermato che la cognizione rescissoria del giudice civile, ex art. 622 cod. proc. pen., si svolge nell’ambito di un giudizio, che, ad onta dell’espressione “rinvio” adoperata dalla norma processualpenalistica, non costituisce una fase di prosecuzione del processo penale, ma configura un giudizio autonomo instauratosi in seguito a translatio dal giudice penale al giudice civile, nel quale, da un lato (sul piano sostanziale), si compie l’accertamento degli elementi (oggettivi e soggettivo) costitutivi dell’illecito civile, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., senza toccare, neppure incidentalmente, la sussistenza dei requisiti strutturali del reato (Cass civ., Sez. 3, 15/10/2019, n. 25918; Cass. civ., Sez. 3, 13/01/2021, n. 457; Cass. civ., Sez. 3, 21/03/2022, n. 8997 Cass. civ., Sez. 3, 18/10/2022, n.30496); dall’altro lato (sul piano processuale e probatorio), trovano applicazione tutte le regole che presiedono all’esercizio della giurisdizione civile, sia con riguardo ai mezzi di prova in senso stretto che con riguardo all’attività di valutazione dei risultati probatori (Cass. civ., Sez. 3, 25/06/2019, n. 16916; Cass. civ., Sez. 3, 20/01/2022, n. 1754; Cass. civ., Sez. 1, 08/03/2022, n. 7474; Cass. civ., Sez. 3, 21/03/2022, n. 8997, cit.; Cass. civ., Sez. 3, 19/05/2022, n. 16169; Cass. civ., Sez. 3, 18/10/2022, n.30496, cit.), nonché, precipuamente, i criteri di giudizio funzionali all’accertamento della responsabilità civile (in primis, le regole di funzione dell’accertamento della causalità civilistica, con particolare riguardo ai canoni del “più probabile che non” e della “prevalenza relativa”: Cass. civ., Sez. 3, 12 giugno 2019, n. 15859, cit.; Cass. civ., Sez. 3, 18/10/2022, n.30496, cit.).
2.2.b. Alla luce di queste considerazioni, emerge con evidenza l’erroneo apprezzamento effettuato dal ricorrente in ordine alla struttura e alla funzione dell’istituto dell’annullamento con rinvio previsto dall’art. 622 cod. proc. pen., il quale si è tradotto nel macroscopico travisamento dei presupposti, del contenuto e degli effetti della pronuncia della Corte di Cassazione -Sezione Quarta Penale 16/02/2018, n.7659 e, per l’effetto, della ratio della pronuncia rescissoria emessa dalla Corte d’appello di Venezia con la sentenza oggi impugnata, con conseguente inammissibilità dei motivi di ricorso per cassazione all’attuale esame.
Per un verso, infatti, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non era ravvisabile, nella pronuncia della Cassazione penale del 2018, alcuna statuizione assolutoria, in quanto l’annullamento aveva riguardato esclusivamente le statuizioni civili e non aveva toccato gli effetti penali della sentenza d’appello, che aveva dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione; per altro verso, gli effetti di tale annullamento, proprio perché operato con rinvio al giudice civile “competente”, non erano evidentemente circoscritti alla devoluzione della sola regolazione delle spese processuali, essendo il giudice civile chiamato all’accertamento, in applicazione delle regole e degli istituti propri del processo civile, degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano di cui Sa.Gu. era stato chiamato a rispondere con la domanda risarcitoria proposta da Za.An.
Doverosamente, pertanto, lungi dal violare il dictum contenuto nella sentenza della Corte di cassazione, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza oggi impugnata, ha provveduto al motivato accertamento dei detti elementi costitutivi, ed in primo luogo di quello del nesso causale, in applicazione della regola di funzione probabilistica applicabile nel giudizio civile.
2.2.c. Ferma, dunque, la radicale inammissibilità delle censure portate, sotto tale profilo, alla sentenza impugnata, neppure può sottacersi che, esse, per le modalità con cui sono formulate e per gli argomenti da cui sono state sorrette, oltre ad esporsi alla predetta sanzione processuale, appaiono persino pretestuose e denunciano un ricorso al mezzo di impugnazione persino abusivo: è sufficiente evidenziare, al riguardo, sotto il primo profilo, che alla Corte d’appello non solo è stato indebitamente rimproverato di “risuscitare” i danni subiti dalla parte civile, di aver letto un “testo diverso” della sentenza della Cassazione del 2018 e di aver riscritto la sentenza del primo grado del giudizio penale; ma – nella memoria illustrativa – le è stato anche addebitato Pa. ” di essersi messa in totale contrasto con la Corte di legittimità, ponendo in essere una surrettizia forma di “insubordinazione” o di “ribellione”; né può passare inosservato, sotto il secondo profilo, il carattere manifestamente pretestuoso dell’argomento posto a fondamento dell’insostenibile assunto secondo cui la sentenza della Cassazione penale del 2018 avrebbe contenuto una statuizione “assolutoria”, nonché l’ulteriore assunto, altrettanto insostenibile, per cui l’oggetto del giudizio di rinvio sarebbe stato circoscritto alla regolazione delle spese: il primo assunto, infatti, si basa sull’indebita decontestualizzazione di un’affermazione di carattere generale sul tema della causalità, contenuta nella parte argomentativa della motivazione della sentenza della Cassazione penale del 2018 dedicata all’illustrazione del giudizio controfattuale, effettuata mediante richiamo di un noto passo della storica sentenza Franzese; il secondo assunto omette di considerare che, nell’ipotesi di annullamento con rinvio, la Corte di cassazione può rimettere al giudice del merito la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, ma è evidente che, in tal caso, la cognizione del giudice del rinvio si estende a tale pronuncia accessoria, ferma restando la necessità di svolgere in primo luogo l’accertamento principale demandato.
2.3. Una terza ragione di manifesta inammissibilità concerne specificamente la censura di omesso esame (recte: di omessa pronuncia), formulata con il primo motivo di ricorso: l’inammissibilità deriva da ciò, che, nella fattispecie, vertendosi nell’ambito di un autonomo giudizio ex art.622 cod. proc. pen., non è configurabile neppure in astratto una omessa pronuncia sulle «domande preliminari e/o pregiudiziali circa la eccepita inammissibilità e/o improcedibilità dell’avverso appello»; invece, con riguardo alla «domanda ex art. 96 cpc», si profila, con tutta evidenza, una pronuncia implicita di rigetto, atteso che presupposto fondamentale per l’accoglimento di siffatta domanda è la totale soccombenza della parte contro la quale è stata proposta; parte risultata, invece, parzialmente vittoriosa.
2.4. Una quarta ragione di inammissibilità concerne specificamente la censura di ultra-petizione formulata con il sesto motivo di ricorso.
Prima ancora di poter rilevare la manifesta infondatezza del presupposto in iure, secondo cui l’attribuzione della rivalutazione monetaria dovrebbe formare oggetto di specifica domanda (atteso che, diversamente da quanto può opinarsi in relazione agli interessi – cfr. Cass. 16/02/2023, ma v., altresì, in senso diverso, Cass. 10/12/2021, n. 39376 -, la rivalutazione monetaria di un debito di valore, salvo il giudicato negativo interno, è eseguibile anche d’ufficio, e la sua richiesta non costituisce domanda nuova: già Cass.22/05/1987, n. 4637 e, più recentemente, Cass. 10/03/2021, n. 7711), va osservato che, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di ultrapetizione (al pari del vizio inverso di omessa pronuncia: cfr., ad es., Cass.14/07/2021, n.15367; Cass. 13/07/2023, n.16899), ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula che nel ricorso per cassazione venga riportato nei suoi esatti termini l’atto processuale in cui la parte sarebbe stata onerata di proporre la domanda o sollevare l’eccezione (in senso stretto) sulla quale il giudice del merito ha invece officiosamente provveduto, evidenziando la mancanza della richiesta di parte e, conseguentemente, la violazione, da parte della sentenza impugnata, della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Infatti, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi.
Poiché, nella fattispecie, il predetto onere non è stato assolto, il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
2.5. La sanzione di inammissibilità, infine, non risparmia neppure le doglianze “di merito” formulate ad integrazione delle ragioni poste a fondamento del terzo e del quarto motivo, con le quali si è rimproverato alla Corte territoriale: di avere ignorato una dichiarazione sui benefici apportati al paziente dalla cura ayurvedica; di non aver considerato la “prova contraria” atta a smentire il “peculiare rapporto” tra i fratelli Za. (desumibile dal fatto che la querela era stata proposta dalla sorella della vittima ben cinque anni dopo il decesso); e di essere incorsa in errore nel formulare il «richiamo a 6-8 settimane di distanza dalla diagnosi per il corretto intervento chirurgico».
Si tratta, infatti, di doglianze attinenti alla ricostruzione delle circostanze di fatto e alla valutazione delle prove, che vengono formulate senza considerare che l’una e l’altra attività sono riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
3. In definitiva, il ricorso proposto da Sa.Gu. va dichiarato inammissibile.
4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
5. Mentre (in assenza della prova del danno: Cass., Sez. Un., 20/04/2018, n. 9912) non sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria ex art. 96, primo comma, cod. proc. civ., formulata da Za.An. con il controricorso, il ricorrente soccombente va invece condannato al pagamento, in favore della controricorrente vittoriosa, di una somma che può essere equitativamente determinata – ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ. – nella metà dell’importo dei compensi calcolati sulle spese processuali.
Ciò, in ragione della circostanza che le censure proposte, tutte, come si è veduto, manifestamente inammissibili – essendo fondate, nel loro nucleo essenziale, su argomenti del tutto pretestuosi, diretti ad avallare un’insostenibile interpretazione del dictum della pronuncia rescindente della Cassazione penale del 2018, nonché, per l’effetto, a denunciare una (evidentemente insussistente) arbitraria violazione dei limiti della propria cognizione da parte del giudice civile investito dell’autonomo giudizio rescissorio -, si sono tradotte in una condotta processuale connotata da mala fede o colpa grave, contraria ai canoni di correttezza, nonché idonea a determinare oggettivamente, attraverso un uso abusivo del mezzo di impugnazione, un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in posizione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose. Tale condotta si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass. 04/08/2021, n. 22208; Cass. 21/09/2022, n. 27568; Cass. 05/12/2022, n. 35593).
6. Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Il ricorso per cassazione e l’esposizione sommaria dei fatti di causa
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna, inoltre, il ricorrente a pagare alla controricorrente, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ., la somma equitativamente determinata di Euro 4.500,00, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 9 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2024
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