Il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 settembre 2024| n. 25270.

Il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio

Ai fini del requisito dell’apparenza richiesto ex art. 1061 c.c. per l’acquisto della servitù di passaggio per usucapione, non occorre necessariamente un tracciato dovuto all’opera dell’uomo, essendo sufficiente anche un sentiero formatosi naturalmente per effetto del calpestio, purché esso presenti un tracciato tale da denotare la sua funzione – visibile, non equivoca e permanente – di accesso al fondo dominante attraverso il fondo servente.

Ordinanza|20 settembre 2024| n. 25270. Il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio

Data udienza 12 settembre 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Servitu’ – Prediali – Costituzione del diritto – Delle servitu’ volontarie – Costituzione non negoziale – Per usucapione servitù di passaggio – Sentiero formatosi per il calpestio – Idoneità – Il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Cons. Rel.

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 13273/2022 R.G. proposto da:

Li.Do., Li.Ro., domiciliati in ROMA, PIAZZA CA., presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato SA.BU. giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

Za.Lu., Di.Ge., Di.Fi., Di.Ca., Di.Di., domiciliati in ROMA, PIAZZA CA., presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato FI.BU. giusta procura in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 327/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 21/02/2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;

Il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio

Osserva

1. Za.Lu., Di.Ge., Di.Fi., Di.Ca. e Di.Di., tutti eredi di Di.Al., videro accolta dal Tribunale la domanda con la quale avevano chiesto di essere dichiarati titolari per usucapione di una servitù di passaggio a carico del fondo di proprietà di Li.Do. e Li.Ro.

2. La Corte d’Appello di Firenze rigettò l’impugnazione dei convenuti.

3. Li.Do. e Li.Ro. avanzavano ricorso sulla base di sette motivi, gli intimati resistevano con controricorso.

4. Il Consigliere delegato della Sezione ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.

5. I ricorrenti, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, hanno chiesto decidersi il ricorso.

6. Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 12 settembre 2024.

7. Occorre premettere che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal D.Lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (S.U., n. 9611, 10/04/2024, Rv. 670667 – 01).

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Ciò posto il consigliere proponente Stefano Oliva legittimamente compone il Collegio.

8. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1371, 1158 e 1061 cod. civ.

La sentenza aveva riportato che con atto pubblico del (Omissis) Di.Al., Li.Ca. in Lo. e Lo.Pa. (danti causa degli attori) avevano acquistato da Fe.An. e Lu.Gi. diverse porzioni di un fabbricato; col medesimo atto i Lo. avevano concesso ad Di.Al. il diritto di costruire una scala esterna “a sbalzo sul retro affinché potesse accedere alla sua parte d’orto dalla scala ponte sovrastante la proprietà Li.Ca.-Lo.Pa.”, in difetto, i Lo. si erano obbligati a consentire l’accesso all’orto del Di.Al. attraversando la loro proprietà. Evenienza, quest’ultima, non più necessaria poiché il Di.Al. aveva edificato la scala.

Ciò premesso, i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata aveva errato per non avere ritenuto estinto il diritto di passaggio attraverso la proprietà dei ricorrenti, proprio perché la controparte, costruita la scala, attraverso essa accedeva al proprio orto.

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Per giungere all’avversata conclusione, secondo gli esponenti, la Corte di merito aveva violato le norme sull’ermeneutica negoziale richiamate.

8.1. La doglianza è inammissibile.

Il diritto d’usucapione riconosciuto in favore della proprietà del dante causa degli odierni ricorrenti non ha fonte nel titolo negoziale evocato, bensì nell’accertata usucapione, che, come fin troppo ovvio, prescinde del tutto da esso titolo.

In sostanza, e in disparte dai patti negoziali, secondo quel che la sentenza ha accertato, la parte attorea, per raggiungere il proprio orto, aveva acquistato per usucapione il diritto di passare

sul fondo dei convenuti, fermo restando il diritto contrattuale di avvalersi della scala all’uopo edificata.

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È evidente, di conseguenza, che la censura non coglie la “ratio decidendi”.

9. Con il secondo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ., 1158 e 1061 cod. civ.

Secondo l’assunto la Corte di Firenze “ha fornito una valutazione gravemente imprudente della prova” per avere attribuito alla clausola negoziale significato di conferma della situazione di asservimento.

10. Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., addebitandosi alla sentenza di avere “omesso di valutare e/o prendere in esame nella motivazione della sentenza sia il reale e corretto tenore e contenuto di tale clausola contrattuale… sia il successivo fatto pacifico agli atti di causa della avvenuta costruzione della suddetta scala”.

11. I due motivi che precedono, tra loro correlati, non superano lo scrutinio d’ammissibilità.

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11.1. Quanto al secondo.

11.1.1. Ancora una volta non viene colta la “ratio decidendi”: come già sopra si è spiegato, la decisione non è in alcun modo fondata sul contratto.

11.1.2. Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037-02).

11.1.3. Di poi, la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).

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11.2. Quanto al terzo.

Volendo prescindere, per ragioni di economia espositiva, da ogni altra considerazione, basti rilevare che, in presenza di “doppia conforme”, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.

12. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158 e 1061 cod. civ.

I ricorrenti sostengono che la decisione contrasta con il principio, enunciato in sede di legittimità, secondo il quale occorre accertare l’esistenza di un “quid pluris”, atto a dimostrare la specifica destinazione delle opere all’esercizio della servitù.

12.1. La doglianza è priva di fondamento.

In primo luogo deve ribadirsi il principio, peraltro correttamente richiamato dalla Corte locale, secondo il quale, ai fini della sussistenza del requisito dell’apparenza, richiesto dall’articolo 1061 cod. civ. per l’acquisto delle servitù prediali per usucapione, non occorre necessariamente, in materia di servitù di passaggio, un “opus manu factum” (ossia un tracciato dovuto all’opera dell’uomo), essendo sufficiente anche un sentiero formatosi naturalmente per effetto del calpestio, qualora esso presenti un tracciato tale da denotare la sua funzione – visibile, non equivoca e permanente – di accesso al fondo dominante mediante il fondo servente (Sez. 2, n. 12362, 27/05/2009, Rv. 608548-01; conf. Cass. n. 1912/1987).

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È certamente vero che questa Corte ha più volte ribadito (Cass. nn. 12238/2010, 7004/2017, 25355/2017) la necessità che consti (in questo senso si è scritto di “quid pluris”) che il percorso (che come si è visto non deve necessariamente costituire “opus manu factum”) abbia lo specifico scopo vantato dal preteso fondo dominante. Un tale enunciato ha, tuttavia, significato dirimente laddove il tracciato (restando all’ipotesi della servitù di passo) non presenti la esclusività di destinazione in favore del fondo di colui che pretenda di avere acquisito il diritto di transito per usucapione. Una tale evenienza nel caso in esame non consta, essendo indubbiamente univoco lo scopo della stradina.

13. Con il quinto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1144, 1140, 1158, 1061 e 2697 cod. civ.

Si addebita alla sentenza di non avere accertato l'”animus possidendi” della controparte, che aveva continuato a passare attraverso il fondo ricorrente solo per mera tolleranza, peraltro del tutto sporadicamente. Mancavano, in definitiva, i presupposti per la declaratoria d’usucapione.

13.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.

Quanto all’evocazione degli artt. 1144, 1140, 1158, 1061 non possono che richiamarsi gli argomenti di cui al par. 11.1.3.

Nel resto, il motivo, sotto l’usbergo della violazione dell’art. 2697 cod. civ., sollecita un diverso e favorevole esito del vaglio probatorio. In altri termini, il giudice non ha violato la regola sull’onere probatorio, ma, ben diversamente, ha deciso dopo aver valutato le emergenze di causa.

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In definitiva, all’evidenza, si sollecita un’impropria ricostruzione alternativa del fatto all’esito di una sorta di “giudizio di terzo grado”.

14. Con il sesto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1061 cod. civ., anche “in relazione all’art. 360 n 5 cpc per omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante agli atti di causa”.

14.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.

Per l’ennesima volta s’invoca un improprio riesame di merito in ordine al requisito dell’apparenza, peraltro, ancora una volta, senza tener conto della “doppia conforme”, allegando l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, peraltro, del tutto impropriamente attribuito all’opera di apprezzamento della prova, di esclusivo dominio del giudice del merito.

Infine, è appena il caso d’evidenziare l’anomala e palesemente atipica denuncia di un “erroneo travisamento per errore di percezione delle fotografie citate in sentenza”.

Occorre ricordare che il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.

Il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio

All’evidenza, non ricorre l’evocata seconda fattispecie, mirando la doglianza, manifestamente, come si è detto, a un improprio nuovo vaglio istruttorio.

15. Con il settimo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché “omesso fatto decisivo oggetto di discussione ai sensi dell’art. 360 c. 1 cpc per la mancata ammissione della CTU avente ad oggetto l’accertamento dello stato dei luoghi di cui è causa, CTU richiesta dagli odierni ricorrenti”.

15.1. Il motivo è palesemente inammissibile.

Per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (S.U., n. 20867, 30/09/2020, Rv. n. 659037-01).

La consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario e potendo la motivazione dell’eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Sez. 6, n. 326, 13/01/2020, Rv. 656801-01: conf., ex multis, Cass. nn. 18299/2024, 8536/2023, 25508/2021).

A volere seguire un’opinione minoritaria il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (ratione temporis vigente) – Sez. L. n. 2281, 25/08/2023, Rv. 669071-01)

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16. Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

17. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.

18. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023).

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19. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

condanna, altresì, i ricorrenti, in solido, al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 3.000,00 in favore dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di Euro 3.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio

Così deciso in Roma il giorno 12 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2024.

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