Il requisito dell’apparenza della servitù ai fini dell’usucapione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 aprile 2024| n. 9450.

Il requisito dell’apparenza della servitù ai fini dell’usucapione

Il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti, in modo non equivoco, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che, per l’acquisto in base a dette modalità di una servitù di passaggio, non basta l’esistenza di una strada o di un percorso all’uopo idonei, essendo viceversa essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù.

Ordinanza|9 aprile 2024| n. 9450. Il requisito dell’apparenza della servitù ai fini dell’usucapione

Data udienza  4 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Servitù prediali – Costituzione – Acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia – Requisito dell’apparenza – Configurabilità – Servitù di passaggio – Esistenza di una strada o di altro percorso idoneo allo scopo – Sufficienza – Esclusione – Fondamento

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Rel. Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 11350 – 2019 proposto da:

Do.Fr., Do.Bi. e Do.Gi., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA (…), nello studio dell’avv. Fa.Cu., che li rappresenta e difende unitamente all’avv. Ad.Fo.

– ricorrenti –

contro

Do.Se. e Do.Li., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA (…), nello studio dell’avv. St.Mu., rappresentate e difese dall’avv. St.On.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 563/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere Oliva.

Il requisito dell’apparenza della servitù ai fini dell’usucapione

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 14.3.2003 e trascritto il 23.12.2003 Do.Se. e Do.Li. evocavano in giudizio Do.Fr., Do.Gi., Do.Bi. e Ci.Ci. innanzi il Tribunale di Bologna, chiedendo l’accertamento dell’esistenza di un diritto di servitù di passaggio a carico del fondo dei convenuti e la loro condanna a rimuovere gli ostacoli frapposti al suo esercizio.

Si costituivano i convenuti, con la sola eccezione di Ci.Ci., che rimaneva contumace, i quali invocavano in via principale l’accertamento dell’insussistenza di pesi o vincoli sul loro fondo, ed in subordine l’estinzione della servitù per non uso, o comunque la liquidazione in loro favore dell’indennità di cui all’art. 1053 c.c.

Con sentenza n. 2423/2013 il Tribunale accoglieva la domanda principale, accertando l’esistenza del diritto di servitù di passaggio di cui è causa, dichiarava cessata la materia del contendere in relazione alle domande svolte contro Ci.Ci. ed alla domanda di rimozione degli ostacoli, e compensava le spese.

Con la sentenza impugnata, n. 563/2019, la Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame principale interposto dagli odierni ricorrenti e, in parziale accoglimento di quello incidentale, riduceva la compensazione delle spese di lite ad 1/3 del totale, condannando gli appellanti principali, odierni ricorrenti, al pagamento della restante parte.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione Do.Fr., Do.Bi. e Do.Gi., affidandosi ad otto motivi.

Resistono con controricorso Do.Se. e Do.Li.

In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria. La parte controricorrente ha invece depositato una nota con allegata copia del certificato di morte di Do.Se.

Il requisito dell’apparenza della servitù ai fini dell’usucapione

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe ravvisato la sussistenza del requisito dell’apparenza della servitù, senza indicare quali sarebbero le opere a servizio del diritto di passaggio.

La censura è fondata.

La Corte di Appello afferma che nel caso di specie esiste una strada interpoderale che parte dalla corte distinta dal mappale (Omissis) (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) e che l’atto del 9.12.1080, con il quale il comune dante causa degli odierni contendenti aveva dato avvio alla divisione della sua proprietà, trasferendola ai figli, non regola in alcun modo il diritto di passaggio oggetto di causa (cfr. pag. 10 della sentenza). La Corte distrettuale prosegue poi affermando che il fatto che sul cortile distinto dal mappale (Omissis), sul quale dovrebbe insistere la servitù di passaggio oggetto di causa, non vi siano opere apparenti al suo servizio, non osta alla configurabilità del diritto reale, ben potendo dette opere essere riscontrate anche sul fondo dominante, o su quello di terzi (cfr. ancora pag. 10). E conclude, poi, affermando che “Nel caso in esame esiste una pubblica via (strada M) che sbarca sul cortile di proprietà degli appellanti e, dalla parte opposta del medesimo, uno stradello, ben visibile e storicamente utilizzato al fine di raggiungere i terreni posti in direzione ovest e, in particolare, anche quelli di proprietà delle appellate” (cfr. pag. 11 della sentenza).

L’affermazione non e coerente con il principio di diritto espresso da questa Corte in tema di apparenza delle servitù di passaggio, secondo cui “Il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti, in modo non equivoco, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile; ne consegue che, per l’acquisto in base a dette modalità di una servitù di passaggio, non basta l’esistenza di una strada o di un percorso all’uopo idonei, essendo viceversa essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7004 del 17/03/2017, Rv. 643386; conf. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11834 del 06/05/2021, Rv. 661174). L’esistenza di uno stradello sul terreno confinante a quello presunto servente, dunque, non è di per sé indicativa dell’esistenza del diritto di passaggio, come pure non lo è il fatto che sulla corte distinta dal mappale (Omissis) “sbarchi” una via pubblica, ben potendo, quest’ultima, costituire soltanto l’accesso al mappale predetto. L’esistenza dei due tracciati viari, quindi, non è sufficiente ai fini della sussistenza del requisito dell’apparenza, dovendosi individuare eventuali altre opere, di fatto asservite al transito, ovvero altri elementi di fatto idonei ad indicare con certezza che il percorso ipotizzato dal giudice di merito (articolato lungo l’asse strada M – cortile mappale (Omissis) – stradello in direzione dei terreni ad ovest) sia stato creato proprio allo scopo di assicurare l’accesso al fondo preteso dominante.

Il requisito dell’apparenza della servitù ai fini dell’usucapione

Con il secondo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1062. 1362, 1363, 1367 e 1371 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato le risultanze del rogito del 1985, con il quale le sorelle Do.Li. e Do.Se. avevano acquistato dal padre i terreni di loro proprietà, con il diritto di passare sulla “strada vicinale contigua ai beni compravenduti per accedere alla via pubblica”, senza considerare che il precedente rogito del 1983, con il quale Do.Fr. aveva acquistato da terzi una parte dell’area ipoteticamente asservita al diritto di passaggio oggetto di causa, aveva previsto espressamente l’estinzione di ogni servitù per destinazione del padre di famiglia.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 1062 cc., 115 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato il requisito dell’unicità del fondo, prima della divisione, avvenuta nel 1980, senza considerare che parte dell’area asservita al diritto di passaggio era stata acquista dal Do.Fr. solo con il rogito del 1983, e dunque dopo la data in cui, secondo la prospettazione del giudice di merito, l’originario comune dante causa avrebbe diviso il fondo.

Le censure, suscettibili di esame congiunto, sono assorbite dall’accoglimento del primo motivo. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà procedere ad una nuova complessiva disamina della fattispecie, individuando le eventuali opere apparenti a servizio del diritto di servitù di passaggio di cui è causa e verificando se, alla luce delle risultanze di fatto e delle prove acquisite in atti, sussistano, o meno, i requisiti per il riconoscimento della costituzione di un diritto di transito per destinazione del padre di famiglia, tra cui rientra anche quello dell’unicità del fondo e della sua appartenenza ad un unico comune dante causa all’atto della divisione.

Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c., 1073, 2934, 1350 e 2643 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte felsinea avrebbe erroneamente affermato che la domanda di estinzione del diritto di servitù per non uso sarebbe stata proposta dagli odierni ricorrenti soltanto tardivamente.

La censura è inammissibile.

La Corte di Appello, infatti, evidenzia non soltanto che l’eccezione era stata proposta soltanto tardivamente, e dunque era stata dichiarata inammissibile dal Tribunale, ma anche che essa non era stata riproposta in appello (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Di conseguenza, la censura oggi proposta, che attinge soltanto la prima delle due rationes suindicate, è inammissibile, dovendosi ribadire il principio secondo cui quando la decisione di merito si fonda su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la mancata contestazione di una di esse, o la ritenuta infondatezza delle censure mosse alla stessa, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

Con il quinto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1079, 2697 c.c., 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che le odierne controricorrenti non avevano allegato in atti del giudizio di merito il proprio titolo, non rispettando in tal modo l’onere di dimostrare il loro diritto di proprietà sul fondo preteso dominante.

La censura è infondata.

La Corte di Appello afferma espressamente che il comune dante causa delle odierne parti del giudizio aveva avviato la divisione della sua proprietà tra i figli con l’atto di divisione del 9.12.1980, allorquando aveva ceduto al figlio Do.Fr. una parte dell’unico compendio immobiliare, riservandosi i terreni di cui ai mappali (Omissis), (Omissis) e (Omissis), che aveva poi ceduto alle altre figlie Do.Li. e Do.Se. con il rogito del 1985 (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). Ambedue le parti, quindi, traggono in loro titolo da un comune dante causa, che con due successivi atti, del 1980 e del 1985, ha diviso tra i figli la sua proprietà.

Non sussiste, di conseguenza, alcuna carenza in relazione all’adempimento dell’onere di provare il rispettivo diritto di proprietà dei fondi appartenenti alle parti, tenuto conto che nella specie, discutendosi dell’esistenza o inesistenza di un diritto di servitù, la prova da fornire non soggiace ai requisiti previsti dall’art. 948 c.c. in tema di azione di rivendicazione.

Con il sesto motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c., 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo, ipotizzando che il Do.Gi., originario proprietario dell’unico compendio oggetto di causa, utilizzasse il percorso individuato per il transito per lo svolgimento della sua attività di agricoltore. Detto ragionamento non rispetterebbe i canoni di cui all’art. 2729 c.c., in quanto fondato su elementi non gravi, né precisi, né concordanti.

La censura è assorbita dall’accoglimento del primo motivo, poiché il complessivo riesame del fatto devoluto al giudice del rinvio dovrà investire anche le modalità con cui il passaggio, ove in concreto riscontrato, sia stato (in ipotesi) esercitato dal remoto dante causa delle odierne parti contendenti.

Con il settimo motivo, i ricorrenti lamentano ancora la violazione o falsa applicazione degli artt. 1027 c.c. e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare che i fondi di proprietà di Do.Se. e Do.Li. godono di altri due accessi alla pubblica via, uno dei quali carrabile, e ciò nonostante risultano incolti ed interessati da eventi franosi. Difetterebbe, di conseguenza, il requisito dell’utilitas a sostegno della servitù oggetto di causa.

Anche questa censura, come quella proposta con il sesto motivo, è assorbita dall’accoglimento del primo motivo, in quanto la sussistenza, o meno, dell’utilitas rientra nell’ambito del rinnovato accertamento del fatto devoluto al giudice del rinvio.

Infine, con l’ottavo ed ultimo motivo, la parte ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Con la doglianza, la parte ricorrente invoca il favore delle spese di lite, o in subordine la loro integrale compensazione.

La censura non contiene alcuna specifica censura al decisum della sentenza impugnata, ma si limita ad invocare una statuizione favorevole alla parte ricorrente, in punto di spese, nell’auspicata ipotesi di accoglimento del ricorso. Va, al riguardo, ribadito il principio secondo cui “La proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un non motivo” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15517 del 21/07/2020, Rv. 658556).

Tuttavia, il tema delle spese verrà necessariamente riesaminato dal giudice del rinvio, onde anche questo motivo è assorbito dall’accoglimento della prima doglianza.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso; vanno dichiarati assorbiti il secondo, terzo, sesto, settimo ed ottavo motivo; va dichiarato inammissibile il quarto e rigettato il quinto.

La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Il requisito dell’apparenza della servitù ai fini dell’usucapione

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il quarto motivo del ricorso e rigetta il quinto. Accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 4 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *