Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 1 ottobre 2018, n. 43183.
La massima estrapolata:
Il reato di pericolo previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, non richiede ai fini della sua configurabilita’ un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull’assetto del territorio perdurano anche se l’amministrazione competente attesta la compatibilita’ paesaggistica delle opere eseguite
Sentenza 1 ottobre 2018, n. 43183
Data udienza 17 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza dell’11-09-2017 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Canevelli Paolo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere i reati estinti per prescrizione;
udito per il ricorrente l’avvocato (OMISSIS), sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Salerno del 7 aprile 2016, (OMISSIS) veniva condannato alla pena di mesi 2 di arresto ed Euro 30.000 di ammenda, in ordine ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera C (capo A), articoli 64 e 71 (capo B), articoli 65 – 72 (capo C) e articoli 93 e 95 (capo D), contestati in relazione all’esecuzione, in assenza di permesso di costruire, in adiacenza della propria abitazione, di muri perimetrali in cemento armato, posti a delimitazione di una superficie di 30 mq., con altezza di mt. 2,50, fatti commessi in (OMISSIS), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, fino al (OMISSIS).
Con sentenza dell’Il settembre 2017, la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della pronuncia di primo grado e in accoglimento dell’appello del Procuratore generale, dichiarava (OMISSIS) colpevole anche del reato di cui al capo E (Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1, per cui vi era stata assoluzione in primo grado) e, con le gia’ concesse attenuanti generiche, ritenuta la continuazione, lo condannava alla pena di 12 mesi 4 di arresto ed Euro 40.000 di ammenda, confermando nel resto la sentenza di primo grado, che era stata impugnata anche nell’interesse dell’imputato.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello salernitana, (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, la difesa contesta l’erronea applicazione dell’articolo 168 bis c.p., censurando il diniego della richiesta difensiva di messa alla prova, in quanto fondato sulla sola verifica della realizzazione delle opere riparatorie.
Con il secondo motivo, la difesa lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 159 c.p., in quanto all’udienza del 17 settembre 2015, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale, il Giudice di primo grado rinviava il processo al 7 aprile 2016 sospendendo senza alcuna ragione i termini di prescrizione del reato.
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la mancanza di motivazione della sentenza impugnata che, nel richiamare la motivazione della pronuncia di primo grado quanto ai capi per cui era intervenuta condanna, avrebbe omesso di confrontarsi con le doglianze difensive illustrate nell’atto di appello.
Con il quarto motivo, la difesa censura la mancanza di motivazione con riferimento al capo della sentenza che aveva condannato l’imputato anche per il reato di cui al capo E dell’imputazione, non avendo la Corte territoriale motivato sull’offensivita’ in concreto della condotta posta in essere dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che, come rilevato correttamente dalla Corte territoriale, il mancato accoglimento dell’istanza di messa alla prova da parte del Tribunale risulta coerente con la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 39455 del 10/05/2017, Rv. 271642), secondo cui, nei reati edilizi, la preventiva e spontanea demolizione dell’opera abusiva, ovvero la sua riconduzione alla legalita’ attraverso il rilascio di un legittimo titolo abilitativo in sanatoria, rientra fra le condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato che costituiscono il presupposto per il positivo superamento della messa alla prova.
Deve quindi ritenersi che il rigetto della richiesta di messa alla prova non presti il fianco a censure, avendo i giudici di appello rimarcato la genericita’ dell’istanza, in quanto priva di alcun richiamo all’eliminazione delle conseguenze del reato, che nel caso di specie sarebbe stata possibile o con la previa demolizione delle opere, o quantomeno con il conseguimento di un titolo abilitativo in sanatoria.
Con il rilievo della Corte di appello la difesa non si confronta adeguatamente, per cui la doglianza, prospettata in termini generici, risulta priva di fondamento.
2. Inammissibile e’ anche il secondo motivo, posto che, pur senza considerare la sospensione della prescrizione di cui la difesa lamenta la validita’, il termine quinquennale di prescrizione massima dei reati contestati, accertati fino al (OMISSIS), non era ancora decorso alla data di emissione della sentenza impugnata (ovvero l’11 settembre 2012), per cui legittimamente la Corte territoriale non ha approfondito la doglianza difensiva, stante la sua irrilevanza. Ne’ rileva la circostanza che, in epoca successiva all’emissione della sentenza, sia nelle more maturato il predetto termine di prescrizione, essendo la declaratoria di estinzione del reato inibita dal rilievo della manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, non consentendo l’inammissibilita’ originaria dei ricorsi per cassazione la valida instaurazione dell’ulteriore fase di impugnazione (cfr. in termini, ex multis, Sez. 7, ord. n. 6935 del 17/04/2015, Rv. 266172).
3. Passando al terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che lo stesso e’ inammissibile perche’ generico, non avendo la difesa specificato a quali singole censure dell’atto di appello la Corte territoriale non avrebbe dato risposta, dovendosi piuttosto rilevare che nella sentenza impugnata sono state prese in considerazione, sia pure in sintesi, tutte le doglianze proposte nell’impugnazione.
4. Manifestamente infondato, infine, e’ anche il quarto motivo di ricorso. Al riguardo deve essere infatti richiamata la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Rv. 263289), secondo cui il reato di pericolo previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, non richiede ai fini della sua configurabilita’ un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull’assetto del territorio perdurano anche se l’amministrazione competente attesta la compatibilita’ paesaggistica delle opere eseguite.
Alla stregua di tale premessa ermeneutica, le censure difensive sulla ritenuta sussistenza del reato contravvenzionale di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, per l’asserita inoffensivita’ dell’intervento ascrivibile all’imputato, non possono ritenersi pertinenti, tenuto conto dell’idoneita’ a incidere negativamente sull’assetto del territorio dell’entita’ dell’opera edilizia contestata, consistita nella realizzazione, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, di muri perimetrali posti a delimitazione di un’area di circa 30 mq, con un’altezza di 2,50 mq.
Anche in ordine alla configurabilita’ del predetto reato, quindi, deve escludersi che la sentenza impugnata presenti vizi di legittimita’ rilevabili in questa sede.
5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
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