Il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio e le fasi degli onorari dell’Avvocato

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|10 settembre 2024| n. 24347.

Il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio e le fasi degli onorari dell’Avvocato

Il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio, di cui all’art. 445-bis c.p.c., si distingue dagli atti di istruzione preventiva, che si esauriscono con il deposito della relazione tecnica e con la fase istruttoria, concludendosi con l’emissione di un provvedimento dichiarativo che rende incontestabile le risultanze del mezzo acquisito e che resta limitatamente impugnabile. Ciò comporta che le prestazioni del difensore non si limitano a quelle relative alla fase istruttoria ma comprendono, anche, quelle in tutto corrispondenti a quelle della fase decisoria, con la conseguente spettanza del relativo compenso professionale in analogia ai parametri previsti per gli altri procedimenti.

Sentenza|10 settembre 2024| n. 24347. Il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio e le fasi degli onorari dell’Avvocato

Data udienza 9 luglio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Avvocato e procuratore – Onorari – Procedimento di liquidazione – In genere procedimento ex art. 445 – Bis c.p.c. – Differenza dagli atti di istruzione preventiva – Spettanza dei compensi per la fase decisoria – Sussistenza – Fondamento.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

composta dagli Ill.mi Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere Rel.

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2593/2021 R.G. proposto da

Va.Ma., rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.Io. e Ca.Io., con domicilio eletto in Roma, Via Tr.N..

-RICORRENTE-

contro

Bo.Do., rappresentata e difesa dall’avv. Mi.Di., con domicilio in Bari alla Pi.Al..

-CONTRORICORRENTE-

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1065/2020, depositata in data 18.6.2020.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9.7.2024 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Aldo Ceniccola, che ha concluso, chiedendo di accogliere il ricorso.

Uditi gli avv.ti Fr.Io.e Mi.Di..

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FATTI DI CAUSA

1. L’avv. Va.Ma. ha proposto ricorso in quattro motivi avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che, in accoglimento dell’impugnazione avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., resa a definizione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo n. 2309/2015, ha condannato Bo.Do. al pagamento di Euro 667,20 a titolo di compensi giudiziali civili.

Bo.Do. resiste con controricorso.

La causa inizialmente avviata alla trattazione camerale dinanzi alla Sesta Sezione civile, è stata rimessa alla pubblica udienza dinanzi alla Sezione ordinaria con ordinanza n. 8255/2022.

Il Procuratore generale ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.

Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve premettersi che, sebbene la causa di opposizione fosse stata introdotta in primo grado con ricorso ex art. 14 D.Lgs. 150/2011, in corso di giudizio è stato disposto il mutamento del rito con applicazione dell’art. 702 bis c.p.c. e con decisone monocratica, essendo quindi corretta l’impugnazione con l’appello e non il ricorso diretto in cassazione.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 24 Cost. e 190 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 c.p.c., per aver la Corte di merito deciso la causa senza esaminare le conclusionali e le memorie di replica. Si assume, in particolare, che, sebbene nella pronuncia sia dato atto della mancata concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., non solo i termini erano stati concessi, ma le parti avevano anche depositato le conclusionali e le memorie di replica che, quindi il giudice di appello non avrebbe esaminato, non avendo inoltre pronunciato sulla inammissibilità del motivo con cui il Bo.Do. aveva censurato la condanna al pagamento delle spese di primo grado.

Il motivo è inammissibile.

La ricorrente imputa al giudice distrettuale di aver erroneamente attestato la mancata concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., assumendo in via ipotetica, che la Corte non abbia esaminato le memorie.

In tal modo è però dedotto un errore di fatto, attinente ad una circostanza processuale, ossia l’affermazione, contraria al vero, che detti termini non erano stati concessi e – per quanto assume la stessa ricorrente – le memorie non erano state depositate, il che integra un vizio revocatorio deducibile ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. con domanda al giudice di appello, mentre è precluso il ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c.

Il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio e le fasi degli onorari dell’Avvocato

Non può ravvisarsi inoltre l’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello sulle spese di primo grado, anzitutto perché la violazione dell’art. 112 c.p.c. è configurabile solo rispetto ad eccezioni di merito, non a quelle processuali ed inoltre la Corte di appello, dopo aver ridotto l’importo delle spettanze professionali in accoglimento del gravame, ha provveduto d’ufficio ad una nuova liquidazione secondo l’esito finale della causa, restando ormai superata quella di primo grado e pertanto tacitamente assorbito il corrispondente motivo di appello, sulla cui fondatezza il giudice distrettuale non era tenuto a pronunciare.

2. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.M. 140/2012 e dell’art. 2233 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 c.p.c., lamentando che la Corte abbia liquidato i compensi in applicazione dei valori tabellari, pur avendo le parti sottoscritto in data 18.10.2012 un accordo che prevedeva il pagamento dell’intero compenso concordato, detratte le sole somme liquidate dal giudice a titolo di spese processuali, avendo la ricorrente titolo anche alle spettanze per la fase decisionale.

Il motivo è infondato.

Il perfezionamento dell’accordo che prevedeva esclusivamente l’applicazione dei parametri tabellari di cui al DM 140/2012 per le cause di valore indeterminabile è espressamente menzionato a pag. 2 della sentenza e di tale criterio il giudice distrettuale ha chiaramente fatto applicazione, liquidando quanto richiesto dalla ricorrente, detratto l’onorario per la fase decisoria.

L’assunto che l’accordo prevedesse la remunerazione di tutte le fasi, inclusa quella decisoria, anche a prescindere dallo svolgimento delle corrispondenti attività processuali, e non l’applicazione dei parametri ex D.M 140/2014 per le prestazioni di difesa effettivamente espletate, solleva un problema interpretativo del contratto non sostenuto da alcun elemento, dedotto in modo del tutto assertivo, che si risolve in una diversa interpretazione del contratto, inammissibile in cassazione, essendo la ricognizione della volontà dei contraenti rimessa al giudice di merito con apprezzamento censurabile o per vizio di motivazione o per violazione dei criteri interpretativi, da veicolare necessariamente attraverso la puntuale individuazione ed illustrazione – qui del tutto mancante – delle ragioni della loro non corretta utilizzazione (Cass. 9461/2021; Cass. 27136/2017; Cass. 1754/2006; Cass. 25278/2013).

3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 445 bis c.p.c., 11, punti cinque e sei, del D.M. 140/2012, lamentando che la pronuncia abbia negato valore definitivo e decisorio al decreto di omologa della conciliazione ed abbia respinto la richiesta degli onorari per la fase decisoria.

Il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio e le fasi degli onorari dell’Avvocato

Il motivo è fondato.

L’art. 445 bis c.p.c. prevede che nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti deve presentare con ricorso al giudice competente ai sensi dell’art. 442 c.p.c., presso il Tribunale nel cui circondario risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.

L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda.

Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio. In assenza di contestazione, con decreto non impugnabile né modificabile viene omologato l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze della relazione del consulente tecnico dell’ufficio, provvedendo sulle spese.

Nei casi di mancato accordo, la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.

La sentenza che definisce il giudizio è inappellabile.

L’istituto ha un evidente intento deflattivo, volto a ridurre il contenzioso rispetto a controversie in cui decisivo è proprio l’accertamento della sussistenza e del grado di invalidità, disponendo la norma che, in mancanza di contestazioni sugli esiti degli accertamenti, e pertanto in caso di omologa della relazione, le parti non sono ammesse più contestare il contenuto della relazione, dovendo l’Istituto procedere esclusivamente alla liquidazione delle prestazioni previdenziali sulla base dell’invalidità accertata.

Il ricorso all’accertamento preventivo dà luogo, quindi, ad un procedimento giurisdizionale sommario, sul modello dell’istruzione preventiva, a carattere contenzioso (Corte cost. 243/2014), diretto alla verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa che s’intende far valere in giudizio, cui fa seguito un (eventuale) giudizio di merito a cognizione piena. Anche in mancanza di contestazioni, lo scopo della norma è il conseguimento della certezza giuridica in ordine all’accertamento del requisito medico-sanitario.

Già nel corso del procedimento la funzione del giudice non è dimidiata (dovendo ad es. procedere alla verifica preliminare sui presupposti processuali e sulle condizioni dell’azione, cd. requisiti extra-sanitari della domanda: Cass. 14629/2021; Cass. 2820/2021; Cass. 20847/2019; 5338/2016, Cass. 13662/2015), disponendo di tutti i poteri di direzione del procedimento; quando omologa l’accertamento del requisito sanitario, adotta, inoltre, un provvedimento motivato dall’accordo tacito tra le parti, potendo inoltre disporre la rinnovazione della c.t.u. ai sensi dell’art. 196 cod. proc. civ., ove ritenuta carente (cfr. Corte cost. 243/2014).

L’omologa ha valore dichiarativo (privo di efficacia esecutiva) della sussistenza o meno del requisito medico-sanitario (Cass. 27010 del 2018) rendendo inoppugnabile un’acquisizione probatoria, senza decidere sul merito della domanda (essendo necessaria da parte dell’INPS la verifica anche degli altri requisiti che la legge prevede per l’attribuzione di un determinato beneficio).

Il decreto di omologa non è – difatti – successivamente contestabile né ricorribile ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. 22721/ 2016, Cass. 20847/019, ma è fatto salvo il caso che, ad es. sia stato adottato senza concedere alle parti il termine per manifestare eventuali contestazioni: Cass. 9356/2023) e deve contenere la pronuncia sulle spese, che è autonomamente impugnabile.

Il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio e le fasi degli onorari dell’Avvocato

Per quanto evidenziato non può allora trascurarsi che, a differenza degli atti di istruzione preventiva che si esauriscono con il deposito della relazione tecnica e con la fase istruttoria (regolati attualmente, riguardo alle spese, dalla tabella allegata al DM 55/2014, punto 9), l’art. 445 bis c.p.c. contempla un procedimento che si conclude con l’emissione di un provvedimento dichiarativo che rende incontestabile le risultanze del mezzo acquisito, pur non pronunciando sul diritto alla prestazione, e che resta limitatamente impugnabile.

L’attività del difensore non si esaurisce, pertanto, nelle prestazioni tipiche della fase istruttoria, ma comporta prestazioni ulteriori, in tutto corrispondenti a quelle che ricadono nella fase decisoria esemplificativamente descritta dall’art. 4 anche in mancanza di contestazioni (eventuale formulazione del dissenso, esame del decreto riguardo alle spese e all’eventuale pronuncia sulla condizioni extra-sanitarie della domanda, ritiro del fascicolo), dovendosi ritenere che, in mancanza di un’esplicita previsione tabellare, al difensore competa il compenso per tale fase, per analogia ai parametri previsti per gli altri procedimenti.

In conclusione è accolto il terzo motivo, con rigetto delle altre censure. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 9 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2024.

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