Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 giugno 2024| n. 16422.
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente allorché esso sia destinato a non essere pagato
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (ex articoli 1418 e 1470 del Cc), allorché esso sia programmaticamente destinato, nella comune intenzione delle parti, a non essere pagato. Tale programmatica esclusione del pagamento deve emergere dal testo negoziale (ossia dalla comune intenzione delle parti come estrinsecata nel contratto), affinché possa ingenerarne l’invalidità per mancanza dell’elemento essenziale del prezzo, e non già da elementi esterni o postumi, ipoteticamente incidenti sui diversi istituti della simulazione, della remissione del debito o semplicemente dell’inadempimento.
Ordinanza|12 giugno 2024| n. 16422. Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente allorché esso sia destinato a non essere pagato
Data udienza 29 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: VENDITA – Prezzo – Destinato a non essere pagato – Inesistenza del corrispettivo – Conseguenze – Nullità. (Cc, articoli 1418, 1425, 1442 e 1470)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 23498/2022) proposto da:
Pe.Er. (C.F.: Omissis), ammessa al patrocinio a spese dello Stato, in forza di delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli del 20 aprile 2022, prot. n. 2095/2022, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. Ci.Ga., elettivamente domiciliata ex lege in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
Pe.Ci. (C.F.: Omissis), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti Gabriele Gava e Dilla Gulmì, elettivamente domiciliato in Roma, via (…), presso lo studio dell’Avv. Fe.Di.;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1089/2022, pubblicata il 17 marzo 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente allorché esso sia destinato a non essere pagato
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione notificato il 2 agosto 2013, Pe.Er. conveniva, davanti al Tribunale di Napoli, Pe.Ci., al fine di: A) dichiarare la nullità o l’inesistenza o comunque pronunciare l’annullamento degli atti pubblici di vendita della nuda proprietà immobiliare, conclusi il 30 aprile 2001 e il 30 ottobre 2003 tra l’alienante Pe.An. e l’acquirente Pe.Ci., per l’inesistenza della corrispondente volontà dell’alienante o comunque per la sua incapacità di intendere e di volere, con l’attribuzione della proprietà degli immobili trasferiti in favore dell’attrice, quale erede della de cuius Pe.An.; B) dichiarare comunque la nullità di tali atti per insussistenza del requisito indispensabile del pagamento del prezzo o comunque pronunciarne la risoluzione per inadempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo; C) condannare il convenuto, in via generica, alla restituzione dei frutti ricavabili dagli immobili, con gli interessi decorrenti dal loro impossessamento; D) condannare il convenuto alla restituzione della somma di euro 50.000,00, quale quota parte del prezzo di acquisto versato dal terzo acquirente in forza di atto pubblico di vendita del 29 gennaio 2004, oggetto di indebita appropriazione in data 4 febbraio 2004, a scapito dell’alienante Pe.An., oltre interessi di mora.
Si costituiva in giudizio Pe.Ci., il quale chiedeva il rigetto delle domande spiegate, anche per l’intervenuta prescrizione, negando che l’alienante fosse incapace di intendere e di volere al momento in cui gli atti traslativi si erano perfezionati e sostenendo che il prezzo delle vendite stipulate in suo favore era stato corrisposto alla germana alienante in epoca precedente alla conclusione dei contratti mediante plurime elargizioni di denaro effettuate in favore di Pe.An., volte a far fronte alle esigenze economiche da questa manifestate.
Nel corso del giudizio era assunta la prova per interpello e testimoniale ammessa.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 6839/2017, depositata il 13 giugno 2017, rigettava le domande proposte per mancato raggiungimento della prova di una menomazione della sfera intellettiva e volitiva di particolare gravità in capo all’alienante Pe.An., pur se momentanea e transitoria, rilevando che il prezzo era stato corrisposto anticipatamente e che l’appropriazione della quota parte del prezzo ricevuto per l’atto di vendita del 29 gennaio 2004 era riconducibile alla volontà di Pe.An. di versare il suddetto importo al germano Pe.Ci. a titolo di rimborso dei prestiti erogati da quest’ultimo nel corso degli anni.
2.- Con atto di citazione notificato il 28 dicembre 2017, proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado Pe.Er., la quale lamentava: 1) l’erronea esclusione della nullità degli atti di vendita per mancanza di volontà dell’alienante o comunque per la sua incapacità di intendere e di volere al momento della conclusione delle vendite; 2) l’erroneo rigetto della domanda di condanna generica alla restituzione dei frutti; 3) l’omessa pronuncia sulla domanda di ripetizione dell’indebito della somma di euro 50.000,00.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione Pe.Ci., il quale concludeva per il rigetto del gravame, con la conseguente conferma della statuizione impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello proposto e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente allorché esso sia destinato a non essere pagato
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che l’azione di annullamento dei due atti di vendita del 30 aprile 2001 e del 30 ottobre 2003 si era prescritta per decorso del termine quinquennale dal giorno del loro perfezionamento, conformemente all’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto Pe.Ci. nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado depositata il 28 novembre 2013; b) che comunque la domanda di annullamento era infondata nel merito, in difetto di prova della sussistenza dell’incapacità naturale dell’alienante al momento della conclusione dei contratti, onere che ricadeva sulla parte che aveva chiesto l’annullamento, stante che il consulente medico-legale del Pubblico Ministero, nel procedimento penale avviato contro Pe.Ci., indagato per i reati di circonvenzione di incapace e appropriazione indebita, aveva concluso per una valutazione di mera probabilità che la paziente, già nel periodo compreso tra il 2001 e il 2004, non fosse più capace di autodeterminarsi con consapevolezza e sufficiente chiarezza, attesa l’indisponibilità di documenti medici relativi a tale periodo; c) che tale conclusione era avvalorata dalla relazione di uno specialista neurologo, prodotta dal convenuto, in cui emergeva che, nell’anno 2002, il quadro clinico non era ancora caratterizzato da uno sfacelo psichico, insorto solo successivamente; d) che neanche la raccolta prova testimoniale deponeva in senso favorevole alla tesi attorea, in quanto le dichiarazioni rese risultavano di scarsa utilità pratica, giacché contraddittorie e comunque espresse da soggetti privi delle idonee cognizioni scientifiche; e) che all’uopo non sarebbe stato sufficiente che Pe.An., al momento della stipulazione delle vendite, presentasse un perturbamento psichico, ma sarebbe stato invece necessario, ai fini dell’annullamento, che tale perturbamento fosse tale da menomare gravemente le facoltà intellettive e da impedire una seria valutazione dei propri atti; f) che la pronuncia penale del Tribunale di Napoli, di cui alla sentenza n. 15640/2011, che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato Pe.Ci., ai sensi dell’art. 531 c.p.p., per intervenuta prescrizione dei reati ascrittigli – pronuncia penale divenuta irrevocabile -, pur avendo negato l’evidenza dell’insussistenza del fatto o che l’imputato non lo avesse commesso, ai sensi dell’art. 129, secondo comma, c.p.p., non poteva essere equiparata all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato; g) che anche la domanda di accertamento della nullità delle due vendite per mancanza di causa, in ragione del carattere meramente irrisorio e simbolico dei prezzi di acquisto stabiliti, doveva essere disattesa, poiché il prezzo era stato pattuito nel contratto in termini effettivi, attesa altresì la contraddittorietà tra la domanda di nullità – che presupponeva la volontà di porre in essere una vendita nulla – e l’azione di annullamento per l’incapacità di intendere e di volere della venditrice; h) che, altresì, l’annullabilità del contratto per incapacità naturale del contraente configurava una situazione giuridicamente incompatibile con la declaratoria di nullità per simulazione; i) che anche la domanda di risoluzione per inadempimento, proposta in via subordinata, sulla quale il Tribunale non si era pronunciato, doveva essere respinta, poiché l’acquirente aveva adempiuto alle fondamentali obbligazioni sullo stesso gravanti; l) che, contrariamente all’assunto dell’appellante, il Tribunale si era pronunciato sulla domanda di ripetizione dell’indebito, nella misura di euro 50.000,00, ritenendola infondata, infondatezza che era avvalorata dall’omessa produzione del rogito del 29 gennaio 2004.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, Pe.Er..
Ha resistito, con controricorso, l’intimato Pe.Ci..
4.- Le parti hanno depositato memorie illustrative.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., per avere la Corte di merito omesso di valutare le risultanze del procedimento penale, atteso che la sentenza penale, nonostante la dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati ascritti a chiusura dell’istruttoria dibattimentale, aveva precisato che il materiale acquisito – e soprattutto le dichiarazioni lucide, conseguenziali e logiche rese sul punto da Pe.Er. – non consentiva di addivenire ad una pronuncia più favorevole all’imputato.
Obietta l’istante che la Corte d’appello avrebbe accertato in via autonoma i fatti costituenti il presupposto della domanda spiegata ed avrebbe attinto alle risultanze dell’istruttoria penale solamente ai fini di un eventuale inverso convincimento, mentre avrebbe dovuto verificare la sussistenza dei fatti materiali in concreto accertati in sede penale, anche all’esito di una loro eventuale rivalutazione autonoma.
1.1.- Il motivo è in parte qua inammissibile e in parte qua infondato.
1.2.- E ciò perché la Corte del gravame ha anzitutto dichiarato l’intervenuta prescrizione della domanda di annullamento per incapacità naturale dell’alienante ex artt. 1425, secondo comma, e 428 c.c. dei contratti conclusi il 30 aprile 2001 e il 30 ottobre 2003, per decorso del termine quinquennale dalla loro stipulazione ex art. 1442, primo e terzo comma, c.c. e solo in via subordinata ne ha comunque sostenuto l’infondatezza per difetto di prova sull’incapacità di intendere e di volere della venditrice all’epoca della stipulazione dei contratti.
Il motivo di ricorso si appunta invece solo sulla ratio decidendi subordinata.
Ora, la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato.
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Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11404 del 29/04/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 9293 del 08/04/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 3402 del 06/02/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 18046 del 23/06/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 17182 del 14/08/2020; Sez. 3, Sentenza n. 10815 del 18/04/2019; Sez. 3, Sentenza n. 21490 del 07/11/2005; Sez. L, Sentenza n. 3236 del 28/05/1985).
1.3.- Quanto alla dedotta nullità (imprescrittibile) per mancanza di volontà dell’alienante, è stato accertato che nessuna incapacità tale da importare – con valutazione incidenter tantum – la circonvenzione dell’alienante si fosse determinata.
Ora, la fattispecie incriminatrice della circonvenzione d’incapace prevista dall’art. 643 c.p. (il cui scopo va ravvisato, più che nella tutela dell’incapacità in sé e per sé considerata, nella tutela dell’autonomia privata e della libera esplicazione dell’attività negoziale delle persone in stato di menomazione psichica) deve annoverarsi tra le norme imperative la cui violazione comporta, ai sensi dell’art. 1418 c.c., oltre alla sanzione penale, la nullità del contratto concluso in spregio della medesima (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10329 del 19/05/2016; Sez. 2, Sentenza n. 2860 del 07/02/2008; Sez. 1, Sentenza n. 12126 del 23/05/2006; Sez. 2, Sentenza n. 1427 del 27/01/2004; Sez. 2, Sentenza n. 8948 del 29/10/1994).
Senonché la sentenza impugnata – valutando le risultanze del procedimento penale conclusosi con la sentenza irrevocabile del Tribunale di Napoli n. 15640/2011 di proscioglimento per intervenuta prescrizione dei reati contestati ed esaminando altresì gli elementi probatori raccolti nel procedimento civile – ha verificato il difetto di riscontri sull’assenza di volontà di Pe.An. in ordine al trasferimento della nuda proprietà dei cespiti di cui agli atti pubblici del 30 aprile 2001 e del 30 ottobre 2003.
E ciò avuto riguardo: – alla valutazione di mera probabilità espressa dal consulente medico-legale del Pubblico Ministero circa il fatto che la paziente, già nel periodo compreso tra il 2001 e il 2004, non fosse più capace di autodeterminarsi con consapevolezza e sufficiente chiarezza, attesa l’indisponibilità di documenti medici relativi a tale periodo; – alle conclusioni della relazione di uno specialista neurologo, prodotta dal convenuto, in cui emergeva che, nell’anno 2002, il quadro clinico non era ancora caratterizzato da uno sfacelo psichico, insorto solo successivamente; – alla scarsa utilità pratica delle testimonianze rese, giacché contraddittorie e comunque espresse da soggetti privi delle idonee cognizioni scientifiche.
Siffatta determinazione è conforme al principio secondo cui, in tema di giudicato, la disposizione di cui all’art. 652 c.p.p., così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extra-penale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente; ne consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 21299 del 09/10/2014; Sez. U, Sentenza n. 1768 del 26/01/2011).
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente allorché esso sia destinato a non essere pagato
La Corte del gravame ha altresì aggiunto che l’esclusione dell’evidenza circa l’insussistenza del fatto o la non commissione da parte dell’imputato non poteva essere equiparata all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato medesimo, in difetto di alcun accertamento dei fatti di reato.
Sicché – in difetto di alcun accertamento di tali fatti e in ragione della mera negazione dell’evidenza dei presupposti per disporre l’assoluzione – non avrebbe potuto applicarsi il principio secondo cui la sussistenza dei fatti materiali in concreto accertati in sede penale, nonostante il proscioglimento per estinzione del reato, spiega effetti nel giudizio civile vertente tra le stesse parti che hanno partecipato al processo penale, anche se può essere operata una loro rivalutazione in via autonoma, qualora da essi dipenda il riconoscimento del diritto fatto valere in quella sede (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 12973 del 30/06/2020; Sez. 3, Sentenza n. 24082 del 17/11/2011).
2.- Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, primo comma, c.p.c. e 2730 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la domanda di ripetizione dell’indebito della somma di euro 50.000,00 dovesse comunque essere respinta, stante la circostanza che mancava agli atti la prova costituita dall’atto di compravendita del 29 gennaio 2004, con cui Pe.An. aveva venduto a terzi.
E ciò senza considerare che, nel corso del procedimento penale, Pe.Ci. aveva riconosciuto di non aver versato i corrispettivi previsti, perché dette somme di denaro avrebbero dovuto compensare le innumerevoli spese effettuate per far fronte alle necessità della sorella.
Sicché la confessione resa dal Pe.Ci. avrebbe reso non necessaria la produzione dell’atto di vendita.
2.1.- Il motivo è inammissibile.
In primis, si rileva che la doglianza si appunta avverso la statuizione del giudice del gravame che, dopo avere disatteso il motivo d’appello secondo cui il Tribunale non si sarebbe pronunciato sulla domanda di ripetizione dell’indebito oggettivo per l’importo di euro 50.000,00 – ritenendo, invece, che il giudice di primo grado avesse pronunciato su tale domanda, rigettandola -, ne ha confermato l’infondatezza, in mancanza della produzione del contratto di vendita in favore del terzo di cui al rogito del 29 gennaio 2004. E proprio sulla conferma dell’infondatezza della domanda si incentra il motivo di ricorso.
Senonché, la censura muove da un presupposto intrinsecamente erroneo. E ciò perché la riportata dichiarazione confessoria posta a fondamento della censura si riferisce al mancato versamento dei corrispettivi degli atti di vendita del 30 aprile 2001 e del 30 ottobre 2003, in cui Pe.Ci. figurava quale acquirente della nuda proprietà.
Per converso, a fronte della vendita immobiliare del 29 gennaio 2004, da Pe.An. al terzo Pa.Al., per il corrispettivo di euro 70.000,00, la stessa attrice nel giudizio di primo grado contestava a Pe.Ci., non già di non aver corrisposto il prezzo, bensì di avere – dopo il versamento del prezzo a cura del terzo acquirente sul conto corrente cointestato a Pe.An. e Pe.Ci. – disposto il trasferimento sul conto intestato al solo Pe.Ci. della somma di euro 50.000,00, mediante l’emissione in data 4 febbraio 2004 di due assegni dell’importo di euro 25.000,00 ciascuno, tratti sul conto cointestato ai germani Pe.Ci..
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente allorché esso sia destinato a non essere pagato
Sicché la dichiarazione confessoria in tesi disattesa, su cui si impernia la doglianza, non attiene alla statuizione censurata.
Il che lascia impregiudicato il rilievo in forza del quale la mancata produzione del contratto di vendita del 29 gennaio 2004 non ha consentito di reputare comprovata la domanda di ripetizione dell’indebito, e segnatamente la causale dell’originario versamento sul conto cointestato ai germani Pe.Ci. della somma di euro 70.000,00, quale presupposto fattuale della pretesa ripetizione.
3.- Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., per avere la Corte distrettuale negato la nullità degli atti di vendita del 30 aprile 2001 e del 30 ottobre 2003 per l’inesistenza del prezzo, benché, in ragione della confessione resa dal convenuto in sede penale, in ordine al mancato pagamento del prezzo di tali acquisti (salvo poi giustificare tale omissione con la apodittica circonlocuzione circa la compensazione operata con le spese anticipate a favore della congiunta venditrice), emergesse che, nella comune intenzione delle parti, il prezzo fosse programmaticamente destinato a non essere pagato.
Ad avviso dell’istante, inoltre, tale mancato pagamento del prezzo avrebbe inciso sulla valutazione della risolubilità della compravendita per inadempimento dell’obbligazione, posto che la semplice deduzione di una datio in solutum sarebbe stata del tutto ingiustificata e comunque non provata.
3.1.- Il motivo è infondato.
Orbene, il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (ex artt. 1418 e 1470 c.c.), allorché esso sia programmaticamente destinato, nella comune intenzione delle parti, a non essere pagato (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30836 del 26/11/2019; Sez. 2, Sentenza n. 22617 del 10/09/2019; Sez. 2, Sentenza n. 17746 del 08/09/2015; Sez. 2, Sentenza n. 9640 del 19/04/2013; Sez. 2, Sentenza n. 9144 del 28/08/1993).
Tale programmatica esclusione del pagamento deve emergere dal testo negoziale (ossia dalla comune intenzione delle parti come estrinsecata nel contratto), affinché possa ingenerarne l’invalidità per mancanza dell’elemento essenziale del prezzo, e non già da elementi esterni o postumi, ipoteticamente incidenti sui diversi istituti della simulazione, della remissione del debito o semplicemente dell’inadempimento.
D’altronde, qualora le parti della vendita stabiliscano di compensare il prezzo pattuito con il debito pregresso del venditore verso l’acquirente, il relativo accordo non fa venir meno il contratto di compravendita.
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente allorché esso sia destinato a non essere pagato
Attenendo tale accordo integrativo solutorio all’esecuzione del contratto e non al suo perfezionamento, esso può essere oggetto di convenzione anche non scritta tra le parti ed aver luogo anche in un momento successivo al perfezionamento del contratto stesso, essendo normale che l’esecuzione di un contratto avvenga non contestualmente, ma in un momento posteriore a quello della formazione del consenso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2268 del 09/04/1980; Sez. 1, Sentenza n. 1966 del 22/06/1971).
In ultimo, a fronte di tale accordo di compensazione, nessun riconoscimento dell’inadempimento dell’acquirente può essere desunto dalle dichiarazioni richiamate.
4.- Quanto all’istanza avanzata dal controricorrente nella propria memoria illustrativa, con cui si chiede che sia ordinata la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale proposta, trascrizione avvenuta solo successivamente alla pronuncia di secondo grado, sulla quale dunque non si configurerebbe né un difetto di domanda della parte interessata nel giudizio di merito, né un’omessa pronuncia, essa è inammissibile in questa sede di legittimità (in quanto domanda nuova).
E così è inammissibile ex art. 372 c.p.c. la produzione a supporto della richiesta (ossia la nota di trascrizione della domanda giudiziale, descritta come dichiarazione di annullamento di atti, del 2 agosto 2013, proposta davanti al Tribunale di Napoli, effettuata presso l’Agenzia delle Entrate – Ufficio provinciale di Napoli – Territorio – Servizio di pubblicità immobiliare di Napoli 2 in data 8 giugno 2022, r.g. n. 28.317, r.p. n. 21.705, dopo il deposito della sentenza d’appello del 17 marzo 2022). 5.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 9.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 29 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 12 giugno 2024.
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