Il potere di riduzione della penale ad equità

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|5 febbraio 2024| n. 3297.

Il potere di riduzione della penale ad equità

Il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c., può essere esercitato d’ufficio anche quando la penale è stata spontaneamente pagata perché i rimedi contrattuali sono esperibili anche dopo che il contratto è stato eseguito, salva la prescrizione. (In applicazione del principio la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che, avendo ridotto la penale prevista per la anticipata risoluzione del contratto, aveva condannato la parte che ne aveva ricevuto il pagamento spontaneo a restituire l’eccesso).

Sentenza|5 febbraio 2024| n. 3297. Il potere di riduzione della penale ad equità

Data udienza 8 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti in genere – Clausola penale – Riduzione clausola penale – Potere di riduzione ex officio – Configurabilità del potere di riduzione anche in seguito al pagamento della penale – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere – Rel.

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23350/2018 R.G. proposto da:

(…) Srl UNIPERSONALE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati CA.ST. ((Omissis)), GR.N. ((Omissis))

– ricorrente –

contro

(…) & C Sas, elettivamente domiciliato in ROMA omissis, presso lo studio dell’avvocato CH. AN. ((Omissis)) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MA. RO. ((Omissis)), VI. FR. ((Omissis))

– controricorrente –

Nonché contro

Ma.To., An.Sa.

– intimati –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1635/2018 depositata il 12/06/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2024 dal Consigliere CRICENTI

Il potere di riduzione della penale ad equità

FATTI DI CAUSA

1. – La società (…), in data 1.7.2004, ha stipulato un contratto di prestazione artistica con la società (…) Srl, alla quale ha conferito l’incarico di organizzare eventi dietro compenso. L’articolo 7 di detto contratto conteneva una clausola con la quale era previsto che “in caso di interruzione anticipata del contratto da parte della società (…) Srl” quest’ultima avrebbe dovuto corrispondere alla (…) una penale pari al 30% del corrispettivo pagato nell’anno solare precedente. Viceversa, nel caso di “interruzione anticipata del contratto” da parte di Gi. sarebbe stata quest’ultima a corrispondere a (…) Srl una penale pari, in questo caso, al 30% del fatturato.

2. – É accaduto che tuttavia (…) ha venduto l’immobile in cui (…) Srl avrebbe dovuto organizzare gli eventi, ed ha comunicato a quest’ultima, con lettera del 28.9.2009, che, a causa di ciò, “il contratto stipulato in data 1 luglio 2004 doveva intendersi risolto anticipatamente alla data del 23 novembre 2009”.

Nella stessa lettera (…) ha riconosciuto consequentemente di dover corrispondere a (…) Srl la penale prevista in contratto, che poi spontaneamente ha pagato.

3. – Tuttavia, qualche tempo dopo, la stessa (…) ha ritenuto che quella penale fosse eccessiva (si trattava di circa 700 mila euro) ed ha agito per ottenerne la riduzione.

4. – Il Tribunale di Verona ha stimato che la domanda proposta da (…) fosse di ripetizione dell’indebito, e, ritenuta altresì la manifesta eccessività della penale, l’ha ridotta considerevolmente, condannando (…) Srl a restituire l’eccedenza.

5. – Questa tesi è stata poi confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza che viene qui impugnata da (…) Srl con tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste la (…) con controricorso e memoria.

Il potere di riduzione della penale ad equità

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. – La ratio della decisione impugnata.

La Corte di Appello di Venezia, accertato che la clausola in questione costituisce una clausola penale, ossia una clausola che attribuisce una somma alla parte adempiente a fronte dell’inadempimento dell’altra, l’ha ritenuta manifestamente eccessiva ed ha altresì ritenuto che la circostanza che essa sia stata spontaneamente pagata non impedisce al giudice di ridurla ad equità, rientrando tale riduzione tra i suoi poteri esercitabili d’ ufficio. Di conseguenza, ridotta la penale, i giudici hanno stimato che la somma eccedente è stata corrisposta senza titolo, ed hanno di conseguenza disposto che andasse restituita secondo le regole dell’indebito.

Questa ricostruzione è qui confutata, come si è detto, con tre motivi.

7. – I motivi di ricorso.

8. – Il primo motivo prospetta una violazione dell’articolo 112 c.p.c.

La società ricorrente assume che la decisione impugnata non ha deciso alcunché sulla questione della possibilità di ridurre la penale qualora essa sia stata corrisposta spontaneamente dalla parte che vi era obbligata.

9. – Il secondo motivo prospetta una violazione dell’articolo 1384 c.c.

La tesi è che il giudice può ridurre la penale fino a che il contratto sia in essere e comunque fino a che la penale non sia stata corrisposta. Non può più farlo quando invece la clausola sia stata eseguita, tra l’altro liberamente e volontariamente, con conseguente estinzione dell’obbligazione.

La riduzione di una penale già eseguita, peraltro, lede, secondo la ricorrente, l’affidamento della parte che ha ricevuto il pagamento, che è portata a considerare come dovuto il pagamento effettuato spontaneamente.

Inoltre, corrispondere una somma spontaneamente e poi pretenderne la restituzione, equivale a venire contra factum proprium, ossia ad adottare un comportamento contraddittorio e come tale improduttivo di effetti.

10. – Con il terzo motivo si prospetta una violazione degli articoli 112 c.p.c. e 2033 c.c.

La tesi è che, anche ad ammettere che la penale sia riducibile, non si produce l’effetto della ripetizione, poiché la somma che deve essere restituita è stata spontaneamente corrisposta sulla base di un titolo, che, al momento del pagamento, era valido ed efficace. Su tale questione, tra l’altro, secondo la ricorrente, il giudice di appello non si sarebbe pronunciato.

11. – Questi tre motivi, come è agevole intendere, pongono una questione comune e dunque può farsene scrutinio unitario.

Per le ragioni che seguono essi vanno considerati infondati.

12. – La soluzione è in particolare condizionata dall’orientamento assunto da questa Corte sulla questione della riducibilità della penale, e del rapporto, che rispetto alla clausola penale, si pone tra autonomia privata e poteri del giudice.

Il potere di riduzione della penale ad equità

Questa Corte ha ritenuto ormai da tempo che “in tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art.1384 cod. civ. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest’ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.” (Cass. 18128/ n2005).

Da questa regola, che ha avuto ampio seguito (Cass. 8293/ 2006; Cass. 2202/ 2007; Cass. 25334 / 2017), si ricava che la riduzione può operare anche contro la volontà delle parti, proprio perché è prevista non solo nell’interesse di una di essa, ma nell’interesse generale a che non si stipulino contratti eccessivamente iniqui. Ciò ha come corollario che la penale può essere ridotta anche se le parti la prevedano espressamente come irriducibile. Questo orientamento è ormai consolidato. Non può essere messo qui in discussione, ed obbliga alla conclusione per cui la clausola penale può essere ridotta dal giudice anche ove ne sia stato fatto adempimento spontaneo.

Alla luce di questo principio di diritto, ormai affermatosi in giurisprudenza, e vale a dire che la penale può essere ridotta d’ufficio dal giudice a prescindere dalla volontà delle parti, vanno dunque affrontati gli argomenti fatti valere dalla società ricorrente per affermare invece il contrario.

La circostanza, infatti, che la penale può essere ridotta dal giudice d’ufficio anche ove le parti abbiano concordato la sua irriducibilità, significa che l’autonomia privata, secondo l’orientamento giurisprudenziale predetto, può essere sacrificata in ragione di un certo interesse generale alla stipula di contrati equi. Non vale cioè obiettare che il giudice che riduce la penale, pur dopo che essa è adempiuta spontaneamente, contraddice l’autonomia delle parti e disattende la loro volontà: argomento vano di fronte al principio di diritto per cui il giudice può invece ridurre l’ammontare, anche d’ufficio, e farlo nell’interesse generale, quindi a prescindere dalla volontà delle parti.

Inconferente appare poi l’argomento dell’affidamento, generato dal pagamento spontaneo, in quanto proprio l’eventualità che sia il giudice, anche d’ufficio, a poter ridurre la penale, e dunque “a sorpresa”, esclude che possa parlarsi di affidamento, che è riconosciuto ad una parte verso le condotte dell’altra, ma non verso le decisioni del giudice.

L’affidamento è una situazione che opera nei rapporti tra privati o tra privati e pubblica amministrazione, ma non nei confronti del giudice. Ove sia riconosciuto a quest’ultimo il potere di disattendere l’accordo delle parti (in tutto o in parte) è evidente che non si possa ragionare di affidamento: la nullità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado (sia pure a certe condizioni) e non si può impedire che il giudice la rilevi assumendo che ormai si era fatto affidamento sulla validità del contratto.

Il potere di riduzione della penale ad equità

L’affidamento e una situazione giuridica riconosciuta ad una parte nei confronti dell’altra, non ad una parte nei confronti del giudice, ed opera ad impedire che la fiducia creata in una determinata condotta venga lesa da una condotta contraria. Ma non può la parte invocarla al fine di impedire al giudice di attuare interessi generali nel rapporto negoziale.

Inoltre, il pagamento spontaneo di una somma, in adempimento di una obbligazione, non genera un affidamento tale da impedire a chi ha adempiuto un ripensamento ed una richiesta di restituzione: di per sé, il pagamento di un debito non è irretrattabile sulla base del semplice affidamento creato nell’accipiens.

Né può darsi rilievo al fatto che chi ha pagato non ha fatto “riserva” di ripetizione: il pagamento è atto giuridico in senso stretto, chi lo attua non dispone degli effetti e non li può condizionare con dichiarazioni di volontà, le quali sono irrilevanti rispetto all’effetto legale di estinzione della obbligazione: se, nel momento in cui pago un debito, dichiaro che non voglio adempiere ma fare una liberalità, questa dichiarazione non incide sull’effetto estintivo dell’obbligazione previsto dalla legge, che non e disponibile dalla parte. Allo stesso modo, la dichiarazione dispositiva degli effetti (“pago ma con riserva”) e irrilevante sull’oggettiva funzione dell’adempimento, che resta quella di estinguere il debito. Correlativamente, non aver fatto la riserva di ripetere quanto pagato non toglie all’atto la sua natura di adempimento e non pregiudica la successiva richiesta di ripetizione dell’indebito. Altrettanto inconferente è il richiamo al principio del venire contra factum proprium, che mira a privare di effetto comportamenti contraddittori.

La regola del “venire contra factum proprium” che, come e noto, non ha fondamento normativo, e che, in genere, viene ricondotta all’obbligo di buona fede, e una regola che mira a privare di effetti i comportamenti contraddittori: nel comportamento contraddittorio

viene infatti ravvisata una violazione del principio di buona fede, dato l’affidamento che la condotta del titolare del diritto aveva determinato.

Qui non c’è alcunché di contraddittorio: chi paga non chiede, con comportamento contrario, di non pagare; non siamo in un caso di “protestatio contra factum”: chi paga, poi ci ripensa, e ritenendo di aver pagato indebitamente, chiede la riduzione ad equità, e questa è una vicenda tipica di quasi ogni obbligazione, posto che non è fatto alcun divieto, salva la specifica irripetibilità in alcune circostanze, di chiedere al giudice una verifica del pagamento effettuato sulla base di circostanze passate.

La differenza con il venire contra factum proprium è evidente: in quel caso il comportamento precedente è smentito da uno contemporaneo o successivo, ma non è contestato. Così è nel caso presente: chi ha adempiuto la penale contesta la sua legittimità, ritiene, cioè, che non avrebbe dovuto pagarla, e dunque la sua azione volta a farla dichiarare in parte illegittima (perché eccessiva) non contraddice il precedente comportamento ma mira a privarlo di effetto.

Infine, va ricordato, ad evitare confusioni, che il pagamento dell’indebito non è una autonoma fattispecie negoziale, ma è un effetto che consegue a vicende tra loro diverse: può derivare dall’annullamento del titolo, dal difetto originario, dalla risoluzione del titolo stesso, da un adempimento errato, ma anche da una decisione giudiziaria che ritenga eccessivo quanto pagato e dunque non dovuta l’eccedenza. Il che significa che la restituzione dell’indebito non è frutto di una condotta della parte in contraddizione con quella precedente (ossia con il pagamento) ma è frutto di una valutazione del giudice di ritenere eccessiva la penale, valutazione che può essere operata d’ufficio e dunque a prescindere dal ripensamento della parte, ed a prescindere da una condotta di quest’ultima in contraddizione con l’apparenza creata.

Il potere di riduzione della penale ad equità

Infine, la ricorrente assume che, sia pure riducibile dal giudice la penale fino a che essa non è pagata, non può più esserlo quando invece sia stata adempiuta, e ciò in ragione del fatto che il potere del giudice può essere esercitato fino a che l’obbligazione è in essere, non quando sia estinta. L’argomento è suggestivo, ma di certo non fondato. Non è insolito né contrario ad una qualche regola legale che l’accordo delle parti sia vanificato dopo che è stato eseguito: del resto la nullità di una compravendita può essere pronunciata pur dopo che le parti abbiano rispettivamente consegnato il bene e pagato il prezzo. E chi ha pagato, quale che sia il titolo del pagamento, ha termine ordinario di prescrizione per chiedere che il pagamento venga accertato come indebito. Non ha fondamento né normativo né logico una regola per cui i rimedi contrattuali possono essere esperiti solo fino a che il contratto sia ineseguito, e non possono più esserlo dopo che invece è stato adempiuto, salva ovviamente la prescrizione.

Il ricorso va dunque rigettato, ma la novità, almeno sotto certi aspetti della questione, consente la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .

Così deciso in Roma 8 gennaio 2024.

Depositato in cancelleria il 5 febbraio 2024.

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