Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|4 settembre 2024| n. 23738.

Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

Il patto di quota lite (vietato dall’art. 13, comma 4, della l. n. 247 del 2012) è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi in tal modo la partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni alla prestazione richiestagli, che il divieto suddetto mira a scongiurare. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il patto con cui il compenso dell’avvocato era stato parametrato ad una percentuale dell’importo che, in caso di esito positivo della lite, la cliente avrebbe percepito a titolo di risarcimento del danno conseguente all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatole).

Sentenza|4 settembre 2024| n. 23738. Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

Data udienza 9 luglio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Avvocato e procuratore – Onorari – Patto di quota lite patto di quota lite – Compenso convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta – Integrazione – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere-Rel.

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5713/2020 R.G. proposto da:

Sp.Mo., elettivamente domiciliato in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato MI.GI. (Omissis) che lo rappresenta e difende

-ricorrente-

contro

Ba.Ad., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati DO.MA. (Omissis), MA.FL. (Omissis)

-controricorrente-

avverso ORDINANZA di TRIBUNALE TRIESTE n. 3702/2018 depositata il 02/12/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2024 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Trieste, con ordinanza del 2.12.2019, ha condannato Sp.Mo. al pagamento dei compensi professionali in favore dell’Avv. Ba.Ad. per la difesa svolta innanzi al Tribunale di Udine in funzione di giudice del lavoro, in primo e secondo grado, in una controversia avente ad oggetto l’impugnativa di licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Il giudizio si era concluso con la soccombenza in primo grado e le parti, successivamente, in data 13.10.2015, avevano stabilito che, per la difesa nel giudizio d’appello, in caso di soccombenza, il compenso sarebbe stato contenuto in Euro 8000,00 mentre, in caso di vittoria sarebbe stato determinate in una percentuale pari al 15% delle somme ricevute dalla Sp.Mo. dal Comune di A. Nella scrittura privata, si specificava che “resta inteso che eventuali somma pagate dal Comune di T. di A. a titoli di rifusione spese legali si somma alla percentuale sopra pattuita e restano acquisite al professionista”

Poiché il giudizio si era concluso in senso favorevole per Sp.Mo., l’Avv. Ba.Ad. agì chiedendo la liquidazione del compenso, secondo la percentuale prevista nell’accordo. Il Tribunale di Trieste accolse la domanda, ritenendo legittimo il patto di quota lite, anche alla luce dell’art. 13 comma 3 e 4 della L. n. 247 del 2012, perché il compenso non aveva ad oggetto la res litigiosa o una sua porzione, ma una percentuale sul valore della controversia. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso Sp.Mo. sulla base di cinque motivi.

Ha resistito con controricorso l’Avv. Ba.Ad.

Il Pubblico Ministero nella persona del Dott. Aldo Cennicola ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative.

Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 3 e 4 della L. 247/2012 e dell’art.25 del codice deontologico forense approvato dal CNF nella seduta del 31.1.2014, dell’art.1261 c.c., la nullità dell’accordo del 13.10.2015, la violazione dell’art.1362 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto valido l’accordo con cui si stabiliva il patto di quota lite, poiché il compenso era commisurato ad una percentuale delle somme che la ricorrente avrebbe percepito a titolo di retribuzioni intermedie dalla data dell’illegittimo licenziamento e fino alla data di reintegra. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 33 e 36 del D.Lgs. 206/2005 in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., perché vi sarebbe uno squilibrio tra il professionista ed il cliente, avente la qualifica di consumatore. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art.29, comma 4 del Codice deontologico approvato dal CNF nella seduta del 31.1.2014, degli artt. 2233, comma 2 c.c., e dell’art.1339 c.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sotto il profilo della sproporzione delle prestazioni.

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art.9, comma 3, del D.L. 24.1.2012, conv. nella L. 24 marzo 2012, n. 27, la violazione degli artt. 1362 c.c. e 1369 c.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio perché il Tribunale avrebbe arbitrariamente aggiunto alla percentuale indicata nell’accordo anche gli oneri accessori mentre l’accordo avrebbe natura omnicomprensiva.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1362 c.c., 1366 c.c. e 1369 c.c. perché il calcolo della percentuale avrebbe dovuto calcolarsi sulle retribuzioni nette. Il primo motivo è fondato con assorbimento dei restanti. Il patto di quota lite, vietato in modo assoluto dall’art. 2233, terzo comma, c.c., nella sua originaria formulazione, è divenuto lecito in base alla modifica di cui all’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, convertito, con modifiche, nella legge n. 248 del 2006, che ha stabilito l’abrogazione disposizioni legislative che prevedevano, tra l’altro, il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.

Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

Il successivo comma 2-bis dell’art. 2 cit., introdotto in sede di conversione, ha poi riscritto l’ultimo comma dell’art. 2233 c.c., stabilendo l’obbligo di forma scritta, sotto pena di nullità, per i patti conclusi tra gli avvocati ed i clienti contenenti la regolazione dei compensi professionali.

È poi seguita la successiva nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense introdotta dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247, ratione temporis applicabile, che ha modificato nuovamente la disciplina, stabilendo che la pattuizione dei compensi è libera (art. 13, comma 3), ma prevedendo esplicitamente il divieto dei patti “con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”(art. 13, comma 4).

In particolare, l’art.13, comma 3 della L. 31.12.2012, n.247, ammette “la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul

valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”.

Il coordinamento tra il terzo e quarto comma impone all’interprete la distinzione tra i patti commisurati, anche in percentuale sul valore dell’affare, che sono ammessi ed il patto di quota lite, che è vietato. Dal combinato disposto dalle due norme si ricava che se la percentuale può essere certamente rapportata al valore dei beni o degli interessi litigiosi, non lo può essere quanto al risultato, in piena coerenza con la ratio del divieto volto ad enfatizzare il distacco del legale dagli esiti della lite; in tal modo, si evita la commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato, che si avrebbe qualora il compenso fosse collegato, in tutto o in parte, all’esito della lite, con il rischio così della trasformazione del rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo.

Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

Come sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare Cassazione civile sez. II, 06/07/2022, n.21420, non massimata ed i precedenti in essa richiamati), il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.

Ne consegue che il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione (Cass. 11485/1997; Cass. 4777/1980).

Coerentemente con la ratio del divieto, infatti, accentuando il distacco dell’avvocato dagli esiti della lite, diminuisce la portata dell’eventuale commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato (Cass. Sez. Unite, N.25012/2014).

La nullità del patto di quota lite è assoluta e colpisce qualsiasi negozio avente ad oggetto diritti affidati al patrocinio legale, anche di carattere non contenzioso, sempre che esso rappresenti il modo con cui il cliente si obbliga a retribuire il difensore, o, comunque, possa incidere sul suo trattamento economico.

Nel caso di specie, il compenso dell’avvocato era stato parametrato ad una percentuale dell’importo che la ricorrente avrebbe percepito dal Comune a titolo di retribuzioni intermedie dalla data dell’illegittimo licenziamento fino alla data di reintegra. Il compenso non era parametrato al valore presunto della controversia, determinabile in via approssimativa già al momento del conferimento dell’incarico, ma al risultato raggiunto all’esito del giudizio, avente ad oggetto non solo la reintegra nel posto di lavoro, ma anche la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni non versate.

Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

L’argomento sostenuto dalla controricorrente, secondo cui la causa verteva sull’illegittimità del licenziamento, non è condivisibile in quanto a tale accertamento conseguiva la condanna al pagamento delle retribuzioni e, sulla loro percentuale, ovvero sulla res litigiosa, era stato determinato il compenso dell’avvocato.

Viene dunque in rilievo non una questione di interpretazione dell’accordo, ma una questione di falsa applicazione dell’art. 13 terzo comma, essendo stata quest’ultima estesa ad un caso non consentito, ovvero alle ipotesi in cui il compenso sia correlato al risultato pratico dell’attività svolta.

Non è condivisibile la tesi difensiva secondo cui la corresponsione di una somma parametrata al risultato raggiunto costituiva “palmario”. Nel sostenere tale tesi, la controricorrente ha enfatizzato la previsione dell’accordo in forza del quale, oltre alla percentuale de 15%, all’Avv. Ba.Ad., in caso di vittoria della lite, erano dovute le somme pagate dal Comune di A. a titolo di rifusione delle spese legali. Il palmario, secondo la giurisprudenza di questa Corte, costituisce una componente aggiuntiva del compenso riconosciuta dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite, a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e la difficoltà della prestazione professionale (Cassazione civile sez. un., 08/06/2023, n.16252; Cassazione civile sez. II, 26/04/2012, n.6519).

Nel caso di specie, manca, nell’accordo intercorso tra cliente e professionista il riferimento al pagamento di una somma ulteriore, aggiuntiva, cioè, al compenso, in caso di esito positivo della controversia o in caso di particolare gravosità dell’impegno. La nullità del patto di quota lite non pregiudica la validità dell’intero contratto di patrocinio (Cass. Civ., Sez. II, 30.7.2018, n.20069), e, conseguentemente l’avvocato conserva il diritto al compenso per le sue prestazioni sulla base delle tariffe professionali (Cassazione civile sez. II, 10/03/2023, n.7180 (non massimata).

Il primo motivo di ricorso deve, pertanto, essere accolto, con assorbimento dei restanti motivi.

L’ordinanza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Trieste in diversa composizione.

Il patto di quota lite vietato è integrato anche nel caso in cui il compenso dell’avvocato sia convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Trieste in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di cassazione, in data 9 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2024

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