Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 settembre 2024| n. 24680.
Il mutuo non richiede che la cosa mutuata sia materialmente consegnata
La natura reale del contratto di mutuo non richiede in via tassativa che la cosa mutuata sia materialmente consegnata dal mutuante al mutuatario, l’esigenza del requisito della “traditio” potendo ritenersi soddisfatta in determinati casi, allorquando il risultato pratico completamente raggiunto si identifichi con quello che si sarebbe realizzato con la consegna materiale del bene mutuato.
Ordinanza|13 settembre 2024| n. 24680. Il mutuo non richiede che la cosa mutuata sia materialmente consegnata
Data udienza 29 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratto di fornitura – Abuso di posizione dominante – Mancata prova – Mutuo – Perfezionamento – Materiale consegna della somma di denaro tra mutuante e mutuatario – Irrilevanza per la perfezione del contratto
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi sigg. Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
Dott. GRAZIANO Francesco – Consigliere Rel./Est.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 16316/2020 R.G.) proposto da:
CO.97. Srl (Partita I.V.A.: Omissis), con sede in Aci Sant’Antonio (CT), alla Via Omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore sig.ra Fi.Za. (Codice Fiscale: Omissis), elettivamente domiciliata in Roma, alla Via De.Pi., presso lo studio dell’avv. Cl.D., unitamente all’avv. Ga.Lu. del foro di Catania che rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo del presente procedimento (indirizzo p.e.c. del difensore: “Av.Lu.”; indirizzo p.e.c. del domiciliatario: “Cl.Or.”) ;
– ricorrente –
contro
KR.BR. K.G., con sede in Kreutzal (Germania), Omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore sig. Be.Sh. (ID: Omissis), elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Co.Di., presso lo studio dell’avv. Gi.Le. del foro di Roma che, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. Th.Br. del foro di Bolzano, rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale allegata al controricorso notificato in data 6 luglio 2020 (indirizzi p.e.c. dei difensori: “In.Pe.” e “Gi.0r.”);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 2245/2019, pubblicata il 15 ottobre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere relatore Francesco Graziano;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.;
Il mutuo non richiede che la cosa mutuata sia materialmente consegnata
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione notificato il 16 luglio 2010, la società KR.BR. K.G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania (Sezione distaccata di Acireale), la società CO.97. Srl, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro. 34.582,50 (euro trentaquattromilacinquecentottantadue/50). A sostegno della propria pretesa assumeva l’esistenza di un rapporto commerciale avente ad oggetto la fornitura di birra e che era regolato da apposito contratto.
Aggiungeva, poi, che, successivamente, le due società avevano concluso un accordo in forza del quale, a far tempo dalla data del 1 marzo 2007, tutti i fusti di birra da 30 e da 50 litri sarebbero stati cauzionati per un importo pari ad Euro. 30,00 (euro trenta/00) ciascuno, mentre la cauzione per ogni bancale veniva pattuita nell’importo di Euro. 7,50 (euro sette/50).
Affermava, ancora, che alla data del 28 febbraio 2007, il saldo cauzionale a favore di essa istante (società fornitrice della birra) era pari a 1.135 fusti e che tale saldo era stato convertito in un prestito, in favore della CO.97. Srl, pari ad Euro. 34.582,50 (euro trentaquattromilacinquecentottantadue/50), equivalente all’ammontare della somma dovuta e senza interessi, che la società convenuta si era impegnata a restituire mediante il pagamento di quattro rate, ciascuna di Euro. 8.645,63 (euro ottomilaseicentoquarantacinque/63).
Tuttavia, poiché alla scadenza del termine la convenuta non aveva provveduto al pagamento, la società istante, con missiva datata 19 febbraio 2009, aveva comunicato alla CO.97. Srl, la disdetta dell’accordo relativo al saldo fusti, invitandola al pagamento dell’intero importo dovuto.
Si costituiva in giudizio la società CO.97. Srl, contestando le avverse pretese e chiedendone il rigetto. In particolare, oltre a contestare l’inquadramento giuridico dell’accordo saldo fusti nel paradigma del contratto di mutuo, ne eccepiva la nullità per abuso di posizione dominante ex art. 9 L. n. 192 del 1998, deducendo di aver accettato tale accordo per timore di perdere il proprio unico fornitore.
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Il Tribunale adito, con sentenza n. 250/2013, depositata in Cancelleria il 9 luglio 2013, accoglieva la domanda giudiziale proposta dalla KR.BR. K.G.
2.- La suddetta sentenza veniva appellata dalla CO.97. Srl che ne deduceva l’erroneità per avere il giudice di prime cure escluso che essa avesse dimostrato la propria condizione di dipendenza economica dalla KR.BR. K.G. e per avere altresì riconosciuto l’esistenza del contratto di mutuo pur in assenza della traditio della somma di denaro.
La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione e condannava la società CO.97. Srl alle spese del grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a) che l’appellante, nel corso del giudizio di primo grado, non aveva fornito alcuna prova dell’asserito abuso di posizione dominante, non avendo dimostrato, nemmeno in via indiziaria, di non essere stata in grado di reperire sul mercato altri fornitori che le permettessero di proseguire la sua attività; b) che, in particolare, essa si era limitata ad affermare di aver subito pressioni da parte della fornitrice KR.BR. K.G. ai fini dell’accettazione delle condizioni dell’accordo, ma non aveva né specificato, né provato, in cosa tali pressioni fossero consistite; c) che, peraltro, il fatto che i rapporti commerciali fossero perdurati per circa due anni dopo l’accordo, era da ritenersi indicativo dell’accettazione di quest’ultimo senza riserve, da parte dell’appellante; d) che neanche poteva sostenersi che la birra fosse un bene difficilmente reperibile sul mercato attraverso altri fornitori, trattandosi invece di un bene agevolmente rinvenibile in ragione dell’elevato numero di produttori, nazionali ed esteri;
e) che è pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui il contratto di mutuo può perfezionarsi anche senza la materiale consegna della somma di denaro tra mutuante e mutuatario; f) che, infatti, nella fattispecie la somma di denaro era già nella disponibilità del debitore e che si trattava di somma certa, liquida ed esigibile; g) che l’operazione di trasformazione in mutuo, senza interessi, era, per la società CO.97. Srl, più favorevole rispetto al pagamento dell’intera somma, che l’appellata avrebbe potuto richiedere senza concessione di dilazioni.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la società CO.97..
Ha resistito con controricorso la KR.BR. K.G.
4.- La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 L. n. 192 del 1998, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto di rigettare il primo motivo di appello, assumendo, nel concetto di dipendenza economica, la concreta possibilità dell’impresa debole di reperire sul mercato alternative soddisfacenti rispetto all’impresa considerata dominante.
Al riguardo, la ricorrente evidenzia che il tenore letterale dell’art. 9, comma 1, L. n. 192 del 1998 (“È vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un ‘altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.”) indica la possibilità di reperire alternative soddisfacenti sul mercato come uno dei fattori di valutazione della dipendenza economica, ma non quello unico ed esclusivo valevole a determinare se sussista o meno l’abuso di dipendenza economica.
Chiarisce, poi, che l’alternativa “soddisfacente” deve concretizzarsi non già in una mera possibilità, astratta e ipotetica, ma nella concreta opportunità, offerta dal mercato, per il raggiungimento di un risultato comunque utile per l’impresa Cd. debole, precisando che il termine “soddisfacente” deve essere riferito alla realizzazione dell’interesse dell’imprenditore, vanificato dall’abuso.
Secondo la prospettazione della ricorrente, dunque, oggetto del rapporto commerciale con la società tedesca fornitrice non era la birra, astrattamente considerata come genere, ma la birra commercializzata in fusti, prodotta dalla KR.BR. K.G. Tale tipologia di birra sarebbe un bene del tutto diverso da quella in bottiglia, cosicché – sostiene la ricorrente – “se la birra tedesca, astrattamente considerata come genere, è un bene facilmente reperibile nel mercato italiano, la birra tedesca in fusti prodotta da una determinata azienda tedesca è, nel mercato italiano, un bene non reperibile altrimenti se non direttamente dall’azienda tedesca che la produce.” (cfr. pag. 16 del ricorso introduttivo del presente procedimento).
La corte territoriale, quindi, pur avendo individuato correttamente il mercato rilevante del prodotto, avrebbe dovuto valutare – secondo la prospettazione della ricorrente – la presenza di facili alternative commerciali valevoli a permettere alla società CO.97. Srl di non subire pregiudizi e di rimanere attiva e competitiva nel mercato siciliano. Al contrario, la corte di merito si sarebbe limitata a verificare la sussistenza di alternative oggettive alla birra, in sé considerata, senza stabilire in concreto se le alternative in astratto disponibili sul mercato fossero anche reali e soddisfacenti per la CO.97. Srl In tal modo, la Corte territoriale avrebbe altresì omesso di considerare che l’eventuale alternativa soddisfacente sarebbe stata, per la società ricorrente, un’equivalente birra tedesca in fusti, non distribuita da altri in Sicilia.
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Anche il notevole lasso di tempo intercorso tra la sottoscrizione dell’accordo, nel marzo 2007, e la rottura dei rapporti commerciali tra le parti, sarebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, la “riprova” della concreta difficoltà incontrata dalla CO.97. Srl nel reperire sul mercato della birra in fusti una alternativa soddisfacente, nonché del fatto che l’accordo rappresentava uno strumento utilizzato dalla fornitrice a sfavore della ricorrente, tanto che il credito da esso derivante era stato azionato solo quando la CO.97. Srl aveva deciso di rivolgersi ad altra azienda tedesca, interrompendo definitivamente i rapporti commerciali con la Krombacher Brauerei Be.Sh. GmbH E Co. K.G.
In definitiva, la minaccia di un’interruzione immediata della fornitura nel marzo 2007, avrebbe determinato uno squilibrio delle relazioni economiche tra le parti, ingenerando nella società odierna ricorrente il timore di un considerevole danno, sia patrimoniale che non patrimoniale.
2.- Il motivo è inammissibile.
Ed invero, esso risulta anzitutto intrinsecamente contraddittorio giacché, mentre attribuisce alla corte territoriale l’errore di avere utilizzato, quale unico criterio valevole a determinare la sussistenza dell’abuso di dipendenza economica, quello relativo alla reale possibilità di reperire concrete alternative sul mercato, prosegue, poi, affermando la necessità che la corte di merito accertasse proprio la presenza di agevoli alternative commerciali concernenti la birra tedesca in fusti, tali da permettere alla società CO.97. Srl, odierna ricorrente, di non subire pregiudizi e rimanere competitiva nel mercato regionale di riferimento.
La censura, peraltro, in quanto si concentra sul criterio di accertamento relativo all’abuso di posizione dominante, invocando altresì la valorizzazione del settore merceologico e del mercato territoriale di riferimento (birra tedesca in fusti da vendere all’ingrosso in Sicilia), finisce con il risolversi – come può, del resto, agevolmente desumersi dalla seconda parte del motivo (pagg. 18 – 22) in cui vengono richiamati svariati elementi di fatto relativi alla vicenda in esame (quali, ad esempio, le pressioni operate dalla fornitrice per ottenere la sottoscrizione dell’accordo, nonché il periodo di tempo trascorso da tale sottoscrizione alla domanda di pagamento) – nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità. Questa Corte regolatrice ha, infatti, più volte chiarito che “In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme.” (cfr., ex permultis, Cass., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01).
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Del resto, questa Corte ha più volte affermato altresì che non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; invero le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr., in tal senso ed ex permultis, Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01; Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01).
3.- Con il secondo motivo, la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata e del procedimento, per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto non provato l’abuso di dipendenza economica e le pressioni realizzate dalla KR.BR. K.G. al fine di conseguire l’accettazione dell’accordo sottoscritto nel marzo 2007 da parte della società CO.97. Srl, senza pronunciarsi sulle richieste istruttorie di interrogatorio formale e prove testimoniali che, dopo essere state immotivatamente respinte in primo grado, erano state reiterate in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c.
4.- La censura è sostanzialmente inammissibile.
Ed invero, come chiarito da questa Corte, “In tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione delle regole processuali ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., qualora investa la mancata ammissione in appello di istanze istruttorie ex art. 345, comma 2, c.p.c., è ammissibile solo in quanto spieghi come e perché le istanze in parola, se accolte, sarebbero state suscettibili di rovesciare l’esito del giudizio di primo grado.” (cfr., all’uopo, Cass., Sez. 3, sentenza n. 9674 del 12 aprile 2023, Rv. 667395-01, nonché Cass., Sez. 3, sentenza n. 22278 dell’11 novembre 2015, Rv. 637775-01, secondo cui “La violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero allorché quest’ultima – in assenza di tale vizio – non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata. “).
Orbene, con espresso riguardo alla fattispecie in esame, non è chi non veda come le circostanze indicate e descritte nei capitoli di interrogatorio formale e prova per testimoni articolati dall’odierna ricorrente nel giudizio di merito (e trascritti alla pag. 24 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità) risultassero manifestamente inidonee a dimostrare l’assunto delle pressioni realizzate dalla società fornitrice al fine di ottenere la sottoscrizione dell’accordo risalente al marzo 2007. E ciò, in quanto, tali capitoli oltre a non spiegare e chiarire, in modo alcuno, in cosa si fossero concretate tali pressioni (cfr., in particolare, il capitolo contrassegnato dal numero 2), in cui si parla genericamente di “pressioni”, senza precisare quali fossero stati gli atti e/o i comportamenti in cui esse si erano effettivamente tradotte), risultano altresì in contrasto con il predetto assunto, avendo l’odierna ricorrente richiesto di dimostrare altresì che, in occasione della sottoscrizione dell’accordo del marzo 2007, l’agente della società fornitrice aveva rassicurato la CO.97. Srl, circa il fatto che “quel documento serviva a Kr. solo per esigenze di carattere fiscale e che in nessun modo avrebbe modificato l’assetto dei rapporti fin lì intrattenuti.” (cfr., in particolare, il capitolo contrassegnato dal numero 3)).
Pertanto, alla stregua sia della genericità che della contrarietà dei suddetti capitoli rispetto alle allegazioni sviluppate dall’odierna ricorrente a sostegno delle proprie difese, deve senz’altro escludersi che le richieste istruttorie da quest’ultima avanzate, ove accolte, sarebbero state in grado di sovvertire l’esito del giudizio di merito, essendo prive del requisito della decisività.
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5.- Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1813 c.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto sussistente un contratto di mutuo, pur in assenza della traditio della somma di denaro.
In particolare, la ricorrente sostiene che la corte distrettuale avrebbe erroneamente applicato, all’accordo saldo fusti costituente la fattispecie concreta sottoposta al suo vaglio, la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui il contratto di mutuo può perfezionarsi anche in assenza di traditio della somma di denaro, ove quest’ultima risulti già nella disponibilità giuridica del debitore. Inoltre, evidenzia l’erroneità dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la somma di denaro, derivante dall’accordo e già nella disponibilità del debitore, era certa, liquida ed esigibile, deducendo che, alla data di sottoscrizione dell’accordo non esisteva ancora alcun debito per la cauzione fusti, in quanto il saldo cauzioni, nei rapporti commerciali con la società fornitrice, sarebbe divenuto esigibile soltanto al termine del rapporto e solo in caso di mancata restituzione di tutti i fusti vuoti.
Infine, secondo la prospettazione della ricorrente, l’estinzione del saldo cauzionale per corretta restituzione dei fusti vuoti e dei bancali, inevitabilmente avrebbe prodotto l’estinzione dell’accordo concluso tra le parti. Al riguardo, la ricorrente deduce di aver provveduto a dimostrare documentalmente, nell’ambito del giudizio di merito, l’avvenuta restituzione, in favore della società fornitrice tedesca, di 2070 fusti ed 87 bancali, successivamente alla sottoscrizione dell’accordo di cui si tratta, cosicché, essendo venuta meno la giustificazione del saldo cauzionale, sarebbe da considerarsi venuto meno altresì il rapporto di mutuo nascente dall’accordo sottoscritto nel marzo 2007.
6.- Anche tale censura è destituita di fondamento.
Costituisce, invero, ius receptum il principio secondo cui “La natura reale del contratto di mutuo non richiede in via tassativa che la cosa mutuata sia materialmente consegnata dal mutuante al mutuatario, l’esigenza del requisito della “traditio” potendo ritenersi soddisfatta in determinati casi, allorquando il risultato pratico completamente raggiunto si identifichi con quello che si sarebbe realizzato con la consegna materiale del bene mutuato.” (Cass., Sez. 3, sentenza n. 9074 del 5 luglio 2001, Rv. 547905-01).
Nella specie, infatti, come correttamente evidenziato dalla corte distrettuale nella sentenza impugnata, con l’accordo sottoscritto dalle parti nel marzo 2007, la somma di denaro, pari all’importo di Euro. 34.582,50 (euro trentaquattromilacinquecentottantadue/50) e già nella disponibilità della società CO.97. Srl, in quanto derivante dal saldo relativo alle cauzioni da corrispondere per 1.135 fusti, era stata convertita in un prestito senza interessi (cioè in un mutuo a titolo gratuito) con l’obbligo dell’odierna ricorrente di provvedere alla restituzione di tale somma in quattro rate.
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Né, del resto, possono reputarsi fondate le affermazioni della ricorrente circa l’insussistenza dei requisiti della certezza, liquidità e esigibilità della somma di cui si tratta, in ragione dell’agevole determinabilità dell’ammontare del saldo cauzioni, attraverso semplici operazioni aritmetiche (cfr., al riguardo ed ex multis, Cass., Sez. 1, sentenza n. 25365 del 29 novembre 2006, Rv. 594981-01) e dei termini contemplati nello stesso accordo del marzo 2007 che prevedeva, infatti, la restituzione in quattro rate, tutte già scadute al momento della proposizione della domanda giudiziale da parte della società fornitrice tedesca, secondo quanto acclarato nel giudizio di merito.
Quanto, infine, all’affermazione secondo cui la corretta restituzione dei fusti vuoti e dei bancali avrebbe prodotto l’estinzione dell’accordo concluso tra le parti, trattasi, anche in tal caso, del tentativo di accreditare una diversa ricostruzione della vicenda di fatto (già operata dal giudice di merito), preclusa nel giudizio di legittimità in ragione dell’inammissibilità di un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 5, ordinanza n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01, secondo cui “Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.”).
7.- Con il quarto motivo, la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Deduce, infatti, che l’accordo saldo fusti era da inquadrarsi nell’ambito della prassi commerciale relativa alla previsione contabile di una cauzione in caso di mancata riconsegna dei fusti vuoti e/o dei bancali. Tale prassi prevedeva l’inserimento della partita della cauzione come “semplice partita di giro di dare e avere tra le due società: per cui parte acquirente non pagava la cauzione al momento di ricezione dei fusti e parte venditrice non rimborsava le singole cauzioni al momento di riconsegna dei fusti vuoti o dei bancali.” (cfr., all’uopo, la pag. 37 del ricorso introduttivo del presente procedimento).
Pertanto, secondo la prospettazione della ricorrente, al momento della consegna della merce, la società fornitrice tedesca emetteva, in aggiunta alla fattura relativa alla vendita della birra, altra fattura relativa al conguaglio delle cauzioni in cui veniva indicata la concreta situazione dei fusti e, cioè, il numero di quelli in deposito, di quelli consegnati, di quelli ritirati e resi. L’importo indicato da tale fattura, costituente il saldo cauzioni, non veniva concretamente pagato, ma soltanto contabilizzato nella partita saldo cauzioni dare/avere.
Infine, al momento della restituzione dei fusti vuoti, la società tedesca emetteva una nota di credito relativa al conguaglio delle cauzioni, il cui importo non veniva rimborsato alla società odierna ricorrente, ma soltanto contabilizzato sempre nella partita saldo cauzioni dare/avere.
Tale prassi commerciale, a detta della ricorrente, avrebbe formato oggetto di discussione tra le parti e sarebbe stata dimostrata, nelle fasi di merito, mediante i documenti allegati alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2), c.p.c. depositata nell’ambito del giudizio di primo grado dalla difesa della CO.97. Srl; inoltre, anche i capitoli contrassegnati dai numeri 4), 5), 6), 7) e 8) della prova per testimoni richiesta con la predetta memoria, sarebbero stati diretti a dimostrare la prassi commerciale sopra menzionata.
Pertanto, nella parte finale del motivo (pag. 44 del ricorso), la ricorrente invoca la cassazione della sentenza impugnata sia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, sia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per nullità del procedimento, non avendo la corte territoriale statuito in alcun modo sulle richieste istruttorie formulate al riguardo.
8.- La censura è inammissibile sotto ambedue i profili fatti valere.
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Anzitutto, come più volte chiarito da questa Corte, deve, ancora una volta ribadirsi che “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.” (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 5947 del 28 febbraio 2023, Rv. 667202-01).
Nella specie, la società ricorrente CO.97. Srl non ha, in modo alcuno, assolto all’onere di indicare e dimostrare la diversità delle ragioni di fatto a fondamento della sentenza impugnata rispetto a quelle poste a base della sentenza di primo grado, non dovendosi, peraltro, trascurare il principio secondo cui “Ricorre l’ipotesi di “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice.” (Cass., Sez. 2, ordinanza n. 7724 del 9 marzo 2022, Rv. 664193-01).
Con riguardo ai profili dedotti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. la censura risulta senz’altro inammissibile, non configurandosi vizio di nullità della pronuncia per la mancata decisione sulle prove; e in ogni caso, a volere riqualificare il motivo quale vizio motivazionale, valgono i rilievi come sopra esposti, senza tacere altresì che, in ogni caso, la società ricorrente non ha provveduto a trascrivere il contenuto dei capitoli di prova – diretti a dimostrare l’esistenza della prassi commerciale di cui si tratta -articolati in primo grado mediante la memoria depositata ai sensi dell’art. 183, comma 6, n. 2), c.p.c.
Ed invero, come più volte chiarito da questa Corte regolatrice, “In tema di impugnazione per giudizio di legittimità, la parte che, in sede di ricorso per cassazione, addebiti a vizio della sentenza impugnata la mancata ammissione di prove testimoniali richieste nel giudizio di merito, ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, se non di trascrivere nell’atto di impugnazione i relativi capitoli, almeno di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sé tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della pronuncia impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti difensivi del pregresso giudizio di merito.” (Cass., Sez. 3, sentenza n. 13556 del 12 giugno 2006, Rv. 590656-01; cfr., altresì, Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 19985 del 10 agosto 2017, Rv. 645357-01, secondo cui “Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.”).
9.- Con il quinto (e ultimo) motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., in termini di omessa pronuncia.
Sostiene, al riguardo, di aver richiesto, nell’atto di appello, che la corte di merito, nella denegata ipotesi di conferma dell’esistenza di un contratto di mutuo, provvedesse a “ridurre la condanna al rimborso tenendo conto di tutte le restituzioni.”, nonché di aver richiesto, in via ulteriormente subordinata, che la corte provvedesse a “ridurre il valore della somma da rimborsare, detraendo il valore complessivo di tutti i fusti restituiti.” (cfr., a pag. 44 del ricorso introduttivo del presente procedimento).
10.- Anche tale censura risulta inammissibile.
Il mutuo non richiede che la cosa mutuata sia materialmente consegnata
Ed invero, come chiarito da questa Corte, “La parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare – a pena di inammissibilità – che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni.” (Cass., Sez. 2, ordinanza n. 41205 del 22 dicembre 2021, Rv. 663494-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 5087 del 3 marzo 2010, Rv. 611679-01).
Nella specie, la lettura e disamina del motivo di censura (che si dipana attraverso le pagg. 44, 45 e 46 del ricorso) permette di acclarare, in maniera piuttosto evidente, come la ricorrente non abbia assolto all’onere di cui si tratta ed abbia trascurato, quindi, di precisare che le conclusioni di cui essa lamenta l’omesso esame da parte della corte territoriale, sono state mantenute fino al momento della precisazione delle conclusioni nell’ambito del giudizio d’appello.
Aggiungasi, peraltro, come la richiesta di cui la società ricorrente lamenta l’omesso esame ad opera della Corte di merito non emerga, in modo alcuno, dalla sentenza impugnata (né nella parte relativa allo svolgimento del processo, né tanto meno in motivazione), cosicché era senz’altro onere della ricorrente medesima fornire specifica indicazione circa gli esatti termini di tale richiesta, nonché l’atto difensivo o il verbale di udienza in cui essa sarebbe stata contenuta. Tuttavia, anche tale onere non risulta essere stato assolto da parte della ricorrente, dal momento che la richiesta di cui si tratta risulta, nell’ambito del quinto motivo di ricorso, riportata non già nei suoi termini esatti, bensì in maniera alquanto generica e, peraltro, senza alcuna specifica indicazione dell’atto difensivo o del verbale di udienza in cui sarebbe stata formulata.
Del resto, questa Corte regolatrice non ha mancato di chiarire, al riguardo, che “Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi.” (cfr., all’uopo, Cass., Sez. 2, ordinanza n. 28072 del 14 ottobre 2021, Rv. 662554-01; in senso sostanzialmente analogo, cfr., altresì, Cass., Sez. 3, ordinanza n. 16899 del 13 giugno 2023, Rv. 667848-02, secondo cui “In tema di giudizio di cassazione, l’omessa considerazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi, dedotti come eccezione, non configura un vizio di motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma un “error in procedendo”, per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., con la conseguenza che la sua deduzione in sede di legittimità postula che la parte abbia formulato l’eccezione in modo autonomamente apprezzabile ed inequivoco e che la stessa sia stata puntualmente riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo o del verbale di udienza in cui era stata proposta.”).
11.- Alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
12.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
Il mutuo non richiede che la cosa mutuata sia materialmente consegnata
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro. 4.300,00 (euro quattromilatrecento/00), di cui Euro. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 29 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2024.
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