Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 settembre 2024| n. 24842.

Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione di sostegno e contenimento, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, dovendosi escludere la qualifica di costruzione anche se una faccia non si presenti come isolata e l’altezza possa superare i tre metri, qualora tale sia l’altezza del terrapieno o della scarpata.

 

Ordinanza|16 settembre 2024| n. 24842. Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

Data udienza 21 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Proprieta’ – Limitazioni legali della proprieta’ – Rapporti di vicinato – Muro – Muro di cinta – In genere requisiti essenziali – Fondi a dislivello – Dislivello naturale – Muro delimitante il fondo, con funzione anche di sostegno e contenimento del declivio naturale – Costruzione – Configurabilità – Esclusione – Ragioni – Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dai magistrati

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere Rel.

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5565/2021 R.G. proposto da

Ma.Ri., rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. Ge.Ma. e dall’Avv. Ig.Gr., entrambi del Foro di Catania, con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliata all’indirizzo PEC dei difensori iscritti nel RE.;

– ricorrente –

contro

To.Gi., Sa.Gi. e Sa.Ro., tutti nella qualità di eredi di Sa.Sa., rappresentati e difesi nel giudizio di appello dall’Avv. Lu.De. del Foro di Catania;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 1462 depositata il 6 agosto 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 dicembre 2023 dal Consigliere Milena Falaschi.

Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

Osserva in fatto e in diritto

– Con atto di citazione del 9 aprile 2009, Ma.Ri. evocava in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Catania – Sezione Distaccata di Bronte, Sa.Sa., chiedendone la condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, per avere innalzato nel corso del 2007, a soli scopi emulativi, alla distanza di cm. 25 dal confine tra i due fondi, un muro alto oltre tre metri senza rispettare, né la distanza minima tra costruzioni imposta dagli strumenti urbanistici locali, né la distanza legale da un ampio finestrone, situato nel vano retrostante del fabbricato di proprietà attorea e realizzato nel 1985, dal quale ci si poteva comodamente affacciare e guardare verso il fondo del convenuto.

Il convenuto assumeva invece essere stato il finestrone realizzato soltanto nel 1994, per cui nessuna servitù di veduta poteva essere stata usucapita dall’attrice e il giudice adito, disposta istruzione probatoria con l’escussione dei testi ed espletata C.T.U., interrotto il giudizio per decesso del convenuto, puntualmente riassunto dalla parte attrice con la costituzione degli eredi To.Gi., Sa.Gi. e Sa.Ro., con sentenza n. 2982 del 12 luglio 2018, rigettava la domanda, perché – come accertato dalla C.T.U. – il fabbricato di proprietà dell’attrice era abusivo, per cui non poteva essere considerato esistente ai fini giuridici; inoltre, non veniva riteneva provata l’usucapione della vantata servitù di veduta.

-Decidendo sul gravame interposto dalla Ma.Ri., la Corte di appello di Catania, nella resistenza degli appellati, con sentenza n. 1462 del 6 agosto 2020, rigettava l’impugnazione e condannava l’appellante alle spese.

A sostegno della decisione la Corte territoriale seppure riconosceva la correttezza della censura quanto all’affermazione del giudice di prime cure secondo cui la questione dell’irregolarità urbanistica del fabbricato attoreo era condizione che non permetteva al proprietario di lamentare la violazione delle distanze legali (anche se, contrariamente e in modo conforme alla giurisprudenza costituzionale Cort. Cost. n. 120 del 18 aprile 1996), tuttavia affermava che era possibile al frontista, edificatore abusivo, pretendere dal prevenuto il rispetto della distanza minima, ragionevolmente per essere le norme sulle distanze preordinate non solo alla tutela degli interessi dei due frontisti, ma anche a tutela di interessi generali tra cui la sicurezza, la salute pubblica, la garanzia di vie di comunicazione e la buona gestione del territorio. Di conseguenza l’appello doveva essere rigettato per avere l’appellante sin dal primo grado erroneamente qualificato il finestrone come veduta, quando questo, invece, doveva essere qualificato come luce, seppure irregolare, ai sensi degli artt. 900 e 902 c.c., in quanto la vetrata fissa del finestrone consentiva soltanto la vista e non l’affaccio sul fondo degli appellati, secondo quanto dedotto dai fotogrammi acclusi alla relazione di CTU e da quanto dichiarato dal teste Ne.. Pertanto, trattandosi di una luce e non di una veduta, non era applicabile l’art. 907 c.c. in materia di distanze delle costruzioni dalle vedute e, per di più, secondo la Corte territoriale il muro doveva essere qualificato come un muro di cinta ex art. 878 c.c. e non come muro di fabbrica, in quanto, come riportato nella CTU, questo era alto m. 3,70 se misurato dal lato della parte della proprietà resistente e pari a m. 3 se misurato dalla parte della proprietà attrice, per cui non poteva essere considerato nel computo delle distanze legali.

Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catania propone ricorso Ma.Ri., articolato in due motivi.

To.Gi., Sa.Gi. e Sa.Ro. sono rimasti intimati.

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 873 e 878 c.c. per avere il giudice di merito erroneamente qualificato il muro, oggetto della controversia, quale “muro di cinta”, come tale non soggetto alla disciplina delle distanze legali, e non quale costruzione. Ad avviso della ricorrente il Giudice distrettuale avrebbe errato nella modalità di calcolo della sua altezza, non partendo dal suo piede, ma considerando solo la sua altezza relativa misurabile dal lato di parte attorea, dato che, come riportato dalla C.T.U., il muro ha un’altezza di m. 3,70 se misurato dal lato della parte della proprietà dei resistenti e m. 3,00 se misurato dalla parte della proprietà della Ma.Ri.

Il motivo è infondato perché non coglie la differente altezza del muro in questione rilevata dal giudice di merito, sulla base della c.t.u. espletata, altezza che è di m. 3,70 se misurata dal fondo dei controricorrenti e di m. 3,00 se misurata dalla proprietà della ricorrente.

Questa Corte ha più volte affermato che l’esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall’art. 878 c.c., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall’altezza non superiore a tre metri, dall’emersione dal suolo nonché dall’isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo (Cass. n. 26713 del 2020; Cass. n. 3037 del 2015; Cass. n. 8671 del 2001).

Quindi è possibile fare riferimento anche alle altre caratteristiche del muro di cinta, che non necessariamente deve essere sul confine, potendosi trovare anche a ridosso dello stesso. Infatti, è sufficiente che il manufatto, pur carente di alcuni dei requisiti sopra illustrati, sia comunque idoneo a delimitare un fondo e abbia ugualmente la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo, circostanza sulla quale la ricorrente neanche deduce elementi di giudizio di segno opposto, incontestato che nel caso di specie, il muro dista soltanto cm. 25 dal confine.

Per completezza espositiva, è il caso di rilevare che verosimilmente la differente altezza rispetto ai due lati del muro sia da ascrivere ad un dislivello tra i due fondi, ma tale circostanza non risulta neppure dedotta nel giudizio di merito.

Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

E se anche si trattasse di muro di contenimento, opererebbe allora il principio secondo cui in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione di sostegno e contenimento, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, dovendosi escludere la qualifica di costruzione anche se una faccia non si presenti come isolata e l’altezza possa superare i tre metri, qualora tale sia l’altezza del terrapieno o della scarpata (tra le tante, v. Sez. 2 – , Ordinanza n. 6766 del 19/03/2018). E nel caso di specie, quindi, non essendo stata mai dedotta la creazione di un dislivello artificiale (che invece è soggetta a diversa disciplina: v. tra le varie Sez. 2 – , Ordinanza n. 16975 del 14/06/2023), non vi sarebbe in ogni caso violazione di distanze per la parte del muro che sovrasta il livello del fondo superiore (parte attrice), alta metri 3,00 secondo gli accertamenti in fatto compiuti dal giudice di merito e quindi non computabile ai fini delle distanze.

– Con il secondo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), la ricorrente censura la sentenza di appello per avere il giudice omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti. Nello specifico, la Corte d’Appello non avrebbe esaminato né la constatazione della CTU, secondo cui il muro eretto dall’intimato non sarebbe conforme alle norme civilistiche e regolamentari edilizie ed urbanistiche del Comune di Randazzo, né avrebbe tenuto conto delle testimonianze dei testi Pa. e To., dalle cui dichiarazioni sarebbe stato possibile provare che per più di vent’anni la ricorrente avrebbe potuto affacciarsi sul fondo del vicino dal proprio finestrone, provandosi così l’usucapione della servitù di veduta.

Il secondo mezzo è in parte inammissibile e in parte palesemente infondato.

Preliminarmente è da ritenere ammissibile la censura nonostante si tratti di pronuncia di appello il cui esito è conforme ex art. 348 ter, co. 4 e 5, c.p.c. a quella del giudice di prime cure (c.d. doppia conforme), perché pur essendo stata in entrambi i gradi di merito rigettata la domanda attorea, le motivazioni delle due pronunce sono diverse, fondate su ragioni differenti.

Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

Tanto chiarito, il motivo è inammissibile laddove non coglie la ratio decidendi.

Il giudice del gravame (v. pag. 7 sentenza) ha escluso, con accertamento in fatto qui non sindacabile, l’esistenza di una veduta in senso tecnico giuridico, trattandosi di un ampio finestrone a vetri, con vetrata fissa, come quella precedente, sostituita nel 1992, che pertanto non consentiva l’affaccio, ricorrendo quindi l’ipotesi di una ipotesi di luce irregolare ex art. 902 c.c., circostanza non criticata dalla ricorrente.

Il fatto che si assume trascurato (irregolarità urbanistica del muro) quindi non è decisivo, mentre la valutazione delle prove è riservata al giudice di merito e la Corte ha ritenuto preferibile la versione di un teste (v. pag. 7).

Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Il mancato svolgimento di difese da parte delle controparti, rimaste intimate, esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali di questa fase.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 21 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Il muro di contenimento ed il concetto di “costruzione”

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