Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2024| n. 13921.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
In caso di sinistro stradale, l’eccezione circa il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza è da considerare eccezione in senso lato, giacché configura proprio una cooperazione nel fatto colposo, incidendo sul decorso causale. Viene, dunque, al riguardo, in rilievo l’articolo 1227, comma 1, del Cc (l’allegazione della cooperazione colposa della vittima nell’evento dannoso, pertanto, non costituisce eccezione in senso stretto, bensì mera difesa). Da tanto discende, dunque, che una volta che il dato fattuale inerente alla cooperazione colposa del creditore abbia legittimamente fatto ingresso nel thema decidendum (e nel thema probandum) nel giudizio di primo grado, esso ben può essere valutato dal giudice anche d’ufficio.
Ordinanza|20 maggio 2024| n. 13921. Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
Data udienza 13 marzo 2024
Integrale
Tag/parola chiave: CIRCOLAZIONE STRADALE – Responsabilità e risarcimento – Mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del danneggiato – Eccezione in senso lato – Conseguenze. (Cc, articoli 1227 e 2054; Cpc, articolo 183)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere – Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso N. 3141/2021 R.G. proposto da:
Pa.An. + altri Omissis, in proprio e quali eredi di Ma.Da. , a sua volta erede pro quota di Co.Gi. e Ma.Li. , nonché Ma.Fr. e Ma.Va. , in proprio e quali eredi pro quota di Co.Gi. e Ma.Li. , tutti elettivamente domiciliati in Roma, Via (…), presso lo studio dell’avv. Do.Gi., che li rappresenta e difende con l’avv. Gi.Za. come da procure in calce al ricorso, domicilio digitale (…) (…)
– ricorrenti –
contro
Mo.Do. e Mo.Ma. , elettivamente domiciliati in Roma, Via (…), presso lo studio dell’avv. En.Ca., rappresentati e difesi dall’avv. En.Na., come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale (…)
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
e contro
PROVINCIA DI FORLÌ – CESENA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Gracchi n. 81, presso lo studio dell’avv. Gi.Pi. – Ne., che la rappresenta e difende, con l’avv. Da.Ca., come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale (…) (…)
– controricorrente al ricorso principale e al ricorso incidentale –
e contro
(…) Spa , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via (…), presso lo studio dell’avv. Fr.Ta., che la rappresenta e difende, con l’avv. Ca.Be., come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale (…)
– controricorrente al ricorso principale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, n. 3047/2020, depositata il 26.11.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13.3.2024 dal Consigliere relatore dr. Salvatore Saija.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
FATTI DI CAUSA
Pa.An. , in proprio e quale tutore di Ma.Da. e quale legale rappresentante di Ma.Lu. e Ma.Ga. , convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Forlì Mo.Ma. e Mo.Do. , conducente e proprietario dell’autovettura Wolkswagen Polo tg. (…), che in data 6.5.2008, in località C B del Comune di B d R , nell’affrontare una curva, aveva invaso la corsia opposta, investendo la Fiat Punto tg. (Omissis), condotta da Ma.Ga. , con a bordo tutti i restanti attori, che riportavano gravi danni patrimoniali e non patrimoniali. Nel dar atto che essi attori avevano raggiunto un accordo con la (…) Spa , che copriva l’autovettura dei convenuti per la RCA, mediante la complessiva corresponsione del massimale di polizza di Euro 2.000.000,00, chiesero la condanna dei convenuti per la differenza fino all’effettivo ammontare del danno, pari, per Ma.Da. (ridotto allo stato vegetativo), ad Euro 1.376.400,00, nonché al danno patrimoniale e non patrimoniale subito dai congiunti del predetto, improvvisamente privati della fonte di reddito da lui proveniente. Costituitisi, Mo.Ma. e Mo.Do. contestarono le avverse domande, chiedendone il rigetto, esponendo che il sinistro era stato cagionato dalle cattive condizioni del manto stradale; chiesero ed ottennero, dunque, di essere autorizzati a chiamare in causa la Provincia di Forlì – Cesena, quale pretesa responsabile ex art. 2051 c.c. Il giudice istruttore, con ordinanza del 9.6.2008, ordinò l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i possibili danneggiati, ex art. 140 c.d.a. , nonché di (…)sai. Frattanto, gli stessi originari attori, nonché Ma.Ve. , con ulteriore ricorso del 17.11.2008, reiterarono le medesime domande nei confronti dei @Mo.@, e il giudice istruttore riunì i procedimenti. Quindi, con ordinanza del 10.7.2009, venne ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Ma.Li. , Ma.Fr. e Ma.Va. , nonché di Co.Gi. – genitori e fratelli di Ma.Da. – che si costituirono, chiedendo condannarsi tutti i convenuti/chiamati in causa al risarcimento dei danni non patrimoniali da loro stessi patiti. Il Tribunale di Forlì, istruita la causa, con sentenza del 25.2.2014 rigettò le domande proposte dagli attori e dagli intervenuti contro Mo.Ma. e Mo.Do.; dichiarò l’esclusiva responsabilità ex artt. 2043 e 2051 c.c. , nella causazione del sinistro, della Provincia di Forlì – Cesena (a causa della “mancata manutenzione del piano viario”) e la condanno al risarcimento del danno in favore dei predetti. L’ente territoriale propose gravame avverso detta sentenza e la Corte d’appello di Bologna – costituitesi tutte le parti – con sentenza del 26.11.2020, accolse parzialmente l’appello principale della Provincia, dichiarando l’esclusiva responsabilità del sinistro in capo a Mo.Ma. e Mo.Do. , con conseguente condanna in favore degli attori e degli intervenuti, previa decurtazione del 50% delle somme, ex art. 1227 c.c. , per non aver Ma.Da. indossato le cinture di sicurezza all’atto del sinistro. Al contempo, quanto agli appelli incidentali proposti dai danneggiati al fine di ottenere una più consistente liquidazione di talune voci di danno, vennero parzialmente accolte le impugnazioni delle sole Pa.An. e Ma.Ga. . Infine, la Corte territoriale accolse l’appello incidentale di (…)sai, escludendo la sua responsabilità ultramassimale.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione Pa.An. , nonché Ma.Ve. , Ma.Lu. e Ma.Ga. , e ancora Ma.Fr. e Ma.Va. , tutti in proprio e nella qualità di cui in epigrafe, sulla base di dodici motivi, cui resistono con autonomi controricorsi la Provincia di Forlì – Cesena e (…) Spa; con ricorso successivamente notificato, Mo.Ma. e Mo.Do. hanno anch’essi impugnato detta sentenza, in forza di sei motivi, cui resiste con controricorso la Provincia di Forlì – Cesena. I restanti intimati non hanno al riguardo svolto difese. Tutte le parti hanno depositato memoria. Ai sensi dell’art. 380 – bis.1, comma 2, c.p.c. , il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi all’odierna adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE
1.1 – Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 115, 116, 167, comma 1, c.p.c. , nonché dell’art. 348 – bis c.p.c. “e di tutte le norme sulla inammissibilità dell’appello”, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per non aver la Corte d’appello tenuto conto della omessa specifica contestazione, da parte della Provincia di Forlì – Cesena, dei fatti posti a fondamento della responsabilità a suo carico così come prospettati dai convenuti Mo.Ma. e Mo.Do. , e per non aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dallo stesso ente, perché basato sulla tardiva contestazione di fatti non contestati nel giudizio di primo grado.
1.2 – Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. , nonché omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ed ancora violazione ed “errata” applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 115 e 132 c.p.c. , “per avere il giudice di appello disatteso le conclusioni della CTU cinematica senza motivare minimamente sul punto”, in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.
1.3 – Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. , nonché degli artt. 40 e 41 c.p. , in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1 n. 3 c.p.c. , per non aver la Corte d’appello tenuto conto della mancata manutenzione della strada da parte dell’ente e dell’inadeguatezza dei cartelli di pericolo ivi apposti (“attraversamento animali” e “curva pericolosa a destra”).
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
1.4 – Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. , nonché omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ed ancora violazione ed “errata” applicazione dell’art. 111 Cost. e degù artt. 115 e 132 c.p.c. , “per avere il giudice di appello disatteso le conclusioni della CTU cinematica e della CTU medico – legale in tema di allacciamento delle cinture di sicurezza”, in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.
1.5 – Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. art. 1227 c.c. e 40 e 41 c.p. , con riguardo all’uso delle cinture di sicurezza da parte di Ma.Da. , per essergli stata erroneamente attribuito un concorso di colpa nella misura del 50%.
1.6 – Con il sesto motivo si lamenta la violazione dell’art. 1227 c.c. e dell’art. 40 c.p. , nell’affermazione di un concorso di colpa della vittima e ancora la “omessa valutazione di circostanze di rilevanza decisiva fatte oggetto di discussione tra le parti”, consistenti nella omessa valutazione delle conclusioni di due relazioni di CTU, in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.
1.7 – Col settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. art. 300 c.p.c. , in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, c.p.c. , per aver la Corte tenuto conto, nella valutazione del danno, della morte di Ma.Da. , sopravvenuta in corso di causa, benché questa non fosse stata dichiarata dal procuratore costituito.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
1.8 – Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. , nonché degli artt. 1226 e 2056 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p. , in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. , per avere la Corte di merito “proceduto alla liquidazione del danno in ragione della intervenuta morte del macroleso in pendenza del giudizio di appello” e per avere “solo motivato apparentemente circa la riduzione del quantum risarcitorio omettendo di valutare la incidenza del nesso causale tra le lesioni subite in conseguenza del sinistro e la morte”.
1.9 – Con il nono motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, c.p.c. , si denuncia la violazione degli artt. 2607 (rectius, 2697), 2727 e 2729 c.c. , “per la mancata liquidazione del danno da lesione o rottura del rapporto parentale a favore dei fratelli del macroleso Ma.Fr. e Ma.Va.”.
1.10 – Con il decimo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, c.p.c. , si lamenta la “violazione e disapplicazione” dell’art. 91 c.p.c. “nella illogica, ingiusta, immotivata liquidazione delle spese di lite con ‘duplicazione’ di liquidazione a favore della Provincia di Forlì – Cesena”.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
1.11 – Con l’undicesimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 140 c.d.a. , in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, c.p.c. , “con riguardo alla responsabilità di (…) Spa ultramassimale nei confronti di Ma.Li. , Co.Gi. , Ma.Fr. , Ma.Va. e Ma.Ve.”.
1.12 – Con il dodicesimo motivo, infine, in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, c.p.c. , si denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. , invocandosi la condanna della Provincia di Forlì – Cesena alla rifusione delle spese di lite per i due gradi di merito e del giudizio di legittimità in favore dei ricorrenti, previa revoca della condanna inflitta, sul punto, a Ma.Fr. e Ma.Va. .
RICORSO INCIDENTALE
1.13 – Con il primo e il secondo motivo Mo.Ma. e Mo.Do. denunciano la violazione degli artt. 115, 116 e 167, comma 1, c.p.c. , ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. , per non aver la Corte d’appello tenuto conto della omessa specifica contestazione (né preso posizione sulla relativa eccezione), da parte della Provincia di Forlì – Cesena, dei fatti posti a fondamento della responsabilità a suo carico così come prospettati da essi @Mo.@ , e per non aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dallo stesso ente, perché basato sulla tardiva contestazione di fatti non contestati nel giudizio di primo grado.
1.14 – Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , la violazione degli artt. 111 Cost. , 115 e 116 c.p.c. , per aver la Corte territoriale disatteso le risultanze della CTU cinematica, “senza in alcun modo motivare in merito”.
1.15 – Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. , per manifesta illogicità della motivazione, laddove si è dapprima imputata all’ente territoriale l’inadeguata manutenzione del manto stradale e la mancata apposizione di segnale di pericolo, per poi addossare la responsabilità del sinistro al giovane Mo.Ma..
1.16 – Con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , si lamenta la violazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. , nonché degli artt. 40 e 41 c.p. , per non aver la Corte tenuto in considerazione l’inadeguata manutenzione del tratto viario da parte dell’ente e l’omessa apposizione di cartello di pericolo “strada sdrucciolevole”.
1.17 – Col sesto motivo, infine, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , si denuncia la violazione dell’art. 2054 c.c. , per essere stata raggiunta la prova liberatoria – ignorata dalla Corte territoriale – da responsabilità del conducente del veicolo investitore.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
2.1 – Preliminarmente, il ricorso successivo proposto da Mo.Ma. e Mo.Do. è da considerare quale ricorso incidentale (per tutte, Cass. n. 36057/2021) e, rispettando i requisiti di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c. , ne va dichiarata e ritenuta la piena ammissibilità.
3.1 – Il primo motivo del ricorso principale e i primi due motivi dell’incidentale – afferenti alla medesima questione – sono infondati.
Nel costituirsi a seguito della chiamata in causa dei convenuti @Mo.@ , la Provincia di Forlì – Cesena, con comparsa del 27.5.2009, ha così testualmente affermato: “apprendiamo che, con tesi molto originale, nella sua minuziosa esposizione, sbandare a sinistra, finire fuori mano, completamente in una curva, rovinare la vita a povere e tranquille persone che viaggiano per strada, non comporta censura alcuna: non deve comportare censura né giudizio negativo alcuno, perché si trova sempre una strada che potrebbe essere tenuta meglio, essere meglio zigrinata e più e meglio essere migliorata nell’attrito e, pertanto, un ente proprietario di detta strada da additare quale responsabile del fatto”. Ebbene, al contrario di quanto opinano i ricorrenti, dal tenore del passaggio sopra riportato, risulta evidente che esso non può affatto equivalere ad una sorta di ammissione o non contestazione sui fatti rilevanti, pur nell’egida dell’art. 115 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis: al di là della genericità e dell’impropria formulazione sarcastica della difesa della Provincia, il senso fatto palese da dette affermazioni è che la chiamata in causa operata dai @Mo.@ si risolveva – nella prospettazione dell’ente – in un intento speculativo onde sottrarsi alle proprie responsabilità e addossarle ad altri. Quanto di più distante, insomma, da una acquiescenza circa la prospettazione dei fatti offerta dai @Mo.@ e, addirittura, da una confessione, per di più resa in un atto processuale. Di conseguenza, del tutto correttamente la Corte d’appello ha valutato ammissibile (benché implicitamente) il gravame principale dell’ente e lo ha delibato nel merito, anche in ordine alla accertata (e avversata) sua responsabilità da parte del giudice di primo grado.
4.1 – Il secondo e il terzo motivo del ricorso principale e il terzo e il quinto dell’incidentale – da esaminarsi congiuntamente, perché concernenti la medesima questione – sono fondati, nei termini che seguono.
4.2 – Le specifiche condizioni del manto stradale, teatro dell’occorso, anche in relazione agli obblighi di custodia ex art. 2051 c.c. da parte della Provincia, sono state oggetto di diverse risultanze istruttorie.
In particolare, può darsi per acquisito (come pure accertato dal giudice d’appello) che, all’atto del sinistro, il manto fosse particolarmente viscido a causa della pioggia e di per sé sdrucciolevole in tale evenienza (il CTU ha accertato che lo stesso venne sottoposto a particolare trattamento di “pallinatura” solo una settimana dopo il sinistro), che in loco (ossia, nella direzione di marcia seguita dalla vettura dei @Mo.@) vi fossero alcuni segnali di pericolo (“attraversamento animali selvatici”, “attraversamento bestiame per 550m”, “curva pericolosa a destra” e “incrocio a sinistra con strada senza precedenza”), ma non quello di “strada sdrucciolevole” e che la velocità massima consentita era pari a 90Km/h. Il Tribunale di Forlì, peraltro, dispose anche una CTU cinematica; nel supplemento peritale (disposto dal G.I. affinché si chiarisse “se, adottando le necessarie cautele, Mo.Ma. sarebbe stato in grado di evitare il sinistro nonostante le condizioni dell’asfalto definite insidiose dallo stesso CTU”),il CTU tanto affermò: “L’analisi cineto – dinamica ha permesso di stabilire che al momento dell’urto la VW Polo aveva una velocità di circa 61 Km/h, la Fiat Punto di circa 32 Km/h; lo sbandamento e la invasione di corsia (da parte della Polo, n.d.e.) sono dipesi dalla velocità eccessiva con cui la VW Polo ha affrontato la curva destrorsa all’uscita della quale è avvenuto lo scontro; si evidenza comunque che il coefficiente di aderenza permesso dall’asfalto nel tratto di curva esaminato era nell’ordine di circa f=0,34 che risulta inferiore a quello mediamente riscontrabile su strada bagnata in condizioni analoghe (almeno f=0,5) per questo le condizioni dell’asfalto si potevano considerare insidiose per i conducenti. Per rispondere correttamente al quesito posto si deve premettere quanto segue: il limite cinetico vigente in loco era pari a 90 Km/h (strada extraurbana con limite generico); la velocità di marcia del veicolo condotto da Mo.Ma. è stata stimata in circa 69 Km/h; il coefficiente di aderenza laterale permesso dal tratto di strada curvilineo ove la vettura del Mo.Ma. è fuoriuscita di traiettoria è stato stimato in f=0,34; l’asfalto risultava bagnato per la pioggia; il coefficiente di aderenza laterale medio su asfalto bagnato, per velocità nell’ordine di 70 Km/h varia da un minimo di 0,57 ad un massimo di 0,83 (si allega tabella riepilogativa, tratta dal testo “Infortunistica stradale, calcoli di cinematica” ed. Egaf)”. Queste, dunque, le conclusioni del CTU: “alla luce delle precedenti puntualizzazioni tecniche, si ritiene che il Mo.Ma. abbia adottato le cautele di guida normalmente esigibili e quindi in condizioni di asfalto come quelle contingenti all’epoca del sinistro, la perdita di controllo del veicolo e il conseguente sinistro sarebbero state evitabili con cautele superiori a quelle definibili come necessarie per l’utente medio”.
4.3 – Ebbene, nell’affrontare il tema (ribaltando il diverso approdo cui era giunto il primo giudice in tema di esclusiva responsabilità dell’ente quale custode ex art. 2051 c.c.), la Corte felsinea (pp. 6-9 della sentenza) esordisce rilevando che l’ente proprietario della strada, ai sensi dell’art. 14 c.d.s. , deve provvedere all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta e che, ove tanto avvenga, la circostanza interrompe il nesso di causalità tra la situazione di pericolo (soggetta alla sfera di controllo del custode) e il verificarsi del sinistro, a quel punto integralmente imputabile alla condotta di guida dell’automobilista (si richiama l’insegnamento di Cass. n. 17658/2019); prosegue poi la Corte evidenziando che in loco la segnaletica stradale indicava per il Mo.Ma. numerosi elementi di pericolo (v. supra), che il tratto di strada dallo stesso percorso era bagnato e presentava una serie di curve in discesa e che circa 800 m. prima era apposto il segnale di strada sdrucciolevole; aggiunge che, pur a prescindere dalle contestazioni mosse dalla Provincia sulla bontà del metodo d’indagine seguito dal CTU, le valutazioni di questi “non hanno efficacia vincolante per il Giudice dalle quali può legittimamente discostarsi, specialmente con riguardo alle valutazioni di carattere giuridico. Sebbene l’eventuale minore coefficiente di aderenza nella curva non risultasse indicato dalla segnaletica stradale, le circostanze di luogo (strada bagnata, in curva e in discesa) e la segnaletica in loco imponevano già di per sé una particolare cautela da parte del conducente che ha, invece, adottato una velocità eccessiva tale da concretizzare il rischio di perdita del controllo del veicolo e di invasione della corsia in senso opposto. … Ne deriva che il rispetto della c.d. velocità prudenziale è condizione indispensabile per escludere l’attribuibilità al conducente delle conseguenze dannose derivanti da un sinistro nel quale sia rimasto coinvolto”. E ha dunque concluso affermando che “da tali considerazioni deriva, pertanto, come logica conseguenza, che unico responsabile del sinistro stradale è Mo.Ma. per non aver adottato le cautele di guida normalmente esigibili, a causa dell’eccessiva velocità rispetto alle circostanze di luogo”.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
4.4.1 – Ritiene la Corte che tale percorso decisorio sia non conforme alle disposizioni rubricate e non possa dunque essere condiviso, sotto plurimi profili.
4.4.2 – Anzitutto, premesso che la CTU cinematica di cui s’è detto ha indubbia natura c.d. percipiente, è ben noto che il giudice che l’abbia disposta “può anche disattenderne le risultanze, ma solo ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU” (così, Cass. n. 36638/2021; ma v. anche Cass. n. 200/2021).
Ebbene, a fronte di una chiara affermazione del CTU secondo cui, nelle specifiche condizioni date, Mo.Ma. aveva adottato le cautele normalmente esigibili nella guida del proprio veicolo, sicché avrebbe potuto evitare la perdita del suo controllo solo con cautele superiori a quelle necessarie per l’utente medio, la Corte d’appello – onde disattenderle – avrebbe con altrettanta chiarezza dovuto precisare perché il comportamento tenuto dallo stesso Mo.Ma. , benché “normale” e corrispondente a quanto sarebbe stato esigibile in quelle specifiche condizioni da un individuo medio, non poteva mandarlo comunque esente da responsabilità.
Tanto per la verità hanno pure tentato di argomentare i giudici d’appello, ma in modo inadeguato e non poco contraddittorio, laddove s’è affermato che il Mo.Ma. non avrebbe adottato le cautele di guida normalmente esigibili, a causa dell’eccessiva velocità rispetto alle circostanze di luogo (strada bagnata, in curva e in discesa), non avendo egli rispettato la c.d. velocità prudenziale.
Ora, premesso che si discute, come è ovvio, di responsabilità per colpa, sub specie di imprudenza, l’affermazione della Corte d’appello, in realtà, non spiega affatto perché la contraria conclusione del CTU sia errata, posto che è indiscutibile come questi avesse preso in considerazione – come pure si evince dall’ampio stralcio della relazione di supplemento supra riportata – tutte le circostanze di luogo valutate dalla stessa Corte felsinea per giungere ad esiti diametralmente opposti.
Del resto, a portare alle estreme conseguenze il ragionamento del giudice d’appello, esso si risolverebbe in una mera tautologia, in effetti essendosi ricercata la riprova dell’imprudenza del Mo.Ma. , a ben vedere, nello stesso verificarsi dell’evento; come a dire: il solo fatto che l’incidente s’è verificato dimostra che il Mo.Ma. non s’è conformato alle regole prudenziali sulla velocità da tenere in dette condizioni. Ma è una linea decisoria che, ovviamente, non può seguirsi. Perché – ed è il punto essenziale, nell’ottica del giudizio controfattuale – ciò che la Corte avrebbe dovuto individuare, al fine di sciogliere il dilemma, è quale fosse la condotta esigibile dal Mo.Ma. onde escludere, con elevata probabilità, che l’evento per cui è processo si verificasse, e parametrare tale ipotetica condotta con il ventaglio di conoscenze in possesso dello stesso Mo.Ma. (tra cui, certamente, il fatto che egli stava per approcciare una curva pericolosa a destra, pericolo come detto debitamente segnalato, nonché il fatto che l’asfalto fosse bagnato).
La soluzione al problema, naturalmente, non può fondarsi sulla ricerca della c.d. velocità prudenziale desumibile (come pure ha fatto la Corte d’appello) da altre specifiche situazioni di pericolo (attraversamento di animali, ecc.), adeguatamente segnalate ma prive di concreto rilievo nell’accaduto, bensì proprio sulle specifiche situazioni di pericolo che hanno indiscutibilmente assunto un ruolo nell’eziologia del sinistro: dunque, avuto riguardo alla vicenda che occupa, proprio alle condizioni dell’asfalto in caso di pioggia, informazione come visto non fornita all’utente, mancando la relativa segnalazione di pericolo. Non a caso, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “L’infrazione di una norma sulla circolazione stradale, pur potendo importare responsabilità ad altro titolo, non può di per sé dar luogo a responsabilità civile per un evento dannoso che non sia con essa in rapporto di causa ed effetto” (Cass. n. 14885/2019; ma v. anche Cass. n. 5729/2019).
4.4.3 – La questione si interseca inevitabilmente, dunque, con il tema della responsabilità della Provincia quale custode ex art. 2051 c.c. , nella sostanza esclusa dalla Corte d’appello per essersi ritenuta assorbente l’imprudenza del Mo.Ma. , pur a fronte dell’accertata scivolosità del manto stradale, ben superiore rispetto alla media, nonché della mancata apposizione del cartello di “strada sdrucciolevole”.
4.4.4 – Questa Corte, con ordinanza n. 2482/2018 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018), ha avuto modo di precisare che: “In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione -anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c. , richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. , sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
Tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cass. n. 27724/2018; Cass. n. 20312/2019; Cass. n. 38089/2021; Cass. n. 35429/2022), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, essendosi statuito (Cass. n. 11152/23; Cass. n. 14228/2023; Cass. n. 21675/2023; Cass. n. 33074/2023) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e puo essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass. , n. 21675/2023, Rv. 668745 – 01; ancor più di recente, Cass. n. 2376/2024, Rv. 670396 – 01) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.
A tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del vizio motivazionale come tuttora denunciabile per cassazione (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. n. 16502/17).
Riassumendo, l””esatta interpretazione” che, ai sensi dell’art. 65 ord. giud. , le Sezioni Unite (nonché i successivi approdi della giurisprudenza di questa Corte) hanno dato dell’art. 2051 c.c. , per quanto qui rileva, può così compendiarsi:
a) la responsabilità del custode è esclusa dalla prova del “caso fortuito”;
b) il caso fortuito può consistere in un fatto naturale, in una condotta d’un terzo estraneo tanto al custode quanto al danneggiato, oppure in un comportamento della vittima;
c) se il caso fortuito è consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile;
d) se il caso fortuito è consistito nella condotta della vittima, al fine di stabilire se esso escluda in tutto od in parte la responsabilità del custode debbono applicarsi i seguenti criteri:
d’) valutare in che misura il danneggiato avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno;
d”) valutare se il danneggiato ha rispettato il “generale dovere di ragionevole cautela”;
d”‘) escludere del tutto la responsabilità del custode, se la condotta del danneggiato ha costituito una evenienza “irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”;
d””) considerare irrilevante, ai fini del giudizio che precede, la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
4.4.5 – Rapportando quanto precede alla vicenda per cui è processo, la decisione impugnata si rivela dunque erronea, perché ha mandato assolta da ogni responsabilità la Provincia – nella sostanza ritenendo configurabile il caso fortuito ex art. 2051 c.c. , individuato nella condotta imprudente del terzo Mo.Ma. – senza affatto correttamente accertare: 1) se detta condotta fosse effettivamente imprudente o meno; 2) se la stessa fosse oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per essa Provincia) imprevedibile ed inevitabile, nelle condizioni date ((v. par. precedente, sub c)); 3) se gli eventuali profili di colpa ascrivibili al Mo.Ma. , in relazione alla responsabilità oggettiva della Provincia ex art. 2051 c.c. e al contenuto della prova liberatoria a carico di quest’ultima, rilevino – sul piano causale – sub specie di esclusiva o concorrente responsabilità (v. Cass. n. 11152/2023, già citata). Si torna, dunque, alle considerazioni già svolte con riguardo alla condotta concretamente esigibile da parte di Mo.Ma. , che compete al giudice di rinvio accertare in modo corretto.
5.1 – Il quarto motivo del ricorso incidentale (concernente la pretesa manifesta illogicità della motivazione sul punto della responsabilità esclusiva attribuita a Mo.Ma.) resta conseguentemente assorbito.
6.1 – Il quarto motivo del ricorso principale è, invece, in parte inammissibile ed in parte infondato.
Anzitutto, sotto il velo della pretesa violazione di norme di diritto, i ricorrenti anelano in realtà una diversa ricostruzione della vicenda fattuale, in ordine alla circostanza che Ma.Da. indossasse la cintura di sicurezza, al contrario di quanto invece opinato dal giudice di merito, al quale un simile accertamento è riservato. Né, del resto, la paventata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. risponde ai criteri, assai stringenti, sanciti al riguardo dalla giurisprudenza di questa Corte (si veda, al riguardo, Cass. , Sez. Un. , n. 20867/2020).
Il mezzo è poi infondato laddove si censura il preteso vizio motivazionale; invero, la Corte d’appello, evidenziando gli elementi da cui poteva presumersi il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del macroleso, ha senz’altro rispettato il “minimo costituzionale” della motivazione ex art. 111, comma 6, Cost. (v. Cass. , Sez. Un. , n. 8053/2014).
7.1 – Il quinto motivo del ricorso principale è anch’esso in parte inammissibile e in parte infondato.
Anzitutto, è inammissibile ancora per la natura meritale della censura, sicché può rinviarsi, sul punto, a quanto già osservato per il mezzo che precede.
Il motivo è poi infondato, giacché non rileva la mancata tempestiva proposizione, da parte della Provincia, dell’eccezione circa il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza. Infatti, detta eccezione è da considerare eccezione in senso lato, giacché è del tutto consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, da parte del danneggiato, configura proprio una “cooperazione nel fatto colposo” (v. Cass. n. 8443/2019; Cass. n. 18177/2007), incidendo sul decorso causale; viene dunque in rilievo l’art. 1227, comma 1, c.c. (l’allegazione della cooperazione colposa della vittima nell’evento dannoso, pertanto, non costituisce eccezione in senso stretto, bensì mera difesa: sul punto si vedano, ex plurimis, Cass. n. 11654/1998 e, più di recente, Cass. n. 9200/2021). Da tanto discende, dunque, che una volta che il dato fattuale inerente alla cooperazione colposa del creditore abbia legittimamente fatto ingresso nel thema decidendum (e nel thema probandum) nel giudizio di primo grado (come neppure risulta contestato dai ricorrenti, che incentrano la doglianza in esame sul mero mancato sollevamento dell’eccezione nella comparsa di risposta della Provincia), esso ben può essere valutato dal giudice anche d’ufficio (ex multis, Cass. n. 6529/2011).
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
8.1 – Il sesto motivo del ricorso principale, proposto in subordine rispetto a quello che precede, è inammissibile perché l’accertamento circa il grado di corresponsabilità imputabile a Ma.Da. costituisce frutto di apprezzamento riservato al giudice del merito e non è stato adeguatamente censurato (nei limiti in cui tanto è possibile nel giudizio di legittimità) dai ricorrenti; per brevità, si rinvia a quanto già osservato nel par. 6.1.
9.1 – Il settimo motivo è palesemente infondato.
Del tutto legittimamente la Corte d’appello ha utilizzato, onde attualizzare il danno liquidabile, il sopravvenuto decesso di Ma.Da. , trattandosi di fatto acquisito al processo (per iniziativa di (…)Sai) e certamente incidente sull’ammontare del danno, avuto riguardo al complessivo periodo di vita vissuto dal predetto (seppur in stato vegetativo) dopo il sinistro.
Del resto, altro è la valutazione di elementi fattuali, cui parametrare sul piano sostanziale il risarcimento del danno, altra cosa è, ovviamente, la disciplina dell’interruzione del processo ex art. 299 ss. c.p.c. , dettata a tutela dell’esercizio e della piena esplicazione dei poteri e facoltà lato sensu processuali della parte colpita dall’evento. In altre parole, la circostanza per cui la morte di Ma.Da. nel corso del processo non sia stata dichiarata dal suo procuratore costituito, se non incide sulla regolarità del rapporto processuale e sul perdurante potere rappresentativo del difensore (come se l’evento non si fosse verificato), nondimeno non ne esclude la stessa esistenza, quale fatto giuridicamente rilevante nel processo, sicché la morte del predetto è pienamente valutabile dal giudice (naturalmente, se questi ne ha avuto conoscenza) ad ogni altro fine.
10.1 – L’ottavo motivo, proposto in subordine rispetto al precedente, è inammissibile.
Sostengono i ricorrenti che, se la morte di Ma.Da. (sopraggiunta nel corso del giudizio d’appello, in data 5.2.2019) costituisce fatto di cui il giudice deve tener conto ai fini della decisione, allora non può che conseguirne, tra l’altro, l’erroneità della decisione d’appello sul punto, per non aver rimesso la causa sul ruolo, onde disporre se del caso un ulteriore supplemento d’indagine peritale per l’accertamento della riconducibilità della morte del proprio congiunto al sinistro per cui è processo. I ricorrenti precisano di aver posto la questione con la memoria conclusionale di replica, alla quale allegarono anche una relazione di CTP, da cui si evinceva che la morte del Ma.Da. era certamente riconducibile al sinistro avvenuto circa 12 anni prima.
Ora, sul punto, la Corte felsinea ha rilevato che all’udienza di precisazione delle conclusioni, tenutasi in data 1.10.2019 (nel corso della quale (…)Sai depositò certificato di morte del Ma.Da.), nulla venne obiettato dagli odierni ricorrenti principali in ordine alla richiesta della Compagnia di parametrare il danno alla effettiva durata della vita effettivamente vissuta dal danneggiato (questione, come detto, oggetto del motivo che precede); ha anche aggiunto che difettavano elementi utili ad accertare il nesso causale tra l’evento lesivo e la morte del Ma.Da. ed ha proceduto quindi alla rideterminazione del danno sulla base degli elementi disponibili.
10.2 – In proposito, va anzitutto rilevato che i ricorrenti principali non precisano in ricorso – così violando l’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis) – se e in che misura l’approfondimento istruttorio richiesto avrebbe potuto incidere sulle voci di danno loro comunque liquidate, posta l’inconfigurabilità del danno c.d. tanatologico in sé e la sola risarcibilità del danno da morte, iure proprio, in capo ai congiunti della vittima, con riguardo alla perdita definitiva del rapporto parentale (v. da ultimo, Cass. n. 35998/2023); il mezzo si rivela, dunque, inammissibile già per tale preliminare ragione.
Ritiene poi la Corte come la pretesa avanzata col mezzo in esame si riveli comunque inammissibile, perché la richiesta del detto approfondimento istruttorio avrebbe dovuto essere sottoposta tempestivamente al giudice d’appello, ossia all’udienza di precisazione delle conclusioni dell’1.10.2019, e non già – in una fase, peraltro, in cui l’allegazione di nuovi elementi (preesistenti all’udienza di precisazione delle conclusioni) è di per sé esclusa, anche a tutela del contraddittorio, non più esplicabile per definizione – con la sola memoria di replica; è ben noto che la parte può estendere la domanda in relazione a fatti sopravvenuti in corso di causa e pur dopo il maturare delle preclusioni (v. , da ultimo, Cass. n. 2533/2024), ma ciò va pur sempre correlato con il principio di ragionevole durata del processo, nonché con il principio del contraddittorio e del diritto di difesa dell’avversario, sulla cui rilevanza costituzionale è perfino superfluo discettare.
Nella specie, invece, i ricorrenti hanno preferito – con scelta processuale di per sé legittima, benché rischiosa – rimanere silenti sullo stesso accadimento funesto, senza neppure prendere posizione in ordine alle legittime richieste della (…)Sai, né tempestivamente argomentare su una possibile estensione della domanda in ordine al fatto sopravvenuto: e di tanto non possono che dolersi con sé stessi.
Può infine aggiungersi che l’affermazione della Corte d’appello circa l’assenza di utili elementi onde valutare il nesso causale tra l’evento dannoso e la morte (con implicita esclusione della utilizzabilità della perizia di parte, allegata alla memoria di replica) non è stata adeguatamente denunciata, ciò pure implicando valutazioni fattuali, riservate al giudice del merito, censurabili o sul piano della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. , o sul piano del deficit motivazionale. Vizi che, nella specie, non sono stati utilmente denunciati dai ricorrenti, neppure a tale ultimo proposito; infatti, il preteso vizio della motivazione, solo enunciato nella rubrica del motivo in esame, non risulta affatto sviluppato nel corpo del mezzo, sicché si rivela di per sé inammissibile.
11.1 – Il nono motivo è stato proposto in relazione alle sole posizioni di Ma.Fr. e Ma.Va. . Esso è inammissibile.
La Corte emiliana ha rigettato l’appello dei fratelli di Ma.Da. , circa la lesione del rapporto parentale, così confermando il rigetto della relativa domanda operato dal Tribunale, sul rilievo che i predetti non avevano specificamente dimostrato di aver subito un pregiudizio risarcibile, non essendo emerso di aver mantenuto con la vittima significativi rapporti nel tempo; tanto, peraltro, diversificando la valutazione rispetto ai membri del nucleo familiare di Ma.Da. , nonché dei suoi genitori, soggetti per i quali, invece, è possibile far ricorso a presunzioni circa la sussistenza del danno in questione, secondo l’id quod plerumque accidit.
Con il mezzo in esame, tuttavia, i ricorrenti fratelli @Ma.@ non offrono altro se non una mera contrapposizione dialettica rispetto al decisum, senza affatto indicare in cosa consisterebbe il pur denunciato error iuris in cui, in tesi, la Corte territoriale sarebbe incorsa. Si invoca, in altre parole, un ricorso de plano alla presunzione di sofferenza indotta dall’evento dannoso sul rapporto con il proprio fratello, senza affatto censurare la ratio adottata dal giudice d’appello, che -condividendo la prima decisione – ha accertato come i @Ma.@ neppure avevano dimostrato di aver mantenuto significativi rapporti col fratello stesso, con ogni conseguenza sul rapporto parentale della cui lesione si discute.
Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
Il mezzo è dunque inammissibile perché aspecifico, in violazione dell’art 366 comma 1, n. 4, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis).
12.1 – Il decimo e il dodicesimo motivo – concernenti la liquidazione delle spese di lite operata dal giudice d’appello – restano assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo e del terzo motivo, giacché tanto determina la caducazione, ex art. 336 c.p.c. , dei relativi capi decisori.
13.1 – L’undicesimo motivo – concernente la pretesa responsabilità di (…)Sai ultramassimale ex art. 140 c.d.a. in relazione alle posizioni dei genitori di Ma.Da. (Ma.Li. e Co.Gi.), dei fratelli Ma.Fr. e Ma.Va. e della figlia Ma.Ve. – è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La Corte d’appello, al riguardo e sulla base della ragione più liquida, ha rigettato ogni domanda “in quanto carente della necessaria esposizione e prova dei presupposti di fatto e di diritto, in presenza di doglianze generiche e prive di adeguato supporto probatorio”.
Ebbene, a fronte di un simile percorso decisorio, i ricorrenti (nei limiti della attuale titolarità delle posizioni riferibili ai soggetti predetti) hanno del tutto omesso di confrontarsi con la effettiva ratio decidendi, limitandosi a riportare il testo dell’art. 140 c.d.a. e giurisprudenza correlata, senza minimamente spiegare il perché la Corte felsinea sarebbe incorsa – con detto passaggio motivazionale – nella pur denunciata violazione. Manca, in altre parole, ogni adeguato riscontro al deficit espositivo e probatorio stigmatizzato dal giudice d’appello, donde l’inammissibilità del mezzo perché anch’esso aspecifico, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis).
Non è superfluo evidenziare, poi, che neppure in questa sede i ricorrenti, ut supra, hanno colmato l’accertato deficit espositivo, sicché il mezzo si rivela anche privo di autosufficienza e non rispettoso dell’art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis).
Il motivo si manifesta infine infondato laddove – nel solo corpo dell’esposizione – si lamenta la pretesa omessa motivazione sul punto, in realtà esistente e poc’anzi testualmente riportata.
14.1 – Venendo al residuo motivo del ricorso incidentale, dunque al sesto, esso è del pari inammissibile per difetto di autosufficienza, in violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis), non essendo stato indicato, in ricorso, con quale atto ed in quale sede si sia mai discusso della questione della responsabilità ex art. 2054 c.c. nel corso del giudizio di merito.
15.1 – Sono dunque accolti il secondo e il terzo motivo del ricorso principale e il terzo e il quinto dell’incidentale, restano assorbiti il decimo e il dodicesimo motivo del ricorso principale e il quarto dell’incidentale, mentre sono rigettati tutti i restanti motivi. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame dell’appello della Provincia di Forlì – Cesena, attenendosi ai superiori principi, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
16.1 – Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione, delle generalità e degli altri dati identificativi di tutti i soggetti che hanno riportato danni non patrimoniali per il sinistro per cui è causa, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso principale e il terzo e il quinto motivo dell’incidentale; dichiara assorbiti il decimo e il dodicesimo motivo del ricorso principale e il quarto dell’incidentale; rigetta tutti i restanti motivi. Cassa in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità
Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi di tutti i soggetti che hanno riportato danni non patrimoniali per il sinistro per cui è causa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 13 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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