Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 marzo 2022| n. 10258.
Il giudizio sulla necessità che una clausola contrattuale sia specificamente approvata per iscritto non può essere compiuto per la prima volta in sede di legittimità perché la valutazione circa la natura della clausola richiede un giudizio di fatto che si può formulare soltanto attraverso l’interpretazione della clausola stessa nel contesto complessivo del contratto, allo scopo di stabilirne il significato e la portata.
Ordinanza|30 marzo 2022| n. 10258. Il giudizio sulla clausola contrattuale che sia specificamente approvata
Data udienza 24 febbraio 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Arbitrato – Lodo arbitrale – Impugnazione – Locazione finanziaria – Interessi – Tassi usurari
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21890/2018 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.A., in persona dell’amministratore delegato pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 60/2018 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, pubblicata il 12/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/02/2022 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.
Il giudizio sulla clausola contrattuale che sia specificamente approvata
FATTI DI CAUSA
1. – (OMISSIS) s.r.l. ha introdotto un giudizio arbitrale deducendo che tra essa e (OMISSIS) s.p.a. intercorrevano due contratti di locazione finanziaria immobiliare; ha domandato accertarsi la nullita’ delle clausole contrattuali che prevedevano interessi anatocistici e usurari e la condanna della controparte alla ripetizione dell’indebito nella misura della complessiva somma di Euro 357.132,49.
In esito al giudizio arbitrale, cui ha partecipato (OMISSIS), e’ stato pronunciato il lodo con cui le domande attrici sono state respinte.
2. – (OMISSIS) ha impugnato la predetta pronuncia e la Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza pubblicata il 12 maggio 2018, ha respinto il gravame.
La Corte territoriale ha anzitutto evidenziato che l’impugnazione era inammissibile con riguardo alla denunciata violazione delle norme di diritto relative al merito della controversia: e cio’ in quanto le parti avevano convenuto che tutte le controversie relative all’applicazione, interpretazione o risoluzione del contratto di locazione finanziaria fossero definite con decisione inappellabile da un collegio arbitrale. Ha poi disatteso la censura vertente sull’asserito contrasto del lodo con l’ordine pubblico economico (contrasto determinato dal fatto che la decisione arbitrale avrebbe disapplicato la disciplina legislativa in tema di usura), osservando, da un lato, che, il contrasto con l’ordine pubblico puo’ ravvisarsi nella sola ipotesi in cui il lodo contempli una disciplina del rapporto giuridico in conflitto con esso e, dall’altro, che le norme inderogabili di legge possono ritenersi di ordine pubblico qualora siano dirette a tutelare un interesse individuale, “per lo meno quando gli effetti previsti dalla legge siano gia’ sorti e possono quindi essere oggetto di rinuncia della parte interessata”. La Corte di merito ha infine escluso che la pronuncia arbitrale fosse nulla in quanto contenente disposizioni contraddittorie. A tale riguardo ha evidenziato come fosse ben chiaro l’iter logico-giuridico sottostante la decisione; ha rilevato, in proposito, che il collegio arbitrale aveva: ritenuto che nei contratti di leasing fosse assente la pattuizione di un interesse di mora eccedente la soglia dell’usura; escluso che la verifica del superamento del tasso soglia potesse essere condotta muovendo dalla sommatoria dei tassi convenuti per l’interesse corrispettivo e l’interesse moratorio; negato potesse configurarsi la violazione della disciplina in tema di usura, visto che non vi era mai stato inadempimento e, dunque, applicazione dell’interesse di mora.
3. – La sentenza e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) con un ricorso articolato in tre motivi. Resiste con controricorso (OMISSIS), la quale ha depositato memoria.
Il giudizio sulla clausola contrattuale che sia specificamente approvata
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’articolo 1341 c.c., comma 2, articolo 1342 c.c. e articolo 829 c.p.c., comma 2. Lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato la vessatorieta’ della clausola che prevedeva l’inappellabilita’ del lodo: deduce in proposito che il contratto non era stato redatto da entrambe le parti, onde esso non rifletteva il risultato dell’incontro di volonta’, bensi’ la regolamentazione precostituita da una di esse. Viene osservato che nel caso di specie era dato di costatare il richiamo in blocco di diciotto clausole su ventiquattro, con esclusione delle solo disposizioni contenenti semplici definizioni. Il motivo e’ poi sviluppato intorno al rilievo per cui gli interessi moratori sono inclusi nella disciplina antiusura e rilevano, quindi, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia.
Il secondo mezzo oppone la violazione dell’articolo 829 c.p.c., comma 3. La censura investe la sentenza impugnata in relazione alla ritenuta non contrarieta’ del lodo all’ordine pubblico. Si osserva che nella fattispecie la stipulazione risultava essere nulla, indipendentemente dalla sua esecuzione, perche’ la funzione economico sociale del contratto risultava essere contra legem e quindi non degna di tutela da parte dell’ordinamento. Viene in particolare dedotto che “con l’usura lo scambio corrispettivo perde la sua funzione, il suo fondamento di legittimazione diventa un mezzo di sopraffazione”.
Il giudizio sulla clausola contrattuale che sia specificamente approvata
Col terzo motivo, svolto attraverso il richiamo all’articolo 360 c.p.c., n. 5, viene lamentato che la Corte di merito abbia omesso di considerare la rilevanza degli interessi di mora ai fini della soglia usuraria. In particolare, secondo la societa’ istante, la sentenza impugnata avrebbe mancato di considerare, tra gli elementi decisivi della controversia, “la rilevanza del tasso di mora ed i recenti orientamenti di legittimita’ (…) che pacificamente stabiliscono come anche gli interessi di mora devono essere presi in considerazione ai fini della soglia usura”. Sul punto sono richiamate le deduzioni svolte nelle due integrazioni peritali depositate dalla ricorrente nel giudizio arbitrale e si contesta la decisivita’ della circostanza, di contro valorizzata dalla Corte di appello, per cui non vi era stato inadempimento e non si era fatta quindi applicazione dell’interesse di mora; si osserva, in sostanza, che l’interesse di mora, in quanto pattuito, deve essere sempre preso in considerazione ai fini della verifica del superamento della soglia usuraria.
2. – Il ricorso e’ infondato.
La Corte di merito ha fatto applicazione, del principio enunciato dalle Sezioni Unite, per cui, posto che l’articolo 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 24, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui al Decreto Legislativo n. 40 cit., articolo 27, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella, per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge – cui l’articolo 829 c.p.c., comma 3, rinvia – va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato: sicche’, in caso di convenzione c.d. di diritto comune stipulata anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti deve intendersi ammissibile l’impugnazione del lodo, cosi’ disponendo l’articolo 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equita’ o avessero dichiarato il lodo non impugnabile (Cass. Sez. U. 9 maggio 2016, n. 9284). Nella specie, come si e’ visto, il giudice dell’impugnazione ha evidenziato che il base alla disciplina convenzionale la controversia arbitrale sarebbe stata definita con “decisione inappellabile”: di qui l’affermazione per cui impugnazione del lodo non poteva investire la violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.
La ricorrente, col primo motivo, deduce – come si e’ visto – che la clausola richiamata dalla Corte di appello, avente natura vessatoria, non era stata approvata specificamente per iscritto.
La censura e’ pero’ inammissibile.
Il giudizio sulla clausola contrattuale che sia specificamente approvata
Anzitutto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio sulla necessita’ che una clausola contrattuale sia specificamente approvata per iscritto a norma dell’articolo 1341 c.c., non puo’ essere compiuto per la prima volta in sede di legittimita’, perche’ la valutazione circa la natura vessatoria della clausola e’ un giudizio di fatto, che puo’ essere formulato soltanto interpretando la clausola stessa nel contesto complessivo del contratto, per stabilirne significato e portata (Cass. 9 giugno 2005, n. 12125; Cass. 13 aprile 2000, n. 4801).
Il rilievo su cui e’ incentrato il motivo e’ pure privo di concludenza, in quanto la societa’ istante fa discendere l’applicabilita’ della disciplina dettata dall’articolo 1341 c.c., comma 2, dalla circostanza per cui il contratto non sarebbe stato “redatto da entrambe le parti”. Di contro, possono qualificarsi come contratti “per adesione”, rispetto ai quali sussiste l’esigenza della specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie, soltanto quelle strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (se, cioe’, predisposte da un contraente che esplichi attivita’ contrattuale all’indirizzo di una pluralita’ indifferenziata di soggetti), quanto dal punto di vista formale (ove, cioe’, predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie), mentre esulano da tale categoria i contratti predisposti da uno dei due contraenti in previsione e con riferimento ad una singola, specifica vicenda negoziale, rispetto ai quali l’altro contraente puo’, del tutto legittimamente, richiedere ed apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto (Cass. 19 marzo 2018, n. 6753; Cass. 15 febbraio 2002, n. 2208). In mancanza di una deduzione nel senso indicato, non vi e’ modo di affermare, nemmeno in linea astratta, che la clausola dovesse essere approvata per iscritto.
Restano con cio’ assorbite le ulteriori questioni trattate nel primo motivo, le quali si fondano sull’inefficacia della clausola arbitrale: clausola che, come si e’ visto, precludeva l’impugnazione del lodo per violazione di norme di diritto sostanziale.
La doglianza di cui al secondo motivo si fonda sull’asserita contrarieta’ all’ordine pubblico del lodo.
Tale connotazione della pronuncia arbitrale e’ fatta dipendere dalla valorizzazione, in essa, della pattuizione usuraria che sarebbe stata inserita nei contratti di leasing dedotti in giudizio: come si legge nella sentenza impugnata, l’odierna ricorrente aveva difatti affermato, in sede di impugnazione del lodo, che il collegio arbitrale aveva disapplicato la legge antiusura.
In realta’, e a prescindere da ogni ulteriore considerazione circa la possibilita’ di ritenere contrario all’ordine pubblico il lodo che riconosca la spettanza di interessi usurari, deve osservarsi che la decisione arbitrale ha negato che i contratti per cui e’ causa prevedessero l’applicazione di interessi oltre la soglia di cui alla L. n. 108 del 1996, articolo 2. E tale accertamento e’ stato ritenuto dalla Corte di appello non viziato dalla contraddittorieta’ di cui all’articolo 829 c.p.c., n. 11.
Parte ricorrente, col terzo motivo, mira a confutare la correttezza della pronuncia impugnata, nella parte in cui ha escluso proprio la contraddittorieta’ della decisione arbitrale: e lo fa con una censura di omesso esame di fatto decisivo.
La doglianza non merita accoglimento.
La societa’ istante lamenta che non sia stata presa in considerazione la rilevanza degli interessi di mora ai fini della verifica del superamento della soglia usuraria. La Corte di merito non era pero’ investita dell’accertamento di fatto compiuto dagli arbitri, ma solo dello scrutinio circa la dedotta contraddittorieta’ delle disposizioni del lodo: ed e’ noto che la sanzione di nullita’ prevista per il lodo contenente disposizioni contraddittorie non corrisponde a quella dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma va intesa nel senso che detta contraddittorieta’ deve emergere tra le diverse componenti del dispositivo, ovvero tra la motivazione ed il dispositivo, mentre la contraddittorieta’ interna tra le diverse parti della motivazione, non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullita’ del lodo, puo’ assumere rilevanza, quale vizio del lodo, soltanto in quanto determini l’impossibilita’ assoluta di ricostruire l’iter logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale (Cass. 5 febbraio 2021, n. 2747; Cass. 28 maggio 2014, n. 11895). Nel giudizio di legittimita’ che investe la sentenza resa in sede di impugnazione del lodo, poi, il controllo della Suprema Corte non puo’ mai consistere nella rivalutazione dei fatti (Cass. 7 febbraio 2018, n. 2985; Cass. 26 luglio 2013, n. 18136).
E’ quindi escluso che possano avere ingresso, in questa sede di legittimita’, le censure, contenute a pagg. 20 ss. del ricorso per cassazione, con cui viene posto in discussione l’accertamento di fatto degli arbitri circa il mancato superamento del tasso soglia (accertamento di cui la Corte di appello da’ conto a pagg. 6 s. della sentenza impugnata).
Ne’ colgono nel segno le deduzioni in diritto articolate da (OMISSIS): deduzioni fondate sul rilievo per cui, in buona sostanza, l’eccedenza dell’interesse moratorio rispetto al tasso soglia rileva indipendentemente dal fatto che si sia prodotto l’inadempimento del destinatario del finanziamento. E cio’ in quanto la detta proposizione nulla puo’ aggiungere, sul piano delle inferenze, al quadro sopra descritto, connotato dalla mancata evidenza di pattuizioni usurarie.
3. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte;
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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