Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 22 marzo 2018, n. 13398.

Il direttore responsabile della testata giornalistica online risponde per gli articoli postati in maniera anonima, se non li rimuove tempestivamente.
La lesione del bene giuridico protetto, nel caso della pubblicazione di un articolo dal contenuto diffamatorio sul “Web”, non si esaurisce nell’atto della pubblicazione, cioe’ della materiale inserzione e della diffusione dell’articolo nella realta’ telematica, ma continua per tutto il tempo di permanenza dello scritto nel mondo della “Rete”, dove e’ liberamente consultabile, come si diceva, da un numero potenzialmente illimitato di lettori, la valutazione del comportamento del direttore responsabile (o del vice-direttore) va effettuata con riferimento, sia al momento dell’inserzione dell’articolo nella testata giornalistica telematica, sia al momento successivo della permanenza dello scritto nella testata accessibile on-line, allo scopo di accertare se, in relazione ad entrambi i momenti, sia in concreto rimproverabile all’imputato la mancata osservanza di regole di condotta, che, ove rispettate, avrebbero impedito la lesione del bene giuridico protetto dalle norme penali.

Sentenza 22 marzo 2018, n. 13398
Data udienza 11 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS) – parte civile;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/12/2016 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALFREDO GUARDIANO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PERELLI SIMONE che ha concluso per l’inammissibilita’;
La difesa chiede l’annullamento con rinvio e deposita conclusioni e
nota spese.
FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Campobasso, in riforma della sentenza con cui il tribunale di Campobasso, in data 10.2.2014, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al delitto di cui all’articolo 595 c.p., commi 1, 2 e 3, in rubrica ascrittogli, per aver redatto e pubblicato sul giornale telematico “(OMISSIS)” un articolo dal titolo “(OMISSIS)”, con il quale, secondo l’assunto accusatorio, si offendeva, anche con l’attribuzione di fatti determinati, l’onore e la reputazione di (OMISSIS), assolveva il suddetto imputato con la formula “perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato”, revocando le statuizioni civili, disposte dal giudice di primo grado in favore della costituita parte civile.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, di Campobasso ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, agli effetti civili, (OMISSIS), lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale ha errato nell’affermare la mancata dimostrazione della consapevolezza, da parte dell’imputato, della pubblicazione dell’articolo incriminato, laddove, invece, correttamente il giudice di primo grado aveva affermato la riconducibilita’ dell’articolo in questione al (OMISSIS), essendo quest’ultimo il responsabile della testata, oltre che amministratore del sito elettronico dove veniva pubblicato il giornale (qualifica, quest’ultima, riconosciuta dal tribunale, con motivazione non disattesa dalla corte di appello la negasse), alla luce della lunga permanenza in rete dell’articolo incriminato, che costituisce inequivocabile prova di quanto l’imputato fosse consapevole dell’esistenza, nella sua duplice veste, dell’avvenuta pubblicazione e della permanenza nel sito del suddetto articolo, chiunque ne sia stato l’autore; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte di appello, dopo aver proceduto, ex articolo 130 c.p.p., alla correzione di errore materiale del capo di imputazione, aggiungendovi la contestazione di cui all’articolo 57 c.p., ha erroneamente affermato, ponendola a base della sentenza di assoluzione, l’inapplicabilita’ al caso di specie del dettato di cui alla menzionata disposizione normativa, sulla base dell’argomentazione per cui “le pubblicazioni divulgate mediante la rete informatica difettino dei requisiti tipici della riproduzione tipografica (..), conseguendone che la diffusione in rete di articoli di detta natura, vada assimilata alla diffusione di trasmissioni in materia radiotelevisiva”, laddove, al contrario, tale assunto risulta smentito sulla scorta del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (con la sentenza n. 31022 del 2015), che hanno ricondotto la testata giornalistica telematica alla nozione di “stampa”; 3) omessa motivazione, con riferimento all’ultimo capo della sentenza impugnata, riguardante la parte in cui viene affermato che nell’articolo contestato non si ravvisa una violazione dei principi di verita’, continenza e pertinenza, in quanto le informazioni divulgate apparirebbero conformi ai fatti realmente accaduti e le espressioni utilizzate non sembrano travalicare i limiti del corretto esercizio del diritto di critica.
3. Il ricorso e’ fondato e va accolto.
4. Ed invero non puo’ non rilevarsi l’errore di diritto in cui e’ incorsa la corte territoriale nel fondare la sua decisione di escludere la responsabilita’ penale dell’imputato per il delitto ex articolo 595 c.p., sul presupposto che, trattandosi pacificamente di articolo apparso in forma anonima sulla pubblicazione telematica di cui si discute, in assenza di elementi che consentano di attribuirne personalmente al (OMISSIS) la materiale redazione, non e’ applicabile, nei confronti di quest’ultimo, in quanto direttore responsabile della testata on-line, il disposto dell’articolo 57 c.p., che, come e’ noto, configura la responsabilita’ a titolo di colpa del direttore o del vice-direttore responsabile del periodico, che ometta di esercitare il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, nel caso in cui un reato sia commesso.
Come affermato, infatti, dalla Suprema Corte, nella sua espressione piu’ autorevole, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 1, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attivita’ di informazione professionale diretta al pubblico.
Il giornale telematico, dunque, “sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale, soggiace alla normativa sulla stampa, perche’ ontologicamente e funzionalmente e’ assimilabile alla pubblicazione cartacea. E’, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarita’ in rete; ha la finalita’ di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualita’ dirette al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all’Albo dei giornalisti; e’ registrato presso il Tribunale del luogo in cui ha sede la redazione; ha un hostig pro vider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il ROC”. (cfr. Cass., Sez. U., 29.1.2015, n. 31022, rv. 264090), circostanze riscontrate nel caso in esame (cfr. p. 2 della sentenza di primo grado).
Dalla riconducibilita’ della testata giornalistica telematica alla nozione di “stampa”, consegue la sottoposizione di tale particolare forma di “giornale” alla relativa disciplina di rango costituzionale e di livello ordinario.
Ad essa, pertanto, si estendono non solo le garanzie costituzionali a tutela della stampa e della libera manifestazione del pensiero previste dall’articolo 21 Cost., ma anche le disposizioni volte ad impedire che con il mezzo della stampa si commettano reati, tra le quali particolare rilievo assume il disposto del citato articolo 57 c.p., che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, estende la sua portata anche ai casi di pubblicazione di un articolo non firmato, da ritenersi, in assenza di diversa allegazione, di produzione redazionale, dunque, riconducibile al direttore responsabile (cfr. Cass., sez. 5, 10.10.2008, n. 43084, rv. 242598; Cass., sez. 5, 22.2.2012, n. 15004, rv. 252484).
Risulta, pertanto, superato il contrario orientamento della giurisprudenza di legittimita’, che escludeva la responsabilita’ del direttore di un periodico on-line per il reato di omesso controllo, ex articolo 57 c.p., principalmente per l’impossibilita’ di ricomprendere detta attivita’ on-line nel concetto di stampa periodica, nonche’ per l’impossibilita’ per il direttore della testata on-line di impedire le pubblicazioni di contenuti diffamatori “postati” direttamente dall’utenza (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5, 5.11.2013, n. 10594, rv. 259888).
Tale ultimo profilo viene specificamente affrontato nella sentenza di questa sezione richiamata dalla corte territoriale (la n. 44126 del 2011), in cui, partendo dalla constatazione che nel caso di pubblicazione in Internet la trasmissione avviene telematicamente tramite un “internet provider, sfruttando la rete telefonica fissa o cellulare”, si e’ affermato che per le pubblicazioni a mezzo della rete informatica “postate” direttamente dall’utenza, sussiste “l’impossibilita’ per il direttore della testata di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma contenuta nell’articolo 57 c.p., non e’ stata pensata per queste situazioni, perche’ costringerebbe il direttore ad una attivita’ impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilita’ di tenere una condotta lecita”. Il tema, peraltro, viene affrontato, sia pure per incidens, nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite, in cui si specifica che “le garanzie e le responsabilita’ previste, per la stampa, dalle disposizioni sia di rango costituzionale, sia di livello ordinario, devono essere riferite ai soli contenuti redazionali e non anche ad eventuali commenti inseriti dagli utenti (soggetti estranei alla redazione), che attivano un forum, vale a dire una discussione su uno o piu’ articoli pubblicati”.
Orbene ritiene il Collegio che non possa essere invocata come causa di esclusione della responsabilita’ ex articolo 57 c.p., del direttore responsabile di una testata giornalistica on-line, la circostanza che l’articolo contenente espressioni diffamatorie sia stato “postato” in forma anonima, quando, come nel caso in esame, l’articolo, lungi dall’essere un commento ab externo di un lettore, si presenti come contenuto redazionale, sia pure inserito non firmato dal suo autore, all’interno della pubblicazione telematica, come si evince dalla documentazione allegata al ricorso.
Tale modalita’ di inserimento nel corpo della testata lascia presumere, infatti, la possibilita’ da parte del direttore responsabile di operare un controllo preventivo sul contenuto del giornale, che, altrimenti, ove non operasse alcun filtro, sarebbe esposto alla indiscriminata pubblicazione di ogni sorta di articolo diffamatorio, diventando un efficace strumento per la consumazione di reati a mezzo stampa.
Va, inoltre, rilevato che, nel caso in esame, risulta dimostrata la permanenza dell’articolo nel sito del giornale, e, dunque, la possibilita’ di fruirne da parte di un numero potenzialmente illimitato di lettori-utenti della “Rete”, per un lungo periodo di tempo (oltre un anno), a far data dalla pubblicazione avvenuta il 16 febbraio 2011 (cfr. p, 2 della sentenza di primo grado).
Sicche’, ove anche si addivenisse, attraverso un’indagine tipica del giudizio di merito, ad accertare che da parte del direttore responsabile non vi era la possibilita’ di controllare preventivamente il contenuto dell’articolo in questione, predisponendo gli opportuni accorgimenti tecnico-organizzativi, ove praticabili, che gli consentissero di venire a conoscenza in anticipo dei contenuti degli articoli “postati” in forma anonima, cio’ non sarebbe, comunque, sufficiente ad escludere la responsabilita’ del predetto, in relazione alla permanenza dell’articolo incriminato, che egli avrebbe potuto (e dovuto) rimuovere.
Responsabilita’, che puo’ atteggiarsi, indifferentemente, a titolo di colpa, ex articolo 57 c.p., o di concorso ex articolo 110 c.p., nel reato di diffamazione, quando vi sia la prova del consenso e della adesione del direttore al contenuto dello scritto diffamatorio (cfr. Cass., sez. 5, 28.9.2017, n. 52743, rv. 271782), senza che si possa sostenere, nel primo caso, il verificarsi di un’indebita modifica della fattispecie normativa di cui all’articolo 57 c.p., attraverso la sottoposizione a sanzione di una condotta diversa da quella tipizzata dal legislatore.
La costruzione della responsabilita’ prevista dall’articolo 57 c.p., in termini di colpa, va, invero, rapportata allo scopo dichiarato dalla norma: evitare che con il mezzo della pubblicazione siano compromessi i beni ritenuti meritevoli di tutela dal Legislatore penale.
Sicche’, tenuto conto che la lesione del bene giuridico protetto, nel caso della pubblicazione di un articolo dal contenuto diffamatorio sul “Web”, non si esaurisce nell’atto della pubblicazione, cioe’ della materiale inserzione e della diffusione dell’articolo nella realta’ telematica, ma continua per tutto il tempo di permanenza dello scritto nel mondo della “Rete”, dove e’ liberamente consultabile, come si diceva, da un numero potenzialmente illimitato di lettori, la valutazione del comportamento del direttore responsabile (o del vice-direttore) va effettuata con riferimento, sia al momento dell’inserzione dell’articolo nella testata giornalistica telematica, sia al momento successivo della permanenza dello scritto nella testata accessibile on-line, allo scopo di accertare se, in relazione ad entrambi i momenti, sia in concreto rimproverabile all’imputato la mancata osservanza di regole di condotta, che, ove rispettate, avrebbero impedito la lesione del bene giuridico protetto dalle norme penali.
Ne’ va taciuto che la corte territoriale ha omesso di considerare un altro rilevante aspetto, rappresentato dalla circostanza, accertata nel dibattimento di primo grado, che il (OMISSIS) oltre ad essere direttore responsabile della testata telematica in parola, era anche “amministratore” del sito elettronico, dove veniva pubblicato il giornale (cfr. p. 2 della sentenza di primo grado).
In tale qualita’ gravava su di lui l’obbligo di provvedere all’eliminazione dell’articolo diffamatorio sul sito, una volta che ne fosse venuto a conoscenza (cfr. Cass., sez. 5, 14.7.2016, n. 54946).
Merita censura, infine, per la sua estrema genericita’, che configura una vera e propria motivazione apparente, la parte finale del percorso argomentativo seguito dal giudice di secondo grado, in cui si sostiene apoditticamente, con affermazioni di puro genere (cfr. Cass., sez. 5, 14.7.2014, n. 9677, rv. 263100), l’esistenza, nel caso in esame, di un “diritto di critica o di cronaca”, che verrebbe a scriminare la condotta del reo.
5. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va, dunque, annullata, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvedera’ anche all’eventuale liquidazione in favore della parte civile costituita delle spese processuali sostenute in questa sede.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice
civile competente per valore in grado di appello.

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