Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 22 aprile 2020, n. 12730.
Massima estrapolata:
Il delitto di minaccia è assorbito in quello di cui all’art. 612-bis cod. pen. purché le minacce siano state poste in essere nel medesimo contesto temporale e fattuale integrante la condotta di atti persecutori. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 612 e 612-bis cod. pen., in quanto le contestate minacce risalivano ad un periodo precedente l’inizio degli atti persecutori).
Sentenza 22 aprile 2020, n. 12730
Data udienza 21 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Minaccia – Atti persecutori – Reato non assorbibile in quello di atti persecutori – Illeciti aventi differenti beni giuridici tutelati
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
Dott. MOROSINI Elisabetta Mar – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/09/2018 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PICARDI ANTONIETTA;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
udito il difensore;
L’avvocato (OMISSIS) chiede il rigetto del ricorso proposto dal ricorrente (OMISSIS), deposita conclusioni e nota spese;
L’avvocato (OMISSIS) chiede che il ricorso presentato dal (OMISSIS) sia dichiarato inammissibile; deposita conclusioni e nota spese anche per conto dell’avvocato (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 27.9.2018 la Corte d’appello di Campobasso ha confermato la sentenza del Tribunale di Isernia emessa il 20.9.2016 con la quale (OMISSIS) e’ stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione, per i reati di cui agli articoli 81 cpv. e 612 c.p. (cosi’ riqualificata l’originaria imputazione di cui all’articolo 572 c.p.), dal (OMISSIS) e articolo 612 bis c.p. nei confronti di (OMISSIS) e delle figlie di quest’ultima (OMISSIS) e (OMISSIS) (dal (OMISSIS)).
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, affidato a due motivi, con i quali lamenta:
– con il primo motivo, i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al ritenuto concorso dei reati di cui agli articoli 612 e 612 bis c.p.; in particolare, va censurato il mancato assorbimento del reato di minacce in quello di atti persecutori, in quanto quest’ultimo avrebbe tra i suoi elementi costitutivi proprio le minacce e le molestie reiterate, e, pertanto, queste non possono essere addebitate due volte al loro autore a titolo diverso; la Corte d’appello specificamente adita sul punto ha rigettato la doglianza con motivazione apparente, invocando laconicamente la diversita’ dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici;
– con il secondo motivo, i vizi di violazione di legge e di motivazione, relativamente all’affermazione di penale responsabilita’ per il reato di atti persecutori, in relazione agli articoli 125 e 546 c.p.p., in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata ad aderire alla valutazione operata dal giudice di prime cure, senza fornire autonoma motivazione, ne’ rispondere ai profili di gravame proposti, contravvenendo all’obbligo argomentativo nel caso di richiamo per relationem della sentenza impugnata; in particolare, gravemente insufficiente risulta essere la motivazione in merito all’assenza di atti e comportamenti violenti, alla insussistenza del dolo di atti persecutori e alla inattendibilita’ della parte offesa e dei testi di riscontro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Va innanzitutto evidenziato che fondata si presenta la deduzione del ricorrente di cui al primo motivo di ricorso, circa l’erroneita’ dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, laddove, la Corte territoriale, nell’affrontare il rapporto tra il reato di cui all’articolo 612 c.p. e quello di cui all’articolo 612 bis c.p., ha evidenziato che il reato di minaccia non puo’ ritenersi assorbito da quello di cui all’articolo 612 bis c.p., trattandosi di illeciti aventi differenti beni giuridici tutelati. Con tale valutazione risulta evidente l’erronea interpretazione del principio – che in questa sede di intende ribadire – espresso nella pronuncia di questa Corte n. 41182/2014, pur invocata a supporto dell’affermazione suddetta, secondo cui il delitto di atti persecutori assorbe quello di minaccia, ma non le ingiurie, perche’ gli atti intimidatori rientrano tra gli elementi qualificanti della fattispecie, mentre le ingiurie sono a questa estranee ed incidono su un bene della vita diverso da quello tutelato dall’articolo 612 bis c.p.p. (Sez. 5, n. 41182 del 10/07/2014, Rv. 261033). Invero, il reato di atti persecutori e’ integrato da “minacce” o “molestie” reiterate che determinano le conseguenze descritte dall’articolo 612 bis c.p., sicche’ le minacce rientrano tra gli elementi caratterizzanti la fattispecie, sub specie di elemento materiale del reato e non possono essere addebitate due volte al loro autore.
1.1. La fondatezza dell’assunto del ricorrente, tuttavia, non risulta dirimente, non potendo comportare le conseguenze invocate dallo stesso deducente, ossia quelle dell’assorbimento del reato sub a) in quello di atti persecutori sub c). L’assorbimento delle minacce nel reato di atti persecutori puo’ determinarsi solo quando le minacce siano state poste in essere nel medesimo contesto temporale e fattuale integrante la condotta di atti persecutori, che, nella fattispecie, risulta ascritta all’imputato dal (OMISSIS), laddove le minacce per le quali il ricorrente invoca l’assorbimento sono state precedenti al reato in questione, afferendo ad un periodo, per il quale originariamente era stato contestato il delitto ex articolo 572 c.p., derubricato con la sentenza di primo grado in quello di cui agli articoli 81 e 612 c.p.. Con tale dato, ricavatole dal mero esame delle contestazioni mosse, l’imputato non si confronta affatto sviluppando cosi’ censure parziali e non dirimenti.
2. Del tutto generico e comunque manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso in merito alla motivazione per relationem e piu’ in generale al vizio di motivazione, della sentenza impugnata. Sul punto si osserva come la Corte territoriale, sebbene alla luce delle precisazioni innanzi effettuate, abbia dato compiuta risposta alle doglianze svolte con l’atto di appello, sintetizzate nella premessa della sentenza impugnata, priva di contestazioni sul punto. In particolare, nel caso di specie, non risulta esservi stato un mero richiamo alla sentenza di primo grado, ma un’autonoma valutazione degli esiti dell’istruttoria espletata, posto che la Corte territoriale, nel valutare il ragionamento seguito dal primo giudice, l’ha ritenuto corretto, integrando le condotte gravemente minacciose ripetutamente, quasi quotidianamente, e per non breve tempo perpetrate nel periodo di cui in imputazione dall’imputato in danno dei familiari pp.oo., mediante messaggi scritti via telefono (v. anche documentazione prodotta ai c.c. dalla p.o. (OMISSIS)) e per lettera, e cosi’ pure con espressioni verbali nelle relazioni interpersonali i reati di cui agli articoli 612 e 612 bis c.p. In particolare, da un lato, la reiterazione delle condotte minacciose da conto dell’abitualita’ delle stesse e, dall’altro, i toni ed i modi delle condotte moleste e minacciose danno conto ampiamente della ricorrenza dello stato di ansia o paura prodotto nelle p.o. e, quindi, di uno degli eventi del reato di cui all’articolo 612 bis c.p..
3. Il ricorso va, dunque, respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che vanno liquidate in Euro 2.160 per la parte civile (OMISSIS) e in Euro 2.800 per ciascuna delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre accessori di legge.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida in Euro 2.160 per la parte civile (OMISSIS) e in Euro 2.800 per ciascuna delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
Si da’ atto che il presente provvedimento e sottoscritto dal solo consigliere anziano del Collegio per impedimento del suo Presidente ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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