La confisca di cui all’art. 12-sexies legge 7 agosto 1992 n. 356

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 22 aprile 2020, n. 12710.

Massima estrapolata:

La confisca di cui all’art. 12-sexies, legge 7 agosto 1992, n. 356 (ora art. 240-bis cod. pen.), è applicabile anche nei confronti degli eredi a seguito della morte della persona condannata con sentenza irrevocabile per uno dei delitti previsti dalla norma, atteso che gli stessi non rientrano nella categoria dei “terzi estranei” ai quali la cosa appartiene di cui all’art. 240 cod. pen., poiché un loro eventuale diritto sul bene oggetto della richiesta di restituzione dovrebbe derivare, “jure hereditario”, da analogo diritto del dante causa, che è, tuttavia, insussistente essendo i beni in discussione già transitati nella sfera patrimoniale dello Stato in conseguenza della applicazione della confisca.

Sentenza 22 aprile 2020, n. 12710

Data udienza 28 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Esecuzione – Opposizione ex artt. 667 co. 4 e 676 c.p.p. – Confisca dei beni ai sensi dell’art. 12 sexies l. n. 356/92 anche agli eredi dell’imputato – Preclusione dell’applicazione della misure di sicurezza anche patrimoniali in caso di decesso dell’imputo – Interpretazione dell’istituto della confisca atipica – Operatività del’art. 200 c.p.p non integra la violazione dell’art. 7 CEDU – Carenza di legittimazione processuale degli eredi – Reiterazione di censure di mero merito – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente

Dott. CASA Filippo – rel. Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 15/11/2018 della CORTE APPELLO di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere CASA FILIPPO;
lette le conclusioni del PG EPIDENDIO Tomaso, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del procedimento impugnato limitatamente ai due rapporti bancari accesi presso la Banca del Fucino nel 1995 e all’inammissibile, sito in Roma, via Sestio Calvina n. 44; rigetto nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione proposta ai sensi dell’articolo 667 c.p.p., comma 4, e articolo 676 c.p.p., da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso il provvedimento in data 23.5.2017 con il quale la stessa Corte, ad eccezione del dissequestro di una quota di usufrutto di un immobile in favore di (OMISSIS), aveva respinto le rispettive richieste – riunite in un unico procedimento di restituzione di beni sottoposti a confisca L. n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies nell’ambito del procedimento penale a carico di (OMISSIS), condannato con sentenza n. 6803/14 (irrevocabile il 1.4.2015) della suddetta Corte territoriale alla pena di sei anni, otto mesi di reclusione e 33.333,00 di multa per traffico di ingente quantitativo di hashish (1,5 tonnellate), commesso a (OMISSIS).
2. Avverso la citata ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione, presentandosi, tutti, come “terzi interessati” muniti di procura speciale, i suddetti (OMISSIS) (madre dell’imputato), (OMISSIS) (ex moglie dell’imputato), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (figli dell’imputato), deducendo, con un unico, articolato, motivo, violazione della legge penale con riferimento all’articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 321 c.p.p., L. n. 356 del 1992, articolo 12-sexies, articolo 42 Cost. e articolo 1 Prot. Add. CEDU.
2.1. A proposito della capacita’ economica e patrimoniale del (OMISSIS) e dei suoi familiari, giustificatrice dell’acquisto dei beni confiscati, si contesta, in primo luogo, alla Corte di Appello di aver reso una “motivazione apparente” con riguardo alla valutazione della documentazione concernente l’attivita’ svolta dalle societa’ costituite dai predetti in (OMISSIS) (dalle quali i ricorrenti avrebbero tratto nel corso degli anni i loro mezzi di sostentamento), tale da dimostrare l’effettiva esistenza delle stesse e la capacita’ di produrre utili.
In particolare, in relazione alla societa’ ” (OMISSIS)”, esercente un ristorante ubicato a Ibiza, si evidenzia la produzione di recensioni pubblicitarie, contratti di lavoro del personale dipendente, nonche’ i certificati di esistenza in vita della societa’ rilasciati dall’Agenzia tributaria spagnola dal 2002 ad oggi.
Non poteva accettarsi, quindi, il passaggio motivazionale contenuto a pag. 11 del provvedimento impugnato, in cui si afferma: “pur dovendosi considerare che la societa’ (OMISSIS) negli anni si produsse nell’acquisto e nella successiva vendita di un appartamento, come documentato in atti, non vi e’ prova della consistenza dell’attivita’ lavorativa documentata dal numero di prestatori di lavoro, rimasta allo stato meramente assertiva”.
In altra parte del provvedimento impugnato si sarebbe omesso di dare atto di un’ulteriore produzione documentale relativa all’operazione cd. “scudo fiscale” ex Decreto Legge n. 78 del 2009.
2.2. Il ricorso, poi, sviluppa il tema afferente al criterio della “ragionevolezza temporale” che dovrebbe giustificare la confisca “allargata” per indurre a ritenere che i beni siano derivati dalle condotte criminose oggetto di condanna.
Tale criterio sarebbe stato disatteso dal giudice dell’esecuzione in relazione agli acquisiti immobiliari effettuati tra il 1996 e il 1998, ossia ben oltre dieci anni prima della data del commesso reato ((OMISSIS)).
Osservano i ricorrenti che una dilatazione temporale ultradecennale sarebbe irragionevole, perche’ non consentirebbe loro di assolvere efficacemente all’onere probatorio su di essi incombente (si evidenzia, tra l’altro, che e’ solo sino a 10 anni che le banche sono obbligate a conservare documentazione in favore di terzi).
Rimproverano alla Corte di Appello di aver motivato, sul punto, in modo apodittico, esclusivamente collegato alla tipologia del reato per il quale (OMISSIS) era stato condannato (“tali modalita’ del fatto, pur considerando che si tratto’ di un reato di evento commesso nell'(OMISSIS), impongono di ritenere che l’attivita’ di traffico di stupefacenti ebbe inizio in un periodo di tempo di certo antecedente cosicche’ l’acquisizione dei beni non puo’ ritenersi talmente lontana dall’epoca di commissione del reato-spia da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da un’attivita’ illecita”), segnalando che il predetto era gravato da un unico precedente per ricettazione risalente al 1993.
2.3. Contestano, poi, i ricorrenti la sostanziale “inversione” dei principi giuridici che sovraintendono alla corretta applicazione della confisca allargata.
A loro avviso, sarebbe stato invertito l’onere probatorio, facendo ricadere sui terzi lo stesso obbligo incombente al condannato, ovvero quello di dimostrare la legittimita’ del proprio patrimonio alla luce della sproporzione tra i beni sottoposti a vincolo e il patrimonio dichiarato al fisco.
La Corte di merito, anziche’ indagare le ragioni per le quali i singoli beni non avrebbero potuto considerarsi nella effettiva disponibilita’ dei loro formali proprietari e partendo dal mero presupposto del loro valore, comunque superiore al reddito dichiarato, aveva desunto una loro implicita riconducibilita’ all’imputato (ovvero ai proventi derivati dalla sua attivita’ illecita).
Tale approccio non era corretto, non solo perche’ determinava una illegittima inversione dell’onere probatorio in capo ai terzi, ma soprattutto perche’ non teneva conto di alcune circostanze documentali inconfutabili.
2.4. Si sviluppano, poi, in ricorso, rilievi critici relativi ai singoli beni o alle categorie di beni oggetto di confisca.
2.4.1. Sull’immobile sito in (OMISSIS), piano 1, int. 1, del quale (OMISSIS) era titolare del diritto di usufrutto e (OMISSIS) e (OMISSIS) titolari del diritto di nuda proprieta’.
Premesso che il bene fu acquistato successivamente alla separazione della (OMISSIS) dal (OMISSIS), non si poteva legittimamente sostenere che esso avesse un valore incompatibile con le sue disponibilita’ economiche, posto che non erano mai state indagate le capacita’ reddituali della (OMISSIS).
Quand’anche fosse stato plausibile che il (OMISSIS) avesse con suo capitale contribuito all’acquisto della casa, la sua intestazione alla ex moglie, ormai separata in regime di separazione di beni, ed ai figli, equivaleva a prova anche del contestuale spossessamento di quel bene.
La Corte di Appello, sul punto, aveva speso un ragionamento illogico, poiche’ nel momento in cui si affermava che l’intestazione della casa alla (OMISSIS) poteva rappresentare “un accordo patrimoniale fra coniugi riferito a oneri di mantenimento”, implicitamente si ammetteva, a chiare lettere, che quel bene era, comunque, sottratto alla disponibilita’ dell’imputato.
2.4.2. Sui beni nella titolarita’ di (OMISSIS).
Cosi’ come per il bene di cui sopra, anche per il negozio sito in (OMISSIS), destinato a esercizio commerciale (in relazione al quale era stata restituita la quota di usufrutto, ritenuta legittima), e per i due conti correnti bancari accesi presso la (OMISSIS), agenzia di (OMISSIS), si era preteso di considerarne sproporzionato il valore senza tener conto delle attivita’ svolte nel corso degli anni, ne’ dei redditi percepiti dal marito della (OMISSIS), oggi scomparso.
Anche in tal caso era stata violata la disciplina dell’onere probatorio.
Secondo la Corte di Appello, piuttosto contraddittoriamente, la (OMISSIS) e suo marito avrebbero avuto fondi leciti per acquistare la loro quota di usufrutto, ma non anche per pagare la parte residua dell’immobile, acquistata mediante accensione di mutuo bancario a loro intestato finanziato sostanzialmente dalle rendite di quello stesso locale (come verificabile dai versamenti mensilmente effettuati dal locatario sul medesimo c/c oggetto di confisca).
2.4.2.1. La motivazione era inadeguata anche per i due conti correnti bancari.
Ad assumere rilevanza ai fini della confisca di un conto bancario non poteva essere la movimentazione su questo effettuata nel corso del tempo, ma i(suo saldo finale, in quanto unico parametro che ne consentiva la valutazione ai fini della dimostrazione di una possibile sproporzione.
Con questo – si osserva in ricorso – non si voleva affermare che eventuali “movimentazioni sospette” non potessero essere prese in considerazione ai fini della dimostrazione dell’utilizzo di quel conto da parte di un soggetto diverso dal formale intestatario, ma semplicemente che se su quel conto erano confluite somme chiaramente lecite (come i canoni di affitto, la pensione sociale e il risarcimento danni per un sinistro subito), in assenza di elementi certi che consentissero di distinguere la parte di provvista lecita da quella illecita, l’esistenza di un saldo finale di entita’ assolutamente compatibile con le disponibilita’ del suo formale intestatario non rappresentava un dato valutativo tale da consentire la confisca del conto.
2.4.3. Sui beni (immobili, mobili registrati” conti correnti bancari, dossier titoli e cassetta di sicurezza dettagliatamente indicati a pag. 4 del provvedimento impugnato) nella titolarita’ di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), figli e coeredi del defunto (OMISSIS).
Se la Corte di merito affermava “che l’imputato fu autore di numerosi accrediti di ingenti somme di denaro provenienti dalla (OMISSIS)”, cio’ non poteva che dimostrare la riconducibilita’ di detti proventi alle attivita’ lecite svolte all’estero dal predetto, essendo illogico pensare che chi commetteva reati decidesse inspiegabilmente di versarne i proventi sui conti correnti italiani a lui ricollegabili.
Anche in relazione a tali beni si era rivelato scorretto l’approccio del giudice dell’esecuzione.
Ed invero, se un patrimonio veniva regolarizzato a fini tributari, ancorche’ accumulato in un periodo storico in cui il suo possesso era assolutamente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati, esso poteva essere legittimamente utilizzato per giustificare la liceita’ delle ricchezze accumulate nel corso del tempo.
Nel caso di specie, in presenza di documentate e redditizie attivita’ economiche esercitate da tutti i soggetti coinvolti, anche all’estero, nonche’ di una procedura di rimpatrio di capitali che aveva assolto agli oneri tributari previsti, i beni in questione (gran parte dei quali entrati, comunque, nella disponibilita’ dei ricorrenti in un periodo notevolmente antecedente alla data del commesso reato) non potevano in alcun modo considerarsi sproporzionati rispetto alla loro effettiva capacita’ patrimoniale. Senza trascurare che, ad alimentare la convinzione che le ricchezze possedute dalla famiglia (OMISSIS) fossero stati realmente i proventi leciti delle attivita’ professionali esercitate anche all’estero, vi era pure il dato per cui gran parte delle movimentazioni riscontrate sui conti in sequestro risultavano avvenute attraverso canali ufficiali del circuito bancario, il che non si conciliava con l’intento di dissimulare provviste provenienti da reato.
L’ordinanza impugnata doveva, in conclusione, essere annullata.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente ai beni formalmente intestati e acquisiti ab origine da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rispetto ai quali il giudice dell’esecuzione doveva specificamente affrontare la questione della fittizieta’ dell’intestazione e della riconducibilita’ dei beni nella disponibilita’ di fatto del condannato.
Sul punto, la Corte di merito si sarebbe limitata a rilevare l’insufficienza delle deduzioni difensive sul punto della loro capacita’ reddituale, evidenziando la sproporzione di valore, cosi’, di fatto, imponendo al terzo una inversione dell’onere della prova, che, viceversa, presupponeva, anzitutto, l’accertamento della disponibilita’ dei beni in capo al condannato e la fittizieta’ dell’intestazione, tema sul quale la motivazione era assente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio opportuno, prima di esaminare i motivi di ricorso, svolgere alcune premesse sull’applicabilita’ delle misure di sicurezza di carattere patrimoniale in caso di morte dell’imputato dopo l’irrevocabilita’ della condanna.
1.1. Occorre, anzitutto, ricordare che, in tema di misure di sicurezza personali, vige il principio posto,dall’articolo 210 c.p., in base al quale l’estinzione della pena (nel caso di specie, dagli atti in possesso di questa Corte si evince che la morte del (OMISSIS) si sarebbe verificata dopo che la condanna per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73-80 era divenuta definitiva) impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza (e, in talune occasioni, pure l’esecuzione di quelle gia’ disposte).
Tale principio opera anche nei riguardi delle misure di sicurezza patrimoniali (v. cauzione di buona condotta), fatta eccezione per la confisca, cosi’ disponendo espressamente l’articolo 236 c.p..
Deve ribadirsi, dunque, che la morte dell’imputato dopo la irrevocabilita’ della condanna – quale causa di estinzione della pena – non e’ di ostacolo ne’ alla “applicazione” della confisca, ne’ alla sua “esecuzione”, ove la applicazione sia gia’ stata disposta prima dell’evento estintivo (Sez. 1, n. 3098 del 3/12/2014, dep. 22/1/2015, Iannonte, Rv. 262173 – 01; Sez. 5, n. 9576 del 25/1/2008, P.G. in proc. Doldo e altri, Rv. 239117 – 01).
1.2. Il non essere di ostacolo non significa, peraltro, che al detto evento la confisca segua in ogni caso.
Secondo il ragionamento sviluppato dalle Sezioni unite sul rapporto tra confisca e cause di estinzione del reato (Sez. U, n. 5 del 25/3/1993, Carlea, Rv. 193120), puo’ osservarsi, semmai, che in presenza della causa di estinzione della pena, la quale presuppone una condanna definitiva, i termini di applicabilita’ della confisca sono quelli fissati dalla singola norma che la prevede: nel caso di specie, per l’appunto, Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, convertito, con mod., dalla L. n. 356 del 1992 (ora riprodotto, con parziali modifiche, nell’articolo 240-bis c.p.).
Tale norma, come noto, sancisce una ipotesi di confisca obbligatoria (cd. “allargata”), a determinate condizioni oggettive (condanna per uno dei reati elencati; sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attivita’ economiche del soggetto; mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi: Sez. U, n. 920,del 17/12/2003, dep. 19/1/2004, Montella, Rv. 226490-226491-226492 – 01), di beni del condannato, anche se intestati a terzi.
Rispetto all’istituto di carattere generale di cui all’articolo 240 c.p., la possibilita’ di applicare siffatta speciale tipologia di confisca anche a seguito di estinzione della pena trova una spiegazione aggiuntiva nel fatto, sottolineato dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 29022 del 30/5/2001, Derouach, Rv. 219221 – 01), che essa unisce la funzione repressiva propria di ogni misura di sicurezza patrimoniale a quella, preminente, derivata dallo schema della affine misura di prevenzione patrimoniale antimafia prevista dalla L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter (ora Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24), “di ostacolo preventivo teso ad evitare il proliferare di ricchezza di provenienza non giustificata, immessa nel circuito di realta’ economiche a forte influenza criminale. Realta’ che il legislatore ha inteso neutralizzare colpendo le fonti di un flusso sotterraneo sospetto in rapporto alle capacita’ reddituali di soggetti condannati per determinati delitti, sintomatici di contiguita’ “mafiosa”. Salva, beninteso, la contraria dimostrazione da parte di costoro della provenienza dell’accumulo che superi la presunzione “iuris tantum”, per il nesso intravisto dal legislatore tra soggetto condannato per determinati delitti e il suo patrimonio ingiustificato”.
2. Cio’ premesso, deve rilevarsi che, nel caso in esame, il primo presupposto della misura di sicurezza patrimoniale, costituito dalla condanna dell’imputato per il reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articoli 73 e 80 e’ integrato perche’ la sentenza e’ stata pronunciata.
2.1. L’assunto non e’ scalfito dal rilievo, che peraltro nessun ricorrente ha dedotto, per cui, a partire dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 1 marzo 2018, n. 21 (“Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 85, lettera q), “), il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, non risulta piu’ incluso nel catalogo dei delitti che, in caso di condanna o applicazione di pena concordata a norma dell’articolo 444 c.p.p., giustificano l’applicazione della confisca “allargata”.
Ed invero, come gia’ poc’anzi accennato, tale tipologia di confisca, diversamente dalla confisca “per equivalente”, di cui e’ stata riconosciuta la natura eminentemente sanzionatoria (Sez. 3, n. 18311 del 6/3/2014, Cialini, Rv. 259103 – 01; Sez. 2, n. 28685 del 5/6/2008, P.M. in proc. Chinaglia, Rv. 241111 – 01; Ord. n. 97/2009 C. Cost.), esplica una funzione precipuamente preventiva e, quindi, mantiene le caratteristiche proprie della misura di sicurezza patrimoniale, ancorche’ atipica, dal che discende che essa non e’ soggetta al principio di irretroattivita’ della norma penale di cui all’articolo 25 Cost. e articolo 2 c.p., quanto piuttosto alla disposizione dell’articolo 200 c.p., – riferibile alla confisca per il richiamo operato dall’articolo 236 c.p., – secondo la quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone e altro, Rv. 254698 – 01; Sez. 6, n. 25096 del 6/3/2009, Nobis e altro, Rv. 244355 – 01; Sez. 1, n. 8404 del 15/1/2009 Bellocco e altri Rv. 242862 – 01; v., con riferimento alla “affine” misura della confisca di prevenzione, Sez. 2, n. 49772 del 17/10/2018, Italfondiario s.p.a., Rv. 275512 02; Sez. 2, n. 30938 del 10/6/2015, Annunziata e altro, Rv. 264173 – 01).
Tale interpretazione offerta all’istituto della confisca atipica e la sua soggezione al disposto dell’articolo 200 c.p., in quanto non avente natura di “pena”, non integrano una violazione dell’articolo 7 CEDU, senza che al riguardo possano porsi dubbi di costituzionalita’, gia’ risolti negativamente da Corte Cost. n. 53 del 1968 (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, cit.).
2.2. Incarnando i principi nella vicenda in esame, va detto che la confisca atipica nel giudizio penale a carico di (OMISSIS) e’ stata legittimamente disposta, in quanto, al momento della sua applicazione, il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, era annoverato nell’elenco di delitti la condanna per i quali giustificava l’applicazione della confisca suddetta.
La irrevocabilita’ in data 1.4.2015 della decisione di condanna, concernente anche la confisca, esclude, in forza dell’articolo 200 c.p., (incompatibile con la disciplina di cui all’articolo 2 c.p.), l’influenza su di essa, in sede di esecuzione, della norma “piu’ favorevole” sopravvenuta nel 2018, che ha espunto il delitto suindicato dall’elenco in questione.
3. Proprio la definitivita’ della decisione sulla confisca rende inammissibili i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riguardo ai beni ereditati dal defunto padre (OMISSIS), elencati in dettaglio alla pag. 4 del provvedimento impugnato.
Va ribadito, al riguardo, che la confisca di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12 sexies, e’ applicabile anche nei confronti degli eredi a seguito della morte della persona condannata con sentenza irrevocabile per uno dei delitti previsti dalla norma, atteso che gli stessi non rientrano nella categoria dei “terzi estranei” ai quali la cosa appartiene di cui all’articolo 240 c.p., poiche’ un loro eventuale diritto sul bene oggetto della richiesta di restituzione dovrebbe derivare, “jure hereditario”, da analogo diritto del dante causa, che e’, tuttavia, insussistente in concreto, in conseguenza della sua estinzione dipendente proprio dalla confisca, che ha determinato il trasferimento del bene nel patrimonio dello Stato.
Nel caso di specie, essendo i beni in discussione transitati nella sfera patrimoniale dello Stato a causa dell’applicazione della confisca, divenuta definitiva, al momento (successivo) della morte del condannato (avvenuta nel 2016) essi non facevano piu’ parte dell’asse ereditario, e, conseguentemente, non potevano formare oggetto di nessuna aspettativa da parte dei figli del de cuius ne’ essere oggetto di una richiesta di restituzione con incidente di esecuzione (Sez. 6, n. 27343 del 20/5/2008, Ciancirnino, Rv. 240584 – 01; Sez. 1, n. 5262 del 25/9/2000, Todesco e altri, Rv. 220007 – 01).
La carenza di legittimazione degli eredi di (OMISSIS), che avrebbe dovuto indurre il giudice dell’esecuzione a dichiarare inammissibile la loro istanza di restituzione e non a rigettarla, entrando nel merito, rende altrettanto inammissibili i ricorsi per cassazione proposti, con le conseguenze di legge nei termini di cui si dira’.
4. Il ricorso di (OMISSIS) – rispetto alla quale non si pongono questioni di derivazione di beni da diritto ereditario – va, invece, rigettato.
4.1. E’ noto che l’articolo 12-sexies consente di sottoporre a confisca anche i beni intestati a terzi diversi dall’imputato condannato, ma di cui questi abbia nella realta’ dei fatti la titolarita’ o la disponibilita’ secondo un meccanismo di interposizione fittizia, tale per cui l’appartenenza al terzo costituisce lo schermo formale e legale che, attraverso l’intestazione dei beni, cela il vero titolare o fruitore e protegge gli interessi del condannato interponente alla conservazione di quei cespiti patrimoniali immuni da provvedimenti giudiziali aventi effetto ablatorio.
In questo caso, prima ancora che investigare sull’accumulazione illecita, si impone in via pregiudiziale l’accertamento dell’effettiva interposizione fittizia tra terzo ed imputato, da condurre su impulso dell’Accusa, che e’ gravata del relativo onere, sulla scorta dei dati fattuali disponibili, ossia dei rapporti personali, di coniugio, parentela, amicizia tra costoro, delle situazioni patrimoniali e reddituali, delle attivita’ svolte, insomma mediante l’utilizzo anche di elementi indiziari, purche’ connotati dai requisiti di pluralita’, gravita’, precisione e concordanza stabiliti dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, in modo da dimostrare la discrasia esistente tra formale titolarita’ e reale appartenenza dei beni.
Tale operazione nei confronti del terzo, per quanto la confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies, non postuli l’esistenza di un nesso eziologico di derivazione dei beni dal reato accertato, non puo’ essere agevolata dalla presunzione relativa fondata sulla sproporzione dei valori, ma richiede uno sforzo dimostrativo analogo a quello preteso per l’accertamento giudiziale di qualsiasi fatto di giuridica rilevanza (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone e altro, Rv. 254699 – 01; Sez. 6, n. 42717 del 5/11/2010, Noviello, Rv. 248929 – 01; Sez. 1, n. 27556 del 27/5/2010, Buompane, Rv. 247722 – 01; Sez. 1, n. 8404 del 15/1/2009, Bellocco, Rv. 242863 – 01; Sez. 2, n. 3990 del 10/1/2008, Catania, Rv. 239269 – 01).
4.2. Calando i principi enunciati nella vicenda in esame, ritiene il Collegio che sia stata adeguatamente dimostrata la titolarita’ solo formale in capo alla (OMISSIS) del c/c bancario n. (OMISSIS) acceso presso la (OMISSIS), agenzia di (OMISSIS) e del collegato rapporto titoli n. (OMISSIS), acceso presso la medesima agenzia.
4.2.1. Cio’ non solo per la delega ad operarvi, conferita dalla (OMISSIS) – per quanto risulta – senza limiti al figlio (OMISSIS) (v. Sez. 2, n. 29692 del 28/5/2019, Tognola, Rv. 277021 – 01), quanto per la continua presenza di movimentazioni, da parte dell’imputato, di cifre incompatibili con le sue capacita’ reddituali ed economiche, per come dimostrate dalle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni, che hanno indicato nessun reddito dal 1993 al 1998 e cifre di poco superiori agli 8.000,00 Euro per gli anni dal 1999 in avanti, derivanti da reddito di fabbricati e canone di locazione.
Di contro, il conto corrente in questione e il rapporto titoli che da esso si alimentava (e su di esso faceva confluire i proventi della vendita di titoli) hanno registrato – evidenzia la Corte di Appello – movimentazioni complessive di somme di denaro, riconducibili a singole operazioni poste in essere personalmente dal (OMISSIS), nell’ordine di Euro 820.578,49, con versamenti per contanti di Euro 150.000,00 e bonifici all’estero per l’imputato per complessivi Euro 80.000,00 rilevati dal 28 marzo al 28 aprile 2008.
Oltre alla personale movimentazione di cifre ingenti, incompatibili con la posizione fiscale dichiarata, milita per la disponibilita’ di fatto, e in modo continuativo, del conto corrente de quo in capo al condannato la significativa circostanza del bonifico mensile di Euro 750,00 effettuato dal medesimo a favore della ex moglie (OMISSIS) a partire dall’anno 2000 in cui venne dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, circostanza, quest’ultima, chiaramente rivelatrice dell’uso del conto da parte del (OMISSIS) con esercizio di poteri fattuali uti dominus.
4.2.2. A fronte di tali univoche circostanze, correttamente la Corte ha relegato in ambito di ininfluenza probatoria la presenza, sul medesimo conto, di modesti proventi percepiti dalla (OMISSIS) (pensione INPS di Euro 9.125,00 lordi e canoni di locazione non elevati), ovvero della giacenza, al momento del sequestro preventivo disposto nel 2011, di Euro 21.000,00 circa.
4.2.3. Quest’ultima cifra, d’altro canto, in modo del tutto ragionevole e’ stata valutata dal giudice dell’esecuzione come non apprezzabile, da sola, a dimostrare – sebbene non radicalmente incongrua rispetto ai redditi percepiti dalla (OMISSIS) – la titolarita’ effettiva, oltre che formale, del conto corrente in capo alla medesima, atteso che il saldo finale attivo costituisce, all’evidenza, un singolo elemento di natura contabile che va, pero’, inquadrato, per comprenderne l’esatto significato probatorio, nel piu’ ampio contesto, adeguatamente considerato dalla Corte capitolina, delle emergenze complessive del conto, in poche parole, nella sua “storia dinamica”, storia che, come detto, parla con la voce dominante di (OMISSIS) come titolare effettivo del rapporto bancario e del connesso dossier titoli.
4.2.5. Cio’ detto, passando al diverso tema della sproporzione tra somme movimentate dal (OMISSIS) e capacita’ reddituale ed economica del medesimo, devono stimarsi immuni da manifesti vizi di illogicita’ e contraddittorieta’ le considerazioni svolte dai Giudici di merito nell’escludere, per insufficienza di prove al riguardo, dal computo dei redditi prodotti dal condannato i prospettati proventi delle attivita’, asseritamente lecite, svolte dalle sue societa’ costituite in (OMISSIS), la cui entita’, a detta della difesa, si sarebbe dovuta desumere da un calcolo aritmetico fondato sull’importo di Euro 82.219,00, accreditato nel 2009 su un conto della (OMISSIS) con la causale “pagamento imposta straordinaria Decreto Legge n. 78 del 2009”, importo da cui si sarebbe dovuta inferire una disponibilita’ finanziaria del (OMISSIS) in Italia, a partire dal 2009, di Euro 1.644.380,00.
Sul punto, corretto si rivela l’argomentare del giudice dell’esecuzione, laddove sottolinea, da un lato, che dalla regolarizzazione fiscale del suddetto capitale non consegue, di per se’, la liceita’ della sua accumulazione e, dall’altro, che, in assenza di produzione di scritture e documentazione contabili di provenienza certa, nonostante l’oggetto delle attivita’ indicate nell’atto costitutivo favorisse la tracciabilita’ delle transazioni commerciali con i terzi, non era possibile dimostrare il periodo di formazione del reddito in modo da correlarlo alle date degli acquisti dei beni confiscati e della movimentazione delle somme sui conti correnti menzionati.
Del tutto conseguenziale, sul piano logico, a ulteriore corroborazione del ragionamento seguito, si rivela, quindi, la considerazione della Corte capitolina sulla circostanza per cui, anche dopo il rientro dei capitali dall’estero avvenuto nel 2009, il (OMISSIS) continuo’, nel 2010, a dichiarare ai fini delle imposte di aver percepito il modestissimo reddito di Euro 8.211,00, derivante da reddito di fabbricati e canone di locazione e lontanissimo dalla disponibilita’ finanziaria vantata.
Ma vi e’ di piu’.
4.2.5.1. Nel provvedimento impugnato si legge che l’analisi delle attivita’ societarie e dei redditi presuntivamente prodotti all’estero risulta sviluppata in una consulenza tecnica di parte, valorizzata dalla difesa alla stregua di “prova nuova”.
Tale prospettazione, tuttavia, presupporrebbe la veicolazione dell’istanza di restituzione dei beni confiscati L. n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies, come sostanziale istanza di revocazione ai fini della revisione, analoga a quella oggi prevista per le misure di prevenzione patrimoniali dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28.
Al riguardo, occorre richiamare e ribadire il principio gia’ affermato da questa Corte, cui si intende dare continuita’, secondo il quale la confisca disposta ai sensi dell’articolo 12-sexies con sentenza definitiva non puo’ essere revocata dal giudice dell’esecuzione, non essendo contemplato tale potere dall’articolo 676 c.p.p. e non potendosi applicare in tale ipotesi la disciplina della revoca prevista per le misure di prevenzione patrimoniali (Sez. 1, n. 28525 del 24/9/2018, Marongiu, Rv. 276491 – 01; Sez. 1, n. 26852 del 10/6/2010, Cavallaro, Rv. 247726 – 01; Sez. 1, n. 3877 del 20/1/2004, La Mastra, Rv. 227330 – 01).
Inoltre, quand’anche fosse stata ammissibile tale modalita’ d’introduzione dell’istanza, non avrebbe potuto costituire “prova nuova” una consulenza tecnica contenente una diversa valutazione tecnico-scientifica di dati gia’ valutati, in quanto essa si tradurrebbe in apprezzamento critico di emergenze oggettive gia’ conosciute e delibate nel procedimento (Sez. 6, n. 3943 del 15/01/2016 Bonanno Rv. 267016 – 01).
4.2.6. Infine, non e’ seriamente discutibile – e infatti non viene specificamente dedotto con riferimento alle somme confiscate su conto e rapporto titoli intestati alla (OMISSIS) – il rispetto, da parte del giudice dell’esecuzione, del criterio dell’ambito di ragionevolezza temporale (Sez. 2, n. 52626 del 26/10/2018, Grillo, Rv. 274468 – 01; Sez. F. n. 56596 del 3/9/2018, P.G. in proc. Balsebre, Rv. 274753 – 03; Sez. 3, n. 52055 del 3/10/2017, Monterisi e altro, Rv. 272420 – 01; Sez. 1, n. 34136 del 13/6/2014, Balsebre, Rv. 261202 – 01), atteso che, come gia’ posto in risalto, le movimentazioni di cifre ingenti da parte del (OMISSIS) si spingono, quanto meno, fino al 2008, anno non lontano dal 2011 in cui venne da lui commesso il reato oggetto di condanna.
4.3. Non e’ dato comprendere le ragioni che giustificherebbero un qualsivoglia diritto alla restituzione della (OMISSIS) rispetto all’immobile, destinato a esercizio commerciale, ubicato in (OMISSIS), piano terra.
Si legge nel provvedimento che sul bene, acquistato il 23.4.1998 dal (OMISSIS) come nudo proprietario, venne riconosciuto alla (OMISSIS) e al marito (genitori dell’imputato) il diritto di usufrutto congiunto al 50% con reciproco accrescimento a favore del coniuge piu’ longevo.
Essendo premorto il coniuge, la (OMISSIS) acquisi’ il diritto di usufrutto del bene per l’intera quota, diritto di usufrutto che le e’ stato restituito nel procedimento di esecuzione in esame.
Pertanto, non rientrando la ricorrente, stando alle risultanze processuali, nel novero degli eredi, nessun diritto le poteva spettare sul bene citato, diritto che, viceversa, sarebbe spettato ai figli del condannato se, per quanto gia’ evidenziato nella parte d’interesse, non fosse intervenuta la preclusione del giudicato sulla confisca, che ha determinato, ancor prima della morte del (OMISSIS), l’irreversibile trasferimento di tutti i beni intestati formalmente al predetto nel patrimonio dello Stato e la loro conseguenziale esclusione dall’asse ereditario.
4.4. Il ricorso della (OMISSIS) va, in conclusione, rigettato, dal che consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5. A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo all’appartamento ubicato in (OMISSIS), piano primo, interno 1, del quale sono titolari della nuda proprieta’ (OMISSIS) e (OMISSIS) e titolare del diritto di usufrutto (OMISSIS), rispettivamente figli ed ex moglie dell’imputato.
Il bene risulta acquistato nel dicembre 1996: la (OMISSIS) acquisto’ l’usufrutto per Lire 178.500.000 e i figli acquistarono la nuda proprieta’ dell’immobile per Lire 31.500.000 previa autorizzazione del giudice tutelare.
Sul tema pregiudiziale della fittizieta’ dell’intestazione – in assenza della quale non e’ giustificabile la confisca – il ragionamento della Corte di merito e’, al tempo stesso, carente e contraddittorio.
Carente, perche’, dopo aver ritenuto, apoditticamente, “non accoglibile” la tesi della regalia del denaro necessario all’acquisto da parte dell’imputato, che in tal modo si e’ spogliato del bene perdendone la disponibilita’, ha affermato, non chiarendo in cosa consistesse la differenza, che “non si tratto’ di donazione ma di provvista fornita dall’imputato tramite un prestanome per dotare di un immobile la moglie e i due figli comuni”.
Contraddittoria, perche’, sebbene abbia, infine, ritenuto logicamente plausibile la tesi difensiva prospettante “un accordo patrimoniale fra i coniugi riferito a oneri di mantenimento” in vista della imminente separazione, ha omesso di spiegare perche’, alla stregua di tale chiave di lettura, giudicata non illogica, dovesse reputarsi fittizia e non rispondente (anche) a poteri di fatto sul bene la titolarita’ dell’usufrutto e della nuda proprieta’ rispettivamente in capo alla ex moglie e ai due figli.
6. Per tali vizi della motivazione, l’ordinanza impugnata, va, in parte qua, annullata, con rinvio per nuovo esame che tenga conto delle incongruenze rilevate.
7. Il parziale accoglimento dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS), nel resto dichiarati inammissibili, esclude la condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali, mentre (OMISSIS), il cui ricorso va dichiarato inammissibile tout court (in quanto non interessato alla vicenda dell’immobile poco prima trattata), va condannato anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo indicare in Euro tremila.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla domanda relativa all’immobile sito in (OMISSIS), piano primo, interno 1, distinto nel N. C.E.U. del Comune di Roma, foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS), subalterno 501, e rinvia per nuovo esame al riguardo alla Corte di Appello di Roma.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riguardo ai beni ereditati da (OMISSIS), condannando (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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