Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 febbraio 2023| n. 5813.
Il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo
In tema di spese processuali, il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo, sicché la stessa non è esclusa dalla circostanza che la parte, una volta convenuta in giudizio, sia rimasta contumace.
Ordinanza|27 febbraio 2023| n. 5813. Il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo
Data udienza 20 dicembre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Fallimento – Azione revocatoria ordinaria – Atto depauperativo delle ragioni creditorie – Contratto di mantenimento con trasferimento immobiliare – Ricorso per cassazione – Censurata mancata ammissione prova testimoniale – Onere di allegazione – Violazione art. 2697 c.c. – Configurabilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34317-2019 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato SCHILLACI Francesco, rappresentati e difesi dall’Avvocato CASSIANI Marco;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (gia’ (OMISSIS)), oggi (OMISSIS) S.C., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato SCARINGELLA Massimiliano, rappresentata e difesa dall’Avvocato TOTTI Alessandro;
– controricorrente –
nonche’ contro
(OMISSIS) SOCIETA’ COOPERATIVA, (OMISSIS), (OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso ordinanza della CORTE di APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/09/2019, nonche’ sentenza del TRIBUNALE di RIMINI, n. 996/18, depositata il 09/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/12/2022 dal Consigliere Dott. GIAIME GUIZZI Stefano.
Il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 996/18, del 9 ottobre 2018, del Tribunale di Rimini, nonche’ dell’ordinanza della Corte di Appello di Bologna, del 10 settembre 2019, con cui e’ stato dichiarato inammissibile – ex articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. – il gravame da essi proposto avverso detta sentenza, cosi’ confermandosi l’accoglimento dell’azione revocatoria esperita nei loro confronti dalle societa’ (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS), oggi (OMISSIS)) e (OMISSIS), il cui credito e’ stato ceduto alla societa’ (OMISSIS) S.r.l., gia’ in giudizio in persona della sua procuratrice generale, societa’ (OMISSIS) S.p.a..
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che la societa’ (OMISSIS), assumendo di essere creditrice – in forza di decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Rimini, il 24 agosto 2014, per l’importo di Euro 66.453,15 – di (OMISSIS) e (OMISSIS), adiva il medesimo Tribunale per chiedere che fosse dichiarato inefficace, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., l’atto di “mantenimento con trasferimento immobiliare” con il quale essi avevano trasferito, in data 11 luglio 2014, alle proprie figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), quale corrispettivo delle prestazioni di assistenza dalle stesse erogate in loro favore, la nuda proprieta’ di un immobile, riservandosi pero’ su di esso il diritto di abitazione.
Analoga domanda era svolta, con atto di intervento nel giudizio, pure dalla societa’ (OMISSIS), la quale assumeva di vantare – in forza di provvedimento monitorio emesso il 29 luglio 2014, sempre dal Tribunale riminese – un credito pecuniario di Euro 12.642,99 verso i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS), nella loro qualita’ di fideiussori della societa’ (OMISSIS) S.r.l..
L’adito giudicante, ritenuta – con ordinanza resa il 5 dicembre 2017 – la causa matura per la decisione sulla base della sola documentazione prodotta dalle parti (e, pertanto, non ammessa la prova testimoniale articolata dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS)), accoglieva, nella contumacia di (OMISSIS) e (OMISSIS), l’azione revocatoria, condannando in solido tutte le parti convenute al pagamento delle spese del grado.
Esperito gravame da tutti e quattro i convenuti soccombenti, il giudice di appello lo dichiarava inammissibile, per assenza di ragionevole probabilita’ di accoglimento, ponendo a carico degli appellanti pure le spese del secondo grado di giudizio.
3. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la sola societa’ (OMISSIS), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
4. E’ rimasta sola intimata, invece, la societa’ (OMISSIS), o meglio, per essa la societa’ (OMISSIS).
Il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Il ricorso va rigettato, per le ragioni di seguito illustrate.
5.1. Con il primo motivo e’ denunciata violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e dell’articolo 2722 c.c., oltre che difetto di motivazione dell’ordinanza istruttoria del 5 dicembre 2017, nonche’ violazione dei principi del contraddittorio, della disponibilita’ della prova e del diritto di difesa.
Si censura la decisione del primo giudice per non aver dato corso, si assume del tutto immotivatamente, alla richiesta prova testimoniale. Avrebbe errato, infatti, il primo giudice – a dire dei ricorrenti – nel non ammettere la richiesta prova per testi, non incorrendo la stessa nel divieto di cui all’articolo 2722 c.c., risultando, per contro, decisiva per provare (emergendo per tabulas che i titoli esecutivi delle societa’ attrice e intervenuta erano successivi al compimento dell’atto oggetto di revocatoria) l’assenza del “consilium fraudis” e della “partecipatio fraudis”.
5.1.1. Il motivo e’ inammissibile.
Tale esito s’impone ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), giacche’, qualora il ricorrente censuri la mancata ammissione della prova testimoniale, “oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare” (cio’ che, nella specie, non risulta avvenuto), trattandosi di “elementi necessari a valutare la decisivita’ del mezzo istruttorio richiesto”, occorre che “alleghi e indichi la prova della tempestivita’ e ritualita’ della relativa istanza di ammissione”, e cio’ “al fine di consentire “ex actis” alla Cassazione di verificare la veridicita’ dell’asserzione” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 23 aprile 2010, n. 9748, Rv. 612575-01; in senso conforme, piu’ di recente, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 4 aprile 2018, n. 8204, Rv. 64757101), condizione, anch’essa, non soddisfatta nel caso di specie.
D’altra parte, sempre nel senso dell’inammissibilita’ del motivo, deve rilevarsi come gli odierni ricorrenti non abbiano dimostrato di aver ribadito la richiesta di ammissione della prova testimoniale in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello (Cass. Sez. 3, ord. 13 settembre 2019, n. 22883, Rv. 655094-01).
5.2. Con il secondo motivo e’ denunciata violazione dell’articolo 2901 c.c. e degli articoli 2697 e 2729 c.c., oltre che degli articoli 113, 115 e 116 c.p.c., assumendo i ricorrenti la “insussistenza e/o mancata prova dell’eventus damni e dell’animus nocendi”.
Si censura la sentenza impugnata per aver “completamente omesso di rilevare il mancato assolvimento, da parte dell’attrice e dell’istituto di credito intervenuto, dell’onere della prova” degli elementi oggettivo e soggettivo dell’azione revocatoria, prova particolarmente rigorosa, dato che “l’atto dispositivo impugnato ha carattere oneroso e anteriore rispetto al sorgere dei titoli esecutivi ex adverso azionati”.
In sostanza, si censura la decisione del Tribunale per aver accolto l’azione revocatoria “nonostante il difetto di prova” dei suoi elementi costitutivi, e per essersi il primo giudice sostituito “ex officio” alle parti onerate nel rilevare, in particolare, l’assenza, nell’atto dispositivo, di un corrispettivo in denaro e nell’affermare che il bene oggetto di cessione costituiva l’unico cespite immobiliare della (OMISSIS), ignorando anche l’esistenza, sullo stesso, di un’anteriore ipoteca giudiziale, iscritta da parte di un soggetto terzo.
Oggetto di doglianza e’, poi, la motivazione relativa alla consapevolezza dei debitori (e dei terzi) di pregiudicare le ragioni creditorie, frutto di un ragionamento presuntivo basato su elementi che “non potevano sorreggere le conclusioni raggiunte dal Tribunale”, e cio’ “poiche’ dal carteggio processuale emergevano altri indizi di segno completamento opposto che tuttavia non venivano considerati”. E cio’ a cominciare dal fatto che “nessuna ingiunzione o comunicazione di revoca degli istituti di credito”, rispettivamente attore e intervenuto in giudizio, “era stata notificata prima della stipula del contratto di mantenimento”, per proseguire con il rilievo che “il rilascio delle garanzie fideiussorie o la stipula dei contratti di credito da cui avevano tratto origine le pretese” degli stessi “risalivano a molto tempo prima (2005)”, allorche’ (OMISSIS) e (OMISSIS) erano adolescenti.
Il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo
5.2.1. Anche tale motivo e’ inammissibile.
Tale esito, innanzitutto, va affermato nella parte in cui il motivo ipotizza violazione dell’articolo 2697 c.c..
Difatti, la “violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-01); evenienza, quella appena indicata, che non risulta lamentata nel caso di specie, restando, invece, inteso che “laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti”, essa “puo’ essere fatta valere ai sensi del numero 5) del medesimo articolo 360” (Cass. Sez. 3, sent. 17 giugno 2013, n. 15107, Rv. 626907-01), ovviamente “entro i limiti ristretti del “nuovo”” suo testo (Cass. Sez. 3, ord. n. 13395 del 2018, cit.).
Nel caso in esame, per contro, l’ricorrenti ipotizzano violazione dell’articolo 2697 c.c., sul presupposto che non vi sarebbe prova degli elementi (meglio, presupposti) oggettivo e soggettivo dell’azione revocatoria, e dunque per censurare l’apprezzamento che il primo giudice ha fatto delle risultanze istruttorie.
Inammissibili sono, del pari, le censure di violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c..
Difatti, neppure astrattamente ipotizzabile e’ la violazione dell’articolo 115 c.p.c. – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probata partium” – giacche’ essa “puo’ essere dedotta come vizio di legittimita’ solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01; in senso conforme Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-01).
Inammissibile, d’altra parte, e’ pure la censura di violazione dell’articolo 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, piu’ di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonche’ Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02; Cass. Sez. 3, ord. 17 novembre 2021, n. 34786, Rv. 663118-01), mentre “ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di “irriducibile contraddittorieta’” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01) o di inconciliabilita’ logica (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), tali da rendere le sue “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonche’, piu’ di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01).
Il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo
Inammissibile e’ anche la censura – di violazione dell’articolo 2727 c.c., – che investe il ragionamento presuntivo.
Al riguardo deve ribadirsi che “la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicche’ rimane estranea al vizio previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si e’ formato, a norma dell’articolo 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilita’ delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5), non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimita’ degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito” (Cass. Sez. 2, ord. 19 luglio 2021, n. 20553, Rv. 661734-01).
D’altra parte, la censura neppure potrebbe trovare accoglimento nella misura in cui denuncia che “dal carteggio processuale emergevano altri indizi di segno completamento opposto che tuttavia non venivano considerati”.
Difatti, la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’articolo 2729 c.c., comma 1, suppone “un’attivita’ argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, pero’, come tale e, quindi, in facto per come e’ stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravita’, o di quello della precisione o di quello della concordanza” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 2, ord. 21 marzo 2022, n. 9054, Rv. 664316-01). All’opposto, “la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attivita’ diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo e’ stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicche’ il giudice di merito e’ partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perche’ quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’articolo 2729, comma 1”, e “cio’ tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si e’ basato il giudice di merito” (cosi’, ancora una volta, Cass. Sez. 2, ord. n. 9054 del 2022, cit.), “quanto se basata altresi’ su altre circostanze fattuali” (cfr., del pari, Cass. Sez. 2, ord. n. 9054 del 2022, cit.; in senso analogo Cass. Sez. Lav., sent. 30 giugno 2021, n. 18611, Rv. 661649-01).
5.3. Con il terzo motivo e’ denunciata l’infondatezza della proposta azione revocatoria, e quindi la “manifesta ingiustizia, anche nel merito, del gravato provvedimento”, precisandosi che tale censura, formulata sulla base delle stesse argomentazioni di cui ai motivi che precedono, “viene, ovviamente, reiterata solamente per l’auspicata ipotesi” di cassazione della sentenza impugnata, “enunciando il principio di diritto ed assegnando la causa al giudice del rinvio per la decisione di merito”.
5.3.1. Il motivo e’ inammissibile.
Esso, persino dichiaratamente, si risolve in un tentativo di sindacare il merito della decisione, peraltro sulla base – rilievo che vale anche per i due motivi che lo precedono – di una ricostruzione dei fatti smentita dalla sentenza impugnata. Invero, la circostanza che i crediti, a garanzia dei quali l’azione revocatoria e’ stata esperita, trovino titolo esecutivo in due provvedimenti monitori adottati successivamente all’atto dispositivo oggetto dell’esperita “actio pauliana” non consente di ritenere gli stessi “posteriori” a tale atto. Come, infatti, correttamente osserva la sentenza impugnata, entrambi tali crediti trovano titolo in garanzie rilasciate da (OMISSIS) e (OMISSIS) il 16 maggio 2005 e il 22 luglio 2013, e dunque anteriormente al revocando atto dispositivo (risalente all’11 luglio 2014), trovando applicazione il principio secondo cui, in tema di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore, “l’acquisto della qualita’ di debitore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicche’ a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito” (Cass. Sez. 2, sent. 19 ottobre 2006, n. 22465, Rv. 592556-01).
5.4. Con il quarto motivo e’ denunciata violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., nonche’ omessa motivazione in tema di condanna solidale alle spese anche delle convenute contumaci.
Si rileva, infatti, che, sebbene questa Corte abbia escluso solo la legittimita’ della condanna alle spese del contumace vittorioso, ritenendo configurabile una responsabilita’ nella causazione del giudizio anche di quello soccombente, tale principio non potrebbe applicarsi quando in giudizio vi sia una parte effettivamente resistente, alla quale va interamente ascritta la responsabilita’ di aver reso piu’ gravosa l’attivita’ processuale per la controparte vittoriosa.
Il criterio rivelatore della soccombenza risiede nell’aver dato causa al processo
5.4.1. Il motivo non e’ fondato.
Va dato seguito al principio secondo cui, poiche’ “ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, essenziale criterio rivelatore della soccombenza e’ l’aver dato causa al giudizio, la soccombenza non e’ esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 6-1, ord. 29 maggio 2018, n. 13498, Rv. 649328-01; nello stesso senso gia’ Cass. Sez. 1, sent. 10 dicembre 1988, n. 6722, Rv. 460987-01).
5.5. Infine, con il quinto motivo e’ denunciata violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c. anche in relazione all’ordinanza della Corte di Appello, che ha posto le spese pure di del secondo grado di giudizio in capo, solidalmente, anche alle predette (OMISSIS) e (OMISSIS), senza essersi avveduta “della natura “differenziata” dell’impugnazione”, ovvero del fatto che le censure proposte da costoro “dovevano ritenersi circoscritte al solo capo condannatorio” (quello sulle spese di primo grado, appunto) “pronunziato nei loro confronti”.
5.5.1. Il motivo – che nel merito risulta, comunque, non fondato, per le stesse ragioni che si sono illustrate nello scrutinare quello che lo precede – e’ inammissibile.
Esso, infatti, e’ il solo motivo di ricorso a indirizzarsi avverso l’ordinanza della Corte felsinea che ha dichiarato inammissibile il gravame proposto dagli allora appellanti. Il presente motivo, tuttavia, risulta proposto in assenza delle condizioni che consento il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di cui all’articolo 348-ter c.p.c., comma 1.
Al riguardo, infatti, va ribadito che – secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 2 febbraio 2016, n. 1914, Rv. 638368-01) – e’ possibile esperire ricorso per cassazione, ex articolo 111 Cost., comma 7, avverso l’ordinanza che dichiari inammissibile l’appello, a norma dell’articolo 348-bis c.p.c., comma 1 e articolo 348-ter c.p.c., commi 1 e 2, solo allorche’ siano fatti valere vizi suoi propri, di violazione di norme processuali, vizi, qui, neppure ipotizzati.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
8. A carico dei ricorrenti sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.300,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, ne testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti, non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.
Leave a Reply