Il chiamato all’eredità investito della nuda proprietà di un immobile e l’accettazione tacita

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 giugno 2024| n. 15468.

Il chiamato all’eredità investito della nuda proprietà di un immobile e l’accettazione tacita

Il chiamato all’eredità investito della nuda proprietà di un immobile, con l’occupazione di quest’ultimo esercita il possesso corrispondente alla nuda proprietà, secondo la definizione dell’art. 1140 c.c., ancorché sul medesimo cespite insista il possesso dell’usufruttuario generale dei beni ereditari, ed acquista, pertanto, la qualità di erede in base al meccanismo di cui all’art. 485 c.c..

 

Ordinanza|3 giugno 2024| n. 15468. Il chiamato all’eredità investito della nuda proprietà di un immobile e l’accettazione tacita

Data udienza 30 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Successioni ‘mortis causa’ – Disposizioni generali – Accettazione dell’eredita’ (pura e semplice) – Con beneficio di inventario – Chiamato possessore di beni ereditari – In genere chiamato all’eredità investito della nuda proprietà di un immobile – Occupazione dell’immobile – Possesso – Configurabilità ex art. 1140 c.c. – Conseguenze – Acquisto della qualità di erede ex art. 485 c.c.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 23523-2020 proposto da:

Dr.Tr., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato PA.GI., che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FI.CO.;

– ricorrente –

contro

Dr.Si., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato BR.TA., rappresentata e difesa dagli avvocati RO.VA. ed EM.BU.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1727/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 30/12/2019;

Lette le memorie delle parti;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Il chiamato all’eredità investito della nuda proprietà di un immobile e l’accettazione tacita

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Massa, con la sentenza n. 1145 del 2014, accoglieva la domanda proposta da Dr.Tr. nei confronti della figlia Dr.Si., e per l’effetto dichiarava che la convenuta non aveva mai accettato l’eredità del nonno Dr.Gi., alla medesima devoluta per testamento allorché era ancora minorenne, e per l’effetto la condannava alla restituzione in favore del genitore delle somme corrispondenti al prezzo di alcuni dei beni caduti in successione e dalla medesima alienati a terzi. Il Tribunale rilevava che alla data di apertura della successione (1988), Dr.Si. era ancora minorenne (essendo nata nel 1975) e quindi era tenuta per legge ad accettare con beneficio di inventario.

Ciò escludeva la rilevanza di eventuali atti di accettazione tacita, come la voltura catastale o la denuncia di successione; inoltre, alcuna rilevanza poteva avere la vendita di beni ereditari in quanto effettuata nel 2005 allorché erano decorsi oltre dieci anni dall’apertura della successione e dalla cessazione della sospensione del termine per accettare.

L’accoglimento della domanda principale implicava poi l’assorbimento della subordinata domanda di riduzione. La Corte d’Appello di Genova con la sentenza n. 1727 del 30 dicembre 2019 ha accolto l’appello della convenuta e per l’effetto ha rigettato integralmente la domanda attorea.

Nell’esaminare i motivi di appello, che miravano a contrastare l’affermazione circa la prescrizione del diritto di accettare l’eredità del nonno, i giudici di secondo grado rilevavano che l’appellante era tuttavia rimasta nel possesso dei beni ereditari quantomeno fino al 1997, e senza che tale circostanza potesse essere svalutata per il fatto che sui beni caduti in successione fosse stato costituito per testamento l’usufrutto generale in favore della moglie del de cuius, con la quale la convenuta conviveva. Infatti, la nozione di possesso ex art. 485 c.c. può essere riferita anche ad un singolo bene, ma soprattutto non deve manifestarsi in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà dei beni ereditari, ma è sufficiente che si estrinsechi in una situazione di fatto che consenta l’esercizio di poteri concreti sui beni, anche a mezzo di eventuali detentori, con la consapevolezza dell’appartenenza al compendio ereditario.

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Inoltre, non rileva la continuità nel possesso, essendo sufficiente che il godimento sia avvenuto anche per un solo giorno, senza che possa incidere su tale circostanza la perdita del possesso da parte del chiamato.

Era quindi irrilevante che il potere corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà fosse stato esercitato dalla nonna, rilevando invece il fatto che Dr.Si. avesse una relazione con i beni ereditari.

Quanto alla domanda di riduzione, avanzata dall’attore in via subordinata, la Corte distrettuale riteneva fondata l’eccezione di prescrizione proposta dalla convenuta.

Infatti, l’azione di riduzione è sottoposta al termine di prescrizione decennale che nella specie decorre dalla data di apertura della successione, risultando quindi ampiamente prescritta.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Dr.Tr. sulla base di tre motivi.

Dr.Si. ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza.

3. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 324 c.p.c. per avere la Corte di appello pronunciato su di una sentenza passata in giudicato, quanto all’affermazione del tribunale secondo cui non vi sarebbe stata un’accettazione tacita dell’eredità da parte della convenuta.

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Si deduce che il Tribunale aveva escluso che la figlia avesse accettato l’eredità del nonno, stante la necessità di un’accettazione beneficiata, essendo minore alla data di apertura della successione.

Tale affermazione non è stata impugnata e quindi è passata in cosa giudicata.

Il motivo è evidentemente infondato proprio alla luce del contenuto dei motivi di appello proposti avverso la sentenza di prime cure dall’odierna controricorrente che con ben quattro mezzi di censura, di cui fornisce ampia illustrazione la sentenza gravata, aveva inteso contrastare la declaratoria di prescrizione del diritto di accettare l’eredità di Dr.Gi., sottolineando la necessità di dover considerare la voltura catastale effettuata dalla nonna per conto della nipote, la presenza dell’appellante nel godimento dei beni caduti in successione, la rinuncia dell’appellato ad avvalersi della prescrizione, ove anche già maturata (per avere manifestato l’intento di addivenire ad una definizione bonaria della vicenda, ben oltre il decennio dall’apertura della successione).

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In particolare, il secondo ed il terzo motivo di appello denotano come la parte abbia inteso evidentemente contrastare la correttezza dell’affermazione del Tribunale quanto all’assenza di un valido atto di accettazione dell’eredità, ancorché ex lege, come in relazione alla fattispecie di cui all’art. 485 c.c., il che esclude che possa ritenersi formato un giudicato circa il riconoscimento della prescrizione.

4. Il secondo motivo di ricorso denuncia la falsa ed errata applicazione degli artt. 476 e 480 c.c., per essersi ritenuto che l’eredità fosse stata accettata a seguito del possesso della convenuta di beni ereditari dal 1980 al 1997. Assume il ricorrente che la figlia si era limitata ad abitare con la nonna e ciò già da prima che la successione si aprisse nel 1988. Successivamente ha sì continuato a convivere, ma come mera ospite della nonna, alla quale il testamento aveva attribuito l’usufrutto generale su tutti i beni relitti del marito. Il possesso risultava quindi legittimamente esercitato solo dalla nonna, deceduta nel 2003, allorché era quindi abbondantemente maturata la prescrizione decennale. Anche tale motivo deve essere disatteso.

La giurisprudenza di questa Corte ha anche di recente ribadito che nella nozione di “possesso” ex art. 485 c.c. è compresa qualunque situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri sui beni ereditari e, quindi, vi è incluso anche il compossesso, essendo irrilevante che taluno degli altri compossessori non sia chiamato all’eredità poiché, pure in questo caso, il chiamato ha la possibilità di esercitare i detti poteri. (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6167 del 01/03/2019)

Inoltre, è stato specificato che la situazione di possesso a qualsiasi titolo di beni ereditari da parte del chiamato, quale prevista dall’art. 485 cod. civ., richiede solo una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato alla eredità e cioè una situazione di fatto che consenta l’esercizio in concreto di poteri sui beni stessi, accertata la quale incombe al chiamato, ove voglia sottrarsi alle conseguenze del citato art. 485, l’onere di provare che, per un qualsiasi eccezionale evento, vi sia stata la materiale impossibilità di esercitare il possesso dei beni riguardo ai quali si configuri l’anzidetta situazione. (Sez. 2, Sentenza n. 7076 del 22/06/1995), con la precisazione altresì che il possesso dei beni ereditari previsto dall’art. 485 cod. civ. non deve necessariamente riferirsi all’intera eredità, essendo sufficiente il possesso di un solo bene (Sez. 2, Sentenza n. 4707 del 14/05/1994). Inoltre il possesso dei beni ereditari previsto dall’art. 485 cod. civ, proprio perché si esaurisce in una mera relazione materiale tra i beni e il chiamato all’eredità, può manifestarsi in una situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri sui beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario, con la conseguenza che la previsione legale si estende ad ogni specie di possesso, quale che ne sia il titolo giustificativo, e include anche la detenzione a titolo di custodia o di affidamento temporaneo (Cass. n. 4835/1980; conf. Cass. n. 1301/77; Cass. n. 683/1973). Già questa sola definizione di possesso, quale tratteggiata dalla giurisprudenza specificamente in materia di applicazione dell’art. 485 c.c., consente di affermare che la disponibilità del bene da parte della controricorrente, sia pure quale convivente con la nonna, poi divenuta usufruttuaria alla data di apertura della successione, consente anche alla convenuta di invocare gli effetti della norma in esame.

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Inoltre, non si deve trascurare che, nel caso in cui i coeredi continuino a vivere insieme (e pacificamente la Dr.Si., per effetto della disposizione testamentaria a suo favore era chiamata nonché delata, alla successione del nonno), usando delle cose ereditarie secondo le loro attitudini, ciascuno di essi detiene la cosa con l’animo di esercitare il diritto anche per gli altri e, pertanto, si trova nel possesso dei beni ereditari indipendentemente dall’animo di possedere quale erede (Cass. n. 1590/1967), ben potendo il possesso di cui all’art. 485 C.C., essere esercitato dal chiamato all’eredità anche a titolo di custodia e di affidamento temporanei, essendo soltanto necessaria la consapevolezza che si tratti di beni appartenenti al relictum ereditario (Cass. n. 2067/1964).

Quanto invece all’argomento secondo cui il possesso spetterebbe alla sola usufruttuaria, valga osservare che per effetto del testamento, Dr.Si. era immediatamente stata designata quale erede, e titolare del diritto di nuda proprietà anche sull’immobile nel quale ha abitato sino al 1997, e quindi anche in epoca successiva all’apertura della successione. Ritiene la Corte di dover far richiamo alla prevalente opinione della dottrina che, traendo le conseguenze dalla definizione di possesso quale delineata dall’art. 1140 c.c., ritiene che anche il nudo proprietario, in quanto titolare di un diritto reale, possa vantare il possesso sulla cosa.

E’ stato in tal senso sostenuto che il nudo proprietario in realtà vanta il possesso sul bene, giacché il titolare del diritto di usufrutto che ne sia nel godimento è nei confronti del primo detentore. Inoltre, anche chi dissente da tale ricostruzione dei rapporti tra usufruttuario e nudo proprietario (nel senso cioè che il primo sia un detentore per conto del secondo), stante la lettera dell’art. 1140 c.c., ritiene che il nudo proprietario comunque eserciti un potere immediato sulla cosa corrispondente al diritto di nuda proprietà e qualificabile quale nudo possesso. Alla prevalente opinione dottrinale ha mostrato di aderire anche la giurisprudenza di questa Corte che in varie occasioni ha precisato che l’azione di reintegrazione nel possesso, ai sensi dell’art. 1168, secondo comma, cod. civ., può essere proposta anche dal nudo proprietario di un immobile, il quale disponga delle chiavi dello stesso (Cass. n. 4448/2012).

Infatti, è stato precisato che l’usufruttuario, ancorché possessore rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il nudo proprietario, mero detentore del bene, con la conseguenza che egli può usucapirne la proprietà solo ponendo in essere un atto d’interversione del possesso, esteriorizzato in maniera inequivocabile e riconoscibile, vale a dire attraverso un’attività durevole, contrastante e incompatibile con il possesso altrui (Cass. n. 355/2011; Cass. n. 762/1976 per l’affermazione che l’usufruttuario è detentore del bene nell’interesse del nudo proprietario), e ciò in quanto ove su di un immobile coesistano il diritto del nudo proprietario e quello dell’usufruttuario, il possesso che acquista rilievo ai fini dell’usucapione è, in primo luogo, configurabile a favore dell’usufruttuario, il quale può esercitarlo anche a vantaggio del nudo proprietario, ampliandone il godimento anche attraverso la costituzione di servitù attive; peraltro, se il nudo proprietario ha, di fatto, la disponibilità del bene, possono assumere rilievo anche gli atti di possesso dal medesimo compiuti, l’esercizio dei quali costituisce onere probatorio della parte che lo invochi (Cass. n. 21231/2010).

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Poiché è stato riconosciuto che la tutela possessoria compete anche a chi eserciti il possesso corrispondente alla nuda proprietà, non direttamente ma mediante altra persona, ancorché questa, quale usufruttuaria, possegga il medesimo bene anche nell’interesse proprio (Cass. n. 1735/1980), anche a voler accedere ad una nozione di possesso in senso conforme alla definizione codicistica, e quindi prescindendo dalla qualificazione come mera relazione materiale che invece è stata preferita nell’applicazione dell’art. 485 c.c., non può negarsi alla convenuta, una volta apertasi la successione, ed immediatamente beneficiata del diritto di nuda proprietà sui beni ereditari, la qualificazione quale possessore per effetto dell’occupazione del bene, ancorché quale convivente della nonna. Ne discende che correttamente la sentenza impugnata ha riconosciuto che la Dr.Si. abbia maturato l’acquisto ex lege della qualità di erede per effetto del meccanismo di cui all’art. 485 c.c. (cfr. Cass. n. 9648/2000, secondo cui se è vero che l’eredità devoluta ai minori può essere accettata soltanto con beneficio di inventario, mentre ogni altra forma di accettazione espressa o tacita è nulla ed improduttiva di effetti, non conferendo al minore la qualità di erede, sebbene, nel caso di chiamata di un minore, non possa verificarsi la decadenza dello stesso dalla possibilità di accettazione con beneficio di inventario, prevista dall’art. 485 cod. civ. allorché questa norma stabilisce che il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso dei beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità, in difetto di che si considera erede puro e semplice, tuttavia la decadenza dal beneficio di inventario del minore potrà verificarsi unicamente ai sensi dell’art. 489 cod. civ., che prevede la diversa ipotesi del mancato compimento dell’inventario entro il termine di un anno dal compimento della maggiore età).

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Ne consegue che, avendo la Dr.Si. raggiunto la maggiore età il (Omissis)1993 (essendo nata il (Omissis)), ed essendo ancora a quella data nel possesso dei beni ereditari, nel senso sopra chiarito, la medesima è divenuta erede pura e semplice del nonno, non avendo redatto l’inventario, alla scadenza dell’anno dal raggiungimento della maggiore età.

5. Il terzo motivo di ricorso denuncia l’erronea e falsa applicazione dell’art. 554 c.c. nonché degli artt. 2946 e 2935 c.c., quanto all’affermazione secondo cui sarebbe maturata la prescrizione dell’azione di riduzione esperita dal ricorrente in via subordinata, rispetto alla domanda di accertamento della prescrizione del diritto di accettare l’eredità da parte della figlia. Si evidenzia che la Corte d’Appello ha erroneamente affermato che il termine di prescrizione decennale dell’azione di riduzione decorre dalla data di apertura della successione, ma tale affermazione contrasta però con la giurisprudenza delle Sezioni Unite che hanno invece precisato che (Cass. n. 20644/2004), il termine de quo, in caso in cui l’azione di riduzione sia rivolta contro le disposizioni testamentarie a titolo di erede, decorre solo a partire dalla data in cui il chiamato abbia accettato l’eredità. Poiché la convenuta non ha accettato l’eredità nel termine dei dieci anni dalla apertura della successione, è erronea l’affermazione dei giudici di appello.

Il motivo è infondato, sebbene si imponga la correzione della motivazione della sentenza gravata.

Effettivamente non corrisponde alla giurisprudenza di questa Corte l’affermazione dei giudici di appello secondo cui il termine di prescrizione decorrerebbe per l’esercizio dell’azione di riduzione dalla data di apertura della successione, posto che il precedente sopra richiamato delle Sezioni unite ha precisato che il termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione decorre dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima. Tuttavia l’errore commesso non ha concrete ripercussioni quanto alla correttezza della conclusione circa il riscontro della prescrizione, in quanto, in ragione del meccanismo di acquisto ex lege dettato dall’art. 485 c.c., ed in concreto ritenuto applicabile alla fattispecie, l’acquisto della qualità di erede da parte della convenuta, a partire dal quale decorre appunto il termine di prescrizione dell’azione di riduzione, va fatto retroagire al decorso dell’anno dal raggiungimento della maggiore età da parte di Dr.Si., e cioè a far data dal 7/5/1994, non avendo la stessa fruito della possibilità di regolarizzare la procedura di accettazione beneficiata (se non addirittura al momento anteriore coincidente con il decorso del trimestre di cui all’art. 485 c.c., decorrente dalla data di raggiungimento della maggiore età da parte della controricorrente, essendo a quella data nel possesso del bene ereditario, e cioè al (Omissis) 1993).

Avuto riguardo a tale data, risulta quindi confermata la maturata prescrizione, avendo il ricorrente inteso far valore l’azione di riduzione solo con la proposizione del presente giudizio (23/3/2011), e dovendo escludersi efficacia interruttiva ad eventuali richieste stragiudiziali, ed in particolare alla lettera raccomandata dell’11 giugno 2005, di cui alla pag. 21 del ricorso, e ciò sia perché intervenuta oltre il decennio dall’acquisto dell’eredità da parte della convenuta, sia in ragione dell’inidoneità di atti stragiudiziali a produrre l’interruzione del termine per l’esercizio dell’azione di riduzione (si veda in tal senso Cass. n. 1831/1971; Cass. n. 2414/1976; Cass. n. 2546/1969; Cass. n. 2845/1966).

Va infine rilevata la tardività, e la conseguente inammissibilità della deduzione solo in memoria della violazione dell’art. 346

c.p.c., per essere stata accolta l’eccezione di prescrizione dell’azione di riduzione senza che la stessa fosse stata formalmente riproposta, trattandosi di doglianza che andava invece sollevata con la formulazione dei motivi di ricorso (e ciò anche a tacere del difetto di specificità della contestazione, avendo parte ricorrente omesso, anche nella memoria, di riportare con precisione il contenuto degli atti processuali, dai quali inferire la mancata reiterazione da parte della controricorrente dell’eccezione de qua).

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Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

6. Attesa l’infondatezza del ricorso, il ricorrente è condannato alle spese del presente giudizio, da liquidarsi secondo dispositivo, con attribuzione ai difensori antistatari.

7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione agli avvocati Ro.Va. e Em.Bu., dichiaratisi antistatari;

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato, ove dovuto, per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 30 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2024.

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