Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 29 marzo 2019, n. 2101.
La massima estrapolata:
I volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità ; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza.
Sentenza 29 marzo 2019, n. 2101
Data udienza 21 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6657 del 2018, proposto da
Società Fr. Cu. di An. Lu. e Gi. Cu. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Cr. e Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Pa. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Salerno, n. 951/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 marzo 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Cr. Sa. e Pa. Ma..;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – La Società appellante è proprietaria di uno stabilimento produttivo sito nel comune di (omissis), composto da vari capannoni, per una superficie coperta di oltre 10.000 mq, oltre ad un’area esterna comprendente un piazzale con pensiline, di circa 5.000 mq.
2 – Con il ricorso proposto avanti il T.A.R. per la Campania, l’appellante aveva impugnato l’ordinanza con cui il Comune, a seguito di relativo sopralluogo del Comando della Polizia Locale, aveva ingiunto la demolizione di talune opere ivi realizzate, in quanto eseguite in assenza del prescritto titolo edilizio.
In base a tale atto le opere abusive consistono nella realizzazione di:
a) “un capannone di cui al punto 3) allegato A) dell’allegato dell’accertamento, di dimensioni non definite, che non risulta assentito, stante la documentazione relativa a quanto approvato in Commissione Edilizia del 01/04/1968 e successive Licenza Edilizia n. 8/71, approvato dalla Commissione Edilizia del 14/06/1971 dove invece viene riportato quale preesistente;
b) tettoie [punti 6) e 7) allegato A)], in aderenza ai capannoni ad Ovest [punti 1), 2) e 3) allegato A)] ed a sud in aderenza ai capannoni [punti 3) e 5) allegato A)], poste a sbalzo, costituite da struttura portante in ferro e copertura con lamiere grecate;
c) manufatto edilizio costituito da muratura e solaio in latero cementizio, suddiviso internamente in diversi ambienti (spogliatoi e w.c.);
d) locale, posizionato su una piastra in ferro, costituito da elementi in alluminio e vetro, utilizzato dal personale addetto al controllo del carico e scarico della merce presente nei depositi;
e) locale tecnologico antincendio, edificato in aderenza alla parete sud del capannone con ulteriori tre pareti in muratura”.
2 – Con il ricorso, la società ha chiesto l’annullamento di tale ordinanza, assumendone l’illegittimità : per difetto di motivazione (atteso il notevole lasso di tempo trascorso dall’esecuzione delle opere in questione “edificate in epoca remota” e l’omessa indicazione analitica delle opere contestate); per mancata comunicazione di avvio del procedimento; per l’assenza del carattere abusivo delle opere.
3 – Il T.A.R., con la sentenza n. 951/2018, ha respinto il ricorso.
4 – L’appello avverso tale sentenza è parzialmente fondato per le ragioni di seguito esposte.
In generale, deve ribadirsi che l’onere di fornire la prova dell’epoca della realizzazione delle opere incombe sul privato e non sull’amministrazione che, in presenza di un’opera non assistita da un titolo edilizio, ha solo il potere-dovere di sanzionarla (cfr. Cons. St., sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 6159; Cons. St., sez. V, 8 luglio 2013, n. 3596; Cons. St. Sez. VI, n. 3177 del 18 luglio 2016).
4.1 – Nel caso di specie, contrariamente alla valutazione del T.A.R., l’appellante ha tuttavia fornito plurimi elementi concreti atti a corroborare la tesi che il capannone sia stato edificato prima del 1967, e precisamente:
a) lo stesso risulta dal grafico catastale del 30 ottobre 1969 n. 3909 nella consistenza attuale;
b) il comune di (omissis), in data 14 giugno 1971, ha approvato il progetto di ampliamento, presentato dalla medesima società proprietaria, in cui si evidenziava la parte in ampliamento (da edificare) e la parte dell’opificio già esistente;
c) nel corso del 1971, allorché, dopo il rilascio della licenza n. 8/71, la società aveva in corso la realizzazione dell’ampliamento, il privato confinante – tale Em. Tr. – in data 28 settembre 1971 aveva presentato un esposto contestando le violazioni edilizie commesse dalla società F.l. Cu., ma nulla rilevava circa i capannoni (quelli prospicienti il piazzale) comprendenti la parte per cui è causa;
d) la relazione di accertamento, seguita a tale esposto, aveva effettivamente individuato delle difformità relative al progetto di ampliamento, senza nulla contestare in riferimento agli altri capannoni dell’intero complesso industriale.
4.2 – Quanto all’argomento valorizzato dal giudice di primo grado, facente leva sul fatto che i titoli edilizi sono idonei ad assentire soltanto 5.545 metri quadri, l’appellante ha chiarito che tale dato è relativo solo alla parte in ampliamento (licenza 8/1971 ed ordinanza di sanatoria del 14 maggio 1972), senza tener conto delle altre superfici produttive originarie precedenti, realizzate nel periodo 1965 – 1968.
4.3 – L’appello deve trovare accoglimento anche in relazione al manufatto destinato a spogliatoio e wc, in relazione al quale la società ha dimostrato che trattasi di manufatto assentito dal comune di (omissis) con il progetto approvato dalla C.E.C. nella seduta del 17 maggio 1965.
4.4 – Contrariamente all’assunto dell’appellante, deve invece addivenirsi ad una diversa conclusione per la tettoia in fregio al piazzale, rispetto alla quale non sussistono elementi oggettivi di riscontro, circa la sua preesistenza o la sussistenza di un idoneo titolo edilizio.
5 – L’appello non può inoltre trovare accoglimento in riferimento al carattere abusivo delle tettoie oggetto di contestazione, dovendosi confermare la decisone del T.A.R. che ha ritenuto che la loro realizzazione, per caratteristiche e dimensioni, necessitasse del previo rilascio del permesso di costruire.
Al riguardo l’appellante, che cita anche la circolare ministeriale n. 1918/77, sostiene che le tettoie aperte sarebbero opere di natura meramente accessoria e pertinenziale, al servizio esclusivo dei capannoni e prive di una loro autonoma fruibilità .
5.1 – Come anticipato, la censura è infondata, muovendo da un concetto improprio di pertinenza e trascurando le caratteristiche concrete delle tettoie in discorso, costituite da struttura portante in ferro e copertura con lamiere grecate ed aventi dimensioni notevoli (“la tettoia individuata al punto 6) dell’allegato A), presenta una superficie coperta ad una sola falda inclinata pari a circa mq 12100,00, con altezze pari a circa mt. 5,60 max e mt. 5,20 min., mentre la tettoia individuata alpunto 7) dell’allegato A) presenta una superficie coperta pari a circa mq 504,00… con altezze pari a circa mt. 5,70 max e mt. 4,35 min”).
Invero, ai fini urbanistici ed edilizi il concetto di pertinenza assume un significato più circoscritto rispetto alla nozione civilistica e si fonda sulla assenza di: a) autonoma destinazione del manufatto pertinenziale; b) incidenza sul carico urbanistico; c) modifica all’assetto del territorio (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4636; Cons. di Stato, sez. IV, 16 maggio 2013, n. 2678; Cons. di Stato, sez. V, 11 giugno 2013, n. 3221).
La giurisprudenza ha altresì chiarito che una tettoia, quale quelle aventi le descritte caratteristiche, seppur collegata al muro di un edificio preesistente, non può essere considerata in senso proprio una pertinenza, in quanto fa corpo con la cosa principale a cui aderisce, di cui modifica la sagoma e ne comporta l’ampliamento, creando nuova volumetria e, pertanto, necessita di un adeguato titolo di autorizzatorio (cfr. Cons. St. n. 6493 del 2012; Cons. St. n. 3939 e n. 4997 del 2013).
6 – La sentenza impugnata deve essere confermata anche nel punto in cui ha respinto le censure dirette a contestare l’ordine di demolizione del locale in alluminio e vetro, ubicato al di sotto di una tettoia, utilizzato per il riparo degli addetti al controllo del carico e scarico delle merci e del locale tecnologico, anch’esso ubicato al di sotto di una tettoia, destinato ad ospitare l’impianto antincendio.
L’appellante assume che tali strutture possano essere classificati come volumi tecnici.
6.1 – Le argomentazione a tal fine dedotte dalla società sono smentite dalle caratteristiche delle opere in esame e dalla loro entità rapportate ai criteri individuati dalla giurisprudenza al fine di delineare la nozione di vano tecnico.
Le dimensioni del primo locale sono “pari a circa mq = (3,80 mi x 5,75 mt.) = 21,85 mq con altezza esterna pari a mi 2,70”, quelle del secondo sono “pari a circa mq = (4,60 mi x 5,95 mi) = mq 27,37 con altezza delle pareti rilevata esternamente pari a mi 2,70”.
Come costantemente affermato dalla giurisprudenza (ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 27 novembre 2017, n. 5516), la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa.
Si è anche precisato che i volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità ; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza (cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 novembre 2014).
7 – Rispetto alle predette opere eseguite senza l’idonea autorizzazione, sono destituite di fondamento le censure con le quali l’appellante lamenta il mancato rispetto delle norme in tema di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, ed in particolare la mancata considerazione delle controdeduzioni presentate dalla società ricorrente.
Al riguardo, invero, deve ricordarsi che i provvedimenti di demolizione si pongono quale conseguenza necessitata dell’abuso, senza alcun margine di apprezzamento discrezionale in capo all’amministrazione (cfr. Cons. St. sez. VI, n. 3744 del 2015).
In tal senso si giustifica il richiamo all’art. 21-octies della legge 241/1990 da ritenersi idoneo a superare i rilievi dell’appellante, che come innanzi illustrati si rilevano infondati (cfr. Cons. St., 1208 del 2014).
8 – La sentenza del T.A.R. deve essere confermata anche nel punto in cui ha respinto la censura di difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione impugnata per la mancata individuazione con chiarezza delle opere oggetto di demolizione.
A questo proposito è dirimente osservare che la società ha compreso esattamente a quali opere ci si riferisca, tanto è vero che, rispetto a ciascuna di esse, ha sviluppato le specifiche censure innanzi esaminate.
9 – In definitiva, l’appello può trovare solo parziale accoglimento, dovendosi riformare la sentenza del T.A.R. solo in riferimento al rigetto delle censure attinenti al capannone ed al manufatto di cui alle lettere a) e c) del punto 2 della presente sentenza, dovendosi pertanto accogliere rispetto a tali opere il ricorso di primo grado.
10 – La soccombenza parziale giustifica la compensazione integrale delle spese delle doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’appello, respingendolo per il resto, e, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario limitatamente al capannone ed al manufatto costituito da muratura e solaio in latero cementizio come meglio individuati in motivazione.
Compensa integralmente le spese di lite del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
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