I presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 settembre 2024| n. 23924.

I presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione

L’art. 1243 c.c. stabilisce i presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione, ossia la liquidità, inclusiva del requisito della certezza, e l’esigibilità. Nella loro ricorrenza, il giudice dichiara l’estinzione del credito principale per compensazione legale, a decorrere dalla sua coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda, mentre, se il credito opposto è certo ma non liquido, perché indeterminato nel suo ammontare, in tutto o in parte, egli può provvedere alla relativa liquidazione, se facile e pronta, e quindi può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale sino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, oppure può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione.

Ordinanza|5 settembre 2024| n. 23924. I presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione

Data udienza 12 giugno 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Obbligazioni in genere – Estinzione dell’obbligazione – Compensazione – Giudiziale compensazione dei crediti – Presupposti – Liquidità, certezza e esigibilità – Compensazione legale e giudiziale – Effetti – Differenze.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta da:

Dott. FALASCHI Milena – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. MARCHEIS Chiara Besso – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16498/2019 R.G. proposto da

Ma.Cl., rappresentata e difesa anche disgiuntamente dall’avv. Sa.Va. e dall’avv. Ma.Pa. ed elettivamente domiciliata presso lo studio della prima in Roma, via (…);

– ricorrente –

contro

Ma.Ma., in proprio e quale rappresentante dello studio Ma.Ma. E To., Associazione professionale fra avvocati, a mezzo degli avv.ti Li.Ma. e An.Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Cl.Mo., in Roma, via (…);

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 2880/2018 del Tribunale di Bologna, depositata il 16/11/2018 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2024 dalla dott.ssa Valeria Pirari.

I presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione

RILEVATO CHE

1. Con atto di citazione notificato l’8/4/2016, Ma.Cl. convenne in giudizio davanti al Giudice di pace di Imola lo studio Ma.Ma. E To. – Associazione professionale tra avvocati e l’avv. Ma.Ma. onde ottenere la condanna dei predetti ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. al pagamento della somma rivalutata di Euro 4.896,00, esponendo che, unitamente al marito Mi. Ma., aveva conferito al predetto studio l’incarico di patrocinio in una causa civile dinanzi al Tribunale di Bologna, che, essendosi il giudizio di primo grado concluso con il rigetto della loro domanda, avevano dato incarico all’avv. Ma. di proporre appello, corrispondendogli all’uopo la somma di Euro 4.896,00, che, dopo sette anni, aveva appreso che l’appello non era mai stato presentato e che il predetto avvocato, pur riconoscendo l’errore e dichiarando di avere aperto una pratica con la propria compagnia assicurativa, si era rifiutato di restituire la somma pagata, avendola imputata alle spese del primo grado a suo dire mai corrisposte.

Si costituì in giudizio l’avv. Ma.Ma., chiedendo il rigetto della domanda ed esponendo che l’appello non era stato depositato per una mera dimenticanza, che l’unico compenso da lui incassato per il primo grado era quello indicato nella fattura n. (Omissis), inferiore a quello liquidato in sentenza, che la somma incassata compensava solo in parte quanto dovuto per il primo grado, che la causale apposta nella fattura, dicente “causa appello contro…” era frutto di un mero errore, che il debito da restituzione della somma si era estinto per compensazione col credito relativo al primo grado e che l’eccezione di prescrizione presuntiva era infondata, essendo stata la sentenza di primo grado pubblicata il 11/7/2006 ed essendo passata in giudicato il 11/10/2007.

Con sentenza n. 126/2017, il Giudice di pace di Imola accolse la domanda dell’attrice e condannò lo studio associato alla restituzione della somma richiesta, con rivalutazione e interessi, pronunciando anche la risoluzione del contratto intercorso tra le parti.

Il giudizio d’appello, incardinato su iniziativa dell’avv. Ma., sia in proprio, sia come legale rappresentante dello studio associato, si concluse, nella resistenza di Ma.Cl., con la sentenza n. 2880/2018, pubblicata il 16/11/2018, con la quale il Tribunale di Bologna riformò la sentenza impugnata, respingendo le domande di Ma.Cl., dichiarandola tenuta al pagamento della somma di Euro 8.619,50 e condannandola alla rifusione delle spese di lite del doppio grado del giudizio.

Per quanto qui interessa, il Tribunale affermò che il credito dell’attrice doveva essere compensato con il debito relativo alle spese del giudizio di primo grado avendo la stessa implicitamente ammesso la mancata estinzione del debito ed essendo ciò incompatibile con la presunzione di adempimento fondante la disciplina di cui all’art. 2956 cod. civ., stante la tardività della deduzione contraria siccome intervenuta solo con le note conclusive, non potesse applicarsi l’art. 2959 cod. civ. e che, essendo il mandato professionale unico, i due coniugi fossero tenuti in solido al pagamento del compenso in virtù della presunzione di solidarietà passiva ex art. 1294 cod. civ.

2. Contro la predetta sentenza, Ma.Cl. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Ma.Ma., in proprio e quale rappresentante dello studio Ma.Ma. E To., Associazione professionale fra avvocati, resiste con controricorso.

I presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO CHE

1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2956, terzo comma, e 2959 cod. civ., e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito ritenuto che l’appellata avesse mostrato di reputare inesistente un suo credito verso il legale, allorché aveva detto che questi intendeva far rivivere una “presunta e prescritta” obbligazione per sottrarsi alla restituzione delle somme corrisposte per il giudizio di appello, e avere così concluso che non potesse trovare applicazione l’art. 2956 cod. civ. in tema di prescrizione. La ricorrente ha sul punto affermato di non avere mai contestato l’an o il quantum della pretesa del convenuto, non potendo ciò dedursi dall’uso del termine “presunta obbligazione”, la quale era riferita alla dedotta prescrizione, e di avere precisato, subito dopo le contestazioni avversarie, di avere pagato e ha contestato la decisione assunta, nella parte in cui aveva ritenuto nuova la deduzione dell’intervenuto pagamento, siccome formulata con le note conclusionali, giacché non era stato considerato che queste costituivano il primo atto difensivo utile per contrapporsi alle deduzioni difensive del convenuto, che, con la comparsa di costituzione, aveva contestato la prescrizione presuntiva e invocato l’eccezione di compensazione. Quest’ultimo, inoltre, non aveva provato di non avere mai ricevuto il pagamento delle spettanze relative al primo grado, né aveva formulato alcuna deduzione istruttoria sul punto.

1.2 Il primo motivo è inammissibile.

Occorre, innanzitutto, premettere che le espressioni “violazione o falsa applicazione di legge”, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, ossia a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata, investendo il vizio di violazione di legge immediatamente la regola di diritto, atteso che si risolve nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, e consistendo il vizio di falsa applicazione di legge o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione, mentre non rientra nell’ambito applicativo del ridetto art. 360, primo comma, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640). Orbene, la norma violata o falsamente applicata, ad avviso della ricorrente, è quella contenuta nell’art. 2956 cod. civ., il quale sancisce la prescrizione nel termine di tre anni, tra gli altri, del diritto dei professionisti al compenso per l’opera prestata e del rimborso spese, e nell’art. 2959 cod. civ., il quale stabilisce che l’eccezione è rigettata se chi oppone la prescrizione nei casi indicati, tra gli altri, dall’art. 2956 cod. civ. ha comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è estinta. Quest’ultima disposizione è stata interpretata da questa Corte nel senso che l’eccezione di prescrizione in esame poggia sulla presunzione dell’avvenuto pagamento nei termini previsti (Cass., Sez. 18/4/1962, n. 766) e implica, perciò, il riconoscimento dell’esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore (Cass., Sez. 2, 5/6/2023, n. 15665), potendo la stessa essere superata unicamente, quanto alla posizione del debitore opponente, attraverso l’ammissione di non avere estinto l’obbligazione, e, quanto a quella del creditore, attraverso il deferimento al debitore del giuramento decisorio (Cass., Sez. 3, 15/5/2007, n. 11195; Cass., Sez. 1, 24/9/2004, n. 19240; Cass., Sez. 2, 27/1/1998, n. 785).

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Essa, dunque, non può essere opposta dal debitore che abbia contestato l’originaria sussistenza dell’obbligazione o negato l’esecuzione delle prestazioni sulle quali si basa la pretesa attorea o comunque la loro estinzione (Cass., Sez. 1, 28/6/2019, n. 17595; Cass., Sez. 18/4/1962, n. 766), giacché colui che nega il rapporto non può pretendere che si presuma che l’abbia estinto (Cass., Sez. 18/4/1962, n. 766, cit.), e può perciò essere paralizzata o dall’ammissione della non avvenuta estinzione dell’obbligazione fatta in giudizio dal presunto debitore (Cass., Sez. 2, 14/10/1959, n. 2837), tale essendo anche la negazione dell’esistenza stessa del credito oggetto di domanda (Cass., Sez. 2, 16/2/2016, n. 2977) o l’eccezione sulla identità della persona del creditore diversa da colui che agisce in giudizio (Cass., Sez. L, 2/10/2009, n. 21107), o dalla predisposizione di difese che presuppongono il mancato pagamento del credito o la sua stessa sussistenza o che si incentrino sulla contestazione dell’entità della somma richiesta (Cass., Sez. L, 3/3/2001, n. 3105; Cass., Sez. L, 12/7/2001, n. 9467; Cass. 4015/2002; Cass., Sez. L, 20/3/2012, n. 12771), poiché in tal modo si ammette, implicitamente, che l’obbligazione non è stata estinta (Cass., Sez. 2, 5/6/2023, n. 15665; Cass., Sez. 1, 28/6/2019, n. 17595; Cass., Sez. 2, 1/10/2018, n. 23751; Cass., Sez. 2, 16/2/2016, n. 2977; Cass., Sez. 2, 2/12/2013, n. 26986). Per contro, le deduzioni con le quali il debitore assume che il debito sia stato pagato, o sia comunque estinto, non rendono inopponibile l’eccezione di prescrizione presuntiva, giacché, lungi dall’essere incompatibili con la presunta estinzione del debito per decorso del termine, sono, invero, adesive e confermative del contenuto sostanziale dell’eccezione stessa (Cass., Sez. 2, 1/10/2018, n. 23751; Cass., Sez. 3, 31/3/2010, n. 7800). Orbene, il giudice di merito, dopo avere premesso che la prescrizione ex art. 2956 cod. civ. andava rigettata quando il debitore avesse ammesso in giudizio la mancata estinzione della prescrizione, ha ritenuto di ravvisare detta ammissione nel comportamento processuale della parte, che aveva evidenziato la stranezza della pretesa della controparte la quale, al fine di sottrarsi all’azione di ripetizione dell’indebito, aveva fatto rivivere una presunta (e prescritta) obbligazione contrattuale, asserendo di non avere attualmente alcun debito nei confronti del legale, da cui aveva tratto il convincimento che tali deduzioni implicassero il disconoscimento dell’obbligazione.

In sostanza il giudice ha ben applicato i principi affermati in merito all’istituto della prescrizione presuntiva, sicché la doglianza ridonda nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che, come si è detto, è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640).

Infatti, il comportamento processuale (nel cui ambito rientra anche il sistema difensivo adottato dal loro procuratore) o extraprocessuale delle parti, può costituire, ai sensi dell’articolo 116 cod. proc. civ., non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente fonte di prova idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito (Cass., Sez. 3, 4/5/2005, n. 9279), mentre la relativa indagine, così come quella sul contenuto delle dichiarazioni della parte (o del suo comportamento processuale), al fine di stabilire se importino o meno ammissione della mancata estinzione del debito agli effetti dell’articolo 2959 cod. civ., dà luogo ad un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato sulle ragioni all’uopo adottate dal giudice del merito, in quanto confacenti e coerenti (Cass., Sez. 6-2, 30/6/2021, n. 18631).

Né può dirsi fondata l’obiezione, pure contenuta nella censura, della tempestività dell’affermato pagamento del prezzo nella memoria conclusionale, siccome costituente prima difesa utile per contrastare le avverse allegazioni.

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Infatti, in tema di procedimento davanti al giudice di pace, la maggiore snellezza del rito da osservare non comporta deroghe al sistema delle preclusioni delineato dalla disciplina del giudizio davanti al Tribunale in composizione monocratica – cui l’art. 311 cod. proc. civ. rinvia – né in particolare al divieto di proporre domande nuove, né la natura eventualmente equitativa della decisione, ai sensi dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ., esime il giudice dal rispetto delle norme di carattere processuale, concernendo esclusivamente il diritto sostanziale (Cass., Sez. 2, 21/4/2008, n. 10331), sicché, in relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, il potere di allegazione, che compete esclusivamente alla parte, va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto, soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il potere di rilevazione spetta alla parte (ed è soggetto, perciò, alle preclusioni stabilite per le attività di parte) solo qualora la manifestazione della sua volontà sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nell’ipotesi di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva (Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27405), sicché, anche davanti al giudice di pace, la deduzione relativa all’applicabilità di uno specifico termine di prescrizione, che integra una controeccezione in senso lato, può essere rilevata d’ufficio purché nel rispetto delle preclusioni assertive qualora sia fondata su nuove allegazioni di fatto (Cass., Sez. 3, 5/2/2024, n. 3267; Cass., Sez. 3, 3/1/2020, n. 24260).

Nella specie, sarebbe stato onere della parte precisare la portata della sua domanda, alla luce delle controdeduzioni di parte avversa, nell’udienza di comparizione ex art. 320 cod. proc. civ. davanti al giudice di pace, giacché solo così tale chiarimento, costituendo fatto nuovo rispetto alle indicazioni contenute in citazione, avrebbe consentito alla controparte l’eventuale replica o la deduzione della prova contraria alla presunzione di prescrizione, attraverso, ad esempio, il deferimento al debitore del giuramento decisorio (Cass., Sez. 3, 15/5/2007, n. 11195; Cass., Sez. 1, 24/9/2004, n. 19240; Cass., Sez. 2, 27/1/1998, n. 785).

Pertanto, non avendovi la parte provveduto, come risulta dalla sentenza impugnata e non smentito neppure dalla stessa ricorrente, ben ha fatto il giudice di merito a considerare nuova la deduzione sull’avvenuto pagamento del compenso. In sostanza, la censura, sollecitando una nuova lettura degli atti di causa onde addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta, deve ritenersi fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272) e deve perciò considerarsi inammissibile.

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2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1294 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello affermato che il mandato professionale della ricorrente e del coniuge fosse unico e dovesse perciò applicarsi il principio della presunzione della solidarietà passiva, dando per scontato che la circostanza fosse pacifica, senza considerare che questa era rimasta, invece, indimostrata e che la relativa prova gravava sulla controparte.

2.2 La censura è parimenti inammissibile.

Infatti, come già affermato da questa Corte, l’accertamento della contestazione o non contestazione, che scaturisce dalla non negazione del fatto, fondata sulla volontà della parte, intesa come oggettivo aspetto dell’atto e che produce, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., l’effetto della relevatio ad onere probandi, rientra nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, sicché è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass., Sez. 6-1, 7/2/2019, n. 3680; Cass., Sez. 2, 28/10/2019, n. 27490; Cass., Sez. L, 3/5/2007, n. 10182), vizio che, nella specie, non è stato neppure dedotto, con conseguente inammissibilità della censura.

3.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1243, secondo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito ignorato l’eccezione, sollevata fin dal primo grado, avente ad oggetto la non compensabilità del credito della ricorrente con il controcredito vantato dalla sua controparte per il giudizio di primo grado, in quanto quest’ultimo non era liquido, essendo stato quantificato solo con la comparsa di costituzione.

3.2 La censura è infondata.

Come recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, l’art. 1243 cod. civ. stabilisce i presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione, ossia l’esigibilità e la liquidità che, inclusiva del requisito della certezza, va a ricadere sull’oggetto della prestazione, sostanziandosi nella determinazione del credito in base al titolo (Cass., Sez. U, 15/11/2016, n. 23225).

In presenza di tutti e tre i suddetti requisiti, il giudice dichiara l’estinzione del credito principale per compensazione – legale – a decorrere dalla coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda, mentre se il credito opposto in compensazione è certo, ma non liquido, nel senso di non determinato, in tutto o in parte, nel suo ammontare, il giudice può provvedere alla relativa liquidazione se è facile e pronta, dichiarando estinto il credito principale per compensazione giudiziale fino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, o sospendendo cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione, diversamente da quanto accade se il credito è controverso, non potendo in tal caso pronunciare la compensazione, né legale né giudiziale (Cass., Sez. U, 15/11/2016, n. 23225).

Nella specie, il credito opposto in compensazione, nmc°cf3 inadempiuto, come accertato con riferimento alla prescrizione presuntiva, era di pronta e facile liquidazione, sicché correttamente ne è stata quantificata l’entità e disposta la compensazione con il credito restitutorio della ricorrente. Ne consegue l’infondatezza della censura.

4. In conclusione, dichiarata l’inammissibilità dei primi due motivi e l’infondatezza del terzo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.

I presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2024.

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