Corte di Cassazione, penale, Sentenza|5 maggio 2021| n. 17360.
In tema di giudizio abbreviato, l’integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell’art. 441, comma quinto, cod. proc. pen., può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all’imputato, atteso che gli unici limiti a cui è soggetto l’esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessità ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l’assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti. (In motivazione, la Corte ha precisato che la scelta unilaterale del rito alternativo da parte dell’imputato non può fondare alcuna aspettativa circa un preteso diritto ad essere giudicati sulla sola base degli atti disponibili al momento dell’ordinanza di ammissione del rito, essendo rimesso al giudice di valutare l’eventuale incompletezza delle indagini e la conseguente impossibilità di decidere allo stato degli atti, disponendo la necessaria integrazione istruttoria).
Sentenza|5 maggio 2021| n. 17360
Data udienza 13 aprile 2021
Integrale
Tag – parola chiave: REATI CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA – DELITTI CONTRO L’AUTORITA’ DELLE DECISIONI GIUDIZIARIE – EVASIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente
Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere
Dott. GIORDANO Emilia An – rel. Consigliere
Dott. ROSATI Martino – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/1/2020 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Cimmino Alessandro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Giudizio abbreviato e l’integrazione probatoria
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la condanna di (OMISSIS), in esito a giudizio abbreviato, alla pena di mesi sei di reclusione, per il reato di evasione (articolo 385 c.p.).
2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato denuncia l’inosservanza ed erronea applicazione della legge, in materia di applicazione delle regole che disciplinano il rito abbreviato. Sostiene che il giudice di primo grado ha erroneamente disposto, ai sensi dell’articolo 441 c.p.p., comma 5, l’acquisizione dell’annotazione di polizia giudiziaria relativa al controllo eseguito presso l’abitazione, e nella quale non si faceva alcun riferimento ad una telefonata che l’imputato avrebbe fatto, immediatamente dopo il controllo di Polizia nel quale se ne era constatata l’assenza in abitazione, per riferire che si trovava in casa e non aveva udito il campanello. Nell’ambito del giudizio abbreviato richiesto dall’imputato e’ possibile, infatti, solo l’acquisizione di atti “in bonam partem” dal momento che l’acquisizione di elementi a carico dell’imputato potrebbe incidere sulla determinazione di richiesta al rito alternativo. Deduce, infine, erronea applicazione della legge penale per il diniego di dichiarazione di non punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p..
3. Il ricorso e’ stato trattato con procedura scritta, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176.
Giudizio abbreviato e l’integrazione probatoria
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato.
Dalla sentenza impugnata si evince che l’imputato non veniva trovato presso l’abitazione ove era ristretto agli arresti domiciliari in occasione di un controllo eseguito il 28 settembre 2016 e che, nel corso dell’interrogatorio al quale si era sottoposto aveva riferito che, in realta’, si trovava in casa e che non aveva udito il campanello. Era stato, invece, svegliato da una vicina ed aveva immediatamente chiamato i Carabinieri, avvertendoli dell’equivoco nel quale incorso. Il giudice di primo grado, ai fini della decisione, aveva disposto l’acquisizione della relazione di servizio dei Carabinieri, non presente agli atti del fascicolo del Pubblico Ministero, onde accertare la fondatezza di tale circostanza che, pero’, non risultava riportata nell’annotazione cosi’ acquisita. Da qui la condanna in primo grado e la conferma da parte della Corte di merito essendo integrato il presupposto costitutivo dell’illegittimo e arbitrario allontanamento dell’imputato dal luogo ove era ristretto.
Ritiene il Collegio che correttamente la Corte di appello, nel disattendere l’eccezione oggi proposta con i motivi di ricorso, ha ritenuto infondata l’eccezione che denunciava la illegittimita’ della disposta acquisizione non condividendo la tesi difensiva secondo la quale in sede di giudizio abbreviato il giudice puo’ disporre l’acquisizione solo degli elementi a favore dell’imputato osservando, altresi’, che costituiva onere dell’imputato, prima di avanzare la richiesta, assicurarsi della completezza del contenuto dell’annotazione e che, l’imputato non aveva esercitato il diritto alla prova contraria, indicando, ad es. il nome della vicina che, a suo dire, lo aveva “svegliato” avvisandolo del controllo avvenuto mentre egli si trovava in casa. Deve, pertanto, darsi continuita’ al principio, opposto a quello richiamato dal ricorrente, secondo cui in tema di giudizio abbreviato, l’integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell’articolo 441 c.p.p., comma 5, puo’ riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilita’ all’imputato, atteso che gli unici limiti a cui e’ soggetto l’esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessita’ ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l’assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 34702 del 20/05/2015, Giorgi, Rv. 264407).
Le sentenze richiamate a fondamento della tesi sostenuta con il ricorso, che escludevano la possibilita’ di disporre l’integrazione probatoria ai sensi dell’articolo 441 c.p.p., comma 5, in relazione alla ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilita’ all’imputato (Sez. 3, Sentenza n. 33939 del 16/06/2010, Anzaldo, Rv. 248229; Sez. 1, Sentenza n. 32099 del 14/07/2004, Carta, Rv. 229497) sono, infatti, molto risalenti mentre le piu’ recenti, esaminando il tema posto dal difensore, ne hanno escluso il fondamento giuridico con argomentazioni convincenti e fondate sull’analisi della riscrittura della normativa in tema di giudizio abbreviato che ne ha modificato le condizioni di accesso al rito e che non presuppone piu’, come condizione per la sua ammissibilita’, la definizione del processo allo stato degli atti e percio’ neppure il consenso del pubblico ministero, “accesso al rito” che non potra’ mai essere rifiutato in presenza di carenze del quadro probatorio od istruttorio. Questo principio vale in assoluto nel caso in cui l’imputato richieda il giudizio abbreviato cd. puro oltre che nell’ipotesi di richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, quando questa risulti necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalita’ proprie del procedimento.
La scelta unilaterale dell’imputato non puo’, dunque, fondare alcuna aspettativa circa un preteso diritto ad essere giudicati sulla sola base degli atti disponibili al momento dell’ordinanza di ammissione del rito perche’, qualora il giudice, in qualsiasi momento, dovesse rendersi conto dell’incompletezza delle indagini e della conseguente impossibilita’ di possedere gli elementi necessari per la decisione, l’integrazione probatoria officiosa costituisce l’unica forma di bilanciamento rispetto alla inevitabilita’ del giudizio abbreviato, rimesso alla scelta unilaterale dell’imputato, ed essa non e’ condizionata alla sua complessita’ od alla lunghezza dei tempi dell’accertamento probatorio ne’ e’ soggetta a limiti temporali e puo’ dunque intervenire in qualsiasi momento e fase della procedura (Sez. 6, 23/01/2009 n. 11558, Trentadue, Rv. 243063).
Peraltro, in relazione al rito abbreviato cd. secco – come nella specie attivato dal ricorrente – non si tratta di recuperare poteri officiosi, diretti a snaturare la fondamentale funzione passiva del giudice nell’ambito del modello processuale accusatorio, ma di “recuperare” nella fase processuale attraverso l’attivita’ integrativa le lacune investigative c.d. strutturali – le uniche percio’ colmabili in quanto necessarie per la decisione – in linea con la modifica corrispondentemente apportata all’articolo 421-bis c.p.p. che, richiedendo ex ante il rispetto del principio di completezza delle indagini, impone al giudice dell’udienza preliminare di indicare al pubblico ministero, nel caso di indagini preliminari incomplete, l’espletamento di ulteriori indagini. Diversamente ne risulterebbe snaturato lo stesso processo penale ed i principi costituzionali che lo regolano perche’ la ricerca della verita’ “processuale” (v. Corte Cost. sentenza n. 3 del 1993), che presuppone che il giudice sia in possesso degli elementi necessari per decidere, rimane, nei limiti fissati dalle concorrenti garanzie costituzionali del giusto processo (articolo 111 Cost.), fine primario ed ineludibile di esso in quanto, in un ordinamento improntato al principio di legalita’ (articolo 25 Cost., comma 2) e fondato sull’obbligatorieta’ dell’azione penale (articolo 112 Cost.), l’accertamento del fatto storico, necessario per pervenire ad una giusta decisione, non puo’ essere impedito da una scelta unilaterale di una parte processuale sia essa l’imputato o il pubblico ministero.
L’articolo 441 c.p.p., comma 5, non si spinge al punto di dichiarare preclusa la facolta’ del giudice di integrazione probatoria officiosa con riguardo alla ricostruzione storica del fatto ed all’attribuibilita’ di esso all’imputato – che costituiva nella precedente giurisprudenza un portato della ricostruzione strutturale dell’istituto in esame – e l’integrazione probatoria sara’ ammessa quando risulti “necessaria ai fini della decisione” con la precisazione che l’integrazione non puo’ spingersi sino al punto da alterare la concorrente funzione del processo penale, quale processo di parti a struttura accusatoria sicche’ il ricorso ai poteri ex articolo 441 c.p.p., comma 5, richiede non la totale assenza di informazione probatoria, al cui cospetto alcuna integrazione sarebbe ammissibile, ma esclusivamente l’incompletezza di essa, incompletezza che potra’ essere colmata non con l’acquisizione di un qualsiasi elemento ma solo di quelli necessari per decidere.
Nel caso in esame, a fronte del risultato di prova, riveniente dall’accertamento di polizia giudiziaria che dava per certa l’assenza dell’imputato dall’abitazione al momento del controllo, non aveva una funzione meramente esplorativa l’acquisizione della relazione di servizio proprio perche’ era necessario verificare il fondamento della linea difensiva dell’imputato – cioe’ accertare se effettivamente questi avesse chiamato i Carabinieri per dare atto di trovarsi in casa – verifica rivelatasi negativa poiche’ nella relazione di servizio acquisita mancava ogni riferimento a tale circostanza.
Ne’, rispetto all’ordinanza con la quale il giudice aveva disposto l’acquisizione dell’annotazione di servizio, l’imputato si era avvalso del suo diritto alla prova, di cui all’articolo 423 c.p.p., chiamando in giudizio la vicina di casa, i verbalizzanti o, comunque, gli agenti con i quali l’imputato aveva parlato per comunicare la sua presenza in casa.
2.Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso non ricorrendo nella fattispecie concreta, all’esito della valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta ed alla colpevolezza, il requisito di offensivita’ minima che, del tutto logicamente, la Corte di merito ha ritenuto insussistente alla stregua della ricostruzione in fatto e dell’abitualita’ nel reato, conclamata dai numerosi precedenti dell’imputato riferiti ad una pluralita’ di reati ed alla precedente condanna per evasione.
4. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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