Scarico illegale di reflui industriali

Corte di Cassazione, penale, Ordinanza|5 maggio 2021| n. 17178. 

Scarico illegale di reflui industriali

La nozione di scarico contenuta nella lettera ff) dell’articolo 74, comma 1, del Dlgs n. 152 del 2006, consiste, testualmente, in «qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria», aggiungendo poi dovere essere esclusi da detta nozione i rilasci di acque previsti dall’articolo 114. Pertanto, per aversi «scarico», ai fini della punibilità, ai sensi dell’articolo 137 del Testo Unico dell’Ambiente, di uno scarico illegale di reflui industriali da un’attività di autolavaggio abusiva, è necessaria una fisica «immissione» in un corpo ricettore, presupposto questo, logicamente derivante dallo stesso vocabolo «scarico», caratterizzato dalla «s» con valore privativo e da «carico» ed implicante, quindi, una condotta che comporta una operazione di «sottrazione». Al contempo, la raccolta dei liquami, provenienti da un autolavaggio gestito in assenza della prescritta Autorizzazione Unica Ambientale, all’interno di una vasca interrata priva di collegamento con un corpo collettore, seppure non configuri uno scarico illegale, al tempo stesso la condotta di sversamento dei reflui nella vasca è punibile quale abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti ai sensi dell’articolo 256 Dlgs.152 del 2006, non potendo, data l’assoluta non tracciabilità del ciclo di smaltimento dei rifiuti liquidi abbandonati nella vasca interrata, trattarsi di un deposito temporaneo di rifiuti che avrebbe dovuto essere tenuto secondo i criteri e le condizioni specificati nell’articolo 183, lettera m) del Codice dell’Ambiente.

Ordinanza|5 maggio 2021| n. 17178

Data udienza 5 febbraio 2021

Integrale
Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – REALI – Scarico illegale di reflui industriali

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. AMOROSO Maria C. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Benevento del 24/9/2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere AMOROSO MARIA CRISTINA;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MARINELLI FELICETTA che ha concluso chiedendo;
udite le conclusioni dell’avv. (OMISSIS), sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata e la restituzione di quanto in sequestro.
Ricorso trattato Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

Scarico illegale di reflui industriali

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza del 24 settembre 2020, il Tribunale di Benevento, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato la richiesta di riesame proposta dall’odierno ricorrente nei confronti del decreto del 1 agosto 2010, in forza del quale il G.i.p. del Tribunale di Benevento aveva disposto per i reati di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 137 e 256, il sequestro preventivo di una idropulitrice ed una aspirapolvere, di 8 contenitori di detergenti chiusi, 7 contenitori di detergenti aperti, nonche’ una vasca interrata contenente acque reflue proveniente dai lavaggi e un blocchetto per ricevute fiscali.
Il sequestro era stato effettuato dalla Guardia di Finanza di Benevento, che corso di una perquisizione eseguita ai sensi dell’articolo 41 TULPS, con esito negativo per la ricerca di armi esplodenti, aveva accertato la presenza di una attivita’ di lavaggio abusiva, gestita di fatto da (OMISSIS).
2. Avverso la decisione il ricorrente ha formulato due motivi di ricorso.
3. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’articolo 321 c.p.p. e carenza assoluta di motivazione in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3, in ordine alle censure sollevate circa la configurabilita’ del reato il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ex articolo 137, trattandosi di fattispecie che punisce chiunque apra scarichi o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali senza autorizzazione. Ad avviso della difesa, nel caso di specie non esisteva alcun tipo di scarico in quanto, come segnalato dai verbalizzanti, vi la cisterna interrata di circa 8 mc. era finalizzata allo stoccaggio di acque reflue, non essendo collegata all’impianto fognario o ad altro corpo recettore sul suolo o sul sottosuolo. Nello stesso motivo si lamenta, inoltre, la totale mancanza di motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 256 del Testo Unico ambientale posto che la permanenza dei reflui nella vasca interrata integrava un deposito temporaneo di rifiuti liquidi in attesa di smaltimento.
4. Con il secondo motivo di ricorso si’ lamenta la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla doglianza riferita alla legittimita’ della perquisizione ex 41 tulps prodromica al sequestro preventivo in oggetto proposta in sede di riesame.
5. Il primo motivo di ricorso e’ complessivamente infondato. In proposito giova ricordare che la nozione di scarico contenuta nella lettera ff) del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 74, comma 1, consiste, testualmente, in “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuita’ il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria…”, aggiungendo poi dovere essere esclusi da detta nozione “i rilasci di acque previsti dall’articolo 114”.
Di qui, dunque, la necessita’, resa immediatamente evidente dalla lettera della norma, che, per aversi “scarico”, sia anzitutto appunto necessaria una fisica “immissione” in un corpo ricettore, presupposto questo, logicamente derivante, del resto, dallo stesso vocabolo “scarico”, caratterizzato dalla “s” con valore privativo e da “carico” ed implicante, quindi, una condotta che comporta una operazione di “sottrazione”(Sez. 3, n. 24118 del 28/3/2017, Saligari, Rv. 270305 – 01).
Che ai fini della sussistenza dello scarico, sia necessaria la realizzazione di un contatto fisico tra il refluo ed il corpo ricettore, e’ presupposto sostanzialmente esplicitato dalle pronunce di Questa Corte che si sono testualmente riferite, sia pure in un regime anteriore a quello introdotto nel 2006 e modificato nel 2009 ad un qualsiasi “versamento” di rifiuti liquidi o solidi (Sez. 3, n. 12186 del 30/09/1999, Bosso, Rv. 215081) ovvero, ancor prima, a sostanza che “in qualsiasi modo e per qualsiasi causa proviene dall’insediamento e confluisce nel corpo ricettore” (v. Sez. 3, n. 13376 del 10/11/1998, Brivio, Rv. 212541; Sez. 3, n. 10914 del 05/10/1984, Baumann, Rv. 166992; Sez. 3, n. 7449 del 23/04/1990, Gozza, Rv. 184429).
Il provvedimento impugnato non ha fatto, quindi, buon governo dei principi che regolano la materia, il Tribunale ha affermato che la fattispecie rientrasse “correttamente nell’ambito dell’articolo 137 perche’, pur essendo il gestore di fatto dell’autolavaggio l’indagato esercitava l’attivita’ in assenza della prescritta autorizzazione unica ambientale”, omettendo tuttavia di valutare il dirimente dato di fatto costituito dall’assenza di collegamento tra la vasca interrata, il refluo in essa contenuto, ed un corpo collettore.
6. Tuttavia, correttamente, ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte, lo stesso provvedimento impugnato ha qualificato allo stesso tempo la condotta di sversamento dei reflui nella vasca interrata ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, quale abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti. (v. Sez. 3, n. 50432 del 15/10/2019,De Rosa, Rv. 277400).
Tali affermazioni non risultano contestate nel motivo di ricorso che si e’ genericamente limitato a lamentare una apodittica motivazione sul punto, in realta’, come appena detto, inesistente. Cio’ che, in definitiva giustifica la permanenza del disposto sequestro.
I Giudici, infatti, sia pur sinteticamente, hanno evidenziato l’assoluta non tracciabilita’ del ciclo di smaltimento dei rifiuti liquidi abbandonati nella vasca interrata, circostanza che esclude in nuce possa trattarsi di un deposito temporaneo di rifiuti che avrebbe dovuto essere tenuto secondo i criteri e le condizioni specificati nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, lettera m).
7. Il secondo motivo di ricorso deve considerarsi inammissibile perche’ non posto con la richiesta di riesame.
Deve comunque ribadirsi la consolidata giurisprudenza di Questa Corte, secondo la quale anche l’eventuale illegittimita’ della perquisizione non invalida il conseguente sequestro qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose obbiettivamente sequestrabili, non dipende dalle modalita’ con le quali queste sono state reperite, ma e’ condizionato unicamente all’acquisibilita’ del bene e alla insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema. (Sez. 2, n. 15784 del 23/12/2016, Foddis, Rv. 269856; Sez. 2, n. 26819 del 23/04/2010, Ceschini, Rv. 24767901); tale orientamento giurisprudenziale ha trovato autorevole conferma nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 219/2019 e, piu’ di recente, n. 252 del 21 ottobre 2020, nelle quali si e’ ribadito che “essendo il diritto alla prova un connotato essenziale del processo penale, in quanto componente del giusto processo, e’ solo la legge a stabilire – con norme di stretta interpretazione, in ragione della loro natura eccezionale – quali siano e come si atteggino i divieti probatori, “in funzione di scelte di “politica processuale” che soltanto il legislatore e’ abilitato, nei limiti della ragionevolezza, ad esercitare.
Di qui l’impossibilita’ – ripetutamente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimita’ – di riferire all’inutilizzabilita’ il regime del “vizio derivato”, che l’articolo 185 c.p.p., comma 1, contempla solo nel campo delle nullita’.
8. Per le ragioni che precedono, il ricorso rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Motivazione semplificata.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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