Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 settembre 2024| n. 25180.
Autorità del giudicato non solo sulla pronuncia esplicita della decisione
Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio
Ordinanza|19 settembre 2024| n. 25180. Autorità del giudicato non solo sulla pronuncia esplicita della decisione
Data udienza 27 giugno 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Procedimenti sommari – D’ingiunzione – Decreto – Esecutorieta’ – Per mancata opposizione o per mancata attivita’ dell’opponente decreto ingiuntivo definitivamente esecutivo – Conseguenze – Formazione del giudicato – Ambito oggettivo – Estensione al titolo che ne costituisce il fondamento – Sussistenza – Ulteriore azione su medesimo titolo – Preclusione.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente Relatore
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
Dott. VAROTTI Luciano – Consigliere
Dott. GARRI Guglielmo – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28855/2019 R.G. proposto da:
REGIONE PUGLIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE BR.BU., presso lo studio dell’avvocato MA.VE. (-) rappresentata e difesa dall’avvocato MA.SP. (…)
– ricorrente –
contro
BANCA MO.DE. Spa, CASA DI CURA SA.MA. Spa
– intimati –
nonché sul controricorso incidentale proposto da
CASA DI CURA SA.MA. Spa, elettivamente domiciliata in ROMA CO.DE., presso lo studio dell’avvocato GI.PE. (…) che la rappresenta e difende
– ricorrente incidentale –
contro
BANCA MO.DE. Spa
– intimato –
avverso la sentenza di CORTE D’APPELLO BARI n. 1711/2018 depositata il 8.10.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.6.2024 dal Consigliere Umberto Luigi Cesare Giuseppe Scotti.
Autorità del giudicato non solo sulla pronuncia esplicita della decisione
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 25.6.2003 la Regione Puglia ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari la Casa di cura SA.MA., chiedendone la condanna alla restituzione dell’importo di Euro 5.626.959,58, a titolo di indebito o in subordine di ingiustificato arricchimento. A sostegno della domanda la Regione ha esposto di aver verificato, all’esito di una procedura di revisione amministrativa contabile delle prestazioni sanitarie erogate dalla Casa di cura agli aventi diritto nel biennio 1993-1994, delle irregolarità nel rapporto convenzionale vigente e in particolare l’avvenuta effettuazione di pagamenti in esubero per la cifra richiesta nelle conclusioni formulate.
Si è costituita in giudizio la Casa di cura, proponendo una nutrita serie di eccezioni preliminari (nullità della citazione, difetto di giurisdizione, prescrizione, giudicato esterno, difetto di legittimazione passiva), contestando nel merito la pretesa e chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attrice al pagamento della somma di Euro 351.432,06 a saldo delle competenze fatturate per il periodo in questione.
Il contraddittorio è stato esteso alla Banca MO.DE. Spa, cessionaria del creditore in forza di contratto di factoring.
Il Tribunale di Bari, all’esito di consulenza tecnica d’ufficio (di seguito, breviter, c.t.u.) e relativo supplemento, con sentenza del 6.2.2013, disattese tutte le eccezioni preliminari sollevate dalla convenuta, ha condannato la Casa di cura SA.MA. al pagamento in favore della Regione della somma di Euro 2.196.692,80 oltre interessi legali dalla domanda, ha rigettato la domanda riconvenzionale della Casa di cura e ha gravato la convenuta delle spese di lite in favore dell’attrice e della terza chiamata, nonché delle spese di c.t.u.
Nel merito il Tribunale ha accertato che erano state indebitamente pagate dalla Regione anche prestazioni sanitarie non rimborsabili, estranee alla convenzione (RMN e TAC per il 1993, ricovero con prestazione di medici incompatibili, ricoveri brevi di un giorno per esecuzione di prestazioni specialistiche altrimenti non erogabili).
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2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la Casa di cura, a cui hanno resistito le parti appellate, Regione Puglia e MO.DE..
La Corte di appello di Bari con sentenza dell’8.10.2018 ha accolto il gravame, dichiarando improponibile la domanda di ripetizione di indebito proposta dalla Regione in forza del giudicato scaturente dalla omessa opposizione ai decreti ingiuntivi 4164/1993 e 4076/1995 e condannando, per il doppio grado, la Regione Puglia alla rifusione delle spese processuali della Casa di cura e la Casa di cura alla rifusione di quelle del Mo.De..
3. Con la predetta sentenza la Corte di appello ha ritenuto che l’appello fosse sufficientemente specifico e perciò ammissibile; ha chiarito che il sistema di pagamento delle prestazioni prevedeva un anticipo dell’85% a fronte della fatturazione e che i due decreti ingiuntivi erano stati emessi per il saldo residuo, rispettivamente per il 1993 e per il 1994; ha osservato che la Regione aveva proceduto alla verifica contabile solo otto anni dopo, nel 2001; ha assunto che i decreti ingiuntivi si riferivano proprio ai saldi delle predette fatture; ha ritenuto che non fosse stato indicato e dimostrato alcun fatto successivo ai decreti idoneo a privare di causa il pagamento effettuato e a sostenere l’azione di ripetizione; ha aggiunto ancora che in data 1.12.2000, e cioè ben dopo il pagamento delle fatture, la ASL BA/4 aveva verificato positivamente la contabilità degli anni in questione prima dell’ulteriore verifica dell’Ufficio assessorile nel giugno del 2001.
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3. Avverso la predetta sentenza dell’8.10.2018, non notificata, con atto notificato il 4.10.2019 ha proposto ricorso per cassazione la Regione Puglia, svolgendo tre motivi.
Con atto notificato il 12.11.2019 ha proposto controricorso e ricorso incidentale la Casa di cura SA.MA., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di due motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado.
Il MO.DE. è rimasto intimato.
La Regione Puglia ha chiesto con apposita istanza, ex adverso contrastata, la trattazione in pubblica udienza.
Entrambe le parti hanno presentato memoria, la controricorrente richiamando il contenuto di altra memoria depositata in precedenza prima dell’avvenuto differimento di udienza. In particolare, con la sua memoria la Regione Puglia ha dichiarato di desistere dalla richiesta di trattazione in pubblica udienza precedentemente avanzata.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
4. La richiesta di trattazione in pubblica udienza, peraltro proposta in termini del tutto generici, non meritava di essere accolta, perché il ricorso non prospetta questioni di particolare interesse nomofilattico.
Comunque successivamente la Regione ha chiarito, abbandonando l’istanza le ragioni della richiesta, superata dalla pronuncia della sentenza delle Sezioni Unite n. 2075 del 19.1.2024, secondo cui “In tema di ricorso per cassazione, il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 365 e 83, comma 3, c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell’atto a cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non sia successivo alla notificazione del ricorso stesso.”
5. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della sentenza perché la Corte territoriale non aveva rilevato – come, a suo dire, avrebbe dovuto – l’inammissibilità dell’appello della SA.MA. per la mancata impugnazione di tutte le ragioni esposte dal Tribunale a corredo del rigetto dell’eccezione di giudicato esterno.
5.1. Il Tribunale, riferisce la ricorrente, aveva rigettato l’eccezione per tre distinte ragioni:
1. perché la domanda attorea era rivolta alla ripetizione delle somme indebitamente versate alla Casa di cura per le prestazioni eseguite negli anni 1993 e 1994 e non solo della somma recuperata attraverso i decreti ingiuntivi;
2. perché i decreti avevano ad oggetto gli acconti inizialmente versati dalla Regione, salvo conguaglio, e l’azione intrapresa dalla Regione mirava a recuperare la somma risultata non dovuta in sede di conguaglio, pari alla differenza tra tutti i pagamenti effettuati e gli importi legittimamente spettanti;
3. perché il giudicato non copriva i fatti successivi al giudicato.
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La SA.MA., secondo la ricorrente, aveva censurato solo la seconda e la terza ratio, non aggredendo la prima, che era di per sé da sola idonea a reggere il decisum, con la conseguente formazione del giudicato interno, rilevabile ex officio.
5.2. Il mezzo è per un verso inammissibile e per altro comunque infondato.
5.2.1. Da un lato, infatti, la ricorrente non riproduce nel suo ricorso, come sarebbe stato suo onere per conformare specificamente la censura, il contenuto del motivo di appello proposto dalla appellante Casa di cura.
Non è sufficiente a tal fine il mero generico richiamo a pag. 8 dell’appello avversario, pur prodotto, senza dar conto in modo puntuale e specifico, ancorché sinteticamente riassuntivo, del tenore delle censure, come sostenuto in memoria dalla Regione.
È ben noto infatti che l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi e i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti. (Sez. 6 – 1, n. 23834 del 25.9.2019; Sez. L, n. 20924 del 5.8.2019; Sez. 5, n. 10272 del 26.4.2017; Sez. 1, n. 2771 del 2.2.2017)
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Ed ancora: l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Sez. 5, n. 22880 del 29.9.2017; Sez. L, n. 11738 del 8.6.2016; Sez. L, n. 23420 del 10.11.2011; Sez. 1, n. 20405 del 20.9.2006; Sez. U, n. 28332 del 5.11.2019; Sez. U , n. 156 del 9.1.2020).
5.2.2. D’altro canto, il primo periodo della sentenza di primo grado riprodotto in ricorso a pag.8 non costituisce una statuizione separata dal secondo che lo segue, e insieme rappresentano la motivazione principale addotta dal Tribunale barese e dissentita dalla Corte territoriale, secondo cui i decreti ingiuntivi de quibus concernevano solo le somme pretese a conguaglio dalla Casa di cura.
Come ampiamente a chiarito alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata, la Corte barese ha accolto la critica mossa dalla SA.MA. con il quinto motivo con riferimento al vigente sistema di pagamento degli acconti (85%) e successivi conguagli e al decisivo rilievo che le pretese azionate in sede monitoria dall’attuale controricorrente costituivano il saldo residuo rispetto a quanto fatturato e in parte pagato, recando così implicito accertamento della complessiva debenza.
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6. Il secondo e il terzo motivo sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
6.1. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denunciata nullità della sentenza per violazione dell’art.647 c.p.c. perché la Corte di appello aveva attribuito efficacia di giudicato a un decreto ingiuntivo non opposto in termini, benché privo dell’attestato di definitiva esecutorietà.
6.2. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.2697 e 2909 c.c. perché la Corte territoriale aveva attribuito efficacia di giudicato a decreti ingiuntivi privi del provvedimento di esecutorietà.
6.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio. (Sez. 1, n. 22465 del 24.9.2018). E difatti il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito e il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione (Sez. 6 – 3, n. 19113 del 18.7.2018; Sez. 3, n. 28318 del 28.11.2017).
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6.4. La ricorrente si limita a rilevare il dato formale che non era stata prodotta la dichiarazione di esecutorietà, ma non allegata di aver opposto, anche tardivamente, i due decreti ingiuntivi.
Anzi dalla sentenza impugnata (pag.4-5) risulta che il Tribunale non aveva affatto revocato in dubbio il passaggio in giudicato dei due decreti, ma aveva motivato il rigetto dell’eccezione sia con riferimento a una interpretazione riduttiva della loro portata, sia sulla base della rilevanza dei fatti sopravvenuti, espressamente negando efficacia al “giudicato formatosi a seguito dell’opposizione ai due decreti”.
6.5. Anche volendo mutuare per il caso del giudicato conseguente alla mancata opposizione al decreto ingiuntivo la regula juris dalla disciplina della certificazione del passaggio in giudicato della sentenza ex art.124 disp. att. c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte insegna che la parte che eccepisce il passaggio in giudicato di una sentenza ha l’onere di fornirne la prova mediante produzione della stessa, munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c., anche nel caso di non contestazione della controparte, restandone, viceversa, esonerata solo nel caso in cui quest’ultima ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno (Sez. 3, n. 36258 del 28.12.2023; Sez. 1, n. 6868 del 2.3.2022).
La Regione aveva in giudizio espressamente riconosciuto l’esistenza del giudicato esterno, sia pur poi cercando infondatamente di sostenere che sarebbe stato superato da sopravvenienze. Ed infatti nella comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di appello (cfr. pag. 23 comparsa di costituzione Regione Puglia in appello) l’Amministrazione aveva affermato che “inoltre l’impugnata sentenza ha giustamente osservato che gli effetti del giudicato sostanziale, conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo, non si estende ai fatti successivi al giudicato… la motivazione sul punto è assolutamente ineccepibile”, con ciò condividendo chiaramente il rilevato, già dal giudice di primo grado, giudicato sostanziale sui decreti non opposti.
Situazione questa a cui può essere tranquillamente equiparata, a fortiori, l’ipotesi in cui il passaggio in giudicato non solo non sia stato contestato ma sia stato oggetto di statuizione non censurata.
7. La controricorrente ha proposto due motivi di ricorso incidentale.
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7.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art.360, comma 1, n. 1, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia difetto di giurisdizione.
La ricorrente osserva che la Corte di appello, stante la manifesta fondatezza di uno dei motivi di appello, si è pronunciata nel merito, il che per noto insegnamento costituisce affermazione implicita della giurisdizione, il cui difetto era stato eccepito dalla deducente con il primo motivo di appello.
Con tale motivo era stato dedotto che la domanda attrice, per come interpretata dal giudice di primo, integrava una richiesta di restituzione di pagamenti basata su una ritenuta conformazione del rapporto concessorio e delle prestazioni erogabili e apparteneva alla giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che in materia di concessione di pubblici servizi, appartengono alla cognizione del giudice ordinario soltanto le controversie in cui si faccia mera questione del pagamento di corrispettivi e non quelle in cui la determinazione di questi implichi una indagine sui contenuti e sulle regole del rapporto di concessione, controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per come conformata dapprima dall’art. 33 D.Lgs. n. 80/98 e dall’art. 7 della L. n. 205/2000, e ora dall’art. 133, co. 1, lett. c), del D.Lgs. 104/2010.
7.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art.360, comma 1, n.1, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia in subordine, per il caso di ritenuta insussistenza del giudicato esterno
sul rapporto dare avere relativo al biennio 1993-1994, il vizio della sentenza impugnata laddove rigetta la domanda riconvenzionale afferente ad un saldo ancora spettante che pertanto non potrebbe ritenersi precluso dal giudicato, anche perché la mera condivisione del rilievo di infondatezza svolto dal primo giudice si palesa contrastante con il disposto di cui all’art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c. 7.3. Anche se in assenza di una espressa qualificazione di condizionamento del ricorso incidentale, esso va ritenuto implicitamente condizionato, alla luce del tenore inequivocabile delle conclusioni rassegnate dalla Casa di cura SA.MA. che ha chiesto “in via principale di rigettare il ricorso avversario perché inammissibile e infondato anche occorrendo in accoglimento del ricorso incidentale; – in via subordinata e per quanto di ragione accogliere il ricorso incidentale cassando corrispondentemente la sentenza gravata.”
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Poiché anche il primo motivo è proposto al fine di conseguire il rigetto del ricorso principale, il suo esame deve essere ritenuto assorbito.
8. Per i motivi esposti occorre rigettare il ricorso principale, assorbito l’incidentale e condannare la parte ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto. Non così per il ricorso incidentale condizionato, rimasto assorbito.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 20.000,00. per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile il 27 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria il 19 settembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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