Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 8 gennaio 2020, n. 151
La massima estrapolata:
L’odierna previsione dell’art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. n. 5 del 2007, in attuazione della normativa dell’Unione Europea, richiede che l’eventuale diniego di rilascio del permesso per lungo soggiornanti (c.d. carta di soggiorno) sia sorretto da un giudizio di pericolosità sociale dello straniero, con una motivazione articolata non solo con riguardo alla circostanza dell’intervenuta condanna, ma su più elementi, ed in particolare con riguardo alla durata del soggiorno nel territorio nazionale e all’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, escludendo l’operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate.
Sentenza 8 gennaio 2020, n. 151
Data udienza 19 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3959 del 2012, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore e dalla Questura di Caserta, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
contro
il signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2019 il Cons. Antonella Manzione e udito per le Amministrazioni appellanti l’avvocato dello Stato Lo. Vi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’odierno appellato ha impugnato innanzi al T.A.R. per la Campania il provvedimento con il quale il Questore di Caserta ha negato il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo per essere stato l’interessato condannato per i reati di cui agli artt. 171 della l. 22 aprile 1941, n. 633 e 648 del c.p.
2. Il T.A.R. per la Campania, con sentenza n. -OMISSIS-, ha accolto il ricorso, ritenendo il provvedimento non sufficientemente motivato in ragione del mero richiamo alle citate violazioni alla normativa sul diritto d’autore e all’art. 648 c.p.: l’art. 9 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, infatti, recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, contenente la disciplina del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo va interpretato, in conformità con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato già consolidata all’epoca della decisione, nonché con i principi rivenienti dall’art. 8 CEDU, nel senso di non consentire automatismi, essendo comunque sempre necessaria una valutazione degli altri fattori indicati dalla legge, ed in particolare una prognosi di effettiva pericolosità sociale.
3. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Interno e la Questura di Caserta, chiedendone l’annullamento, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado.
Con un unico, articolato motivo, essi hanno dunque sostenuto che nel caso di specie sarebbe venuto meno il presupposto del rinnovo, ovvero il possesso in capo allo straniero di un permesso di soggiorno in corso di validità, siccome previsto dal comma 1 del medesimo art. 9 del Testo unico. Ciò in quanto il ridetto permesso di soggiorno avrebbe dovuto essere revocato giusta la previsione in tal senso contenuta nell’art. 26, comma 7 bis, che impone tale provvedimento, tra l’altro, in caso di “condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore”.
4. All’udienza pubblica del 19 novembre 2019, sentito l’avvocato dello Stato, la causa è trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio ritiene l’appello infondato e come tale da respingere.
Con un unico articolato motivo il Ministero censura l’appellata sentenza, rilevando che il permesso di soggiorno di lungo periodo non spetta automaticamente, ma richiede, ai sensi del comma 1 dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 286/1998, apposita istanza da parte dell’interessato, il quale deve essere in possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità . Nella specie, tale indefettibile presupposto mancherebbe – rectius, sarebbe venuto meno -in quanto l’appellato era stato condannato per violazione delle norme sul diritto d’autore (art. 171 della l. n. 633/1941) e per ricettazione, fattispecie che spesso accede alla vendita di cose con marchio contraffatto; condanne che, ex art. 26, comma 7 bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, implica la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero. In base al rigido automatismo previsto dalla richiamata disposizione, lo straniero dal momento del passaggio in giudicato della sentenza non poteva ritenersi in possesso del permesso di soggiorno.
2. La censura non è condivisa dal Collegio.
Va in primo luogo rilevato che nel caso di specie la lacunosità motivazionale del provvedimento è tale da non rendere neppure immediatamente intellegibile la finalità dell’istanza, oltre che il titolo pregresso sul quale essa si inserisce: ciò è talmente vero che solo dalla lettura della relazione difensiva della Questura di Caserta, versata in atti per il tramite dell’Avvocatura erariale, il giudice di prime cure ne ha individuato la finalità di rilascio di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo per motivi di lavoro autonomo, con ciò rendendola “non più dubbia, alla luce della concorde dichiarazione delle parti”.
Invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. III, 27 luglio 2012, n. 2932; id. 20 marzo 2018, n. 1801) ha chiarito che la condanna con provvedimento irrevocabile ai sensi dell’art. 26, comma 7 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, con il conseguente effetto dell’automatica preclusione del rilascio del permesso di soggiorno ed espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, riguarda esclusivamente, per ragioni letterali e sistematiche, la fattispecie di “ingresso e soggiorno per lavoro autonomo” e non anche i titolari di permesso di soggiorno ad altro titolo. Ora, nel caso di specie se parrebbe incontestato tra le parti che lo straniero abbia richiesto il permesso di soggiorno di lungo periodo per “lavoro autonomo”, non lo è altrettanto che tale fosse anche la tipologia del titolo posseduto, non essendovi traccia alcuna finanche degli estremi dello stesso nel decreto impugnato.
3. Osserva inoltre la Sezione, in disparte il dirimente argomento di cui sopra, che dalla lettura del richiamato articolo 26, comma 7 bis del d.lgs. n. 286/1998 (“la condanna […]comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo”) emerge che il permesso di soggiorno non viene meno automaticamente con l’intervenuta irrevocabilità della sentenza di condanna, ma che quest’ultima costituisce presupposto per la sua revoca, il quale costituisce atto di autotutela sanzionatoria che richiede espressa determinazione in proposito da parte dell’autorità amministrativa. Ove, infatti, il legislatore avesse voluto accedere all’effetto diretto ed automatico invocato dal Ministero sarebbe ricorso a una diversa formulazione della norma, utilizzando l’istituto della “decadenza” e prevedendo espressamente un effetto caducante “automatico”. Considerandosi, poi, che la revoca è atto costitutivo, o al più, in mancanza di margini di discrezionalità in capo all’autorità amministrativa come nella specie, atto di accertamento costitutivo (sia pur dovuto e vincolato), risulta indubitabile che la perdita di efficacia del precedente permesso di soggiorno necessitava comunque di una determinazione espressa dell’autorità amministrativa al riguardo (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2016, n. 934).
Non può, pertanto, condividersi l’assunto del Ministero appellante secondo il quale “la Questura ha, quindi, fatto applicazione della norma di cui all’articolo 26, comma 7 bis T.U. immigrazione”, non potendo l’Amministrazione procedere per saltum, avuto riguardo all’avvenuta adozione di un provvedimento di revoca che, seppur necessitato, non è stato affatto adottato. Il richiamo quale giustificazione del provvedimento all’art. 26, comma 7 bis, del d.lgs. n. 286/1998, peraltro, figura nell’atto di appello, ma non risulta in alcun modo esternato nel provvedimento impugnato, che si limita ad evocare le intervenute condanne come ostative al rilascio del titolo richiesto. Il Questore di Caserta, cioè, nel negare il permesso di soggiorno per soggiornante di lungo periodo, perfino nei riferimenti normativi richiama le disposizioni sanzionatorie penali nonché l’articolo 1, alinea 13, lett. c) della l. 3 agosto 2009, n. 102, ma mai l’art. 26 del Testo unico.
3. Il d.lgs. n. 286 del 1998 tiene ben distinti gli istituti del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, lavoro subordinato ed il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.
Quanto a quest’ultimo istituto, l’articolo 9, cui le parti affermano concordemente vada ascritta l’odierna controversia, disciplina compiutamente i requisiti necessari per il rilascio e, al comma 4, indica espressamente le ragioni ostative alla sua concessione.
Dispone, dunque, la norma che “Il permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosità si tiene conto anche dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate nell’art. 1 della legge n. 1423/1956…o nell’art. 1 della legge 31 maggio 1965 n. 375…., ovvero di eventuali condanne, anche non definitive, per i reati previsti dall’art. 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall’art. 381 del medesimo codice. Ai fini dell’adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero”.
Dalla lettura della disposizione si evince che la possibilità di diniego non è correlata ad un’unica ragione ostativa, ma ad un insieme di elementi i quali devono essere posti in comparazione tra loro ai fini della espressione della determinazione finale.
4. Ciò posto, la condanna irrevocabile per i reati di cui all’art. 26, comma 7 bis, del T.U – la quale ha valenza revocatoria vincolata per il permesso di soggiorno per lavoro autonomo – non è espressamente prevista nella disciplina dell’istituto del permesso di soggiorno UE, onde la sua portata preclusiva esclusiva non può ad esso direttamente applicarsi. Va, invero, evidenziata la diversità delle due distinte tipologie di permesso di soggiorno e la peculiare afferenza dei reati contemplati dall’art. 26 citato alla attività di (pregresso) lavoro autonomo. La mancanza di indicazioni al riguardo -id est, sia la mancanza di riferimenti al titolo già posseduto dal richiedente, sia alla sua avvenuta revoca in forza del richiamato art. 26- implicano una lacuna motivazionale, se non istruttoria, impossibile da colmare in via interpretativa.
Margini di rilevanza della suddetta condanna irrevocabile residuano peraltro anche autonomamente ai fini del diniego del permesso di soggiorno UE; ciò, tuttavia, solo nei limiti imposti dalla disposizione specifica regolatrice dell’istituto (art. 9).
5. In sintesi, può, dunque, in primo luogo affermarsi che le condanne de quibus impediscano il rilascio di tale permesso quando hanno (già ) determinato la revoca del pregresso permesso di soggiorno di cui lo straniero era titolare: non di per sé ed in via automatica, dunque, ma in ragione di tale pregiudiziale atto di revoca del precedente permesso, sicché si configuri la mancanza del requisito, richiesto dal primo comma dell’articolo 9, del “possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità “, così come affermato dalla parte appellante.
La richiamata condanna irrevocabile per i reati di cui all’art. 26, comma 7 bis, può, altresì, rilevare nel giudizio di pericolosità sociale di cui al comma 4 dell’articolo 9, purché tuttavia in tale ipotesi, in relazione alla natura del reato, ne sia data adeguata motivazione, da rendere tenendo conto anche degli altri elementi di valutazione richiesti dal richiamato comma 4. Pericolosità, a dire il vero, in concreto attenuata nei casi di specie, trattandosi di reati di commercio di prodotti con segni falsi e di ricettazione: che torna tuttavia ad assumere “cogenza” laddove, in forza del suo automatismo applicativo ovvero a prescindere dallo stesso, essa abbia fondato la revoca del pregresso permesso di soggiorno.
6. L’autorità amministrativa, dunque, non può limitare il proprio giudizio ai soli precedenti penali dello straniero, ma deve avere altresì riguardo anche agli altri elementi indicati dalla disposizione (durata del soggiorno nel territorio nazionale, inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero). La giurisprudenza è infatti ormai consolidata nell’affermare che l’odierna previsione dell’art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. n. 5 del 2007, in attuazione della normativa dell’Unione Europea, richiede che l’eventuale diniego di rilascio del “permesso per lungo soggiornanti (c.d. carta di soggiorno) sia sorretto da un giudizio di pericolosità sociale dello straniero, con una motivazione articolata non solo con riguardo alla circostanza dell’intervenuta condanna, ma su più elementi, ed in particolare con riguardo alla durata del soggiorno nel territorio nazionale e all’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, escludendo l’operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate” (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 25.5.2012, n. 3095; Cons. St., sez. III, 13.9.2013, n. 4539 nonché, da ultimo, Cons. St., sez. III, 13.3.2015, n. 1342; Cons. Stato Sez. III, 29/04/2015, n. 2184). Un innesto automatico degli effetti di una norma (l’art. 26, comma 7 bis), nell’altra (l’art. 9), a maggior ragione a contesto fattuale originario non chiaro, non consente di palesare il precorso ermeneutico seguito dall’Amministrazione procedente.
7. Nel caso di specie, la Questura di Caserta non si è fatta carico in alcun modo di esaminare l’inserimento sociale e lavorativo dell’interessato, e di operare un bilanciamento tra questo fondamentale elemento e il pur rilevante disvalore delle condotte penalmente sanzionate; ma ancor prima e a monte, non si è fatta carico di chiarire in che modo le richiamate condanne, inidonee ad incidere direttamente sulla tipologia di permesso richiesta, che ne presuppone uno precedentemente posseduto, abbia eroso i presupposti di legittimità di quest’ultimo, la cui natura neppure appare esplicitata.
Per le suesposte ragioni la Sezione non ritiene soddisfatto l’onere motivazionale imposto dall’art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 286/1998 per il diniego del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, anche alla luce dell’orientamento seguito in materia dal giudice delle leggi (Corte cost., 18 luglio 2013, n. 212), che ha ritenuto che “ai fini dell’adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero” (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 25 maggio 2012, n. 3095; id. 13 settembre 2013, n. 4539). La mancanza di tale complessiva valutazione comparativa, non operata dal provvedimento oggetto di impugnativa in primo grado, in una con la difficoltà perfino di inquadramento dello stesso in relazione alla pregressa posizione dello straniero, portano a ritenere corretta la statuizione di illegittimità del provvedimento impugnato che ne ha fatto il Tribunale Amministrativo.
8. Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, dunque, deve ritenersi l’infondatezza dell’appello proposto, con conseguente conferma della sentenza gravata, pur con le precisazioni di cui in motivazione.
Resta ovviamente salva la facoltà della Amministrazione procedente di rieditare l’odierno provvedimento emendato dai rilevati vizi motivazionali, ovvero di procedere preliminarmente ex art. 27 bis del richiamato Testo Unico.
Nulla è dovuto per le spese, attesa la mancata costituzione in giudizio dell’appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza n. -OMISSIS- del T.A.R. per la Campania.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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