Esclusione dalla gara d’appalto

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 9 gennaio 2020, n. 173

La massima estrapolata:

L’esclusione dalla gara d’appalto ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 non è una sanzione, ma una misura selettiva riguardo alla scelta del contrante per il contratto in formazione, che riflette la necessità di garantire, a favore della pubblica amministrazione, l’elemento fiduciario fin dal momento genetico; perciò, ai fini dell’esclusione di un concorrente, non è necessario un accertamento definitivo dei pregressi inadempimenti, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’amministrazione in ordine agli elementi che denotino una “grave negligenza o malafede” del concorrente, tale da far ragionevolmente venir meno l’affidabilità e dunque la fiducia nell’impresa.

Sentenza 9 gennaio 2020, n. 173

Data udienza 28 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3066 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma., Gi. Pe., An. Pi. e Ge. Te., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, piazza (…);
contro
ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione, nonché Consip s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), sono elettivamente domiciliate;
-OMISSIS-., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda 28 gennaio 2019, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip s.p.a. e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Pe. e Te., nonché l’avvocato dello Stato Pl.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. S-149 in data 5 agosto 2015 e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 91 in pari data, Consip s.p.a. indiceva, quale centrale di committenza, una gara gara per l’affidamento dei servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli Istituiti e luoghi di cultura individuati dall’art. 101 del d.lgs. n. 42 del 2004, ai sensi dell’art. 26 l. n. 488 del 1999 e dell’art. 58 l. n. 388 del 2000 – ID 1561.
La gara era articolata in 9 lotti e prevedeva una convenzione della durata di 24 mesi.
Il raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla -OMISSIS- s.p.a. – mandataria – e dal -OMISSIS- – mandante – partecipava alla procedura per i lotti 5, 7 ed 8.
Nel corso della gara, in data 22 febbraio 2017, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma informava Consip della pendenza di un procedimento penale (n. -OMISSIS-r.g.n. r.), nel quale risultava coinvolto il suo Direttore Sourcing Servizi e Utility, sig. -OMISSIS-, per i reati di cui agli artt. 318, 319, 321, 110 e 81, comma 2, Cod. pen. Nello stesso procedimento era indagato anche l’avvocato -OMISSIS-, socio di minoranza della -OMISSIS-, mandataria del Rti di cui sopra.
Il suindicato dirigente veniva infine condannato con sentenza 14 settembre 2017, n. 1383, del g.i.p. presso il Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 444 Cod. proc. pen. Dalle dichiarazioni da questi rese in sede di interrogatorio sarebbero emersi i suoi rapporti con l’avvocato -OMISSIS-, che avrebbe agito per conto della -OMISSIS- s.p.a., durati dal 2012 al 2016; lo stesso sarebbe stato retribuito per un importo complessivo di circa centomila euro.
Nelle more la -OMISSIS- veniva attinta dalla misura interdittiva ai sensi dell’art. 45 (Applicazione delle misure cautelari) d.lgs. 8 giugno 2001, disposta con ordinanza del g.i.p. presso il Tribunale di Roma del 31 maggio
2017, successivamente ed infine revocata il 1° agosto 2017, a seguito di presentazione di un progetto contenente misure riparatorie.
Con provvedimento della Prefettura di Roma del 4 ottobre 2017, detta società veniva inoltre sottoposta, per tre mesi, alla misura del sostegno e monitoraggio dell’impresa di cui all’art. 32 (Misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione), comma 8, d.-l. 24 giugno 2014, (convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 114).
Con nota prot. n. 7737 del 6 marzo 2018, sul presupposto che le condotte addebitate alla mandante -OMISSIS-, in quanto contrarie ai principi di buona fede e leale collaborazione tra stazione appaltante ed operatore economico, sarebbero state connotate da gravità tale da incidere sulla credibilità professionale dell’operatore economico e sul rapporto fiduciario intercorrente con lo stesso, disponeva l’esclusione del Rti dalla gara.
L’esclusione, disposta ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, si fondava sul rilievo che le condotte addebitate alla mandante -OMISSIS-, in quanto contrarie ai principi di buona fede e leale collaborazione tra stazione appaltante ed operatore economico, erano state connotate da gravità tale da incidere sulla credibilità professionale dell’operatore economico e sul rapporto fiduciario intercorrente con lo stesso.
Col ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio il Consorzio Stabile -OMISSIS-Fa. Se.
2010, mandante nel Rti con -OMISSIS- s.p.a., impugnava questo provvedimento di esclusione, nonché in parte qua il Codice etico di Consip s.p.a., il Modello organizzativo ex d.lgs. n. 231 del 2001 adottato dal Consiglio di amministrazione di Consip s.p.a., parzialmente anche il Disciplinare di gara e la nota prot. n. 8461 del 14 marzo 2018, avente ad oggetto la comunicazione ad ANAC, ai sensi dell’art. 8 lett. r) e s), del d.P.R. n. 207 del 2010, ai fini dell’inserimento nel casellario informatico.
La ricorrente deduceva, in particolare, i seguenti motivi di censura:
1) Violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 7, 8, 9 e 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Eccesso di potere per sviamento di potere, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione.
2) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 68 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 – Eccesso di potere per sviamento di potere, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione.
3) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 68 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 – Eccesso di potere per sviamento di potere, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione.
4) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 68 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 – Eccesso di potere per sviamento di potere, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione.
5) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 68 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 – Eccesso di potere per sviamento di potere, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione.
6) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 68 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 – Eccesso di potere per sviamento di potere, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione.
7) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione degli articoli 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 8, lettere r) e s) del d.P.R. n. 207/2010 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 68 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 – Eccesso di potere per sviamento di potere, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione.
Si costituivano in giudizio le intimate ANAC e Consip s.p.a., chiedendo la reiezione del ricorso giacché infondato.
Con sentenza 28 gennaio 2019, n. -OMISSIS-, (qui appellata), il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso, ritenendo che nel caso di specie effettivamente sussistessero i presupposti di applicazione del secondo periodo dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, vale a dire la previsione dell’esclusione disposta per aver il soggetto concorrente “commesso un errore grave nell’esercizio della […] attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
Avverso tale decisione il -OMISSIS- interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Error in procedendo – Violazione dell’art. 46, co. 2, CPA. Violazione del diritto al contraddittorio e alla difesa processuale.
2) Error in iudicando – Errore sul fatto – Irragionevolezza e carenza della motivazione – Omessa pronuncia – Illogicità .
3) Error in iudicando – Errore sul fatto – Irragionevolezza e carenza della motivazione – Illogicità .
4) Error in iudicando – Errore sulla sussistenza del presupposto oggettivo di applicabilità dell’art. 38, co. 1, lett. f) del D. Lgs. 163/2006. Violazione dell’art. 45, co. 2, della Direttiva 2004/18/CE; dell’art. 68 RD 23.05.1924 n. 827; dell’art. 216, comma 1, del D. Lgs. 18.04.2016 n. 50 e dei principi di certezza del diritto, di tipicità delle cause di esclusione e di irretroattività della legge. Contraddittorietà .
5) Error in iudicando – Errore sulla sussistenza del presupposto soggettivo di applicabilità dell’art. 38, co. 1, lett. f) del D. Lgs. 163/2006. Violazione dell’art. 2639 CC e dei principi di certezza del diritto, di tipicità delle cause di esclusione e di irretroattività della legge. Violazione dell’art. 45, co. 2, della Direttiva 2004/18/CE e dell’art. 68 RD 23.05.1924 n. 827. Contraddittorietà .
Con successiva istanza in data 12 aprile 2019 l’appellante ribadisce la richiesta, già formulata nel precedente grado di giudizio e riproposta con il primo motivo di appello, di voler ordinare all’amministrazione resistente, ex artt. 65 Cod. proc. amm. e 210 Cod. proc. civ., di depositare in giudizio il verbale dell’adunanza del Consiglio di amministrazione di Consip s.p.a. del 21 febbraio 2018, n. 321 in forma integrale, a suo avviso “necessario al fine di consentire un pieno spiegamento del contraddittorio e delle deduzioni difensive nel doppio grado di giudizio in relazione all’esclusione dalla gara”.
Costituitasi in giudizio, Consip s.p.a. eccepiva l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.
Successivamente le parti ulteriormente hanno precisato, con apposite memorie, le proprie tesi difensive ed all’udienza del 28 novembre 2019, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello l’impugnata sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, II, 28 gennaio 2019, n. -OMISSIS- viene censurata per non avere il giudice acquisito un documento che, per legge, la stazione appaltante avrebbe dovuto depositare in giudizio. Su tale questione, come già detto, l’appellante ha proposto al Collegio un’autonoma istanza di acquisizione istruttoria.
In particolare, la contestata esclusione era stata comunicata con una nota del Presidente di Consip s.p.a. che richiamava e presupponeva il verbale del Consiglio di amministrazione della medesima società, dove era stato deciso di assumere tale determinazione: dunque avrebbe dovuto subito essere prodotta in giudizio in ragione dell’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm., per il quale la parte pubblica resistente deve depositare il provvedimento impugnato “nonché gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati”.
La piena conoscenza del provvedimento impugnato e dei suoi presupposti (nel caso, il detto verbale) rileverebbe per ogni possibile deduzione di merito, a prescindere da specifici profili di competenza e attribuzione.
Il motivo, ritiene il Collegio, non è fondato.
Il provvedimento di esclusione contestato, infatti, non richiama in alcun punto, né altrimenti presuppone il verbale del Consiglio di amministrazione di Consip del 21 febbraio 2018.
Del resto, come ribadisce la stessa stazione appaltante, il Consiglio di amministrazione non è neppure titolare di una residuale competenza in merito, posto che il potere di “operare le esclusioni che si rendessero necessarie – sulla base di quanto proposto dalle Commissioni di gara – nel corso delle procedure indette per l’esecuzione di lavori e/o per la compravendita di beni” è statutariamente attribuito al solo Amministratore delegato e non anche al Consiglio di amministrazione di Consip s.p.a. Quest’ultimo ha solo un diritto di esserne informato, ma non prende parte alla relativa procedura.
Come rileva la stazione appaltante, nel caso di specie, vista in particolare l’ampia risonanza mediatica della vicenda, per scrupolo di opportunità gestionale l’Amministratore delegato aveva portato all’attenzione anche del Consiglio di amministrazione l’intervenuta pubblicazione della detta sentenza n. 1092 del 2018 e la propria decisione di procedere all’esclusione.
La delibera del Consiglio di amministrazione del 21 febbraio 2018 è pertanto -vista l’incompetenza assoluta dell’organo – ultronea ai fini della valutazione dell’esercizio del potere amministrativo di esclusione che si contesta in giustizia (oltre che, a maggior ragione, ai fini della validità ed efficacia della stessa esclusione): la volontà della stazione appaltante che qui rileva si esauriva, quanto a formazione e a determinazione, nel provvedimento di esclusione. Non era pertanto dovuta, ai sensi dell’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm., la produzione del detto verbale.
Per le stesse ragioni va respinta anche l’istanza, riproposta in grado di appello, di integrazione istruttoria relativa alla detta delibera.
Con il secondo motivo di appello vengono sostanzialmente riproposte le censure dedotte con i primi tre motivi di primo grado, concernenti in primo luogo la contestata omessa comunicazione di avvio del procedimento che aveva condotto all’esclusione di -OMISSIS- e del Consorzio appellante dalla gara, nonché la carenza di istruttoria sugli elementi essenziali della fattispecie che Consip aveva posto a fondamento dell’esclusione, tanto da giungere a un’automatica sovrapposizione di una fattispecie autonoma (art. 38, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 163 del 2006) con altra fattispecie dotata di proprie caratteristiche identificative (art. 38, comma 2, lett. f) del d.lgs. n. 163 del 2006), contro il principio di tassatività delle cause di esclusione.
Per l’appello l’esclusione, che è la più grave sanzione nelle gare, postula necessariamente il contraddittorio con l’impresa (cfr. linee guida ANAC del 16 novembre 2016 n. 6, aggiornate con delibera dell’11 ottobre 2017 n. 1008). Nel caso di specie, l’omissione del confronto procedimentale non è stata giustificata e neppure in forza del principio per cui il contraddittorio è doveroso solo quando il concorrente sia stato leale e trasparente nei confronti dell’amministrazione, perché quando venne resa la dichiarazione sul possesso dei requisiti morali (nell’anno 2014), il procedimento penale nei confronti dell’avvocato -OMISSIS-non era stato neppure avviato e, pertanto, nessuna omissione poteva essere attribuita alla società .
Deduce l’appello che l’amministratore delegato di Consip, senza compiere istruttorie e valutazioni, avrebbe acriticamente recepito le risultanze degli atti delle indagini preliminari e non avrebbe scrutinato le risultanze del successivo incidente probatorio; la stazione appaltante, per contro, avrebbe dovuto operare una puntuale descrizione dei fatti alla base del “grave errore professionale” e della loro incidenza causale sul rapporto fiduciario, per evitare un’impropria sovrapposizione tra fattispecie diverse ed autonome (quella ex art. 38, comma 2, lett. c), e quella ex art. 38, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006). Del resto, un’esclusione automatica per reati incidenti sulla moralità professionale può avvenire solo in presenza di una sentenza di condanna passata in giudicato che nel caso di specie è insussistente.
Ad ulteriore censura, per l’appello improprio sarebbe poi il riferimento (tra l’altro, del tutto generico) da parte della stazione appaltate all’asserita violazione delle regole sul corretto confronto concorrenziale tra i partecipanti alla procedura.
Consip non avrebbe infatti accertato alcun elemento indiziario dell’esistenza di tali effetti.
Inoltre, le misure di self-cleaning a suo tempo adottate da -OMISSIS- s.p.a. rispondevano alla finalità di mantenere l’operatore economico sul mercato e non già all’esigenza di sanare illiceità di condotte pregresse. Sicché spiegherebbero effetti anche per conservare la partecipazione alle gare in corso: ragion per cui dove – come qui – le stesse abbiano già prodotto effetti antecedentemente alla apertura della verifica del requisito di affidabilità professionale, non sarebbe più possibile escludere il concorrente dalla gara. D’altro canto, per l’appello, Consip avrebbe “passivamente ed immotivatamente attribuito all’avv. -OMISSIS-il ruolo di “dominus” e/o amministratore di fatto di -OMISSIS-“.
Neppure questo motivo, ritiene il Collegio, è fondato.
Va in primo luogo evidenziato (ex multis, Cons. Stato, V, 13 luglio 2017, n. 3444) che l’esclusione dalla gara d’appalto ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (applicabile ratione temporis alla gara in questione) non è una sanzione (per inadempimento di pregressi rapporti contrattuali), ma una misura selettiva riguardo alla scelta del contrante per il contratto ora in formazione, che riflette la necessità di garantire, a favore della pubblica amministrazione, l’elemento fiduciario fin dal momento genetico. Perciò, ai fini dell’esclusione di un concorrente, non è necessario un accertamento definitivo dei pregressi inadempimenti, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’amministrazione in ordine agli elementi che denotino una “grave negligenza o malafede” del concorrente, tale da far ragionevolmente venir meno l’affidabilità e dunque la fiducia nell’impresa. Questa valutazione esprime un potere discrezionale, che resta soggetto al controllo ed al sindacato giurisdizionale nei soli e consueti limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.
Perciò il giudice amministrativo, posta la ragionevole scelta legislativa di precludere la partecipazione alla gara per ragioni di ritenuta inaffidabilità dell’impresa, non può che, nello scrutinio di un uso distorto di tale rifiuto, prendere atto della circostanza che compete alla valutazione della stazione appaltante di individuare del punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente. Perciò il sindacato del giudice, incentrato sulla motivazione del rifiuto, deve rigorosamente mantenersi nei limiti della verifica estrinseca della non pretestuosità della operata valutazione degli elementi di fatto, ma non può attingere, per ritenere concretato il vizio di eccesso di potere, la logica intrinseca di vera e propria condivisibilità della valutazione.
Alla luce di ciò, nel caso di fatti oggetto di verifica in sede penale ed oggetto di una pronuncia di condanna (che, se “passata in giudicato”, darebbe titolo al più severo meccanismo espulsivo dell’art. 38, lett. c): sicché, ai fini dell’art. 38, lett. f), che è quello che qui rileva, non occorre quella definitività : Cons. Stato, V, 20 novembre 2015, n. 5299), è necessario e sufficiente che l’amministrazione dia adeguato conto: a) di aver effettuato una autonoma valutazione delle idonee fonti di prova; b) di aver considerato le emergenti circostanze di fatto sotto il profilo della loro pertinenza e rilevanza in ordine all’apprezzamento di integrità morale e affidabilità professionale del concorrente.
Ai detti oneri motivazionali, come condivisibilmente accertato dal primo giudice, non si è sottratta, nel caso di specie, la stazione appaltante.
Va inoltre puntualizzato, sempre in via preliminare, che l’art. 38, comma 1, lett. f), secondo periodo d.lgs. n. 163 del 2006 è stato adottato in attuazione dell’art. 45, par. 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, secondo cui “può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni operatore economico […] d) che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Deve quindi ritenersi (Cons. Stato, V, 20 novembre 2015, n. 5299) che “in via generale la normativa comunitaria consenta di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità . La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali commessi”.
La giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 17 settembre 2018, n. 5424; IV, 11 luglio 2016, n. 3070; Corte di Giustizia UE, X, 18 dicembre 2014, n. 470) ne ha esteso l’applicazione ad ogni comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore economico, senza limitarsi alle sole violazioni delle norme di deontologia, in senso stretto, della professione cui esso appartiene, di talché il concetto normativo di “errore professionale”, così come contemplato nella norma, deve ritenersi esteso ad un’ampia gamma di ipotesi, comunque riconducibili alla negligenza, alla malafede o all’incapacità di assolvere alle prestazioni contrattuali.
In particolare, la Corte europea di giustizia ha precisato (parr. 34 e 35) che “l’articolo 45, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/18 consente di escludere qualunque operatore “che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che la nozione di “errore nell’esercizio dell’attività professionale”, ai sensi di quest’ultima disposizione, comprende qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore di cui trattasi e non soltanto le violazioni delle norme di deontologia in senso stretto della professione cui appartiene tale operatore (v., in tal senso, sentenza Forposta e ABC Direct Contact, EU:C:2012:801, punto 27)”.
L’art. 45, par. 2 lett. d) della direttiva 2004/18/CE, nella versione in italiano, prevede che “Può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni operatore economico: […] d) che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Al fine di meglio identificare l’oggettivo contenuto dell’espressione “errore grave” riportata nel testo italiano della predetta direttiva UE, è comunque bene confrontarla con le corrispondenti espressioni utilizzate in altre, tra le principali, lingue ufficiali dell’Unione europea del medesimo testo, in quanto tutte espressione di un medesimo concetto e proiezione delle uniche intenzioni che vi presiedono (del resto, uno Stato membro dell’UE non è costretto dalla versione della sua sola lingua ufficiale, perché vi è un solo diritto UE e non tanti diritti UE quante le lingue ufficiali: diversamente, si attribuirebbe al servizio traduzioni europeo un’inesistente e vincolante funzione di interpretazione autentica lingua per lingua, e con il rischio di una potenziale frammentazione paese per paese del pur eurounitario diritto).
Così, va rilevato che nel testo inglese si parla di “grave professional misconduct”, in quello francese di “faute grave”, in quello tedesco di “schwere Verfehlung” ed in quello spagnolo di “falta grave”.
Non si fa quindi riferimento né ad un’ipotesi di ignoranza o falsa rappresentazione della realtà, né ad un’ipotesi di “fallo” o “sbaglio” (come il termine errore – evidentemente frutto di un’improprietà lessicale del servizio di traduzione – lascerebbe intendere), bensì ad un concetto, più chiaro nelle dette espressioni non italiane, che potrebbe essere indicato come “grave mancanza” o “grave cattiva condotta” nello svolgimento dell’attività professionale. Il che poi può assumere varie qualificazioni giuridiche di dettaglio: quel che conta però per la scelta del contraente di un nuovo contratto è la pregressa presenza di omissioni, mancanze o scorrettezze nell’adempimento dei doveri nascenti dagli impegni nella propria attività economica, tali che possono adeguatamente portare a qualificare l’operatore come non affidabile per ulteriori contratti pubblici. Il che conforta i rilievi precedentemente esposti.
Venendo invece al profilo di cesura relativo al mancato contraddittorio con l’impresa, va confermato l’orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, III, 8 giugno 2016, n. 2450; III, 13 aprile 2016, n. 1471; VI, 21 dicembre 2010, n. 9324), dal quale non vi è ragione di discostarsi, secondo cui “l’esclusione da una gara, disposta in esito al riscontro negativo circa il possesso di un requisito di partecipazione, come quello di cui qui si controverte, non postula la previa comunicazione di avvio del procedimento, per costante giurisprudenza di questo Consiglio, attenendo ad un segmento necessario di un procedimento della cui pendenza l’interessato è già necessariamente a conoscenza”.
A ciò si aggiunga che il Consorzio appellante non ha neppure indicato gli elementi conoscitivi che avrebbe potuto indicare alla stazione appaltante per determinarla verso una decisione a sé favorevole.
Neppure è fondato, sotto altro profilo, il rilievo secondo cui Consip s.p.a. non avrebbe adeguatamente motivato l’apprezzamento della vicenda emergente dagli accertamenti operati in sede penale, solo genericamente (ed acriticamente) richiamati. Va infatti confermato il principio (ex multis, Cons. Stato, V, 17 settembre 2018, n. 5424, relativamente peraltro alla vicenda de qua) per cui non è dato pretendere dalla stazione appaltante un autonomo ed approfondito accertamento, per il quale difetterebbero oltretutto le necessarie competenze e strumenti di accertamento, delle circostanze emerse in sede penale, in ordine alle quali è piuttosto necessario ma anche sufficiente: a) l’indicazione dell’idoneità della fonte (che, nella specie, è rappresentata dalla autorità giudiziaria); b) la verifica di pertinenza dei fatti come emersi ai fini della loro attitudine a riflettere la negligenza o la mala fede del concorrente; c) il controllo della loro rilevanza, anche quanto a consistenza e gravità ; d) la trasfusione delle ridette valutazioni in congrua ed esplicativa motivazione.
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato appare concretamente rispettoso degli esposti principi.
Vale aggiungere che, indipendentemente dalla sorta del giudizio penale, la ritenuta fondatezza del quadro indiziario a carico del -OMISSIS-risulta confermata dal Tribunale Ordinario di Roma, al quale la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36874 del 2017, ha rimesso gli atti del procedimento per un nuovo esame. In particolare, la Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, con l’ordinanza n. 2352, depositata l’11 settembre 2017, ha rilevato che “i gravi indizi di colpevolezza, dettagliatamente compendiati nell’ordinanza applicativa e sostanzialmente riconducibili alle dichiarazioni accusatorie del -OMISSIS-(successivamente confermate in sede di incidente probatorio), alle intercettazioni ambientali effettuate nel periodo 3.8.2016-29.11.2016, in occasione degli incontri avvenuti presso gli uffici romani dell’imprenditore (che costituiscono riscontro esterno alla […] chiamata di correità ) oltre che al materiale cartaceo rinvenuto (i cosiddetti ‘pizzinà ), possono ritenersi sussistenti anche all’esito di questa fase processuale”.
Sotto altro diverso, ma concorrente profilo non si può condividere l’argomento dell’asserita non imputabilità alla -OMISSIS- s.p.a., di cui l’avvocato -OMISSIS- era semplice socio di minoranza, delle condotte oggetto di accertamento penale a carico di quest’ultimo.
Erroneo, sotto questo profilo, sarebbe l’assunto del primo giudice, secondo cui la nozione di operatore economico sottesa all’art. 38, comma 1, lettera f), del Codice dei contratti pubblici del 2006 deve ritenersi estesa a tutti i soggetti facenti parte della compagine societaria dell’impresa concorrente: e ciò in quanto lo stesso art. 38, dove ha inteso circoscrivere la sussistenza dei requisiti di moralità solo in capo a determinati soggetti, lo ha fatto espressamente (in particolare alle lettere b), c) ed m-ter)).
L’argomento non può trovare accoglimento. Al riguardo, la circostanza che l’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione a talune delle cause di esclusione ivi previste – e, segnatamente, quelle di cui alle lettere b), c) e m-ter) – individui specificamente gli esponenti dei soggetti nei cui confronti va accertato il possesso dei requisiti di moralità (con evidente riguardo al carattere personale della responsabilità penale ivi presa in considerazione) porta a ritenere, a contrariis, che, nelle altre fattispecie contemplate dallo stesso art. 38, compresa quella di cui alla lett. f), rilevi invece la condotta del concorrente latamente inteso: con la naturale conseguenza che la verifica sulla sussistenza delle cause di esclusione potrebbe legittimamente essere estesa all’intera compagine dei soci riuniti nell’operatore economico. Ciò che conta infatti non è, come invece in quelle nominate ipotesi, un ruolo formale e particolare nella struttura societaria, ma il nesso sostanziale tra soggetto ed impresa: che, nelle restanti ipotesi, rimane indipendente dal c.d. velo della personificazione della collettività sociale.
Inoltre, in punto di fatto, non può non darsi rilievo alla duplice quanto significativa circostanza (obiettiva ed incontestata la prima; opinabile, ma vagliata in termini di plausibilità in sede di accertamento penale, la seconda) per cui:
a) l’avvocato -OMISSIS-, seppure socio di minoranza (con una quota pari al 10%) della società, possedeva il 97,89% del capitale sociale della -OMISSIS-Partecipazioni s.p.a., la quale, a sua volta, era socio di maggioranza della -OMISSIS-, di cui deteneva il 90% del capitale sociale;
b) lo stesso avvocato -OMISSIS- avrebbe agito come amministratore di fatto della -OMISSIS-, rivestendo posizioni idonee “a fondare quel rapporto di immedesimazione organica dal quale scaturirebbe la responsabilità ai sensi dell’art. 185 c.p.”
Orbene, questo Consiglio di Stato si è già espresso nel senso che – relativamente agli obblighi dichiarativi di cui all’art. 38, comma 1 lett. c) del d.lgs. n. 163 del 2006 – gli stessi incombano anche sul soggetto che, pur risultando formalmente socio di minoranza della società partecipante ad una pubblica gara, ne detenga comunque il controllo indiretto attraverso un’giocò di partecipazioni societarie (cfr. Cons. Stato, V, 28 agosto 2017, n. 4077).
Il principio può essere replicato, per identità di ratio, all’apprezzamento delle condotte di illecito professionale di cui alla successiva lettera f).
Per quanto poi concerne i profili di doglianza relativi all’omessa valutazione delle misure di self-cleaning promosse dallo stesso g.i.p. in applicazione degli artt. 17 e 49 d.lgs. n. 231 del 2001, vanno poste alcune premesse.
E’ infatti necessario distinguere due tipologie di condotte c.d. di self-cleaning, cioè un ravvedimento operoso indotto che consente all’operatore economico di dimostrare la sua persistente e concreta affidabilità nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione (superando l’attitudine preclusiva dell’accertata sussistenza di una o più cause di esclusione), la cui matrice eurounitaria oggi sta nell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE.
Così : a) un primo caso di self-cleaning è rappresentato dal comportamento dell’operatore economico che, in presenza di un fatto di reato o di una condotta di illecito, dimostri di essersi, per un verso, adoperato per la eliminazione, retrospettiva, del danno cagionato e, per altro verso, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire, pro futuro, la commissione di ulteriori reati o illeciti. In coerenza, il momento ne ultra quem per l’adozione delle misure di self-cleaning e per la loro allegazione alla stazione appaltante è ancorato al termine di presentazione delle offerte (posto che una facoltà di tardiva implementazione o allegazione si paleserebbe, a tacer d’altro, alterativa della par condicio dei concorrenti).
b) un altro caso è quello delle “misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese” nell’ambito della prevenzione della corruzione che, per l’art. 32 d.-l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, il prefetto, su segnalazione dell’ANAC, può, nel caso di “esecuzione di opere pubbliche, servizi e forniture”, disporre nei confronti dell’impresa a carico della quale l’autorità giudiziaria proceda per l’accertamento di uno o più dei reati nominati al comma 1 dello stesso articolo.
In questo secondo caso, il self cleaning prefigura, alternativamente:
a) la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto: sostituzione che, ricorrendone le condizioni, è idonea ad impedire l’automatismo solutorio, ad opera delle misure interdittive, sui contratti in essere; o, quanto meno, a legittimare al commissariamento dell’impresa, con prosecuzione “controllata” dell’esecuzione dei contratti in essere ed accantonamento cautelativo degli utili in attesa delle determinazioni in ordine alla prospettica confisca (cfr. parere Cons. Stato, comm. spec., 18 giugno 2018, n. 1567);
b) il “sostegno e monitoraggio dell’impresa” (art. 32, comma 8).
In questa seconda fattispecie, con evidenza, il self-cleaning può agire solo nella duplice e concorrente direzione: i) della prospettica sterilizzazione delle misure interdittive penali, a prevenire ed evitare l’estromissione dell’impresa dal mercato; ii) dell’impedimento del commissariamento, relativamente ai contratti la cui esecuzione sia stata già iniziata.
Nel primo caso, è chiara l’operatività solo pro futuro delle misure organizzative virtuose. Nel secondo caso, si tratta di una misura specifica, orientata a salvaguardare l’utile esecuzione dei contratti in essere.
Per contro, resta escluso dagli effetti di questa misura che la mera sostituzione degli organi di vertice sia, in pendenza di una procedura evidenziale, d’ostacolo all’operatività di una clausola di estromissione.
Nel caso di specie, le misure di self-cleaning sono quelle disposte dal Prefetto di Roma che, con decreto n. 341292 del 4 ottobre 2017, ha aderito alla proposta del Presidente dell’ANAC di cui alla nota prot. n. 96891 del 1° agosto 2017 e, per l’effetto, ha disposto, ai sensi dell’art. 32, comma 8, d.-l. n. 90 del 2014, la misura del sostegno e monitoraggio nei confronti della società .
Bene, perciò, il primo giudice ha ritenuto la loro valenza soltanto pro futuro, senza cioè impedimenti all’operatività della clausola di estromissione dalla procedura.
Del resto, che questa sia la corretta soluzione discende dal rilievo che, a far dipendere dal fruttuoso esito del monitoraggio disposto dal prefetto l’ammissione alle pendenti procedure evidenziali, discenderebbe che la legittimità delle disposte esclusioni (che vanno valutate, avuto riguardo ai relativi presupposti, con riferimento temporale al momento della loro adozione) finirebbe per dipendere, implausibilmente, da un posterius.
Con il terzo motivo di appello la sentenza di primo grado viene censurata nella parte in cui avrebbe ritenuto che una valutazione discrezionale sull’affidabilità di un’impresa, ai fini dello stipulando contratto, possa essere compiuta non già in attualità ma “ora per allora”.
Il motivo è infondato: la valutazione in questione non può che essere svolta avendo riguardo al momento della partecipazione alla gara, in relazione alla quale occorre verificare il possesso ininterrotto del requisito di cui si discute (art. 38 comma 1 lett. f del d.lgs. n. 163 del 2006), pena la violazione del principio della par condicio tra i concorrenti.
Sotto altro profilo, l’appellante lamenta la mancata considerazione, da parte della stazione appaltante e del primo giudice, della sopravvenuta revoca della misura interdittiva del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione ex art. 9, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 231 del 2001, al fine di evitare l’esclusione dalla gara.
Nello specifico, risulta dagli atti che contestualmente all’adozione della misura interdittiva di cui trattasi il g.i.p. disponeva, ai sensi dell’art. 49 d.lgs. n. 231 del 2001 e su richiesta della -OMISSIS- s.p.a., la sospensione dell’applicazione della suddetta misura “anche al fine di consentire alla società l’adozione di misure riparatorie adeguate e, in particolare, la predisposizione di un piano strategico di ristrutturazione e di implementazione del modello organizzativo in grado di rientrare nei parametri normativi e di prevenire la commissione di altri reati di matrice corruttiva”.
Successivamente all’adozione di tali misure riparatorie (tra cui il deposito in cancelleria della somma di euro 3.045.000,00 in favore di Consip), in data 1° agosto 2017, il Tribunale di Roma revocava l’ordinanza interdittiva del 31 maggio.
Ciò premesso, rileva il Collegio come sia la sospensione della misura, sia la successiva sua revoca stabilita da g.i.p. erano certamente idonee ad evitare alla -OMISSIS- s.p.a. di incorrere nella causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 163 del 2006; ma non erano idonee ad impedire all’amministrazione di motivatamente valutare la condotta dell’operatore economico e di individuarvi, se del caso, un “grave errore professionale”, idoneo a legittimarne l’esclusione ai sensi della lett. f) del richiamato art. 38.
Analogamente non è pertinente (né persuasiva) la circostanza che altre amministrazioni abbiano poi rinnovato gli affidamenti già in essere. Invero, non trattandosi di fattispecie risolutiva automatica, la valutazione dell’opportunità della risoluzione va effettuata caso per caso, tenendo conto del corretto bilanciamento degli interessi contrapposti; tanto più nel caso – come quello qui considerato – nel quale sia già in corso l’esecuzione dell’appalto.
Con il quarto motivo di appello viene contestata la sussumibilità della condotta sanzionata nell’ambito dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 perché il presupposto applicativo di tale disposizione sarebbe riferibile alla sola condotta nella fase di esecuzione contrattuale; in particolare, per l’appellante, l’illecito concorrenziale non sarebbe riconducibile alla fattispecie di “grave errore professionale” di cui alla norma richiamata.
Il motivo non è fondato, per le ragioni sopra esaminate in relazione al secondo motivo di appello.
In effetti, che l’esclusione dalla gara ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) del d.lgs. n 163 del 2006 si basa sulla necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali pubblici fin dalla loro genesi. Perciò, per l’esclusione di un concorrente, è sufficiente una motivata valutazione dell’amministrazione sulla “grave negligenza o malafede” del concorrente, tale che abbia fatto venir meno la fiducia nell’impresa.
Circa la riconducibilità dell’illecito concorrenziale alla fattispecie di “grave errore professionale” ex art. 38, comma 1, lett. f), la decisione della Corte europea di Giustizia 4 giugno 2019 (causa 425/18) ha rilevato che “la decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che stabilisca che un operatore ha violato le norme in materia di concorrenza, può senz’altro costituire indizio dell’esistenza di un errore grave commesso da tale operatore. Di conseguenza, la commissione di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando tale infrazione è stata sanzionata con un’ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18 (sentenza del 18 dicembre 2014, Generali-Providencia Biztosft6, C-470/13, EU:C:2014:2469, punto 35)”.
Ancora, circa la denunziata mancata pronuncia del primo giudice sulle censure del quarto motivo di ricorso introduttivo (irrilevanza della presunta violazione del Codice Etico e del Modello ex d.lgs. n. 231 del 2001 adottati da Consip e richiamati nel disciplinare di gara, nonché sull’art. 68 r.d. n. 827 del 1924), va detto che il raggruppamento escluso, avanzando offerta per la gara di cui è causa, si era vincolato al rispetto delle norme che presiedevano al relativo svolgimento, comprese quelle contemplate dalla lex specialis ed, in particolare, dal Codice etico di Consip.
Ciò premesso, va ribadito che anche in relazione alle clausole di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), vale la regola – che opera anche per altre condizioni della medesima disposizione – per cui la gravità dell’evento può essere ponderata dalla sola stazione appaltante, sicché l’operatore economico è tenuto a dichiararlo ed a rimettersi a quella valutazione della stazione appaltante (ex multis, Cons. Stato, V, 17 luglio 2017, n. 3493).
Neppure è condivisibile sull’insussistenza della pronuncia relativa alla violazione dell’art. 68 r.d. n.
23 maggio 1924, n. 827 – Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato (“negligenza o malafede”): l’appellante afferma vi sia riconducibile la sola condotta tenuta nel corso dell’esecuzione contrattuale: ma la formulazione aperta della norma (“Sono escluse dal fare offerte per tutti i contratti le persone o ditte che nell’eseguire altra impresa si siano rese colpevoli di negligenza o malafede”) lascia ricomprendere qualunque condotta che denoti inaffidabilità professionale.
Con il quinto motivo di appello, infine, la sentenza viene censurata dove – nel respingere il quinto ed il sesto motivo- male avrebbe individuato il presupposto soggettivo dell’art. 38, comma 1, lett. f) del Codice dei contratti pubblici del 2006, sia nel considerare il “dominus” o “amministratore di fatto” tra i soggetti la cui condotta rileva al fine dell’individuazione dell’errore professionale in capo alla società, sia perché – in ogni caso – detta qualifica non avrebbe potuto attribuirsi all’avvocato -OMISSIS-
Il motivo non può trovare accoglimento, stante quanto già evidenziato in ordine alle precedenti doglianze. Basti ricordare, al riguardo, che “la circostanza che l’art. 38, comma 1, del Codice, in relazione a talune delle cause di esclusione ivi previste – e, segnatamente, quelle di cui alle lettere b), c) e m-ter) – individui specificamente gli esponenti dei soggetti nei cui confronti va accertato il possesso dei requisiti di moralità (e ciò con evidente riguardo al carattere personale della responsabilità penale ivi presa in considerazione) induce a ritenere, a contrario, che, nelle diverse fattispecie contemplate dal citato art. 38, ivi compresa quella di cui alla lettera f), a rilevare sia invece la condotta del concorrente latamente inteso, con l’ovvia conseguenza che la verifica circa la sussistenza delle cause di esclusione potrebbe legittimamente essere estesa all’intera compagine azionaria dell’impresa concorrente, a prescindere dalla entità delle singole quote di partecipazione al capitale sociale” (Cons. Stato, V, n. 5424 del 2018, cit.).
Si richiamano, per il resto, le considerazioni già espresse circa il ruolo di amministratore di fatto della -OMISSIS- s.p.a. dell’avvocato -OMISSIS-.
Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello va dunque respinto.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore di Consip s.p.a., delle spese di lite del grado di giudizio, che liquida complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre Iva e Cpa se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016) a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle parti e delle persone fisiche nominate in motivazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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