Equa indennità prevista dall’art. 24 del r.d. n. 2578 del 1925 in favore del gestore uscente

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 17 maggio 2019, n. 13406.

La massima estrapolata:

In tema di concessioni e di riscatto da parte dell’amministrazione concedente che decide di assumere in esercizio diretto l’impianto di erogazione del servizio dato in concessione, l’equa indennità prevista dall’art. 24 del r.d. n. 2578 del 1925 in favore del gestore uscente, secondo i criteri di stima del valore industriale residuo degli impianti (cd. VRI; art. 13 del d.P.R. n. 902 del 1986), deve essere calcolata senza computare quella parte dell’impianto che è stata realizzata per mezzo di costi sostenuti dagli utenti privati per i singoli allacciamenti alla rete di distribuzione, ricorrendo in caso contrario un arricchimento senza causa.

Ordinanza 17 maggio 2019, n. 13406

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5369/2016 proposto da:
Comune di San Martino Buon Albergo, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
e contro
(OMISSIS) S.p.a., gia’ (OMISSIS) S.p.a., gia’ (OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
Comune di San Martino Buon Albergo, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso principale;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 2067/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/03/2019 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

che:
1. Il Comune di San Martino Buon Albergo ricorre con un mezzo corredato da memoria per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Venezia, in epigrafe indicata, che, nel giudizio di impugnazione per nullita’ ex articolo 828 e 829 c.p.c., del lodo arbitrale sottoscritto il 13, 14 e 15 giugno 2012, ritenuta ammissibile l’impugnazione per violazione di legge, ha respinto l’impugnazione principale proposta dal medesimo Comune e dichiarato non luogo a provvedere sull’impugnazione incidentale condizionata proposta da (OMISSIS) SPA; la societa’ (OMISSIS) SPA (gia’ (OMISSIS) SPA) replica con controricorso e ricorso incidentale condizionato con un mezzo, accompagnato da memoria, al quale il Comune replica con controricorso.
2. La vicenda si inserisce nell’ambito di un lungo rapporto concessorio intercorso tra il Comune e le aventi causa dell’odierna controricorrente.
Segnatamente, il Comune, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 164, di liberalizzazione del mercato del gas, aveva deciso di esercitare, a far data dal 31/12/2004, il diritto di riscatto del servizio di distribuzione del gas gestito inizialmente dalla (OMISSIS) SPA in forza di convenzione rep. n. 3419 del 20/9/1964 prorogata con atto aggiuntivo n. 3728 del 22/9/1992.
L’esercizio del diritto di riscatto da parte dell’amministrazione concedente dava luogo al corrispondente diritto di (OMISSIS) (subentrata nel contratto) di ottenere dal Comune un'”equa indennita’” ai sensi del Regio Decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, articoli 24 e 25 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 902 del 1986 articoli 8 e segg..
In difetto di accordo sulla misura dell’equa indennita’, con atto notificato il 30/11/2009 la concessionaria promuoveva procedimento arbitrale ai sensi della clausola compromissoria prevista all’articolo 17 del contratto di concessione del 22/9/1992 per la determinazione dell’indennita’.
Il collegio arbitrale, all’esito dell’istruttoria, cosi’ decideva per quanto interessa “1) determina l’equa indennita’ dovuta dal Comune di San Martino Buon Albergo a (OMISSIS) nell’importo di Euro 2.564.273,00; 2) condanna il Comune di San Martino Buon Albergo a pagare a a (OMISSIS) l’importo di Euro 2.564.273,00, detratta la somma di Euro 403.470,00 gia’ percepita all’atto della consegna degli impianti a titolo di acconto, nonche’ la somma di Euro 482.369,00 per contributi per l’estensione di rete – e quindi la somma netta di Euro 1.678.434,00, oltre interessi al tasso legale dal 30/4/2010”.
Avverso il lodo il Comune proponeva impugnazione con atto notificato il 16/10/2012, chiedendo la dichiarazione di nullita’ ex articoli 828 e 829 c.p.c., al quale la societa’ replicava proponendo anche impugnazione incidentale condizionata.
La nullita’ era dedotta per violazione delle regole di diritto in merito alla determinazione del valore industriale residuo degli impianti (cd. VRI), sotto molteplici profili.
La Corte di appello ha respinto l’impugnazione principale e dichiarato assorbita l’impugnazione incidentale.
Per quanto interessa – essendo il ricorso per cassazione limitato al capo inerente il rigetto del secondo motivo di impugnazione del lodo arbitrale, con il quale era stata contestata la violazione del Regio Decreto n. 2578 del 1925, articolo 24, Decreto del Presidente della Repubblica n. 902 del 1986, articolo 13 e del Decreto Legislativo n. 154 del 2000, articolo 15, in quanto dal valore industriale residuo degli impianti non erano stati portati in detrazione i contributi versati dai privati al gestore del servizio per le opere di allacciamento alla rete di distribuzione – la Corte di appello cosi’ si e’ espressa: “Va confermata l’assenza di violazione di legge nella decisione del Collegio arbitrale anche con riferimento alla richiesta di detrazione dal computo del VRI dei contributi privati c.d. a fondo perduto. Detti contributi in quanto versati dagli utenti finali e diretti a coprire i costi di allacciamento delle singole utenze non rientrano nel canone di cui alla lettera b) dell’articolo 24, che dispone che si debba tener conto a che di “anticipazioni o sussidi dati dal Comuni, nonche’ di importo delle tasse proporzionali di registro concedenti,…”. Il Collegio arbitrale non ha violato in cio’ alcuna disposizione di legge, mentre ha correttamente detratto i contributi erogati dal Comune per le estensioni della rete, computandoli con criterio omogeneo a quello utilizzato per il VRI” (fol. 15/16 sent. imp.).
Il ricorso e’ stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u.c. e articolo 380 bis 1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:
1.1. Preliminarmente va respinta l’eccezione proposta dal controricorrente, in merito alla inammissibilita’ del ricorso principale in quanto finalizzato a far valere vizi del lodo arbitrale per violazione di legge non sindacabili della Corte di appello ne’, a fortiori, dalla Corte di legittimita’.
Giova ricordare che, nello specifico, era stata attivata la clausola compromissoria prevista dall’articolo 17 del contratto di concessione 22/9/1992, rep. 3728; l’arbitrato era stato richiesto il 30 novembre 2009 e il lodo pronunciato e sottoscritto nel giugno 2012.
Invero, trova applicazione il condiviso principio recentemente pronunciato dalle Sezioni Unite secondo il quale “In tema di arbitrato, l’articolo 829 c.p.c., comma 3, come riformulato del Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 24, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui al cit. Decreto Legislativo n. 40, articolo 27, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge – cui l’articolo 829 c.p.c., comma 3, rinvia – va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicche’, in caso di convenzione cd. di diritto comune stipulata anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti deve intendersi ammissibile l’impugnazione del lodo, cosi’ disponendo l’articolo 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equita’ o avessero dichiarato il lodo non impugnabile.” (Cass. n. 9284 del 09/05/2016), in tal modo superando l’orientamento che aveva esteso l’applicazione dell’articolo 829 c.p.c., nel suo nuovo testo, a norma del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 27, comma 4, ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato era stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto, pur se riferita a clausola compromissoria stipulata in epoca anteriore (Cass. n. 21205 del 17/09/2013).
1.2. L’ermeneusi delle Sezioni Unite e’ stata confermata dalla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimita’ proposta proprio in relazione a detta interpretazione, qualificata come “diritto vivente”, con la sentenza n. 13 del 2018.
1.3. All’applicazione di tali principi consegue – contrariamente a quanto assume la controricorrente – l’ammissibilita’ dell’actio nullitatis per violazione delle regole di diritto attinenti al merito, come correttamente ritenuto anche dalla Corte di appello, e cio’ nonostante la fattispecie non ricada nell’ambito di applicazione del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 48 (come conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), che ha espressamente previsto che Nei giudizi arbitrali per la risoluzione di controversie inerenti o comunque connesse ai lavori pubblici, forniture e servizi il lodo e’ impugnabile davanti alla Corte di appello, oltre che per motivi di nullita’, anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche ai giudizi arbitrali per i quali non sia scaduto il termine per l’impugnazione davanti alla Corte d’appello alla data di entrata in vigore del presente decreto” in quanto tale disposizione e’ entrata in vigore in epoca successiva alla pronuncia del lodo.
1.4. L’impugnabilita’ del lodo per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia va tuttavia circoscritta al diritto sostanziale vigente al 1992, epoca della stipula della clausola compromissoria, al quale le parti hanno implicitamente fatto richiamo, e non a quello successivo.
2.1. Con un unico motivo il Comune lamenta la violazione del Regio Decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, articolo 24 (Testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Provincie), del Decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 1986, n. 902, articolo 13 e del Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 164, articolo 15 (quest’ultimo modificato nel 2012 e nel 2013); la violazione degli articoli 1362 c.c. e segg., in relazione alle clausole delle convenzioni inter partes del 20/4/1964 Rep. n. 1264 e 22/9/1992 Rep. n. 3728.
Il ricorrente, richiamata la disciplina che prevede la corresponsione al gestore uscente di un’equa indennita’ (Regio Decreto n. 2578 del 1925, articolo 15) e quella che fissa i criteri di stima del VRI (Decreto del Presidente della Repubblica n. 902 del 1986, articolo 13), osserva che al gestore del servizio uscente va riconosciuta un’indennita’ commisurata al VRI degli impianti realizzati dal medesimo nell’arco del rapporto concessorio e ceduti a seguito di riscatto al Comune e si interroga se il gestore abbia diritto a vedersi corrispondere l’indennizzo anche per le opere che ha realizzato senza assumersene il relativo onere economico, quali: a) gli impianti realizzati con finanziamenti del Comune o di altri enti pubblici; b) le estensioni di rete realizzate nelle lottizzazioni a spese dei lottizzanti; c) le opere di allacciamento alla rete di distribuzione poste a carico degli utenti.
2.2. Nel caso di specie la questione viene posta con riferimento alle opere di allacciamento (c), per le quali l’articolo 14 della convenzione stipulata tra il Comune e la concessionaria in data 22/9/1992 prevedeva la corresponsione al gestore del servizio, da parte degli utenti, di un contributo a fondo perduto di entita’ variabile a seconda della tipologia di allacciamento, pari (come accertato dal CTU nel procedimento arbitrale) al costo effettivo ed integrale delle opere necessarie per l’allacciamento alla rete di distribuzione del gas.
Invero il Collegio arbitrale, aveva ritenuto di non portare in detrazione dal VRI i contributi di allacciamento sopportati dagli utenti privati in considerazione del fatto che il Regio Decreto n. 2578 del 1925, articolo 24, comma 4, lettera b), contempla la detrazione unicamente con riferimento ad “anticipazioni o sussidi dati dai Comuni” e l’articolo 14 della convenzione del 22/9/1992 parla di contributi “a fondo perduto”.
Il Comune, in sede di impugnazione si era doluto di tale interpretazione, lamentando anche che la mancata detrazione comportava un ingiustificato arricchimento per la societa’, indennizzata due volte per la medesima opera.
La Corte di appello aveva confermato la decisione arbitrale centrando la sua motivazione sull’applicazione dell’articolo 24 cit..
A parere del ricorrente, la Corte di appello ha violato la ratio legis volta ad assicurare l’indennizzo del concedente dalle spese direttamente sostenute e non da quelle assolte per mezzo di finanziamenti e/o contributi pubblici o privati, senza che la fonte (pubblica o privata) del contributo potesse essere diversamente valutata al fine del computo del VRI.
2.3. Il motivo e’ fondato e va accolto, anche se, alla luce di quanto precisato prima (v. sub 1.4.) risulta inammissibile per la parte riferita al Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 164, articolo 15, entrato in vigore in epoca successiva alla stipula della clausola compromissoria.
2.4. Giova premettere in diritto che il Testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Provincie prevede che i Comuni, quando decidono di assumere, nei modi ivi stabiliti l’impianto e l’esercizio diretto di uno dei pubblici servizi indicati, procedendo al riscatto, debbono pagare ai concessionari, ai sensi dell’articolo 24, comma 4, “… un’equa indennita’, nella quale si tenga conto dei seguenti termini: a) valore industriale dell’impianto e del relativo materiale mobile ed immobile, tenuto conto del tempo trascorso dall’effettivo cominciamento dell’esercizio e dagli eventuali ripristini avvenuti nell’impianto o nel materiale ed inoltre considerate le clausole che nel contratto di concessione siano contenute circa la proprieta’ di detto materiale, allo spirare della concessione medesima; b) anticipazioni o sussidi dati dai comuni, nonche’ importo delle tasse proporzionali di registro anticipate dai concessionari e premi eventualmente pagati ai comuni concedenti, sempre tenuto conto degli elementi indicati nella lettera precedente; c) profitto che al concessionario viene a mancare a causa del riscatto e che si valuta al valore attuale che avrebbero, nel giorno del riscatto stesso, al saggio dell’interesse legale, tante annualita’ eguali alla media dei profitti industriali dell’ultimo quinquennio quanti sono gli anni pei quali dovrebbe ancora durare la concessione, purche’ un tale numero di anni non superi mai quello di venti”.
Nello specifico, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 902 del 1986, articolo 13, prevede “Il valore degli impianti di cui del Testo Unico 15 ottobre 1925, n. 2578, articolo 24, comma 4, lettera a), e’ determinato sulla base dello stato di consistenza di cui al precedente articolo 11 e del costo che dovrebbe essere sostenuto alla data di scadenza del preavviso di cui al comma 2 del precedente articolo 10 per la ricostituzione dell’impianto stesso, deducendo dall’importo risultante: a) il valore del degrado fisico degli impianti, avuto riguardo al tempo trascorso dall’inizio della concessione ed alla prevista durata utile degli impianti stessi. Il degrado si presume direttamente proporzionale al decorso del tempo, salvo prova contraria fornita da una delle parti mediante perizia tecnica; b) il valore degli impianti divenuti obsoleti, al netto dell’eventuale valore di recupero, nonche’ i costi per la trasformazione degli impianti onde adeguarli alle esigenze del processo produttivo.”.
2.5. La estrapolazione della lettera b) dell’articolo 24, compiuta dalla Corte di appello non tiene conto della ratio della legge che, per la finalita’ di assicurare al concessionario il ristoro delle spese sostenute nello svolgimento del servizio, esplicita le voci che sicuramente vanno escluse dal computo del VRI, ma cio’ non vuol dire che l’elencazione sia chiusa ed esaustiva, dovendo necessariamente coordinarsi quanto meno con i principi generali secondo i quali non vi puo’ essere indennizzo rispetto a spese non sostenute (quali quelle che hanno gravato interamente sui privati per l’allacciamento), ricorrendo in caso contrario un arricchimento senza causa.
Ne’ a diverse conclusioni puo’ condurre la circostanza che la convenzione avesse previsto che il contributo dell’utente era a fondo perduto, limitandosi tale previsione a chiarire e stabilire che nessuna prerogativa o diritto l’utente finale avrebbe acquisito sui manufatti realizzati con il suo contributo, e cio’ certamente in linea con la disciplina dei pubblici servizi che esaurisce il rapporto concessorio tra la PA ed il concessionario, senza che la partecipazione alle spese di allacciamento sostenute dall’utente privato gli possa dare alcuna voce in capitolo.
Tutto cio’ risulta in linea con le sentenze del Consiglio di Stato (n. 4905 del 3/9/2003) e dei Tribunali amministrativi regionali (TAR dell’Emilia Romagna, n. 638 dell’11/8/2001; TAR della Lombardia – sez. Brescia, n. 1528 del 4/8/2009) richiamate in ricorso (fol. 15), di guisa che la mancata considerazione di tale principio evidenzia l’erroneita’ della statuizione impugnata, che va cassata alla luce del principio che segue:
“In tema di concessioni e di riscatto da parte dell’amministrazione concedente che decide di assumere l’impianto di erogazione del servizio dato in concessione finalizzato all’esercizio diretto, l’equa indennita’ prevista dal Regio Decreto n. 2578 del 1925, articolo 24, secondo i criteri di stima del valore industriale residuo degli impianti (Decreto del Presidente della Repubblica n. 902 del 1986, articolo 13), deve essere calcolata senza computare quella parte dell’impianto che e’ stata realizzata per mezzo di costi sostenuti dai privati per i singoli allacciamenti”.
3. Il ricorso incidentale condizionato, concernente la critica portata alla seguente pronuncia della Corte di appello “L’appello incidentale di (OMISSIS) e’ espressamente qualificato come subordinato e condizionato all’accoglimento del motivo respinto sub 9.1, e non viene quindi all’esame del Collegio” (fol. 17 della sent. imp.) va dichiarato assorbito in considerazione dell’accoglimento del ricorso principale proprio in relazione alla statuizione contenuta al par. 9.1 della sentenza impugnata e della conseguente cassazione con rinvio, in ragione del riesame che dovra’ compiere la Corte di appello.
4. In conclusione, il ricorso principale va accolto, assorbito il ricorso incidentale condizionato; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

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