Il permesso di costruire quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 12 giugno 2019, n. 3932.

La massima estrapolata:

Il permesso di costruire (e, nel precedente regime, la concessione edilizia), mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, lo è quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica.

Sentenza 12 giugno 2019, n. 3932

Data udienza 18 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1204 del 2016, proposto da:
Lu. Re., rappresentata e difesa dall’avvocato Pi. Ro. Mo., domiciliata presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
COMUNE DI (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Fe., Gi. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Fe. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte n. 1119 del 2015;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e l’appello incidentale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2019 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Pi. Ro. Mo. e Ma. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.â € ’ Con il primo ricorso n. 1085 del 2013, la signora Lu. Re. impugnava innanzi al T.a.r. del Piemonte l’ordinanza n. 91 dell’11 giugno 2013, con cui il Comune di (omissis) â € ’ all’esito del sopralluogo eseguito presso l’area di proprietà dei signori Re. Lu. ed altri (distinta al catasto al foglio (omissis), mappali n. (omissis) e n. (omissis), in Via (omissis), e conformata urbanisticamente come zona di completamento “R4”), con cui si accertava che: “i terreni vengono attualmente utilizzati come deposito e magazzino edile pur essendo individuati in area residenziale”; “sul lato nord del lotto è stata edificata una recinzione abusiva trasversale alla carreggiata di Via (omissis)”; “nel terreno individuato al mappale (omissis) sono stati installati n. 3 container in lamiera a circa 2 metri al confine di proprietà “; “nel terreno individuato al mappale 1047 è stato ampliato lungo il lato sud il fabbricato, condonato ed accatastato ad uso abitativo” â € ’ ordinava la demolizione dei manufatti (segnatamente: la recinzione, n. 3 container, l’ampliamento di fabbricato già condonato) realizzati in assenza di titoli abilitativi, in violazione all’art. 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
A fondamento dell’impugnativa, l’istante censurava i seguenti vizi: violazione del contraddittorio procedimentale; difetto di istruttoria e di motivazione; violazione degli artt. 31, 33 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001.
1.1.â € ’ Con il secondo ricorso n. 670 del 2014, la signora Lu. Re. impugnava anche l’atto comunale prot. n. 4979 del 7 marzo 2014, recante il diniego della istanza di sanatoria presentata con riferimento alla predetta recinzione.
2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, con sentenza n. 1119 del 2015, previa riunione dei due ricorsi per connessione soggettiva ed oggettiva, così decideva:
– in ordine al primo ricorso, proposto avverso l’ordinanza di demolizione: – annullava l’ordinanza di demolizione nella parte riguardante il mappale 1047 (abusivo ampliamento di fabbricato sanato nelle more del giudizio), in quanto non di proprietà della signora Re., bensì dei figli della medesima; – dichiarava cessata la materia del contendere relativamente alle opere abusive (container e baracche) presenti sul mappale 346, essendo stata rilasciata per tali manufatti il permesso di costruire in sanatoria; – confermava l’ordinanza di demolizione nella parte relativa alla recinzione sul mappale 346;
– quanto al secondo ricorso, concernente la recinzione trasversale alla carreggiata di via (omissis), lo respingeva, confermando la legittimità del diniego di sanatoria.
3.â € ’ Avverso i capi della predetta sentenza che hanno ritenuto esente da vizi l’ordine di rimozione della recinzione ed il diniego di sanatoria della stessa, ha proposto impugnazione la signora Re., insistendo per l’accoglimento dei seguenti motivi di gravame:
i) il rilascio del permesso di costruire in sanatoria in realtà non era necessario posto che l’opera, avuto riguardo all’epoca della sua realizzazione, non richiedeva alcuna licenza o autorizzazione;
ii) in ogni caso, la recinzione era al più subordinata a denuncia di inizio, attività ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2011, titolo edilizio minore la cui violazione soggiace a sanzione pecuniaria e non demolitoria;
iii) peraltro, nulla impediva il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, non sussistendo alcun contrasto con le previsioni vigenti di piano che non prevedono alcun collegamento tra le due strade;
iv) il giudice di primo grado erroneamente non si è pronunciato sui seguenti motivi relativi all’ordine di demolizione, e segnatamente: la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, come imposto dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990; il difetto di motivazione in quanto, in relazione alla vetustà delle opere realizzate, l’Amministrazione avrebbe dovuto evidenziare le specifiche ragioni di pubblico interesse che impongono di dar corso all’ordine di demolizione comparandole con il sacrificio imposto al privato.
4.â € ’ Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello avversario, e proponendo appello incidentale avverso il capo della sentenza di primo grado che, relativamente al ricorso n. 1085 del 2013, ha dichiarato cessata la materia del contendere.
5.â € ’ All’udienza del 18 aprile 2019, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.â € ’ L’appello principale va respinto.
1.1.â € ’ Secondo l’appellante, a seguito dell’atto prot. n. 14218 del 21 luglio 2015 â € ’ con cui in Comune di (omissis) ha diffidato la signora Re. “quale proprietaria dell’area censita a catasto al foglio 23 mappale 346, a voler dare corso alla Ordinanza Ingiunzione n. 91/2013, in adempimento della Sentenza del T.A.R. Piemonte n. 1119/2015, alla demolizione della recinzione sulla via (omissis) con la conseguente rimozione di eventuali piantumazioni di proprietà, con ripristino dello stato dei luoghi, entro e non oltre trenta giorni dalla notifica”, atto impugnato con ricorso innanzi al T.a.r. del Piemonte dove è tuttora pendente con n. r.g. 1302 del 2015 â € ’ sarebbe cessata la materia del contendere [rectius: sarebbe sopravvenuta la carenza di interesse] con riferimento all’ordinanza di demolizione n. 91 del 2013, nella parte relativa alla recinzione, e in ordine al diniego di sanatoria.
L’assunto non può essere condiviso. È dirimente considerare che quello appena citato non è un nuovo ordine di demolizione destinato ad assorbire le precedenti determinazioni sanzionatorie, bensì una mera diffida a dare corso all’ingiunzione n. 91 del 2013, in adempimento della sentenza di primo grado.
2.â € ’ Con il primo motivo di appello, l’appellante sostiene che, non essendo l’ordinanza di demolizione stata superata dall’istanza di sanatoria, assumerebbe rilevanza decisiva, ai fini dell’accoglimento del ricorso, l’epoca di realizzazione della recinzione, avvenuta almeno all’epoca della lottizzazione, allorché la stessa non contrastava con alcuna norma e alcuna prescrizione, e non era soggetta ad alcun provvedimento autorizzativo o concessorio.
La doglianza non può essere accolta.
2.1.â € ’ Costituisce principio consolidato che l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetti a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi â € ’ i quali non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni â € ’ trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione. Solo l’interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.
Ebbene, l’appellante nel corso del giudizio di primo grado non ha fornito elementi idonei (non essendo certo sufficiente la planimetria in atti) a comprovare la preesistenza del manufatto â € ’ nella sua attuale consistenza di struttura e materiali â € ’ rispetto all’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765 (e neppure rispetto alla clausola del piano di lottizzazione che vincolava i privati a dismettere la strada al Comune).
2.2.â € ’ Su queste basi, la realizzazione della recinzione deve ritenersi abusiva perché realizzata senza il prescritto titolo abilitativo.
Va anzitutto premesso che ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera a), del T.U. 6 giugno 2001, n. 380, sono subordinati al rilascio del permesso di costruire in generale tutti gli “interventi di nuova costruzione”. Quest’ultimo concetto è comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è orientata nel senso che la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (Sez. V n. 1922 del 2013; sez. VI, n. 10 del 2018).
Su queste basi, è stato sostenuto che il permesso di costruire (e, nel precedente regime, la concessione edilizia), mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, lo è quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, 26 ottobre 1998, n. 1537; sez. IV, n. 10 del 2016 e n. 5908 del 2017).
Nel caso di specie, il manufatto in contestazione, costituito da un basamento di calcestruzzo sormontato da una rete metallica ancorata a pali in ferro, eccede le caratteristiche di una recinzione leggera (per la quale soltanto, ove isolatamente considerata, si può porre la questione della sufficienza di un titolo edilizio minore), superando la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia.
3.â € ’ Con ulteriore ordine di motivi, l’appellante contesta il capo della sentenza â € ’ riferito questa volta al diniego di permesso di costruire in sanatoria â € ’ che ha confermato la mancanza del requisito della “doppia conformità “.
Anche tale motivo va respinto.
3.1.â € ’ Dalla documentazione in atti risulta che la recinzione non è conforme alla disciplina urbanistica, e quindi integrando anche un abuso di carattere sostanziale, non sussistevano i presupposti per procedere all’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del testo unico dell’edilizia, il quale (come noto) è diretto a sanare le opere eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi “alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
Nelle tavole della strumentazione urbanistica (il piano regolatore del 2000 e la successiva variante n. 14, approvata con deliberazione C.C. n. 56 del 2011) viene chiaramente rappresentata una viabilità (via (omissis)), che unisce a sud la strada provinciale San Maurizio e a nord la via (omissis). La successiva variante n. 15, approvata con deliberazione n. 57 del 2015, ha confermato il suddetto tracciato viario (cfr. in atti la tavola illustrativa e l’art. 11.18.1 delle norme tecniche di attuazione).
La grafica individua chiaramente non due strade chiuse, ma un tracciato viario unitario e continuo di collegamento di due strade pubbliche (strada provinciale di San Maurizio e via Prato Nuovo). Del resto, non si comprenderebbe la finalità pubblica di realizzare due vie continue, entrambe a fondo cieco. Come sottolineato ancora dal Comune, la linea in neretto rappresentata sulla via Garibaldi non individua una recinzione, bensì il confine tra il tratto di strada realizzato su sedime formalmente privato e il tratto su proprietà pubblica.
Ebbene, la recinzione è del tutto incompatibile con la predetta previsione di piano, in quanto taglia trasversalmente la viabilità, interrompendo la possibilità di transito. In ragione di tale contrasto con la vigente destinazione dell’area su cui insiste la recinzione, non ha rilievo la circostanza (evocata dall’appellante) dell’inattuazione dell’originario piano di lottizzazione (che obbligava il proprietario a dismettere al Comune l’area in questione).
4.â € ’ I motivi riproposti in appello, in disparte ogni questione sulla correttezza dell’assorbimento operato dal giudice di prime cure, sono comunque infondati.
4.1.â € ’ L’omessa comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, con riferimento al diniego di sanatoria, non ne poteva comportare per ciò solo l’annullamento, in quanto il contenuto dispositivo degli atti impugnati non avrebbe potuto essere diverso, alla luce dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990. Difatti, in relazione a immobili realizzati abusivamente, il provvedimento che ne ordina la demolizione, in quanto espressivo di un potere-dovere del tutto privo di margini di discrezionalità, ha natura vincolata (non occorre quindi chiedersi se la comunicazione di cui sono stati fatti destinatari i figli della ricorrente, non proprietari del mappale 346, potesse ragionevolmente far presumere che la stessa ne fosse comunque venuta a conoscenza).
4.2.â € ’ Sotto altro profilo, va rimarcato che non può aver rilievo, ai fini della validità dell’ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell’opera abusiva e la conclusione dell’iter sanzionatorio. Difatti, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimò in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica. Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria. Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento: l’eventuale connivenza degli amministratori locali pro tempore o anche la mancata conoscenza dell’avvenuta commissione di abusi non fa venire meno il dovere dell’Amministrazione di emanare senza indugio gli atti previsti a salvaguardia del territorio.
Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse (così la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2017).
4.3.â € ’ La tesi per cui la realizzazione della recinzione non necessitava di alcun titolo edilizio, è già stato affrontata sopra al § 2.2 del considerato in diritto.
5.â € ’ Con l’appello incidentale, il Comune contesta invece la statuizione del giudice di primo grado che ha dichiarato cessata la materia del contendere, con riferimento agli altri abusi realizzati sul mappale n. 346, in quanto asseritamente sanati dall’Amministrazione comunale.
5.1.â € ’ Vero è che, relativamente alle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione n. 91 del 2013, il Comune ha concesso la sanatoria solo per l’ampliamento del fabbricato condonato realizzato sul mappale 1047. Per gli altri abusi eseguiti sul mappale 346 (n. 3 container in lamiera e recinzione) non risulta invece sia stata rilasciata alcuna sanatoria.
Tuttavia, l’errore in cui è incorso il giudice di primo grado non può comunque condurre all’accoglimento dell’appello incidentale.
Dalla descrizione dei manufatti fatta dall’appellante principale (e non specificatamente contestata dall’Amministrazione comunale) emerge che si tratta di strutture prefabbricate realizzate in tubi innocenti, non fisse né ancorate al suolo, ma solo appoggiate. È ragionevole quindi affermare che sussistono quelle caratteristiche di precarietà dei manufatti che â € ’ ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 â € ’ consentono di ritenere i medesimi installabili sul terreno citato senza l’esigenza di acquisire il permesso di costruire, con conseguente illegittimità in parte qua dell’ordine di demolizione.
6.â € ’ Per tutte le ragioni sopra esposte, l’appello principale e quello incidentale vanno entrambi respinti.
6.1.â € ’ La soccombenza reciproca giustifica la compensazione integrale delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
– respinge l’appello principale;
– respinge l’appello incidentale;
– compensa interamente tra le parti le spese di lite del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore

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