Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 novembre 2022| n. 35280.
Efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento
L’efficacia retroattiva della risoluzione, per inadempimento, di un contratto preliminare comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso. Ne consegue che nel caso di occupazione di un immobile fondata su di un titolo contrattuale venuto meno per effetto della risoluzione giudiziale del contratto va esclusa la funzione risarcitoria degli obblighi restitutori.
Ordinanza|30 novembre 2022| n. 35280. Efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento
Data udienza 6 maggio 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Compravendita immobiliare – Risoluzione per inadempimento – Mancanza del certificato di abitabilità dell’immobile – Restituzione del bene – Risarcimento del danno – Corresponsione dell’indennità di occupazione – Operatività dell’art. 2033 c.c. – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BELLINI Ubalda – Presidente
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 1095/2018 R.G. proposto da:
ARCH. (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli Avv.ti (OMISSIS) del foro di Torino e (OMISSIS) del foro di Roma, ed elettivamente domiciliato presso lo Studio di quest’ultimo, sito in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultima anche assistita dall’amministratrice di sostegno designata dal Tribunale di Imperia in data 17.06.2017, rappresentate e difese dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) del foro di Sanremo e da (OMISSIS) del foro di Roma ed elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– controricorrenti –
Avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1244/2016, pubblicata il 28 novembre 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 maggio 2022 dal Consigliere Falaschi Milena.
Efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento
OSSERVATO IN FATTO E IN DIRITTO
Ritenuto che:
– (OMISSIS)7 in qualita’ di promissario acquirente, evocava dinanzi al Tribunale di Sanremo – Sezione distaccata Ventimiglia, (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi del promittente venditore (OMISSIS), al fine di ottenere la risoluzione del preliminare di vendita di bene immobile per – inadempimento delepromittente venditore;
– istaurato il contraddittorio, spiegata domanda riconvenzionale da parte delle eredi per l’indennita’ di occupazione, il giudice adito, espletata CTU, con sentenza n. 22/2010, accoglieva la domanda principale, rilevando l’assenza del certificato di abitabilita’ dell’immobile promesso in vendita con condanna delle convenute alla restituzione di quando versato dal promissario acquirente, rigettata la domanda di risarcimento del maggior danno; in accoglimento parziale della riconvenzionale, condannava l’attore alla restituzione dell’immobile e al pagamento di una somma a titolo di equo indennizzo per l’occupazione dell’immobile stimata in complessivi venti giorni, oltre alla rimozione delle innovazioni operate nell’immobile o – in mancanza – al pagamento della somma di Euro 17.930,03, rigettata l’istanza di condanna dell’attore al pagamento delle spese condominiale e di utenza sostenute dal (OMISSIS);
– sul gravame interposto da (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1244/2016, accoglieva il gravame e per l’effetto riformava integralmente il provvedimento impugnato.
In particolare, quinto alla censura relativa all’ammontare della indennita’ di occupazione liquidata dal giudice di prime cure, la Corte distrettuale – premesso che l’immissione in possesso dell’immobile dichiarato non abitabile costituiva titolo per richiedere un’indennita’ per occupazione e che l’obbligo del promissario acquirente di corrisponderla rientrava tra gli effetti restitutori derivanti dalla risoluzione per inadempimento del promittente venditore – riconosceva un’ indennita’ in favore di quest’ultimo pari all’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene nell’intervallo compreso tra la data di consegna dell’immobile e quella di restituzione, ritenendo rilevante ai fini dell’indennizzo la sola disponibilita’ del bene (nella specie provata per tabulas sino al 15 giugno 2010), in cui andava ricompreso anche l’uso indiretto del bene da parte del promissario acquirente. Aggiungeva – peraltro – che gia’ dalle deposizioni dei testi erano emersi elementi di prova di utilizzo (diretto o mediato) dell’immobile per un periodo ben maggiore a venti giorni.
Efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento
Ancora, la Corte distrettuale rilevava che “quanto al presunto accordo tra promittente venditore e promissario acquirente in ordine al mancato pagamento delle spese per utenze condominiali, esso e’ contraddetto da previsione espressa, in senso contrario, dedotta in contratto preliminare, laddove testualmente prevede: (CITARE)”.
Sul secondo motivo di appello, la Corte territoriale negava la pretesa rivalutazione monetaria su un importo riconosciuto a titolo restitutorio trattandosi di un debito di valuta e non di valore e riteneva non provato il maggior danno da svalutazione monetaria.
– per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Genova (OMISSIS) propone ricorso fondato su quattro motivi, cui resistono con controricorso (OMISSIS)- (OMISSIS);
– in prossimita’ dell’adunanza camerale parte controricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
– con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, con conseguente violazione dei principi generali in materia di occupazione sine titulo di cui alla L. n. 392 del 1978 nonche’ dell’articolo 2697 c.c. in tema di onere della prova, per aver il giudice del gravame ritenuto, in caso di occupazione illegittima sine titulo di un immobile altrui, il danno in re ipsa pur avendo aderito al diverso orientamento giurisprudenziale che impone al richiedente l’indennita’ di fornire la prova di aver subito un’effettiva lesione.
Peraltro, il ricorrente sostiene che, in ogni caso, non sarebbe configurabile un danno in re ipsa, non essendo la (OMISSIS) e la (OMISSIS) proprietarie del bene occupato – come confermato dagli atti di causa secondo cui la proprieta’ – quale presupposto di operativita’ del danno in re ipsa – sarebbe della societa’ (OMISSIS) s.a.s. (estranea al giudizio) di cui (OMISSIS) sarebbe stato socio accomandatario, con conseguente violazione degli articoli 832 e soprattutto 2313 e ss., nonche’ articolo 2304 c.c. per aver la societa’ in accomandita semplice personalita’ giuridica autonoma e distinta rispetto al socio accomandatario, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello.
Efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 392 del 1978 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 24, nonche’ la violazione dell’articolo 1220 c.c., per aver il giudice di appello liquidato l’indennita’ di occupazione in base al canone di locazione per gli alloggi determinato dal CTU, in applicazione dei criteri della legge evocata.
Nel dettaglio, il ricorrente deduce l’erroneita’ della sentenza, non solo per aver il giudice quantificato e liquidato il danno ad un soggetto non proprietario del bene occupato, ma anche per aver calcolato detta indennita’ sulla base del canone previsto per immobili ad uso abitativo, pur essendo l’immobile de quo privo di abitabilita’.
Inoltre, il ricorrente sostiene che il giudice di appello non avrebbe dovuto riconoscere alcun indennizzo nella pendenza del giudizio di primo grado, ossia nel periodo compreso tra il 1 aprile 2004 e il 15 giugno 2010. Difatti, le eredi, nell’opporsi all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto spiegata dal promissario acquirente, avrebbero rifiutato la riconsegna dell’immobile offerta dall’attore, con conseguente costituzione in mora delle resistenti ex articolo 1220 c.c..
Il primo e il secondo motivo, da trattare congiuntamente per la loro intrinseca connessione argomentativa, non possono trovare ingresso in quanto non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Nella specie, la Corte distrettuale ha rilevato che l’obbligo del promissario acquirente di corrispondere l’indennita’ di occupazione divenuta senza titolo dell’immobile promesso in vendita rientrava tra gli effetti restitutori derivanti dalla risoluzione per inadempimento del promittente venditore, facendo cosi’ buon governo del principio costantemente ribadito da questa Corte, secondo cui l’efficacia retroattiva della risoluzione del contratto preliminare per inadempimento di un contratto preliminare comporta l’insorgenza a carico di ciascun contraente dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute rimaste prive di causa secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito di cui all’articolo 2033 c.c.. Ne consegue che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipata del bene promesso in vendita deve non solo restituirlo al promittente alienante, ma anche corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso (Cass. n. 6575 del 2017; Cass. n. 28381 del 2017).
In altri termini, il venir meno del contratto preliminare per effetto della risoluzione giudiziale per inadempimento comporta per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e la detenzione anticipate della cosa, l’obbligo di restituzione della cosa stessa e degli eventuali frutti (“condictio indebiti ob causam finitam”) a norma dell’articolo 2033 c.c. e non determina il sorgere di un’obbligazione risarcitoria in capo al promissario acquirente per il mancato godimento del bene (in tal senso Cass. n. 16629 del 2013).
Efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento
Per tali ragioni, la Corte territoriale ha condannato il contraente adempiente non gia’ al risarcimento del danno subito dal proprietario dell’immobile per la sua occupazione, ma alla restituzione in favore della controparte della prestazione anticipatamente eseguita e i frutti del bene, per effetto di un titolo contrattuale venuto meno con la pronuncia di risoluzione.
Non possono, quindi, trovare ingresso le censure prospettate da parte ricorrente che, senza cogliere la ratio della pronuncia impugnata, si concentrano sulla funzione risarcitoria dell’indennita’ di occupazione illegittima, pur verificandosi nella specie una figura del tutto simile a quella di cui all’articolo 2033 c.c., essendo l’occupazione dell’immobile fondata su un titolo contrattuale venuto meno per effetto della risoluzione giudiziale.
Ebbene, quanto all’ammontare dei frutti derivanti dall’uso e dal godimento del bene immobile, la Corte distrettuale, in applicazione dei principi di diritto suesposti e in virtu’ delle risultanze processuali, ha determinato l’indennita’ tenendo conto dell’intervallo compreso tra la data della consegna dell’immobile e quella della restituzione.
Quando alla presunta messa in mora delle odierne resistenti, trattasi questa di una circostanza nuova non prospettabile in questa sede. Ne’ parte ricorrente chiarisce quando l’avrebbe fatta valere nelle precedenti fasi di merito.
Stesso discorso deve farsi per la censura relativa alla presunta titolarita’ del bene immobile oggetto del preliminare in capo alla societa’ (OMISSIS), circostanza anch’essa introdotta per la prima volta in questa sede, come tale inammissibile per novita’ del fatto dedotto;
– con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, nonche’ la violazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 392 del 1978, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 24 e dell’articolo 1220 c.c. per aver il giudice del gravame condannato il promissario acquirente al pagamento della somma di Euro 3.896,78 a titolo di spese condominiali ed utenze, sul presupposto di un presunto accordo tra l’ (OMISSIS) e il (OMISSIS) non richiamato. Il motivo e’ privo di pregio.
Dal tenore della sentenza impugnata si evince chiaramente che il giudice di appello, nel condannare il promissario acquirente al pagamento delle spese condominiali e delle utenze, ha tenuto conto della previsione contenuta nel contratto preliminare che smentiva l’esistenza di un accordo tra promittente venditore e promissario acquirente in senso contrario.
Pertanto, con la doglianza prospettata parte ricorrente, laddove fa leva sul mancato inserimento da parte del giudice del gravame della previsione contrattuale, si duole in realta’ di un apprezzamento di merito non censurabile in questa sede nemmeno nel caso di specie, non integrando l’incompletezza del testo della sentenza un’ipotesi di omessa pronuncia, ricavandosi manifestamente la ragione della decisione, pur senza l’espressa citazione della condizione prevista nel contratto preliminare;
– con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione dell’articolo 1224 c.c. per aver la Corte distrettuale negato la rivalutazione monetaria delle somme versate in conto prezzo nel 1996.
In particolare, il ricorrente sostiene che il giudice di prime cure avrebbe riconosciuto la rivalutazione monetaria sugli acconti versati proprio per riequilibrare il pregiudizio economico che avrebbe subito, considerata la difficolta’ di fornire la prova del risarcimento del danno, richiesto in primo grado dal promissario acquirente, parametrato all’incremento del valore degli immobili tra il 1996 e il 2010.
Il motivo va respinto.
Va ribadito il principio enunciato da questa Corte e applicato dalla sentenza impugnata secondo cui la risoluzione del contratto per inadempimento a seguito della pronuncia costitutiva del giudice priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti. Ne consegue che l’obbligo restitutorio relativo all’originaria prestazione pecuniaria, anche in favore della parte non inadempiente, ha natura di debito di valuta, come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno – da provarsi dal creditore – rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali, ai sensi dell’articolo 1224 c.c. (Cass. n. 5639 del 2013; Cass. n. 14289 del 2018).
Nella specie, il giudice del gravame, facendo buon governo del principio esposto, ha ritenuto non provato il maggior danno da svalutazione monetaria.
Per le esposte considerazioni debbono essere respinte tutte le censure e con esse il ricorso.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, si devono regolare in base al principio della soccombenza.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio in cassazione, liquidate in favore delle controricorrenti in complessivi Euro 5.200,00, di cui’ Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
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