Eccezione di nullità della deposizione del teste incapace

Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 10 aprile 2019, n. 10120.

La massima estrapolata:

Ove l’eccezione di nullità della deposizione del teste incapace, tempestivamente proposta, non sia stata neanche presa in esame dal giudice avanti al quale la prova è stata espletata, la stessa deve essere formulata con apposito mezzo di gravame avanti al giudice d’appello, ovvero, se sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado, da questa riproposta poi nel giudizio di gravame a norma dell’art. 346 c.p.c., dovendosi in caso contrario la medesima eccezione ritenersi rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Ordinanza 10 aprile 2019, n. 10120

Data udienza 22 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25241-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), n.q. di eredi di (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 805/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 20/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza n. 70 del 2013, respinse l’opposizione proposta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso il decreto ingiuntivo ottenuto, nei loro confronti, da (OMISSIS) per la somma di Lire 122.000.000, portata da n. 41 effetti cambiari, per forniture di materiali edili, e condanno’ gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali.
1.1. Il gravame proposto contro questa decisione da (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali eredi di (OMISSIS), da (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), e da (OMISSIS) venne accolto dalla Corte di appello di Messina, che, con sentenza del 20 luglio 2017, n. 805, revoco’ l’ingiunzione opposta e condanno’ (OMISSIS) alla refusione delle spese del doppio grado.
1.2. In estrema sintesi, quella corte ritenne infondata la pretesa di quest’ultimo valorizzando la deposizione testimoniale resa, in primo grado, da (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), combinata alla mancata comparizione del (OMISSIS) a rendere l’interrogatorio formale deferitogli, e sottolineando che lo stesso, pur avendo agito con l’azione causale spettantegli in rapporto alle cambiali allegate alla richiesta monitoria, non aveva fornito alcuna dimostrazione della effettivita’ delle forniture predette.
2. Avverso questa decisione, (OMISSIS) ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi, resistiti con controricorso, da (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali eredi di (OMISSIS), da (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), e da (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 246 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5”, ed invoca la nullita’ e/o inesistenza della deposizione resa da (OMISSIS), moglie di uno dei debitori.
1.1. Il secondo motivo prospetta “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e violazione dell’articolo 113 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5”, e lamenta l’erronea valutazione della predetta testimonianza.
1.2. Il terzo motivo deduce “Violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5”, ed ascrive alla sentenza impugnata di aver integralmente revocato il decreto ingiuntivo, malgrado fosse emersa l’esistenza di un debito degli originari opponenti di circa Euro 15.493,70 (gia’ Lire 30.000.000), cosi’ violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
2. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile,
2.1. La nullita’ della testimonianza resa da persona che si pretende incapace (in quanto portatrice di un interesse che avrebbe potuto legittimare il suo intervento in giudizio) deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’articolo 157 c.p.c., comma 2 (salvo che il difensore della parte interessata non sia stato presente all’assunzione del mezzo istruttorio, nel qual caso la nullita’ puo’ essere eccepita nell’udienza successiva), sicche’, in mancanza di tempestiva eccezione, deve intendersi sanata, senza che la preventiva eccezione di incapacita’ a testimoniare, proposta a norma dell’articolo 246 c.p.c., possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullita’ della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione. Ove, poi, l’eccezione di nullita’ della testimonianza resa dall’incapace venga respinta, la parte interessata ha l’onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullita’ stessa per acquiescenza, rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (Dott. Cass. n. 23896 del 2018; Cass. n. 21670 del 2013; Cass. n. 23054 del 2009; Cass. n. 8358 del 2007; Cass. n. 2995 del 2004). Se l’eccezione di nullita’ della deposizione del teste incapace, ritualmente proposta, non sia stata proprio presa in esame dal giudice davanti al quale la prova venne espletata, la stessa deve essere formulata con apposito motivo di gravame avanti il giudice di appello, ovvero, se sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado, da questa riproposta poi nel giudizio di gravame a norma dell’articolo 346 c.p.c. (cfr. Cass. n. 6555 del 2005; Cass. n. 3521 del 1986; Cass. n. 392 del 1973; Cass. n. 2376 del 09/07/1968).
2.2. Alla stregua di tali principi, dunque, e’ inammissibile la deduzione, in sede di ricorso per cassazione, della violazione dell’articolo 246 c.p.c., senza la contestuale specificazione (nella specie del tutto omessa dal (OMISSIS). Cfr. pag. 9-10 del ricorso), anche agli effetti dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di aver gia’ formulato la corrispondente eccezione, in primo grado, anteriormente all’escussione del teste, di avere, altresi’, eccepito la nullita’ della relativa deposizione dopo la sua assunzione, e di aver riproposto tali eccezioni nel prosieguo del giudizio, ed in particolare in appello ai sensi dell’articolo 346 c.p.c., dovendo, in tal caso, ritenersi comunque sanata l’eventuale nullita’ derivante dall’incapacita’ dei testi per l’irritualita’ della relativa eccezione.
3. Parimenti inammissibile e’ il secondo motivo di ricorso.
3.1. Esso, infatti, concerne, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio, cosi’ dimenticando che l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ed il giudizio sull’attendibilita’ dei testi, sono riservate al giudice del merito, in quanto involgono accertamenti di fatto, sicche’ e’ insindacabile, in sede di legittimita’, la valenza probatoria di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base alle quali il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato. Il controllo di legittimita’ demandato a questa Corte, invero, non e’ configurabile come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, mediante proposta di ricostruzioni alternative dei fatti di causa e della valutazione delle prove rispetto a quanto, rispettivamente, accertato ed ritenuto nella sentenza impugnata.
4. E’, invece, manifestamente infondato il terzo motivo.
4.1. E’ noto che, nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro, deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di un importo minore, con la conseguenza della piena legittimita’ di una pronuncia in tali sensi del giudice del merito (cfr. Cass. n. 28660 del 2013), cosi’ come e’ parimenti corretto l’operato del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo giudizio di cognizione proposto non solo per accertare l’esistenza delle condizioni per l’emissione dell’ingiunzione, ma anche per esaminare la fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi, offerti dal medesimo e contrastati dall’opponente – che, revocato il provvedimento monitorio, emetta una sentenza di condanna del debitore per somma anche minore rispetto a quella ingiunta, dovendosi ritenere che nella originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione, e nella domanda di rigetto dell’opposizione (o dell’appello dell’opponente) sia ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo minore (cfr. Cass. n. 1954 del 2009; Cass. n. 24021 del 2004).
4.2. Deve, poi, osservarsi che la corte distrettuale ha affermato che il (OMISSIS) – il quale, nel richiedere il decreto ingiuntivo e nello spiegare le difese a seguito dell’opposizione, aveva dato un preciso titolo al rapporto sottostante le cambiali prodotte, chiarendo che la sua pretesa creditoria faceva riferimento a forniture di materiali edili – non aveva fornito alcuna prova relativa alla effettivita’ delle forniture predette, non producendo alcuna fattura, ne’ presentandosi a rendere l’interrogatorio formale deferitogli, e che, percio’ (svolgendosi l’opposizione a decreto ingiuntivo secondo le norme del procedimento ordinario, che impone a chi fa valere un diritto l’onere di fornirne adeguata dimostrazione), doveva revocarsi il menzionato decreto: e’ affatto ragionevole ritenere, dunque, alla stregua dei suesposti principi, che, cosi’ operando, quella corte abbia inteso disattendere integralmente la domanda dell’originario ricorrente in monitorio, derivandone, cosi’, da un lato, la inconfigurabilita’ della lamentata violazione dell’articolo 112 c.p.c., e, dall’altro, la inammissibilita’, per quanto si e’ gia’ detto con riguardo al secondo motivo, delle ulteriori argomentazioni del (OMISSIS) volte a censurare il risultato del complessivo governo del materiale istruttorio effettuato dalla corte a quo.
5. Il ricorso va, pertanto, respinto, restando le spese del giudizio di legittimita’ regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresi’, – in assenza di ogni discrezionalita’ al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico della parte ricorrente, del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto il 20 ottobre 2017).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso articolo 13, comma 1-bis.

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