Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 aprile 2024| n. 9911.

Divisione di beni comuni e cose non soggette a divisione

In tema di divisione di beni comuni, gli articoli 1119 e 1112 del Cc hanno una “ratio” diversa e forniscono differenti tutele: il primo contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor “favor” del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva; il secondo costituisce un’eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall’articolo 1111 del Cc, tutela la destinazione d’uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso cui è stato destinato.

Ordinanza|11 aprile 2024| n. 9911. Divisione di beni comuni e cose non soggette a divisione

Data udienza 9 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Comunione – Scioglimento – Limiti – Art. 1112 c.c. – Cose non soggette a divisione – Divisione bene del comune – Specifica funzione in concreto assolta dallo stesso – Rilevanza – Fondamento – Fattispecie relativa a giudizio di divisione di una strada avente funzione di accesso ai fondi in proprietà esclusiva dei condividenti
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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 18035-2020 proposto da:

Se.Vi., elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato MA.MO., rappresentato e difeso dall’avvocato MA.CO., giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ca.Po., elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato DI.GI., rappresentato e difeso dall’avvocato MA.IN., giusta procura in calce al controricorso;

– contro ricorrente –

nonché contro

Se.El.

– intimata –

avverso la sentenza n. 943/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata l’11/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del ricorrente;

Divisione di beni comuni e cose non soggette a divisione

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

1. Ca.Po., quale procuratore speciale di Sc.Ma., evocava in giudizio Se.Vi. e Se.El., deducendo di essere divenuta proprietaria di un terreno in L, località Ac., con annesso fabbricato rurale, al quale si apparteneva in comunione anche quota parte della strada che dipartendosi dalla strada comunale, giunge sino al fabbricato acquistato.

Chiedeva pertanto disporsi lo scioglimento della comunione esistente con i convenuti sullo stradone.

Si costituiva Se.Vi. che eccepiva l’indivisibilità del bene, in ragione della funzione assolta dalla strada nell’interesse delle proprietà dei terreni serviti dalla strada stessa.

Il Tribunale di Bari con la sentenza n. 814 del 23/10/2014 ha rigettato la domanda.

La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 943 dell’11 giugno 2020, accoglieva l’appello dell’attrice, e, ritenuto il bene non comodamente divisibile lo attribuiva all’attrice, previo versamento dell’eccedenza in favore dei convenuti.

I giudici di appello osservavano che non poteva reputarsi corretto il ragionamento del Tribunale che aveva escluso la divisione in quanto il bene comune aveva ancora la funzione di strada di accesso ai fondi in proprietà esclusiva dei condividenti, dovendo prevalere la diversa previsione che invece consente al singolo comunista di poter esercitare il diritto di chiedere lo scioglimento della comunione, e senza che possa avere rilevanza la funzione precedentemente assolta dal bene comune.

Poiché il terreno oggetto di causa non risultava comodamente divisibile, lo stesso andava attribuito in favore dell’attrice, anche quale maggiore quotista.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Se.Vi. sulla base di tre motivi, illustrati da memorie. Ca.Po., quale procuratore di Sc.Ma. resiste con controricorso.

Se.El. è rimasta intimata in questa fase.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 158 c.p.c., in relazione alla asserita incostituzionalità degli artt. 62-72 del d.l. n. 69/2013, conv. con modificazioni nella legge n. n. 98/2013, in relazione agli artt. 102 e 106 Cost.

Si evidenzia che la sentenza impugnata è stata pronunciata con la presenza nel collegio, in qualità di relatore ed estensore di un giudice ausiliario di appello, nominato ai sensi della norma riportata in rubrica.

Si sottolinea che questa Corte con due ordinanze (nn. 31032 e 312033 del 2019) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della normativa che prevede la nomina di giudici ausiliari per le Corti d’Appello, sul presupposto del contrasto con gli artt. 102 co. 1 e 106 co. 1 e 2 Cost.

Si richiede quindi che, in attesa della decisione della Consulta, anche questo giudizio sia sospeso.

Il motivo è stato rinunciato, sebbene debba esserne rilevata l’infondatezza.

Con la sentenza n. 41 del 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 106, commi 1 e 2, Cost., degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, nella legge n. 98 del 2013, nella parte in cui conferiscono ai giudici ausiliari di appello lo status di componenti dei collegi delle sezioni della corte d’appello come magistrati onorari, poiché, in base al precetto costituzionale violato, i magistrati onorari possono esercitare le funzioni di giudice singolo, ossia monocratico di primo grado, che solo in via eccezionale e transitoria può comporre i collegi di tribunale, stabilendosi al riguardo che dette norme sono illegittime laddove non prevedono che la loro applicazione sia limitata al periodo entro cui sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi indicati dall’art. 32 del D.Lgs. n. 116 del 2017 (rectius entro il 31 ottobre 2025), cosicché nelle more tale figura può continuare ad operare. In motivazione ha sottolineato l’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo che la decisione di illegittimità costituzionale sarebbe destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello.

Richiamate le ragioni che hanno spinto il legislatore alla introduzione di tale figura, nonché gli effetti favorevoli che la riforma ha prodotto sull’arretrato delle corti d’appello, è stato evidenziato che il venir meno di tale apporto recherebbe, nell’immediato, un grave pregiudizio all’amministrazione della giustizia, tanto più nella situazione attuale, che vede come urgente l’esigenza di riduzione dei tempi della giustizia, e quindi anche di quella civile, dove hanno operato e operano i giudici ausiliari presso le corti d’appello.

Divisione di beni comuni e cose non soggette a divisione

Si impone quindi un bilanciamento con altri valori costituzionali di pari – e finanche superiore – livello, i quali risulterebbero in sofferenza ove gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale risalissero (retroattivamente, come di regola) fin dalla data di efficacia della norma oggetto della pronuncia.

Quindi, richiamati i precedenti in cui la stessa Corte Costituzionale ha effettuato il bilanciamento tra i valori attinti dalla norma ritenuta incostituzionale ed altri di pari o superiore rango, e ciò anche quando ciò comporti che la dichiarazione di illegittimità costituzionale, risulti non essere utile, in concreto, alle parti nel processo principale (Corte Cost. n. 10 del 2015 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione che prevedeva un’imposizione tributaria a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica), la decisione della Consulta ha rimarcato che “l’interazione dei valori in gioco evidenzia, nell’immediato, il già richiamato pregiudizio all’amministrazione della giustizia e quindi alla tutela giurisdizionale, presidio di garanzia di ogni diritto fondamentale, essendo alla Corte ben presente l’esigenza di “evitare carenze nell’organizzazione giudiziaria” (sentenza n. 156 del 1963)”.

Si è quindi ritenuto che la declaratoria di illegittimità delle disposizioni censurate dovesse lasciare al legislatore un sufficiente lasso di tempo onde assicurare la “necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale”, segnatamente dell’art. 106, secondo comma, Cost. Lo strumento a tal fine individuato è stato quello del ricorso alla sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire, termine finale che, nella fattispecie, è stato ravvisato, nell’ambito dell’iter di riforma della magistratura onoraria (D.Lgs. n. 116 del 2017), nella data del 31 ottobre 2025 (art. 32 di tale decreto legislativo), alla quale è stata differita la sua completa entrata in vigore.

Per l’effetto l’illegittimità costituzionale della normativa censurata è stata dichiarata nella parte in cui non prevede che essa si applichi fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi contemplati dal citato art. 32 del D.Lgs. n. 116 del 2017, così riconoscendo ad essa – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106, primo e secondo comma, Cost. In tale periodo rimane quindi legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio.

Richiamate in tal modo le conclusioni alle quali è giunta la Corte Costituzionale proprio in merito alla decisione delle questioni di legittimità costituzionale poste dalle ordinanze richiamate dal ricorrente, si palesa l’infondatezza del motivo in esame, essendo stata la sentenza impugnata decisa con la partecipazione di un giudice ausiliario ma ben prima del termine del 31/10/2025.

4. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1112 c.c.

Si osserva che la Corte d’Appello ha attribuito valore assoluto al diritto del condividente di chiedere lo scioglimento della comunione ex art. 1111 c.c., prescindendo dalla specifica funzione in concreto assolta dal bene comune.

La soluzione però trascura la norma di cui all’art. 1112 c.c. che esclude tale diritto per le cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinate.

La sentenza del Tribunale aveva rigettato la domanda attorea proprio alla luce di tale ultima previsione e cioè considerando che la funzione dello stradone non era quella di permettere l’accesso al solo fabbricato dell’attrice (peraltro già descritto come diruto in un atto risalente al 1959), ma a tutti i fondi dei condividenti.

Il terzo motivo denuncia ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per non avere i giudici di appello, valutato l’effettiva funzione dello stradone, avendo anzi reputato superflua ogni indagine sul punto, trascurando altresì che, stante l’avvenuta assegnazione del bene alla controparte, ove il ricorrente decidesse di alienare una parte dei suoi beni, al cui servizio era la strada oggetto di causa, tale particella resterebbe del tutto interclusa.

5. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.

La decisione gravata è, infatti, pervenuta allo scioglimento della comunione valorizzando unicamente il disposto di cui all’art. 1111 c.c., trascurando tuttavia che lo stesso legislatore ha posto un limite al diritto potestativo di chiedere lo scioglimento della comunione, proprio con la disposizione di cui all’art. 1112 c.c. La norma, infatti, preclude la possibilità di richiedere la divisione per quei beni comuni la cui divisione materiale implicherebbe l’interruzione dell’uso a cui sono destinati ovverossia il cui uso sia assicurato solo dalla persistenza della comunione. In tale nozione si deve far rientrare anche l’ipotesi in cui il bene comune si riveli funzionale ed utile, in quanto accessorio di altri beni dei vari comunisti, come appunto deve ritenersi per l’eventualità in cui lo stesso sia adibito concordemente a strada dai comproprietari posta a servizio delle proprietà individuali degli stessi comunisti.

Il frazionamento in natura di siffatto bene, o anche l’assegnazione in proprietà esclusiva ad uno dei comunisti (specie se non contemperata dalla contestuale creazione di un diritto di servitù idoneo a riprodurre le utilità cui assolveva il bene nello stato di indivisione) vanificherebbe la destinazione impressa dai comunisti al bene, il che ne preclude quindi la divisione. Questa Corte ha, infatti, affermato che lo scioglimento della comunione non può essere disposto, anche al di fuori della disciplina del condominio degli edifici, per quei beni che, se divisi, cesserebbero dall’uso cui sono destinati (Cass. n. 708/1970; Cass. n. 5261/2011; Cass. n. 7274/2006; Cass. n. 4176/1983 che precisa che la destinazione deve trovare attuazione in una situazione materiale la quale, venendo meno con la divisione, determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione).

Da ultimo è poi intervenuta Cass. n. 4014/2020 che ha sottolineato che in tema di divisione di beni comuni, gli artt. 1119 e 1112 c.c. hanno una “ratio” diversa e forniscono differenti tutele: il primo contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor “favor” del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva; il secondo costituisce un’eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall’art. 1111 c.c., tutela la destinazione d’uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso cui è stato destinato.

Nella fattispecie al suo esame, vertente sulla richiesta di divisione di un cortile non condominiale, è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza di appello che aveva disatteso la domanda di divisione facendo leva sulla indivisibilità del bene, proprio alla luce della interpretazione dell’art. 1112 c.c. sopra richiamata che pone la norma stessa come limite generale al potere di chiedere lo scioglimento della comunione, pur configurato come diritto potestativo dall’art. 1111 c.c.

La sentenza impugnata ha invece dato esclusiva rilevanza alla norma da ultimo ricordata, ritenendo che fosse del tutto irrilevante accertare quale fosse la specifica destinazione che era stata data al bene oggetto della domanda, affermando, quindi, che fosse superfluo verificare la funzione precedentemente svolta dal bene, pervenendo in tal modo ad un’erronea applicazione delle norme implicate dalla questione sottoposta al suo esame.

6. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in accoglimento dei motivi in esame, con rinvio per nuovo esame, alla luce dei principi di diritto sopra illustrati, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Divisione di beni comuni e cose non soggette a divisione

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo ed il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione Civile, in data 9 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria lì11 aprile 2024.

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