Disinteresse del genitore e la deprivazione del rapporto genitoriale con danno endofamiliare

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 maggio 2024| n. 14770.

Disinteresse del genitore e la deprivazione del rapporto genitoriale con danno endofamiliare

La violazione dei doveri connessi alla genitorialità non trova la sua sanzione necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c.

Ordinanza|27 maggio 2024| n. 14770. Disinteresse del genitore e la deprivazione del rapporto genitoriale con danno endofamiliare

Data udienza 9 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Danni in materia civile – Responsabilità genitoriale – Disinteresse del genitore – Deprivazione del rapporto genitoriale – Danno endofamiliare – Presupposti

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere-Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15457/2023 R.G. proposto da:

Gi.Ma., rappresentato e difeso dall’avvocato FE.GR. (omissis)

-ricorrente-

Contro

Cr.Lu., rappresentata e difesa dall’avvocato MA.RO. (omissis)

-controricorrente-

avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 285/2023 depositata il 08/02/2023.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal Consigliere RITA ELVIRA ANNA RUSSO.

Disinteresse del genitore e la deprivazione del rapporto genitoriale con danno endofamiliare

RILEVATO CHE

Cr.Lu. ha convenuto in giudizio Gi.Ma. davanti al Tribunale di Firenze, chiedendo la condanna di quest’ultimo al pagamento di 19.500,00 euro – o altra somma ritenuta equa – a titolo di mantenimento per il figlio Cr.Lo., dalla nascita (10.1.2009) fino a giugno 2015, oltre alla condanna, in via equitativa, al rimborso di una quota delle spese mediche, scolastiche e ricreative sostenute per il figlio. Ha altresì richiesto la condanna del convenuto al risarcimento per i danni non patrimoniali derivanti da fatto illecito, da determinarsi equitativamente secondo gli artt. 2056 e 1226 c.c. Ha evidenziato che, con sentenza del 27 novembre 2012, il Tribunale per i minorenni di Firenze aveva accertato la paternità e che, successivamente, il Tribunale di Pisa, con provvedimento del 26 maggio 2015, aveva condannato il padre al pagamento di un assegno di mantenimento mensile di Euro 250,00, oltre al 50% delle spese mediche, scolastiche e ricreative; ha altresì affermato che Gi.Ma., pur essendo consapevole di essere il padre naturale del minore, non si era mai concretamente occupato del bambino, privandolo della figura paterna e causando ripercussioni negative sul figlio, sussistendo pertanto i presupposti per il riconoscimento di un danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.

Il Tribunale di Firenze ha condannato Gi.Ma. al pagamento in favore della madre della somma di Euro 11.700,00, oltre agli interessi legali e, in favore del figlio minore, rappresentato dalla madre, della somma di Euro 14.000,00 come risarcimento per danni non patrimoniali, oltre agli interessi.

Il padre ha interposto gravame, che la Corte d’appello di Firenze ha respinto, rilevando che il padre era pienamente consapevole della propria paternità ben prima del riconoscimento giudiziale e che il suo comportamento omissivo ha determinato un grave pregiudizio psicologico, affettivo ed economico al minore. La Corte ha affermato che, sebbene la madre non abbia fornito una prova dettagliata delle spese sostenute per il minore prima del riconoscimento dell’assegno di mantenimento, tali pregiudizi possono essere provati anche solo tramite presunzioni e nozioni di comune esperienza, soprattutto in un contesto di perdita integrale del rapporto parentale.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Gi.Ma. affidandosi a tre motivi. La controparte ha svolto difese con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

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RITENUTO CHE

1.- Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta ai sensi dell’art. art. 360, n. 3 c.p.c. l’erronea e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 2697 c.c., 2043 c.c. e 2059 c.c., 1226 c.c. , artt.115 e 116 c.p.c.: avrebbe errato la Corte d’appello nell’applicazione e nell’interpretazione delle leggi relative alla prova e al risarcimento del danno. In particolare, si argomenta che la Corte d’Appello non avrebbe tenuto in considerazione la distinzione tra danni patrimoniali e non patrimoniali, né avrebbe richiesto né valutato adeguatamente la prova dei danni lamentati dal figlio a causa dell’assenza affettiva del padre biologico. Il ricorrente deduce che il danno non può essere automaticamente presunto, ma deve essere allegato e dimostrato con fatti specifici e precisi e che la controparte non avrebbe adeguatamente provato i presunti danni subiti dal figlio; in particolare lamenta non siano stati presentati certificati medici relativi al figlio né richieste perizie volte a dimostrare eventuali lesioni psicofisiche. La mancanza di prove concrete circa l’esistenza di un pregiudizio subito dal figlio porterebbe quindi a concludere che non sarebbe giustificata alcuna condanna al risarcimento del danno non patrimoniale non sussistendo alcun automatismo tra la violazione dei doveri familiari e il risarcimento del danno non patrimoniale, poiché quest’ultimo non è in re ipsa.

2. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., l’erronea e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 2697 c.c. 2729 c.c. e 116 c.p.c. La parte ricorrente, censura la sentenza impugnata nella parte in cui riconosce il risarcimento per danno non patrimoniale senza prove specifiche del danno subito dal figlio. Ad avviso di parte, la Corte avrebbe errato in quanto avrebbe dovuto richiedere prove più sostanziali e specifiche, come certificati medici, consulenze tecniche d’ufficio o testimonianze, anziché basarsi su semplici presunzioni. In particolare il ricorrente evidenzia che sin dall’atto di citazione non erano stati forniti fatti concreti e specifici per sostenere l’alterazione dello sviluppo psicofisico del figlio, né erano stati indicati dettagli sul contesto familiare e sociale in cui viveva il bambino. Infine, il ricorrente censura altresì la mancanza di prove concrete anche in riferimento alla propria situazione economica e contesta la decisione della Corte d’appello nella parte in cui trascura di valutare gli effetti dell’assenza del padre sullo sviluppo psicofisico del figlio, limitandosi a considerazioni di natura economica.

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3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta ai sensi dell’art art. 360, n. 3 c.p.c. di erronea e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 1226 c.c.: ad avviso di parte avrebbe errato la Corte a procedere alla quantificazione in via equitativa del danno in quanto sarebbe stato necessario dimostrare l’esistenza certa del danno e del pregiudizio concreto, dato che, senza tali prove, non ci sarebbe spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale. Nel caso in esame, secondo parte ricorrente, che nessun pregiudizio effettivo sarebbe stato né allegato né provato e, trattandosi di un onere di parte, non è consentito al Giudice supplire a tali lacune. Si lamenta la arbitrarietà della decisione in quanto la Corte avrebbe basato la sua determinazione del quantum del risarcimento su mere considerazioni di principio, anziché su elementi oggettivi e congrui rispetto al caso specifico.

4. I predetti motivi, stante la stretta connessione delle censure svolte, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

4.1.- Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la violazione dei doveri connessi alla genitorialità non trova la sua sanzione necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi ripetutamente affermati da questa stessa Corte in tema di danni alla persona (v. Cass. 26301/2021, Cass. 28989/2019, Cass. 7513/2018, Cass. 2788/2019, Cass. s.u. n. 26972/2008) secondo i quali può essere risarcito il pregiudizio di natura non patrimoniale quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, che hanno tutela costituzionale.

4.2.- Viene qui in rilievo il diritto fondamentale alla relazione familiare ed in particolare il diritto del figlio ad essere mantenuto, educato istruito da entrambi i genitori, ai sensi degli artt. 2 e 30 Cost. Si tratta di diritti fondamentali della persona, ispirati al principio di solidarietà, riconosciuti e tutelati perché rispondono all’interesse essenziale dell’essere umano a ricevere l’aiuto e la guida necessari per la sua formazione. Entrambi i genitori sono obbligati da questo munus, poiché la funzione genitoriale è duale e l’eventuale maggior contributo materiale e morale da parte di uno di essi non può compensare l’assenza dell’altro. Riceve infatti tutela nell’ordinamento il diritto del figlio alla relazione familiare con entrambi i genitori, (c.d. bigenitorialità) presupposto per una sana ed armoniosa crescita (Cass. n. 3079/2015; Cass. n. 5652/2012) ed a ricevere da entrambi non solo prestazioni patrimoniali, ma anche assistenza morale, diritto specificamente enunciato dall’art. 315 bis c.c., che si declina nel senso di “cura amorevole” del figlio. Si tratta di una competenza genitoriale che l’ordinamento ritiene essenziale, come si evince dall’art.6 della legge 4 maggio 1983, n. 184 la quale esige che coloro che aspirano ad essere genitori adottivi siano in grado non solo di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare, ma anche e in primo luogo siano “affettivamente idonei”. Di conseguenza, può rilevare ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale anche il pregiudizio alla sfera dell’affettività pur se non si è tradotto in una malattia fisica o psichica diagnosticabile. L’assenza ed il disinteresse del genitore privano il minore, oltre che di apporti patrimoniali anche di beni immateriali essenziali, senza possibilità di rimedio, poiché si tratta di prestazioni infungibili e che devono essere assicurate con continuità negli anni della crescita; di conseguenza, la condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 c.c. del codice civile, di un’azione autonoma finalizzata al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla prole (Cass. n.28551/2023).

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4.3.- L’obbligo del genitore di contribuire all’educazione e al mantenimento dei figli, sorge infatti sin dal momento della procreazione, anche nel caso in cui questa venga successivamente accertata con dichiarazione della paternità o maternità, producendo la sentenza dichiarativa della filiazione naturale gli effetti del riconoscimento e comportando per il genitore, ai sensi dell’art. 261 c.c., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento genitore. Ciò a prescindere dal fatto che l’altro

genitore lo abbia riconosciuto alla nascita, provvedendo, poi, in via esclusiva al suo mantenimento, restando fermo comunque il dovere dell’altro genitore, anche per il periodo che precede la sentenza dichiarativa della paternità, di ottemperare ai propri doveri (Cass. n. 15148/2022; v. anche Cass. n. 34986/2022).

4.4. Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, nel dare rilievo ai danni causati al figlio dalla assenza del genitore non si afferma la sussistenza del danno in re ipsa, ma si accerta, anche ricorrendo a presunzioni, il danno conseguenza. La natura unitaria e omnicomprensiva del danno non patrimoniale comporta l’obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall’evento pregiudizievole, nessuna esclusa, valutando distintamente le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura) rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell’ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili, e attribuendo al danneggiato una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici; ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, al fine di valutare distintamente le conseguenze subite dal danneggiato sotto i profili indicati (Cass. 23469/2018, Cass. 901/2018).

5.- A questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha accertato, in punto di fatto, che il ricorrente aveva la consapevolezza della procreazione, intesa non come certezza assoluta, quanto come consapevolezza della probabilità della paternità (Cass. 22496/2021), in base ad una serie di indizi rilevanti, quali l’essere le parti conviventi a tempo del concepimento, e l’avere il ricorrente interrotto la convivenza alla notizia della gravidanza, così assumendo un comportamento di disinteresse, mantenuto nel tempo, che ha leso gli interessi del figlio, lasciando gravare esclusivamente sulla madre i compiti genitoriali.

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5.1.- Per quanto poi concerne la valutazione in concreto del pregiudizio subito dal figlio, si rileva che la Corte d’appello, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non ha operato con automatismi, ma ha confermato la valutazione del giudice di prime cure, ritenendo che quest’ultimo abbia correttamente fatto affidamento a delle presunzioni fondate su nozioni di comune esperienza riguardanti l’impatto sulla vita di un minore della perdita totale del rapporto parentale, rapporto che ogni figlio ha diritto di sviluppare con il proprio genitore in una fase cruciale della crescita.

5.2.- Deve qui ricordarsi che, secondo i consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, ai fini del risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori, la prova può desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti, ricavate dal complesso degli indizi, da valutarsi, non atomisticamente, ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. 34950/2022). L’utilizzo di presunzioni è pertanto legittimo, specialmente laddove le vicende che hanno portato alla nascita del bambino e all’accertamento giudiziale della paternità siano state adeguatamente ricostruite, come nel caso in esame, in cui sono stati messi in luce una serie di elementi fattuali particolarmente significativi, come la circostanza che il ricorrente possedeva elementi sufficienti per potersi ritenere ragionevolmente il padre del bambino e che, nonostante ciò, non ha ritenuto opportuno fare alcuna prova, nonché la circostanza che anche successivamente alla determinazione giudiziale ha manifestato disinteresse nei confronti del figlio, fornendo scuse pretestuose. Va ancora osservato che la Corte d’appello, ha altresì valorizzato, nella determinazione del danno, la circostanza che il mancato contributo economico del padre abbia comportato anche un danno in termini di precarietà abitativa.

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5.3.- Pertanto, la Corte d’appello, in conformità al giudizio reso dal tribunale, ha opportunamente evidenziato tutti gli elementi di fatto dai quali poter desumere che il figlio abbia subito, a causa di tale atteggiamento di indifferenza e disinteresse del genitore, danni morali e materiali nel corso degli anni, i quali, non potendo essere provati nel loro preciso ammontare, sono stati liquidati equitativamente, potere discrezionale del giudice di merito sottratto a sindacato in sede di legittimità, allorché si dia conto -come nel caso di specie è avvenuto – dei dati di fatto emersi nel processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati (Cass. n. 8213/2013).

5.2.- La Corte d’appello ha, peraltro, rimarcato come il tribunale abbia valutato il danno in misura contenuta rispetto alla gravità della condotta, affermazione di cui si comprende meglio la portata ove si consideri che, per questa tipologia di danno, è consentito fare riferimento alle tabelle di liquidazione del danno per la perdita del genitore, sebbene con alcuni correttivi (Cass. n. 34986/2022) ; criterio che il giudice di merito non ha applicato ma che avrebbe comportato una liquidazione di importo ben superiore alla somma di euro 14.000 euro. Appare quindi di tutta evidenza che – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente- la modestia della sua condizione economica è stata tenuta in considerazione anche ai fini della liquidazione del danno.

Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con pagamento in favore dello Stato, posto che la controricorrente ha dichiarato di essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

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P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge, con pagamento in favore dello Stato ex art 133 del d.P.R. 115 del 2002 . Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003.

Così deciso in Roma, il 09 aprile 2024.

Depositato in cancelleria il 27 maggio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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