Definizione di uno dei giudizi con sentenza passata in giudicato e riesame del punto deciso

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 marzo 2024| n. 7834.

Definizione di uno dei giudizi con sentenza passata in giudicato e riesame del punto deciso

Qualora in due giudizi tra le stesse parti siano fatti valere due crediti fondati sul medesimo rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica (cioè, alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause), formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. (Nella specie, la S.C. ha escluso l’efficacia di giudicato della sentenza emessa in altro giudizio tra le stesse parti sulla base del rilievo che i crediti azionati nei due giudizi, pur trovando entrambi causa in una fideiussione prestata a favore della banca per le obbligazioni di una società garantita, avevano un petitum diverso, riguardando rapporti giuridici diversi).

 

Ordinanza|22 marzo 2024| n. 7834. Definizione di uno dei giudizi con sentenza passata in giudicato e riesame del punto deciso

Data udienza 5 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Banca – Fideiussione – Giudizi tra le stesse parti relativamente al rapporto giuridico – Definizione di uno dei giudizi con sentenza passata in giudicato – Riesame del punto deciso – Preclusione – Danno da illecito anticoncorrenziale – Violazione della l. n. 287/1990 – Legittimazione attiva su tutti i soggetti che hanno subito un danno – Qualifica di consumatore – Irrilevanza – Contratti di fideiussione “a valle” di intese – Nullità dell’autorità Garante – Contrasto con gli artt. 2, 2° co., lett. a), della legge n. 287 del 1990 e 101 del T.F.U.E. – Nullità parziale ex artt. 2, 3° co., legge 287/1990 e dell’art. 1419 cod. civ. – Ratio – Divieto di restrizione della libera concorrenza

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 156/2021 R.G. proposto da:

BANCA (…)COOPERATIVO COOP SOC., già (…) BANCA Snc e prima ancora BANCA (…) SO COOP ARL, elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato MA. MI. (…) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati RI.CA. (…) e GI.SO. (…);

-ricorrente-

contro

Sa.Ma., Ra.Fr., Ra.Di.;

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1027/2020, depositata il 31/03/2020.

-intimati-

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Consigliere MARILENA GORGONI.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Vicenza, con la sentenza n. 2356/2018, respingeva l’opposizione al decreto n. 1862716 con cui veniva ingiunto a Sa.Ma. nonché a Ra.Fr. e Ra.Di. il pagamento di Euro 1.000.000,00, in qualità di garanti della (…) Srl, ritenendo gli opponenti non legittimati a far valere la violazione della normativa antitrust sulla scorta del provvedimento ABI n. 55/2005, non rivestendo la qualifica di consumatori; aggiungeva che le contestazioni in merito all’an e al quantum del comportamento anticoncorrenziale denunciato erano generiche e le contestazioni sul credito azionato infondate.

Con la sentenza n. 1027/2020, depositata il 31/03/2020, la Corte d’appello di Venezia:

– ha accolto il primo motivo di impugnazione degli ingiunti, dichiarando la banca decaduta dalla garanzia fideiussoria ex art. 1957 cod. civ., attesa la non operatività della clausola di deroga di cui all’art. 6 delle condizioni generali di contratto;

– ha ritenuto che la limitazione della tutela approntata dalla normativa in tema di concorrenza solo al consumatore – come ritenuto dal Tribunale – non sia conforme all’interpretazione della l. n. 287/1990 contenuta nella pronuncia a Sezioni Unite n. 2207/2005, sulla scorta della quale tutti i soggetti del mercato possono dolersi degli effetti pregiudizievoli di un illecito anticoncorrenziale;

-ha aggiunto che il fideiussore non è il duplicato del debitore principale e che perciò il carattere accessorio della fideiussione non implica che se il debitore principale è un professionista anche il fideiussore debba considerarsi tale, perché ciò che conta è la concreta effettiva riconducibilità del rapporto contrattuale di cui alla fideiussione all’interno o all’esterno dell’attività professionale eventualmente svolta da colui che ha prestato la garanzia, in applicazione dell’art. 3 Cod. Consumo e dell’art. 2 della dir. 93/13 (Cass. n. 8418/2919);

– ha negato che dovesse escludersi la legittimazione degli appellanti ad agire per far valere la violazione della normativa antitrust, non essendo stata provata la sussistenza di collegamenti funzionali, quali l’amministrazione della società debitrice principale o una partecipazione rilevante al suo capitale sociale da parte dei garanti;

– ha accertato che la clausola n. 6 presente nel contratto di fideiussione (contratto a valle) riproduceva il tenore letterale dello schema ABI, frutto di una intesa vietata (accordo a monte) su cui era intervenuto il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005;

– ha ritenuto ricorrente un danno, consistente nella preclusione per i garanti di avvalersi della decadenza fissata dall’art. 1957 cod. civ. a loro beneficio, non avendo la banca provato di aver svolto le proprie istanze entro il termine di sei mesi a decorrere dal 21 ottobre 2015, cioè dalla data in cui gli affidamenti erano stati revocati;

– ha revocato il decreto ingiuntivo opposto.

La Banca del Veneto Centrale ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando sei motivi.

Nessuna attività difensiva è svolta da Sa.Ma., a Ra.Fr. e Ra.Di., rimasti intimati.

La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ..

La ricorrente ha depositato memoria.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 287/1990 anche sotto il profilo dell’art. 100 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ..

La banca lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente interpretato ed applicato la sentenza n. 2207/2005, perché avrebbe omesso di individuare il mercato di riferimento ed i consumatori che, operando in detto mercato, risulterebbero i destinatari della tutela offerta dalla legge n. 287/1990.

2) Con il secondo motivo sono dedotte l’errata qualificazione dei signori Ra.Fr. e Ra.Di. come consumatori e l’eccezione di giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 1541/2019 del Tribunale di Vicenza, ex art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ..

La banca deduce che la sentenza n. 1541/2019 del Tribunale di Vicenza, passata in giudicato, aveva negato agli odierni intimati la qualifica di consumatori, per il fatto di aver garantito l’obbligazione assunta verso la banca da una società commerciale, e, quindi, eccepisce l’efficacia di giudicato esterno formatosi dopo la scadenza dei termini per il deposito delle memorie di replica nella fase decisoria nel giudizio d’appello.

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3) Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’Errata qualificazione dei sig.ri Sa.Ma., Ra.Fr. e Ra.Di. come consumatori – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ.) in relazione alla prova della posizione di consumatori da parte dei sig.ri Sa.Ma., Ra.Fr. e Ra.Di.”.

La banca sostiene che i garanti non avevano dimostrato di essere consumatori e che la Corte d’appello abbia avallato tale lacuna indirettamente, omettendo la dovuta analisi della questione, limitandosi a rilevare che non era stato dimostrato un collegamento funzionale fra i fideiussori e la società garantita, violando la distribuzione dell’onere della prova e incorrendo in una carenza motivazionale.

4) Con il quarto motivo la banca lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ., relativamente alla dimostrazione delle seguenti circostanze: i) la standardizzazione della clausola di cui si invoca la invalidità (essendo la fideiussione escussa anteriore al provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia); ii) il carattere uniforme della condotta anticoncorrenziale; iii) la partecipazione all’intesa anticoncorrenziale della Banca (…).

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In particolare, siccome le fideiussioni sulla scorta delle quali era stato azionato il provvedimento monitorio erano del giugno 2001, quindi, erano fuori dal perimetro dell’indagine svolta dall’autorità garante risalente al 2003-2004, la ricorrente ritiene che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che la clausola n. 6 fosse identica a quella riprodotta nello schema Abi, non avendo la controparte prodotto lo schema Abi; quindi, – insiste la banca -non si capisce come il giudice d’appello sia giunto a tale conclusione.

In aggiunta, la Corte d’appello non avrebbe accertato se gli operatori bancari già nel 2001, quando avevano stipulato le fideiussioni avevano avuto una condotta scorretta, non potendo ciò desumersi dagli accertamenti condotti dalla Banca d’Italia, perché detti accertamenti erano circoscritti esclusivamente allo schema ABI del 2003 e non coinvolgevano un modello non scritto risalente al 2001; né il giudice a quo avrebbe potuto ritenere detto modello frutto di una pratica concordata tra le imprese bancarie volta a determinare un’offerta non differenziata e quindi imposta ai clienti, “come se la condotta anticoncorrenziale accertata a partire dal 2003 in relazione allo schema ABI e dipendente dalla sua uniforme applicazione nel corso dello stesso anno potesse essere retrodatata al 2001 per effetto di tale prassi”.

Prassi – sostiene la banca – non è sinonimo di intesa e comunque spettava ai garanti dimostrare il carattere uniforme dell’applicazione della clausola contestata, in quanto elemento costitutivo della pretesa e che essa era frutto di una intesa posta in essere materialmente prima del contratto denunciato come nullo, e che anche l’appellata avesse partecipato all’intesa, non bastando il fatto che appartenesse al sistema bancario.

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5) Con il quinto motivo la banca si duole della violazione e/o falsa applicazione della l. n. 287/1990, con riguardo alla sanzione asseritamente riconducibile alla violazione del provvedimento ABI n. 55/2005 e/o dell’art. 1421 cod. civ., ex art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ.

Con la memoria depositata in vista dell’odierna Camera di Consiglio la ricorrente ha dichiarato di rinunciare parzialmente al quinto motivo di ricorso, a seguito del deposito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 41994/2021, ed ha chiesto di riformularlo nei seguenti termini:

“Violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 cod. civ.”; l’illustrazione corrisponde a quanto dedotto a p. 35 del ricorso con riferimento al fatto che la Corte d’appello non avesse dichiarato nulla la clausola, ma l’avesse disapplicata.

Nella memoria la censura è meglio articolata.

Il giudice d’appello dichiarando “non operativa” la clausola in deroga all’art. 1957 cod. civ. sub art. 6 condizioni generali di fideiussione, senza una preventiva dichiarazione di nullità dell’intera fideiussione o almeno di detta clausola, ed omettendo altresì di precisare se tale dichiarazione di “non operatività” discendesse dall’esercizio di un proprio potere officioso oppure dall’accoglimento della domanda di nullità avversaria, esplicitata solo in grado d’appello (pur con l’ingente lacuna della mancata produzione dello schema ABI, risalente ancora al primo grado), sarebbe incorsa nella violazione dell’insegnamento della pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte, n. 26242/2014, secondo cui il giudice può effettivamente rilevare d’ufficio una causa di nullità del contratto, sottoponendola al contraddittorio delle parti “(…) solo se questa emerge dai fatti allegati e provati, o comunque ex actis”, ribadito dalla giurisprudenza successiva proprio con riguardo alle fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI, secondo cui il giudice del gravame non può dichiarare per la prima volta in appello la nullità parziale della fideiussione omnibus conforme allo schema ABI, qualora in primo grado la parte onerata non abbia dedotto la conformità delle clausole contrattuali a detto modello, né abbia prodotto in giudizio tale documento.

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6) Con il sesto motivo la banca lamenta la violazione dell’art. 1957 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ..

Oggetto di impugnazione è la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che onde evitare l’applicazione dell’art. 1957 cod. civ. sarebbe stato suo onere dimostrare di aver proposto le proprie istanze avverso la debitrice entro il termine di sei mesi decorrente dal 21 ottobre 2015.

Il fatto che il fideiussore, dietro semplice richiesta, dovesse provvedere al pagamento delle somme, ai sensi dell’art. 7 del contratto, avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a qualificare il contratto come contratto autonomo di garanzia o almeno avrebbe dovuto considerare detta previsione destinata ad affievolire la natura accessoria del contratto, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1957 cod. civ..

7) Va data priorità allo scrutinio del secondo motivo di ricorso, perché il suo eventuale accoglimento determinerebbe l’assorbimento delle restanti censure.

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Detto motivo è infondato.

Va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (così Cass., Sez. Un., 16/06/2006, n. 13916 e successiva giurisprudenza conforme).

A fronte di tali argomenti, il motivo di ricorso in esame riporta, a p. 8 e ss., la sentenza n. 2365/2018 del Tribunale di Vicenza, emessa all’esito del giudizio Rg n. 4519/2017.

Rileva la Corte che dalla lettura del trascritto provvedimento si evince senza possibilità di dubbio che le parti di quel giudizio erano le stesse del giudizio odierno: la Banca (…) credito cooperativo e Sa.Ma., Ra.Fr. e Ra.Di.. Dalla motivazione di quella sentenza si deduce poi anche la sussistenza di un’identica causa petendi, perché anche in quel giudizio Sa.Ma., Ra.Fr. e Ra.Di. avevano proposto opposizione avverso un provvedimento monitorio ottenuto dalla banca nei loro confronti.

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Il credito su cui erano azionati i provvedimenti monitori, pur trovando causa nella fideiussione prestata a favore della banca per le obbligazioni (…) Srl, non si riferivano a contratti di garanzia relativi ai medesimi debiti.

La banca aveva azionato nei due giudizi crediti diversi derivanti da rapporti giuridici distinti.

Il provvedimento monitorio su cui si è pronunciato il Tribunale di Vicenza con la sentenza n. 2365/2018 riguardava una fideiussione a favore della banca a garanzia dei contratti di affidamento in conto corrente ipotecario nn. (Omissis) e (Omissis).

Il decreto ingiuntivo che ha dato origine al procedimento per cui è causa, invece, aveva ad oggetto l’escussione della fideiussione, fino all’importo massimo di Euro 1.000.000,00, a garanzia dell’esposizione della (…) relativa ad un contratto di mutuo fondiario risalente all’ottobre 2007, al saldo passivo del conto corrente n. (Omissis), stipulato in data 30 gennaio 2002, al conto corrente n. (Omissis) risalente al 5 dicembre 2008.

Deve, dunque, ritenersi mancante l’identità di petitum.

La giurisprudenza di questa Corte in precedenza richiamata, alla quale l’odierna pronuncia intende dare ulteriore continuità, impone di affermare che solo se il giudice avesse accertato, tra le stesse parti, in relazione alla medesima causa petendi e allo stesso petitum, che il fideiussore non poteva far valere la nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust non avrebbe poi potuto un giudice diverso, in relazione allo stesso contratto tra le stesse parti, affermare il contrario; non così nel caso di specie in ragione del fatto che il credito azionato con il provvedimento monitorio su cui si è espresso il Tribunale Vicentino all’esito del giudizio Rg n. 4519/2017 non riguardava lo stesso rapporto giuridico; perciò, dovendosi riconoscere ad ogni credito vita propria, deve negarsi efficacia di giudicato alla sentenza n. 2356/2018, per far valere la quale sarebbe stato necessario che nel giudizio odierno e in quello individuato dal Rg n. 4519/2017, tra le stesse parti fossero stati valere due crediti fondati sul medesimo rapporto giuridico; l’accertamento compiuto in ordine alla situazione giuridica, la qualità di soggetti non legittimati a far valere la nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, avrebbe precluso il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, e ciò anche se il successivo giudizio, cioè quello davanti a questa Corte, avesse avuto finalità diverse da quelle che avevano costituito lo scopo ed il “petitum” del primo (così Cass. 3/09/2019, n. 21973; Cass. 14/09/2022, n. 27013; Cass. 24/03/2023, n. 8445).

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8) Il primo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha correttamente richiamato e altrettanto correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte che ritiene legittimati a far valere la violazione della l. n. 287/1990 tutti i soggetti del mercato che abbiano subito un danno dall’illecito anticoncorrenziale.

Sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 2207 del 4/02/2005, è pacifico che l’art. 1 della l. 287/1990, quando vieta le intese che abbiano per effetto o per oggetto di impedire, restringere o falsare “in maniera consistente” il gioco della concorrenza “all’ interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”, ripete l’art. 81 del TUE “salvo che per la norma comunitaria la rilevanza quantitativa è data ovviamente dall’ambito comunitario. Ma ciò che conta rispetto al problema che ne occupa è il rilievo dimensionale della fattispecie, che si spiega con il fatto che oggetto della tutela della legge n 287 del 1990, come già del Trattato, è appunto la struttura concorrenziale del mercato di riferimento, la quale ragionevolmente non viene messa in discussione da un comportamento che per quanto ontologicamente rispondente alla fattispecie di cui si tratta, per la sua dimensione, non incide significativamente sull’assetto che trova” e che “l’ampia tutela accordata dalla legge nazionale antitrust, in armonia con il Trattato, non ignora la plurioffensività possibile del comportamento di vietato (cfr. Cass. n. 827 del 1999). Un’ intesa vietata può ledere anche il patrimonio del singolo, concorrente o meno dell’autore o degli autori della intesa”.

La pronuncia – ben diversamente da quanto intende la banca ricorrente – non ha voluto restringere al consumatore la legittimazione ad agire per far valere l’illecito anticoncorrenziale, ma ha voluto dimostrare che, stante la diversità di ambito e di funzione della tutela codicistica della concorrenza sleale rispetto a quella prevista della legge antitrust, quest’ultima “non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere”. Ha dunque ampliato la platea dei soggetti tutelati dalla normativa sulla concorrenza, togliendo “alla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “a valle”” (Cass., Sez. Un., 4/02/2005, n.2207, cit.).

9) Il terzo motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha enunciato più rationes decidendi, allo scopo di ritenere gli appellati legittimati a far valere la invalidità della fideiussione.

Dopo aver enunciato il principio secondo cui per avvalersi della tutela della concorrenza non è necessario rivestire la qualità di consumatore, ha osservato che “comunque” (Par. 2., p. 6) i garanti nel caso di specie possedevano tale veste, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui non può negarsi al fideiussore la qualificazione di consumatore solo perché ha garantito l’obbligazione assunta da una società commerciale verso la banca. Si tratta, tuttavia, di una statuizione sì corretta, ma resa ad abundantiam, che la ricorrente non aveva interesse ad impugnare. Trova applicazione, infatti, il principio secondo cui è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam, e pertanto non costituente una ratio decidendi della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cfr. 03/09/2021, n. 23885).

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10) Il quarto motivo è inammissibile in tutte le sue articolazioni.

Che non fosse stato versato in atti lo schema ABI non emerge dalla impugnata sentenza; si tratta di un’argomentazione difensiva che è che nuova, perché non risulta mai dedotta in precedenza e come tale inammissibile, oltre che basata su mere asserzioni della banca ricorrente.

In ogni caso, è stata denunciata – attraverso detta censura – la violazione dell’art. 2697 cod. civ. ma senza dedurre che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Questa Corte – secondo un orientamento costante che il Collegio intende ribadire – ritiene che il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 cod. civ. non possa argomentarsi solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie abbia condotto ad un esito non corretto; perché il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. (se si considera l’art. 2697 cod. civ. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. (se si considera l’art. 2697 cod. civ. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360 n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo (cfr. Cass., Sez. Un., 5/08/2016, n. 16598).

Va disattesa la censura basata sul fatto che la fideiussione per cui è causa era stata stipulata nel 2001; il Collegio intende dare continuità all’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprende anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza (Cass. 12/12/2017, n.29810; il principio è stato più volte ripreso, cfr., tra le decisioni massimate più recenti, Cass. 4/07/2023, n. 18794.

In applicazione di detto principio, contrariamente a quanto deduce la banca ricorrente, la Corte territoriale ha accertato che, sebbene la fideiussione fosse anteriore al provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 e anteriore anche rispetto allo schema ABI, le associazioni di categoria adottavano modelli di fideiussione standardizzate, che anche la Banca d’Italia aveva accertato (aggiungendo che a detto accertamento era da riconoscersi un’elevata attitudine probatoria) che ciò avveniva anche prima della predisposizione dello schema Abi, che tale comportamento aveva determinato un effetto distorsivo della concorrenza.

Le censure della ricorrente non colgono nel segno e comunque – a tutto concedere – sono volte a sollecitare un diverso accertamento dei fatti di causa, in contrasto con il carattere morfologico e funzionale del giudizio di legittimità.

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Errato è anche il rilievo attribuito alla circostanza di non aver partecipato all’intesa anticoncorrenziale. Questa Corte (cfr. Cass. 1/2/1999, n. 827) aveva già affermato che la L. n. 287 del 1990, art. 2, (la cosiddetta legge “antitrust”), “allorché dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà’ tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”. Il legislatore – infatti – con la suddetta disposizione normativa ha inteso – in realtà ed in senso più ampio – proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche; il che può essere il frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”. Si rendono -così – rilevanti qualsiasi condotta di mercato (anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale) purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Da ciò consegue che, allorché l’articolo in questione stabilisce la nullità delle “intese non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.

Pertanto, qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust (Cfr. anche Cass., Sez. Un., 30/12/2021, n. 41994 e tra le decisioni più recenti massimate Cass. 13/12/2023, n. 34889).

10) Il sesto motivo è inammissibile.

Come già si è anticipato, la riformulazione del quinto motivo di ricorso ha comportato la rinuncia da parte della banca a denunciare il fatto che l’accoglimento della pretesa dei garanti avrebbe dovuto – a tutto concedere – comportare il risarcimento del danno, ma non anche la nullità/invalidità della clausola. A p. 35 si legge, infatti, “… il Giudice d’Appello ha con tutta evidenza errato ove si è riferita al danno pur in realtà accogliendo, di fatto, la tesi della nullità/invalidità/inefficacia della clausola 6) della fidejussione derogatoria dell’art. 1957 cod. civ.”.

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La sentenza d’appello smentisce la circostanza che i garanti non avessero chiesto la declaratoria di nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust. A p. 5 della sentenza si legge, infatti, che il Tribunale aveva disatteso l’eccezione di nullità per il fatto che la fideiussione riproducesse pedissequamente il modello ABI”.

Il che, unitamente alla circostanza che l’assunto da cui muovono le censure della ricorrente è che i garanti non avessero prodotto in giudizio lo schema ABI – circostanza si ribadisce mai contestata nei precedenti gradi di merito ed affermata in maniera assolutamente assertiva dalla banca in questa sede – svuota di ogni rilevanza le censure mosse alla sentenza impugnata.

Come la banca stessa riconosce la Corte d’appello, pur non avendo espressamente dichiarato nulla la clausola n. 6, l’ha operativamente trattata come tale, perché l’ha espunta dal contratto ed ha ritenuto preclusa alla banca la facoltà di escutere la fideiussione in deroga all’art. 1956 cod. civ. Ha quindi deciso in linea con l’orientamento successivamente avallato dalle Sezioni unite, con la pronuncia n. 41994/2021, citata.

11) Il settimo motivo è inammissibile.

I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 02/09/2021, n.23792). Ora, la banca ha sì riprodotto il contenuto della clausola n. 7 del contratto, allo scopo di dimostrare il suo assunto difensivo, ma ciò non basta, perché non risulta che il giudice di merito fosse stato investito della questione relativa alla diversa qualificazione giuridica del contratto per cui è causa.

12) Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.

13) Non deve provvedersi alla liquidazione delle spese non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso il 5 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2024.

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