Decisione di rito definitoria del giudizio e motivazione anche sul merito insussistenza dell’interesse all’impugnazione 

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 settembre 2024| n. 24405.

Decisione di rito definitoria del giudizio e motivazione anche sul merito insussistenza dell’interesse all’impugnazione 

Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente, è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (Nel caso di specie, nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte, richiamato l’enunciato principio, ha dichiarato inammissibile il motivo di impugnazione con cui parte ricorrente, aveva articolato argomenti diretti a dimostrare l’erroneità della statuizione di merito). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 20 febbraio 2007, n. 3840).

Ordinanza|11 settembre 2024| n. 24405. Decisione di rito definitoria del giudizio e motivazione anche sul merito insussistenza dell’interesse all’impugnazione 

Data udienza 21 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Impugnazioni – Decisione di rito definitoria del giudizio – Motivazione anche sul merito – “Potestas iudicandi” – Insussistenza – Onere e interesse all’impugnazione – Insussistenza – Conseguenze. (Cpc, articoli 100, 132 e 360)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere Rel.

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29954/2020 R.G. proposto da:

(…) Spa, domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CI.CO. (Omissis)

– ricorrente –

contro

(…) Srl, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GE.FR. (Omissis)

– controricorrente –

nonché contro

Fa.Vi.

– intimato –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 621/2020 depositata il 13/03/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2024 dal Consigliere MAURO DI MARZIO.

Decisione di rito definitoria del giudizio e motivazione anche sul merito insussistenza dell’interesse all’impugnazione 

RILEVATO CHE

1. – (…) Spa ricorre per tre mezzi, illustrati da memoria, nei confronti di (…) Srl e Fa.Vi., contro la sentenza del 13 marzo 2020, con cui la Corte d’Appello di Catania, provvedendo in parziale riforma di sentenza del locale Tribunale, ha condannato (…) Srl e Fa.Vi. al pagamento in favore di Banca (…) Spa, della somma, inferiore a quella riconosciuta dal primo giudice, di Euro 4.888,25, con accessori e compensazione integrale di spese.

2. – (…) Srl e Fa.Vi. resistono con controricorso.

CONSIDERATO CHE

3. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2935 c.c., nonché 115 e 116 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto l’esistenza di un affidamento, tale da comportare la qualificazione delle rimesse effettuate dal correntista sul conto quali rimesse ripristinatorie, con le relative conseguenze sul piano del decorso del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito, sulla base della non contestazione della banca.

Il secondo mezzo denuncia omessa pronuncia su un motivo d’appello, nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c.

Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 120, secondo comma, del testo unico bancario come modificato dall’articolo 25 del decreto legislativo numero 342 del 1999.

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RITENUTO CHE

4. – Il ricorso va respinto.

4.1. – Il primo mezzo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Esso è inammissibile laddove censura la sentenza per aver reputato esistente una non contestazione in ordine all’affidamento, non contestazione che – secondo la parte ricorrente – non v’era, attesa la genericità della allegazione dell’affidamento del conto sul quale venivano effettuate le rimesse.

Deve difatti farsi applicazione del principio secondo cui l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490).

Nel caso di specie il ricorso non contiene una denuncia di vizio motivazionale, il che esime dall’osservare che l’affermazione del giudice di merito in ordine alla sussistenza di un affidamento è stata sostenuta da una motivazione eccedente la soglia del “minimo costituzionale”, giacché la Corte d’Appello ha posto l’accento non solo sulla non contestazione, bensì anche su documentazione dalla quale emergeva l’esistenza dell’affidamento, in particolare il contratto di conto corrente nel quale era indicato il tasso debitorio entro ed “oltre i limiti dell’affidamento”.

Lo stesso mezzo è poi infondato laddove sostiene che l’affidamento richiederebbe ineluttabilmente la forma scritta, sicché “la mera indicazione di un tasso a nulla rileva non potendosi equipararla alla prova della esistenza di quel contratto che deve essere fornita dal correntista”. È difatti vero che, in linea generale, il contratto di apertura di credito richiede la forma scritta richiesta dall’articolo 117 del testo unico bancario – senza che qui vi sia ragione di soffermarsi sull’ipotesi che l’affidamento sia già previsto e disciplinato nel contratto di conto corrente, stipulato per iscritto, come stabilito dalla delibera C.I.C.R. del 4 marzo 2003, in applicazione dell’art. 117, comma 2, citato -, ma si tratta di un requisito formale assistito da nullità di protezione, alla stregua dell’articolo 127 dello stesso testo unico bancario, con l’ulteriore conseguenza che la mancanza di forma scritta può essere fatta valere dal correntista, non certo dalla banca.

4.2. – Il secondo mezzo è inammissibile.

Il Tribunale ha ritenuto che la banca non avesse diritto alla capitalizzazione degli interessi neppure in relazione al periodo successivo al 30 giugno 2000, sulla base della poc’anzi menzionata delibera C.I.C.R., sull’assunto che l’introduzione di clausole di capitalizzazione con la medesima periodicità intanto fosse vincolante ed è efficace nei confronti del cliente, in quanto fosse stata dallo stesso accettata e convenuta per iscritto. A fronte di ciò la banca ha ricordato in ricorso di aver proposto appello “nella parte in cui il giudice di prime cure ha erroneamente ritenuto illegittima la clausola anatocistica”. A pagina 14 dello stesso ricorso si prosegue affermando che nell’atto d’appello seguiva “lo sviluppo del motivo con cui si andava a dimostrare la validità della introduzione della clausola di anatocismo in regime di reciprocità mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed invio dell’estratto conto senza necessità di espressa sottoscrizione tenuto conto che si trattava di clausola migliorativa e non peggiorativa delle condizioni contrattuali”. Dopo di che si afferma che la Corte d’Appello, nel dichiarare inammissibile per genericità il motivo, avrebbe errato dal momento che l’affermazione del giudice di merito sarebbe “contraddetta per tabulas proprio dal tenore letterale dell’incipit del motivo di appello come sopra riportato”.

Ciò detto, occorre ricordare che, effettivamente, la Corte d’Appello ha giudicato inammissibile il motivo “non avendo parte appellante incidentale censurato la specifica motivazione del primo giudice, secondo la quale “l’introduzione di clausole che prevedono la capitalizzazione con la medesima periodicità, intanto deve ritenersi vincolante ed efficace nei confronti del cliente, in quanto sia stata dallo stesso accettata e convenuta per iscritto”.

Tale affermazione è, in linea di principio, corretta in iure, dal momento che il motivo d’appello è ammissibile laddove contenga, oltre alla componente volitiva, quella argomentativa, volta a confutare la ratio decidendi che, in fatto o in diritto, sostiene la decisione impugnata (basterà rammentare sulla materia la pronuncia delle Sezioni Unite n. 27199 del 16 novembre 2017). Ora, nel nostro caso, “dal tenore letterale dell’incipit del motivo di appello come sopra riportato”, ossia dall’affermazione della banca di aver proposto appello “nella parte in cui il giudice di prime cure ha erroneamente ritenuto illegittima la clausola anatocistica” emerge soltanto quale fosse il quantum appellato, ma non emerge affatto quale fosse il quia.

Il quia dovrebbe palesarsi, nell’ambito del ricorso per cassazione, nella frase: “Segue lo sviluppo del motivo con cui si andava a dimostrare la validità della introduzione della clausola di anatocismo in regime di reciprocità mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed invio dell’estratto conto senza necessità di espressa sottoscrizione tenuto conto che si trattava di clausola migliorativa e non peggiorativa delle condizioni contrattuali”: frase che invece, di per sé, non dice nulla, giacché non spiega in che cosa consistesse l’erroneità dell’affermazione del giudice di primo grado, tanto più che la stessa ricorrente per cassazione riconosce, nel corpo del successivo terzo motivo, di avere contezza dell’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte che, per l’appunto, ha richiesto al riguardo un’apposita pattuizione.

Se, dove e secondo quale iter logico-giuridico segua poi effettivamente “lo sviluppo del motivo” dal motivo di ricorso per cassazione non risulta affatto.

Decisione di rito definitoria del giudizio e motivazione anche sul merito insussistenza dell’interesse all’impugnazione 

Nella materia questa Corte, ha stabilito che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo il quale, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, è necessario che questi ultimi siano riportati nell’atto d’impugnazione, deve essere interpretato in maniera elastica, in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte – oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., come novellato dal D.Lgs. n. 149 del 2022 – dovendosi perciò ritenere che la trascrizione del motivo non sia indispensabile, a condizione che il suo contenuto sia sufficientemente determinato in modo da renderlo pienamente comprensibile e ne sia fornita una specifica indicazione, tale da consentirne l’individuazione nell’ambito dell’atto di appello (Cass. 2 maggio 2023, n. 11325): e, però, anche interpretato nel senso più elastico, qui non c’è nulla che consenta di stabilire quale fosse l’effettivo contenuto del motivo d’appello, non potendo certo immaginarsi che la Corte di cassazione vada alla ricerca di detto contenuto nell’atto d’appello pur in assenza di alcuna indicazione, in questo caso neppure approssimativa, nel ricorso per cassazione, poiché ciò si risolverebbe in una violazione del principio di autosufficienza alla cui osservanza questa stessa Corte è tenuta, oltre che dell’essenziale principio di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308). In fin dei conti il motivo non contiene una specifica critica dell’affermazione svolta dal giudice di merito in ordine alla genericità del motivo d’appello.

Dunque il secondo mezzo è inammissibile.

3. – È conseguentemente inammissibile il terzo mezzo.

La ricorrente evidenzia che il giudice di appello, dopo aver affermato l’inammissibilità del detto motivo per genericità, aveva nondimeno confermato nel merito la correttezza della decisione del Tribunale: e quindi svolge argomenti diretti a dimostrare l’erroneità di detta statuizione di merito.

Ma è cosa nota che: “Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata” (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840).

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

Decisione di rito definitoria del giudizio e motivazione anche sul merito insussistenza dell’interesse all’impugnazione 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, il tutto distratto in favore del difensore antistatario, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria l’11 settembre 2024.

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