Decadenza dal beneficio del termine del creditore

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25376.

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

In tema di decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c., la facoltà per il creditore di esigere immediatamente la prestazione, essendo prevista in suo favore, non opera automaticamente e, pur non richiedendo una preventiva pronuncia giudiziale, né un’espressa domanda, postula la manifestazione della sua volontà di avvalersene (nella specie, ravvisata nella notifica dell’atto di precetto al mutuatario inadempiente).

 

Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25376. Decadenza dal beneficio del termine del creditore

Data udienza 11 settembre 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Obbligazioni in genere – Adempimento – Tempo dell’adempimento – Termine – Decadenza stato di insolvenza del debitore – Decadenza dal termine ex art. 1186 c.c. – Ratio – Presupposti – Automatica operatività – Esclusione – Manifestazione di volontà del creditore – Necessità – Fattispecie – Mutuo bancario – Tasso fisso – Rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento “alla francese” di tipo standardizzato tradizionale – Mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori – Causa di nullità parziale del contratto per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto o per violazione della normativa in tema di trasparenza – Esclusione – Cass SU n 15130 del 2024

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. MARULLI Marco – Presidente

Dott.ssa DAL MORO Alessandra – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere – Relatore

Dott. GARRI Guglielmo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 32405/2020 r.g. proposto da:

Sc.Vi., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avvocati Gi.A. ed Ar.At., con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Fe.Co., presso lo studio dell’Avvocato Gi.Pa..

– ricorrente –

contro

DO. Spa (nuova denominazione di Do. Spa, già Un.Cr.Spa), con sede in V, al viale (Omissis) n. (Omissis), in persona del procuratore speciale dott. Antonio Cianchetti, nella qualità di procuratrice speciale di SE.SE.Srl (con sede in Roma, alla via Ma.Ca.), rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato Te.Ca., presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla via Lu.Li..

– controricorrente –

e

BANCA Mo.De. Spa

– intimata –

avverso la sentenza, n. cron. 400/2020, della CORTE DI APPELLO DI LECCE, pubblicata il giorno 29/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 11/09/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese.

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

FATTI DI CAUSA

1. Banca Mo.De. Spa, tramite la propria mandataria Mp. Spa, chiese ed ottenne dal Tribunale di Brindisi il decreto ingiuntivo n. 146/2013, in danno di Sc.Vi., quale fideiussore di No.Do.Srl, per il pagamento della somma di Euro 301.041,34 oltre accessori, di cui Euro 44.370,40 per n. 4 rate semestrali di un contratto di mutuo stipulato in data 1 settembre 1987 (scadute dall’1 gennaio 1996 all’1 luglio 1997); Euro 83.229,79 per capitale residuo all’1 luglio 97 ed il resto per spese e interessi di mora al 23 ottobre 2012.

1.1. Lo Sc.Vi. propose opposizione avverso tale provvedimento deducendo: a) il proprio difetto di legittimazione passiva, atteso che il contratto di fideiussione concluso in data 11 febbraio 1986 – ed esteso nel 1987 fino all’importo di Lire 1 miliardo – in favore di No.Do. Srl non si estendeva anche al credito riveniente dal contratto di mutuo; b) la prescrizione del credito, perché azionato oltre il termine di dieci anni dalla sua esigibilità, connessa alla decadenza dal beneficio del termine comminata per il mancato pagamento delle rate di mutuo scadute dall’1 gennaio 1996 all’1 luglio 1997 e, pertanto, decorrente da tale momento giusta l’art. 10 delle condizioni generali predetto; c) l’indeterminatezza delle somme oggetto di ingiunzione, (con particolare riferimento al saggio di interesse di mora, di cui non sarebbe stato indicato il tasso applicato, ed alla legittimità del piano di ammortamento, perché “alla francese”); d) la violazione del divieto di anatocismo, in quanto gli interessi di mora erano stati applicati sulla intera rata scaduta, sicché erano stati conteggiati anche sulla quota-parte degli interessi di ammortamento del mutuo, di cui ogni rata era comprensiva.

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

1.1. Costituitasi la banca opposta, che contestò interamente le avverse pretese, l’adito Tribunale, con sentenza del 21/24 febbraio 2017, n. 335, rigettò la descritta opposizione.

2. Analogo esito negativo ebbe pure il gravame promosso dallo Sc.Vi. avverso tale decisione, respinto dall’adita Corte di appello di Lecce con sentenza dell’11 marzo/29 aprile 2020, n. 400, pronunciata nel contraddittorio con It. Spa, quale procuratrice di SE.SE. Srl, cessionaria dei crediti di Banca Mo.De. Spa

2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) ribadì la natura cd. omnibus della fideiussione prestata dall’appellante per la Nu.Do. Srl; ii) nel disattendere la doglianza con cui l’appellante aveva chiesto la riforma dell’impugnata sentenza in quanto errata per non avere il primo giudice riconosciuto l’intervenuta prescrizione del credito, richiamò il dettato dell’art. 10 del capitolato dei patti generali di mutuo ex D.P.R. n. 7/1976, che ricalcava pedissequamente l’art. 15 del medesimo D.P.R., e quanto sancito da Cass., SU, n. 12639 del 2008 circa la natura della “condizione risolutiva” menzionata in quest’ultimo, successivamente così opinando: “È pertanto l’esercizio della “condizione risolutiva” di cui si discute che naturalmente determina l’effetto di risolvere il rapporto di mutuo. Pacifico, in materia contrattuale, che la condizione risolutiva (art. 1353 c.c.), ricorre quando le parti subordinano la risoluzione del contratto a un evento futuro e incerto, con la conseguenza che, al verificarsi della condizione, gli effetti del negozio si considerano come mai verificati, mentre la clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), invece, è la clausola, con la quale le parti prevedono che il contratto dovrà considerarsi risolto, qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o non venga adempiuta secondo le modalità stabilite: solo in tal caso, la risoluzione si verifica di diritto, quando la parte non inadempiente dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva. Ciò posto, quindi, la qualificazione come clausola risolutiva espressa da parte delle SU comporta quale corollario che, se pure la risoluzione del contratto opera di diritto, comunque tale effetto va subordinato alla manifestazione della volontà della banca di avvalersi della predetta clausola ex art. 15 D.P.R. n. 7, cit.: la risoluzione automatica del contratto di mutuo, ai sensi dell’art. 1456 c.c., consegue comunque alla dichiarazione del creditore di avvalersi della clausola risolutiva espressa (prevista dall’anzidetta disposizione), e non già direttamente dall’inadempimento del debitore. “La condizione risolutiva postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio “ab origine”, laddove, invece, con la clausola risolutiva espressa, le stesse prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto, ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell’inadempimento della controparte” (v. Cassazione civile sez. II, 02/10/2014, n. 20854).

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

Nella ipotesi in scrutinio, pacificamente solo con la notifica dell’atto di precetto al mutuatario inadempiente in data 7.11.2012 è stata espressa dalla banca mutuante la volontà di avvalersi della condizione risolutiva e tanto, implicando solo all’esito di tale dichiarazione la decadenza del debitore moroso dal beneficio del termine per il pagamento delle somme a scadere (v. anche Cass. 10 aprile 1991 n. 3763), porta a ritenere che il credito sia divenuto esigibile solo alla scadenza naturale del contratto (precedente la decadenza dal beneficio), non essendo intervenuta, prima del 2012, alcuna dichiarazione della banca che – producendo una risoluzione anticipata del contratto – la legittimasse, prima del 2003, ad agire per il recupero del credito, come correttamente ritenuto dal Tribunale, rigettando l’eccezione di prescrizione”; iii) ritenne infondata anche la censura con cui l’appellante aveva contestato la presunta indeterminatezza delle somme richieste con il decreto ingiuntivo opposto, con particolare riferimento alle somme indicate come interessi di mora, nonché alla legittimità del sistema di ammortamento “alla francese”, in riferimento al calcolo delle rate. Circa il

primo aspetto di tale doglianza, ne rilevò “la sua assoluta infondatezza, giacché, nel ricorso per decreto ingiuntivo si fa espresso riferimento all’applicazione, sulle rate semestrali e sul capitale residuo, del tasso convenzionale, quale quello previsto all’art. 10 del contratto di mutuo nella misura del 16,10% annuo, – pure espressamente richiamato nel provvedimento monitorio opposto – pertanto alcuna indeterminatezza può ravvisarsi. Quanto alla richiesta di verificare la correttezza dei calcoli in concreto effettuati dalla banca, la doglianza assolutamente generica, connessa ad una richiesta di indagine tecnica, disattesa dal primo giudice perché meramente esplorativa, non merita accoglimento non avendo la parte formulato specifiche e conferenti censure né all’iter argomentativo del Tribunale né al criterio di calcolo operato in concreto dalla banca, tenuto conto che qualora, nel corso del tempo il tasso convenuto fosse stato superiore ai cd. “tassi soglia”, come previsti dalla normativa introdotta, successivamente, lo stesso sarebbe stato ridimensionato nei limiti di legge, come previsto in contratto”. Con riguardo, invece, alla contestata legittimità del mutuo con ammortamento “alla francese”, il cui utilizzo avrebbe violato il divieto di anatocismo ex artt. 1283 e 1284 c.c., condivise, esaustivamente spiegando le ragioni del proprio convincimento, le argomentazioni svolte dal primo giudice, che aveva ritenuto conforme a diritto il piano di ammortamento “alla francese”; iv) rimarcò, infine, disattendendo la corrispondente doglianza dello Sc.Vi., che “Il contratto di mutuo in scrutinio prevede espressamente che gli interessi di mora siano conteggiati sulla intera rata scaduta, comprensiva quindi anche degli interessi di ammortamento. Tanto è conforme alla normativa vigente all’epoca di conclusione del contratto (1986)”.

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3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso Sc.Vi., affidandosi a tre motivi. Ha resistito, con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ., DO. Spa (nuova denominazione assunta da Do. Spa), nella qualità di procuratrice di SE.SE. Srl È rimasta solo intimata, invece, Banca Mo.De. Spa

3.1. Con nota del 29 febbraio 2024, infine, il difensore del ricorrente ha evidenziato che “questo procedimento, avente per oggetto un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal fideiussore in un contratto di mutuo, appare strettamente connesso: al procedimento r.g. 5170/2020, Sez. I, avente ad oggetto l’opposizione al precetto proposta dalla No.Do. Srl (mutuataria e debitrice principale) in danno di DO. (già It.) pendente innanzi alla Prima Sezione di questa Suprema Corte…; al procedimento r.g. 9904/22, Sez. III, avente ad oggetto il merito della opposizione ad esecuzione immobiliare, conseguita alla notifica dell’anzidetto precetto, pendente innanzi alla Terza Sezione di codesta Suprema Corte e vertente tra le stesse parti, la cui pubblica udienza è stata celebrata in data 27 ottobre 2023 ed in esito alla quale è stata pronunciata l’ordinanza interlocutoria in pari data con cui la Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo per valutare l’opportunità della sua trattazione congiunta con il procedimento n. 5170/2020 r.g. Pertanto il presente procedimento r.g. 32045/2020, Sez. I, di opposizione al decreto ingiuntivo promosso dal fideiussore arch. Sc.Vi., coobbligato nel contratto di mutuo di cui innanzi, promosso nei confronti di It. (oggi DO.), appare anch’esso strettamente connesso ai primi due atteso che, laddove dovesse ritenersi insussistente il debito principale della No.Do., tale decisione non potrebbe che spiegare i suoi effetti anche con riferimento alla obbligazione del fideiussore”.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che, sebbene sia effettivamente ravvisabile una connessione oggettiva (sotto il profilo della risoluzione di questione almeno in parte analoghe) e parzialmente soggettiva tra questo procedimento e quelli, rispettivamente nn.rr.gg. 5170/2020 e 9904/2022, comunque non se rivela opportuna la sua riunione a questi ultimi, essendo sufficiente, al fine di evitare decisioni potenzialmente tra essi contrastanti, l’avvenuta loro trattazione nella medesima camera di consiglio.

2. Tanto premesso, i formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:

I) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419, 1421 e 1422 c.c. nonché dell’art. 2 della L. n. 287/1990 – Mancato rilievo di ufficio della nullità totale del contratto di fideiussione omnibus – Insussistenza del credito – Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”, contestandosi alla corte distrettuale il mancato rilievo d’ufficio della nullità della fideiussione omnibus prestata dallo Sc.Vi. in ragione di quanto sancito dal provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005, n. 55;

II) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. per violazione dei canoni ermeneutici nella interpretazione di contratti, con particolare riferimento all’art. 10 del Capitolato dei Patti Generali di Mutuo, allegati al contratto di mutuo fondiario – Art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c.”. Si ascrive alla corte distrettuale di avere risolto la questione cardine di tutto il giudizio, vale a dire quella della fondatezza, o meno, della eccezione di prescrizione del credito azionato (sia nei confronti della debitrice principale, No.Do. Srl, con l’atto di precetto notificato il 7 novembre 2012, sia nei confronti del fideiussore, Arch. Sc.Vi., con il decreto ingiuntivo 146/2013 del 14 marzo 2013), con poche parole, senza soffermarsi, in maniera assolutamente censurabile, sulla portata dell’art. 10 dei Patti Generali di Mutuo (D.P.R. n. 7/1976), concentrando, inammissibilmente, ogni attenzione ed argomentazione sulla applicabilità o meno, alla vicenda che qui occupa, dell’art. 15 del D.P.R. n. 7/1976, mai oggetto di discussione o di censura;

III) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di distribuzione dell’onere della prova, e dell’art. 115 c.p.c. – Indeterminatezza delle somme richieste dalla banca; violazione e falsa applicazione degli artt. 1283 c.c., in tema di divieto di anatocismo, e 1284 c.c. sul saggio di interessi: il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”. Si sostiene che “La Corte d’Appello ha errato anche la valutazione circa la contestata indeterminatezza delle somme richieste con il decreto ingiuntivo opposto, per non aver valutato che la Banca ricorrente in via monitoria non aveva assolto l’onere della prova, che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., sulla stessa incombeva, dell’esistenza nonché della consistenza del credito. Il Giudice di Appello non ha invero considerato, nonostante il sollevato vizio di indeterminatezza delle somme oggetto di intimazione da parte della difesa scrivente, che la Banca (si ricorda attore in senso sostanziale) non aveva provveduto a fornire alcuna prova circa l’importo delle rate scadute e del capitale, nonché delle somme rivendicate: da tale mancato assolvimento dell’onere probatorio e dalla conseguente limitazione del diritto di difesa, non poteva non discendere l’assoluta inesistenza del credito e, quindi, la nullità del decreto ingiuntivo opposto….. Allo stesso modo, non possono essere condivise le conclusioni della Corte d’Appello… circa la irrilevanza del tasso di interessi applicato dalla Banca così come della violazione del divieto di anatocismo. Infatti, il contratto di mutuo risulta strutturato con un sistema di ammortamento, cosiddetto “francese”, da ritenersi assolutamente illegittimo laddove, in ipotesi di inadempimento, sulla intera rata costante (comprensiva quindi di interessi di ammortamento e capitale) vengano computati ulteriori interessi.

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

Detto calcolo, infatti, determina e dà luogo, già nella sua stessa originaria elaborazione, ad una forma di capitalizzazione degli interessi che, oltre ad incidere sulla quantificazione di questi ultimi, e quindi sull’ammontare di ciascuna rata, riverbera i suoi propri effetti anche sul capitale residuo, giacché la rata stessa, qualora fosse epurata da detta forma impropria di capitalizzazione, si comporrebbe, a parità di somme versate per ciascuna, di una maggiore quota di capitale già corrisposto e determinerebbe, quindi, una minore quantità di capitale residuo. Allo stesso modo, non può concordarsi con quanto concluso dal Giudice di appello relativamente al mancato riconoscimento della violazione del divieto di anatocismo…., giacché, con la motivazione al riguardo, la Corte legittima il superamento del divieto di anatocismo con le previsioni legislative vigenti, ratione temporis, all’epoca della conclusione del contratto; ma omette, del tutto, di considerare che ciò che viene in rilievo è il momento in cui la banca ha inteso quantificare il proprio credito, vuoi con il precetto intimato alla No.Do., vuoi con il decreto ingiuntivo in danno dell’Arch. Sc.Vi., vale a dire a cavallo tra il 2012 ed il 2013, epoca in cui quello di anatocismo costituiva un divieto conclamatamente sancito e riconosciuto”.

3. Il primo di tali motivi è insuscettibile di accoglimento, atteso che, se é vero che un’eventuale nullità della fideiussione omnibus prestata dallo Sc.Vi. poteva anche essere rilevata di ufficio dal giudice di appello, ciò, tuttavia, avrebbe richiesto che l’allegazione dei fatti posti a base della invocata nullità fossero stati già tempestivamente allegati in primo grado. Tanto non risulta essere avvenuto.

3.1. In proposito, è sufficiente richiamare le esaurienti argomentazioni rinvenibili nella motivazione (pag. 7 e ss.) di Cass. n. 19401 del 2024, su questione assolutamente analoga, laddove si è osservato che: “…, va ricordato, innanzitutto, che le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate ampiamente del problema della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242, i cui princìpi sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251 del 2018, Cass. n. 26495 del 2019, Cass. n. 20170 del 2022 e Cass. n. 28377 del 2022). In quella sentenza è stato affermato, tra l’altro, che, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista – per così dire – quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. nn. 2607, 5038, 5478 e 10712 del 2024)”.

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3.1.1. Nel caso in esame, l’accertamento sulla fondatezza, o meno, dell’eccezione di nullità di cui qui si discute (riguardante, come si ricorderà, la nullità della fideiussione prestata dallo Sc.Vi. in relazione allo specifico profilo della violazione della normativa antitrust alla stregua di quanto sancito nel provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005 e da Cass. n. 29810 del 2017) – che, quando proposta, per la prima volta, in appello, come accaduto nella specie, era evidentemente ammissibile, in quanto eccezione in senso lato, anche al di là dei limiti e delle preclusioni processuali ormai maturate – poggia su circostanze fattuali (riguardanti, tra l’altro: il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità; la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato; la concreta riferibilità di quanto sancito in quest’ultimo, frutto di accertamenti che avevano riguardato un intervallo temporale ricompreso tra il 2002 ed il 2005, ad un contratto di fideiussione stipulato in epoca ampiamente anteriore ad esso, nel febbraio 1986, con successiva estensione avvenuta l’anno successivo, come dedotto alla pag. 7 del ricorso; la circostanza che il medesimo ricorrente certamente non avrebbe sottoscritto quella fideiussione in assenza delle clausole contestate, ricordandosi, a quest’ultimo proposito, che: i) giusta Cass., SU, n. 41994 del 2021, “I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”; ii) come sancito da Cass. n. 18794 del 2023, “Il concetto di nullità parziale, di cui all’art. 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell’estensione all’intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al

giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto”) che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto ritualmente introdurre e chiedere di provare indicandone i mezzi istruttori da utilizzarsi a tale scopo, già in primo grado.

3.1.2. Alteris verbis, Sc.Vi. avrebbe dovuto tempestivamente allegare, già innanzi al Tribunale (ma di tanto non vi adeguata indicazione nella doglianza in esame, ricavandosene, anzi, il contrario), i fatti costitutivi funzionali a fondare la nullità da lui poi solo oggi invocata o la legittimità di una successiva rilevazione officiosa della stessa.

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4. Il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato.

4.1. In particolare, è inammissibile nella parte in cui si dilunga sulla pretesa corretta interpretazione dell’art. 10 del capitolato patti generali mutuo: ciò perché non è minimamente indicato come il giudice a quo avrebbe violato il canone ermeneutico indicato.

4.1.1. Basta, ricordare, allora, che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 13005 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass. n. 35787 del 2022; Cass. n. 35041 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 19146 del 2022; Cass. n. 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019; Cass. n. 14938 del 2018; Cass. n. 25470 del 2019), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia -in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016). La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

4.2. La censura è infondata, invece, nella parte in cui pretende di far decorrere il termine di prescrizione dall’1 luglio 1997, piuttosto che dalla data (7 novembre 2012) di notificazione del precetto da parte della banca.

4.2.1. Infatti, quest’ultima notifica, per costante giurisprudenza di legittimità, equivale a volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa individuabile nella previsione di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 7 del 1976 (vedi Cass., SU, n. 12639 del 2008; Cass. n. 20449 del 2005. Vedi anche la recente Cass. n. 9369 del 2024).

4.3. È noto, poi, che la risoluzione di diritto di un contratto, prevista dai contraenti con apposita pattuizione quale conseguenza dell’inadempimento -di qualsiasi entità – di una determinata obbligazione, non si verifica automaticamente, ma solo nel momento in cui il contraente, nel cui interesse la clausola sia stata pattuita, comunichi all’altro contraente inadempiente intende avvalersi della clausola stessa (cfr., in motivazione, Cass. n. 9639 del 2024; Cass. n. 5455 del 1997; Cass. n. 7178 del 2002), tanto è vero che, quando il diritto potestativo di risolvere il contratto in forza di tale clausola risulti proposto con domanda giudiziale – non essendo, invero, necessario che sia fatto dalla parte fuori del giudizio e prima di questo (cfr., sul punto, da ultimo Cass. n. 9639 del 2024; Cass. n. 9275 del 2005) – la risoluzione retroagisce al momento della domanda e non ad un momento anteriore (così Cass. n. 3575 del 1975, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 9639 del 2024). Né contrasta con tale conclusione il disposto dell’art. 1458 cod. civ., giacché se è vero che tale norma si applica pure alla risoluzione ex art. 1456 cod. civ. (cfr., in motivazione, Cass. n. 3455 del 2015), essa, nello stabilire che la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, non si applica ai contratti ad esecuzione continuata e periodica, quale deve ritenersi quello di finanziamento da cui derivava il credito azionato in via esecutiva.

4.4. Può ragionevolmente ribadirsi, inoltre, il principio di Cass. n. 2366 del 1968 (che, sebbene risalente, non risulta essere stato successivamente smentito), secondo cui, in tema di prescrizione, occorre distinguere il termine per l’esercizio della facoltà di emettere la dichiarazione risolutoria, ex art. 1456 cod. civ. che decorre dalla data dell’inadempimento, dal termine per l’esercizio delle azioni che presuppongono l’avvenuta risoluzione, termine, questo ultimo, che decorre appunto dalla data in cui la fattispecie risolutoria si è perfezionata, a norma del secondo comma dello articolo predetto.

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

4.5. Va rimarcato, poi, che la disposizione di carattere generale dell’art. 1186 cod. civ., che consente al creditore di esigere immediatamente la prestazione anche quando per essa sia stato stabilito un termine nell’interesse del debitore, se questo è divenuto insolvente o ha diminuito per fatto proprio le garanzie o non ha dato le garanzie promesse, non postula il conseguimento di una preventiva pronuncia giudiziale, né la formulazione di un’espressa domanda, potendo essere il diritto al pagamento immediato virtualmente dedotto con la domanda giudiziale (cfr. Cass. n. 20042 del 2020;

Cass. n. 24330 del 2011; Cass. n. 6984 del 2003; Cass. n. 5371 del 1989). A ciò dovendosi soltanto aggiungere che la disposizione suddetta è posta a favore del creditore, sicché, lungi dal potersi ritenere che la stessa operi automaticamente, al semplice verificarsi, cioè, di un inadempimento, deve opinarsi che la stessa postuli comunque, oltre alle altre condizioni ivi previste (insolvenza del debitore o avvenuta diminuzione, da parte sua, delle garanzie offerte), una manifestazione di volontà del creditore medesimo di volersene avvalere. Nella specie, una siffatta manifestazione di volontà deve ravvisarsi nella notifica dell’atto di precetto al mutuatario inadempiente del 7 novembre 2012, tanto implicando, allora, che solo da tale data era concretamente divenuto esigibile (con conseguente decorso solo da tale data del relativo termine prescrizionale) il credito poi monitoriamente azionato dalla banca nei confronti dello Sc.Vi.

5. Il terzo motivo di ricorso si rivela insuscettibile di accoglimento.

5.1. Esso, invero, è sostanzialmente volto ad ottenere un nuovo esame di merito sulle corrispondenti questioni esaminate dalla corte distrettuale, dovendosi qui opportunamente solo ricordare che: i) atteso quanto si è detto in relazione al secondo motivo, ne consegue che la censura mostra di non tenere in alcun conto la costante giurisprudenza di legittimità concernente le fattispecie in cui si pone una concreta questione di malgoverno di quanto sancito dagli artt. 2697 cod. civ. (configurabile esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella specie nemmeno prospettato – e comunque da rapportarsi – in ipotesi -al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 14 aprile 2020. Cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 19371, 17201, 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006) e 115 cod. proc. civ. (ravvisabile solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge. Cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del 2020); ii) giusta Cass. n. 8093 del 2023, “In tema di mutuo fondiario, stipulato anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 385 del 1993, il mancato pagamento di una rata comporta, ai sensi degli artt. 14 del D.P.R. n. 7 del 1976, 16 della L. n. 175 del 1991 e 38 del r.D.L. n. 646 del 1905, l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte che rappresenta gli interessi di ammortamento, configurandosi una speciale ipotesi di anatocismo legale, che si sottrae al divieto generale di cui all’art. 1283 c.c., poiché solo la disciplina successiva al D.Lgs. n. 385 del 1993, trasformando il credito fondiario in un contratto di finanziamento a medio e lungo termine, garantito da ipoteca di primo grado su immobili, ha implicato l’operatività delle limitazioni di cui all’art. 1283 c.c.” (in senso sostanzialmente conforme, cfr. Cass. n. 25412 del 2013); iii) alla stregua di Cass., SU, n. 15130 del 2024, “In tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento “alla francese” di tipo standardizzato tradizionale, la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori non è causa di nullità parziale del contratto, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti”.

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

6. In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di Sc.Vi. deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U.,

n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e considerato quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso di Sc.Vi. e lo condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, l’11 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Decadenza dal beneficio del termine del creditore

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