Danno salute e aumento risarcimento solo per casi peculiari

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31681.

Danno salute e aumento risarcimento solo per casi peculiari

Massima: In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura “standard” del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento.

 

Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31681. Danno salute e aumento risarcimento solo per casi peculiari

Integrale

Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione – Criteri equitativi danno alla salute – Liquidazione – Criteri di legge o tabellari – Personalizzazione in aumento – Condizioni e limiti.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Presidente di Sezione

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 00676/2023 R.G.,

proposto da

Ra.Lo., in proprio, quale amministratrice di sostegno della figlia Ma.Ni. e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore Ma.Al., anche quali eredi pro quota di Ma.Do.; rappresentate e difese dagli Avvocati Se.St. (pec: Se.St.) e Ma.Ca. (pec: Ma.Or.), in virtù di procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

nei confronti di

Gestione Liquidatoria della Azienda USSL n. 10 di A, in persona del commissario liquidatore e legale rappresentante, Lo.Fr.; rappresentata e difesa dall’Avv. Ma.Za. (pec: Ma.Za.), in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonché di

Br.El., rappresentata e difesa dall’Avv. Om.Ch. (pec: Av.Pu.), in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 635/2022 della Corte d’Appello di BRESCIA, pubblicata il giorno 24 maggio 2022, nonché della precedente sentenza non definitiva n. 489/2019 della stessa Corte d’Appello, pubblicata il giorno 20 marzo 2019;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre 2024 dal Consigliere Paolo Spaziani.

Danno salute e aumento risarcimento solo per casi peculiari

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione del 13 gennaio 2005, i coniugi Ma.Do. e Ra.Lo., in proprio e nella qualità di esercenti la (allora) potestà genitoriale sulla figlia Ma.Ni., nata il 9 novembre 2006, convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Bergamo, Sez. Clusone, la Gestione Liquidatoria dell’Azienda USSL n. 10 di A e la dott.ssa Br.El., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla negligente condotta professionale tenuta dai sanitari dell’Ospedale di C prima, durante e dopo il parto della sig.ra Ra.Lo., che aveva cagionato la prolungata sofferenza fetale e la conseguente patologia cerebrale di carattere ipossico, ischemico ed emorragico della neonata Ma.Ni., con gravi implicazioni pregiudizievoli permanenti.

Preso atto che con transazione stipulata con Ge.It. Spa (società assicurativa dell’azienda sanitaria), gli attori avevano ricevuto in via stragiudiziale il pagamento della somma di Euro 258.228,40 (pari al massimale di polizza), con sentenza n. 254/2016, il Tribunale, espletata CTU medico-legale ed accertata la responsabilità dei convenuti, li condannò, in solido, al pagamento, in favore di Ma.Ni., della somma di Euro 1.670.167,73 (di cui Euro 1.088.339 a titolo di danno biologico, con personalizzazione del 25%) e, in favore dei suoi genitori, della somma complessiva di Euro 866.700,71, di cui Euro 300.000 ciascuno a titolo di danno da lesione del rapporto parentale.

2. Avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo, Sez. Clusone, proposero appello dinanzi alla Corte territoriale di Brescia sia la Gestione Liquidatoria della soppressa AUSSL n. 10 di A, sia la dott.ssa Br.El.

Nel corso del giudizio d’appello Ma.Do. decedette e si costituirono volontariamente le eredi, ossia la moglie Ra.Lo. e le due figlie Ma.Ni. e Ma.Al.

2.1. Con sentenza non definitiva 20 marzo 2019, n. 489, la Corte d’Appello di Brescia, rigettate le eccezioni riproposte dall’azienda sanitaria, ha confermato la sentenza di primo grado in ordine all’an debeatur, rimettendo la causa in istruttoria per la determinazione del quantum debeatur.

In particolare, con la detta sentenza, la Corte territoriale ha confermato il giudizio di accertamento della responsabilità delle parti convenute sui rilievi che, alla stregua delle risultanze della CTU, Ma.Ni. risultava affetta da “encefalopatia ipossico-ischemico-emorragica, epilettogena da sofferenza fetale … con danno cognitivo importante medio – grave e disabilità motoria” e con invalidità permanente di grado pari al 75%, la quale era stata provocata dai sanitari della ex azienda sanitaria di A mediante una condotta omissiva in fase prenatale (la mancata continua sorveglianza strumentale del battito cardiaco del feto e delle contrazioni uterine attraverso cardiotocografia, tanto più opportuna in quanto il parto riguardava una primipara oltre il termine di 15 giorni ed era stato indotto con farmaci), una condotta omissiva in fase perinatale (la mancata effettuazione del taglio cesareo a causa della scelta alternativa di applicare la ventosa ostetrica, che avrebbe reso meno rapida l’estrazione della neonata) e una condotta omissiva in fase post-natale (la mancata sottoposizione della neonata ad alcuni esami diagnostici e il suo ritardato trasferimento al reparto di neonatologia dell’Ospedale di Seriate, ove avrebbe potuto usufruire di assistenza e terapie specialistiche).

2.2. Con sentenza definitiva 24 maggio 2022, n. 635, la Corte d’Appello di Brescia ha liquidato le somme dovute a titolo risarcitorio e, per quanto ancora rileva, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Gestione Liquidatoria della AUSSL n. 10 di A, ha ridotto l’importo dovuto a Ma.Ni. ad Euro 1.122.180,00, escludendo la somma riconosciuta dal primo giudice a titolo di personalizzazione, nonché l’importo dovuto ai suoi genitori, Ra.Lo. e Ma.Do. (e, per quest’ultimo, ai suoi eredi), a titolo di lesione del rapporto parentale, ad Euro 389.976,00, fermo quanto già ricevuto da parte della compagnia assicurativa.

3. Per la cassazione della sentenza n. 635/2022 della Corte bresciana hanno proposto ricorso Ra.Lo., in proprio, quale amministratrice di sostegno della figlia Ma.Ni. e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore Ma.Al., anche nelle qualità di eredi pro quota di Ma.Do., sulla base di due motivi.

Ha risposto con controricorso Br.El.

Ha risposto, inoltre, con distinto controricorso, la Gestione Liquidatoria della soppressa Azienda USSL n. 10 di A, la quale ha proposto altresì ricorso incidentale sorretto da quattro motivi, attingendo con i primi tre di esso anche la precedente sentenza non definitiva n. 489/2019, per la quale era stata formulata riserva di impugnazione.

Al ricorso incidentale della ex azienda sanitaria hanno risposto, con controricorso, i ricorrenti principali.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ.

Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.

Sia i ricorrenti principali che la ricorrente incidentale hanno depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

A. Va anzitutto esaminato il ricorso principale proposto da Ra.Lo., in proprio, quale amministratrice di sostegno della figlia Ma.Ni. e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore Ma.Al., anche quali eredi pro quota di Ma.Do., per la cassazione della sentenza d’appello definitiva n. 635/2022.

A.1. con il primo motivo viene denunciata la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 – 2056 – 2059 cc e dell’art. 1226 cc, nonché degli art. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5”.

Le ricorrenti principali si dolgono che la Corte d’Appello, nel ridurre la somma specificamente dovuta, a titolo risarcitorio, a Ma.Ni., abbia escluso la “personalizzazione” del danno nella misura del 25%, già riconosciuta dal primo giudice.

Sostengono che in tal modo la Corte territoriale avrebbe violato il principio dell’integralità del risarcimento, non valutando, “nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite e le lesioni e i pregiudizi subiti in concreto da Ma.Ni.”, ed in particolare, tra l’altro, la compromissione delle abilità viso-percettive e logico-associative, le difficoltà nel processamento rapido dell’informazione, nella memoria a breve termine di lavoro e nel mantenimento prolungato dell’attenzione e dello sforzo, l’impedimento a compiere gli atti della vita quotidiana, i ritardi nell’apprendimento e la necessità di assistenza costante da parte di un adulto.

A.1.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’Appello ha escluso la personalizzazione, osservando, da un lato, che essa “deve essere accordata solo in presenza di allegazione e di positiva dimostrazione di specifiche circostanze … e postula l’individuazione di elementi di danno ulteriori rispetto a quelli ordinari che sono già compensati dalla liquidazione forfettizzata tabellare”; e rilevando, dall’altro lato, che “nel caso concreto nulla era stato allegato di specifico in citazione che possa in astratto giustificare la personalizzazione”.

In tal modo il giudice territoriale ha fatto corretta applicazione del principio, reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento (Cass. 07/05/2018, n. 10912; Cass. 30/10/2018, n. 27482; Cass. 11/11/2019, n. 28988; Cass. 04/03/2021, n. 5865).

D’altra parte, le stesse deduzioni formulate dalle ricorrenti dimostrano, prima ancora che il mancato accertamento, l’omessa allegazione di quelle circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno subìto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado sofferte da persone della stessa età, risarcite dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari.

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Il primo motivo del ricorso principale va pertanto rigettato.

A.2. Con il secondo motivo del medesimo ricorso viene denunciata la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 – 2056 – 2059 cc e dell’art. 1226 cc, nonché degli art. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5”.

Le ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per avere ridotto la liquidazione dell’importo già dovuto a Ra.Lo. e Ma.Do. (e, quindi, agli eredi di quest’ultimo) a titolo di risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale.

A.2.a. Deducono, per un verso, che il Tribunale, in sede di valutazione equitativa, aveva congruamente liquidato tale voce di danno, avuto riguardo al radicale sconvolgimento della vita personale, familiare, sociale e professionale che l’evento dannoso occorso a Ma.Ni. aveva causato in capo ai suoi genitori; pertanto, illegittimamente la Corte d’Appello ne avrebbe ridotto l’importo sul rilievo che esso sarebbe stato determinato equiparando la vicenda concreta alla fattispecie di uccisione del prossimo congiunto.

A.2.b. Osservano, per altro verso, che la liquidazione in minus della Corte territoriale, operata in applicazione delle tabelle del Tribunale di Roma e del criterio “a punto” su cui esse erano fondate (rispetto alla maggior liquidazione effettuata dal Tribunale in base alle tabelle milanesi basate sul diverso sistema “a forbice”), in quanto dettata dalla necessità di adeguarsi al principio affermato da Cass. n. 10579/2021 e da Cass. n. 33005/2021 (che avevano segnato un mutamento di orientamento nella giurisprudenza di legittimità), avrebbe integrato un evidente caso di “prospective overruling”, di cui avrebbe dovuto escludersi l’efficacia retroattiva.

A.2.1. Il motivo è manifestamente infondato.

A.2.1.a. La Corte territoriale ha operato la riduzione dell’importo spettante a titolo di risarcimento del pregiudizio da lesione del rapporto parentale, sull’incontestato rilievo che il “Tribunale … aveva liquidato il danno riflesso ai genitori equiparandolo al danno riflesso da uccisione del prossimo congiunto”.

Effettuato questo rilievo, la Corte d’Appello ha correttamente osservato che, “sebbene le condizioni di notevole deficit cognitivo e motorio di Ma.Ni. (avessero) determinato profonda sofferenza nei genitori e un radicale mutamento delle condizioni di vita in quanto costretti ad una assistenza continua della figlia”, tuttavia la situazione della nascita di un figlio con gravi menomazioni non era del tutto equiparabile a quella della perdita di un figlio.

A.2.1.b. Nel provvedere alla nuova liquidazione della voce di danno in esame, la Corte territoriale, inoltre, ha debitamente fatto applicazione del principio secondo il quale, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (Cass. 21/04/2021, n. 10579; Cass. 29/09/2021, n. 26300; Cass. 28/02/2023, n. 5948; Cass. 19/9/2024, n. 25213).

L’affermazione di questo principio, a partire da Cass. n. 10579 del 2021, non ha determinato affatto una fattispecie di prospective overruling, la quale richiede la cumulativa presenza di presupposti (a) che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; b) che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; c) che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte) in alcun modo rinvenibili nell’evoluzione interpretativa giurisprudenziale del concetto di equità liquidatoria, posto a fondamento della norma (non processuale, ma) sostanziale di cui all’art. 1226 cod. civ., quale concetto fondato, da un lato, sul giudizio di equo contemperamento di tutti i fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto e, dall’altro, sull’esigenza di uniformità di giudizio in casi analoghi.

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In definitiva, il ricorso principale deve essere rigettato.

B. Va ora esaminato il ricorso incidentale proposto dalla Gestione Liquidatoria della Azienda USSL n. 10 di A per la cassazione, non solo della sentenza d’appello definitiva n. 635/2022, ma anche della sentenza d’appello non definitiva n. 489/2019, per la quale era stata validamente depositata riserva di ricorso per cassazione.

I primi tre motivi criticano la sentenza non definitiva n. 489/2019.

B.1. con il primo motivo del ricorso incidentale viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la “Violazione delle norme di cui agli artt. 83 e 300 c.p.c. e derivante nullità della sentenza”.

Precisamente, viene denunciata la “violazione del disposto di cui all’art. 83 in relazione all’art. 300 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ritiene regolarmente proseguito il giudizio di primo grado nonostante il procuratore costituito, dichiarato l’evento interruttivo, non avesse ricevuto il mandato per proseguire il giudizio in nome e per conto dell’amministratore di sostegno”.

La ricorrente incidentale deduce che nel corso del giudizio di primo grado, all’udienza del 20 ottobre 2015, il difensore di parte attrice aveva dichiarato l’evento interruttivo costituito dalla sopravvenuta maggiore età della minore Ma.Ni. ed aveva prodotto il decreto di nomina ad amministratore di sostegno della madre Ra.Lo. acciocché, “secondo le intenzioni, il procedimento proseguisse in persona sua”.

Peraltro, il difensore non era stato debitamente munito, a mezzo di procura all’uopo conferita, dello ius postulandi necessario per proseguire il giudizio in nome e per conto di Ma.Ni., in persona del suo amministratore di sostegno.

Ciò dedotto, l’ente liquidatorio dell’AUSSL, ricorrente in via incidentale, sostiene che l’attività processuale successivamente svolta nell’interesse di Ma.Ni. sarebbe stata espletata in difetto di procura da parte di un difensore privo dello ius postulandi, con conseguente estinzione del giudizio e nullità della sentenza.

Ciò, in applicazione del principio secondo cui “nelgiudizio introdotto dai genitori di un minorenne, quando si verifichi una causa interruttiva riguardante la controparte, è nullo l’atto di riassunzione fatto dal difensore degli attori originari in nome esclusivamente del figlio divenuto, “medio tempore”, maggiorenne, ma non conferitario della procura, giacché il raggiungimento della maggiore età e la contestuale perdita da parte dei genitori della rappresentanza legale del minorenne, determina esso stesso una causa interruttiva del giudizio, che, solo quando non sia dichiarata, consente all’originario mandato – per il principio della ultrattività – di continuare a spiegare i suoi effetti nella fase processuale in cui l’evento si verifica” (viene citata, al riguardo, tra le altre, la pronuncia di questa Corte n. 14518 del 2015).

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B.1.1. Il motivo è manifestamente infondato.

In primo luogo, va rammentato il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la dichiarazione resa ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ., avente ad oggetto un evento interruttivo del processo, costituendo una dichiarazione negoziale di volontà (e non una mera dichiarazione di scienza), deve supporre la volontà del dichiarante di provocare l’interruzione stessa, con la conseguenza che quest’ultima non si realizza allorché la causa interruttiva (nella specie, la perdita della capacità processuale del rappresentante legale per il sopravvenuto raggiungimento della maggiore età del soggetto rappresentato) sia stata esposta per fini diversi, dilatori o meramente informativi (Cass.30/05/1995, n. 6062; Cass. 19/03/2015, n. 10210; in tema cfr., di recente, Cass. 11/11/2024, n. 29042).

Nella fattispecie, la dichiarazione di raggiungimento della maggiore età della minore Ma.Ni., unitamente alla comunicazione dell’avvenuta nomina di Ra.Lo. quale amministratore di sostegno della medesima in ragione della sua impossibilità di provvedere personalmente ai suoi interessi, resa a fini meramente informativi, non supponeva la volontà di provocare l’interruzione del processo, ma quella contraria che lo stesso proseguisse ininterrottamente, permanendo del resto immutata la situazione processuale per cui Ma.Ni., non avendo il libero esercizio dei propri diritti, sarebbe stata in giudizio a mezzo del proprio rappresentante legale. In mancanza dell’effetto interruttivo, l’originario mandato difensivo, in ragione del principio di ultrattività, aveva quindi continuato a spiegare i suoi effetti durante tutto il primo grado di giudizio, senza che potesse ipotizzarsi né l’estinzione dello stesso, né la dedotta nullità della sentenza.

In secondo luogo, quando pure si dovesse ammettere la verificazione dell’effetto interruttivo, la fattispecie processuale integratasi nella vicenda in esame non è in alcun modo paragonabile a quella in cui ordinariamente si verifica, nel corso del processo, il raggiungimento della maggiore età del figlio che sta in giudizio in persona del suo genitore e la contestuale perdita da parte di quest’ultimo della rappresentanza legale del minorenne.

In tale ipotesi, infatti, per un verso, vi è la perdita della legitimatio ad processum del genitore per effetto dell’acquisizione della capacità di agire e, quindi, della legittimazione processuale, piena ed esclusiva, del figlio, per modo che il genitore non può più stare in giudizio per il figlio (o, il che è lo stesso, quest’ultimo non può stare in giudizio in persona del genitore); per altro verso, si ha che il figlio, ormai dotato di capacità di agire processuale esclusiva, deve provvedere personalmente a conferire la procura al difensore, essendo divenuta inefficace, per difetto di legittimazione del conferente, quella rilasciata dal precedente rappresentante legale.

Nel caso in esame, invece, al raggiungimento della maggiore età da parte di Ma.Ni. è seguita l’istituzione dell’amministrazione di sostegno e la designazione della madre Ra.Lo. all’ufficio di amministratore; pertanto, Ra.Lo. non ha perduto la legitimatio ad processum in favore di quella, piena ed esclusiva, della figlia, ormai divenuta maggiorenne, la quale, al contrario, ha continuato a stare in giudizio rappresentata dalla medesima persona (arg. ex artt. 409 cod. civ. e 75 cod. proc. civ.) che aveva in suo nome efficacemente introdotto il giudizio medesimo e conferito la procura al difensore nell’esercizio della rappresentanza legale genitoriale. Pertanto, non vi era bisogno di una nuova procura, dal momento che quella originariamente conferita era stata rilasciata da soggetto dotato di perdurante legittimatio ad processum, mentre sarebbe stata evidentemente invalida, per difetto di capacità di agire processuale, quella che Ma.Ni. avesse conferito personalmente.

Il primo motivo del ricorso incidentale va, dunque, rigettato.

B.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale vengono articolate due censure.

In primo luogo, viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello mancato di esaminare la scrittura privata di transazione ed il contratto d’assicurazione, per verificare se nell’una trovasse posto la contemplatio domini e nell’altro il conferimento di poteri rappresentativi; nonché per avere mancato di esaminare la questione della ratifica, ove mai ritenuti insussistenti poteri rappresentativi ma espressa la contemplatio domini”.

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In secondo luogo, viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la “violazione del disposto di cui agli artt. 1388 e 1965 c.c., in relazione ai criteri interpretativi di cui all’articolo 1362 c.c., poiché l’interpretazione contrattuale offerta dalla Corte d’Appello esprime una lettura che vanifica il contenuto della transazione raggiunta con il danneggiato dall’assicuratore della responsabilità civile nella qualità di rappresentante del suo assicurato; nonché violazione del disposto di cui all’art. 1399 c.c., poiché la Corte d’Appello manca per intero di fare applicazione dell’istituto della ratifica, pur ricorrendone tutti i presupposti”.

Le censure, in quanto connesse, vanno illustrate ed esaminate congiuntamente.

L’ente ricorrente in via incidentale evidenzia – riproponendo un’eccezione già ripetutamente formulata nei gradi di merito – che l’atto stragiudiziale in forza del quale la compagnia assicurativa della azienda sanitaria, Ge.It. Spa, aveva versato ai danneggiati l’importo di Euro 258.228,40, “a tacitazione definitiva di ogni proprio diritto presente e futuro nei soli confronti di Ge. Spa” e “con rinuncia quindi ad ogni azione in qualsiasi sede nei soli suoi confronti”, era stato concluso, secondo l’espressa previsione contrattuale, “in via di transazione” e “per conto del sottomenzionato assicurato”, ovverosia la Gestione Liquidatoria della AUSSL n. 10 di A, mentovata poco dopo nel contesto dell’atto medesimo.

Secondo la ricorrente incidentale, la Corte d’Appello, avuto riguardo a tali espresse previsioni, avrebbe dovuto prendere atto che la società assicurativa aveva agito in rappresentanza dell’ente assicurato, per conto del quale era stato eseguito il pagamento e sulla cui sfera giuridica si sarebbero puntualizzati gli effetti della transazione, ivi compreso quello della rinuncia ad ogni ulteriore pretesa e azione.

Precisamente, dalla contemplatio domini contenuta nel contratto di transazione sarebbe risultata la spendita, da parte dell’assicuratore, del potere rappresentativo dell’assicurato, mentre la sussistenza di tale potere sarebbe risultata dal contratto di assicurazione, il quale prevedeva che la compagnia assumesse, sia in sede giudiziale che stragiudiziale, la gestione delle vertenze dell’assicurato; quand’anche, poi, in tale previsione non fosse rinvenibile la fonte del potere rappresentativo, l’operato di Ge.It. Spa, rappresentante senza potere, sarebbe stato comunque ratificato per facta concludentia dalla azienda sanitaria rappresentata.

B.2.1. Il motivo, nelle due doglianze in cui si articola, è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato.

È inammissibile nella parte in cui censura l’interpretazione del contratto effettuata dalla Corte d’Appello, la quale, traducendosi in un’operazione di ricerca ed individuazione della comune volontà dei contraenti, costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità sulla base di una mera critica del risultato esegetico e della contrapposizione ad esso di una differente interpretazione, nel quadro delle diverse, plausibili, opzioni ermeneutiche (Cass. 02/05/2006, n. 10131; Cass.20/11/2009, n. 24539; Cass. 15/11/2017, n. 27136; Cass. 28/11/2017, n. 28319).

Il motivo è, invece, manifestamente infondato nella parte in cui dall’eventuale imputazione degli effetti della transazione alla Gestione Liquidatoria della AUSSL n. 10 di A, fa conseguire l’implicazione circa l’estensione delle rinunce poste in essere dai danneggiati anche nei suoi confronti; ben vero, infatti, quand’anche si volesse ammettere che la transazione fosse stata validamente ed efficacemente conclusa dalla compagnia assicurativa per conto (ed eventualmente anche in nome) dell’ente sanitario assicurato, dovrebbe comunque escludersi che tale ente beneficiasse anche degli effetti delle rinunce, le quali, pur essendo racchiuse nel medesimo atto scritto contenente la transazione, integravano dichiarazioni negoziali autonome e distinte ed erano state espressamente formulate dagli stipulanti nei soli confronti della società assicurativa.

Anche il secondo motivo va quindi complessivamente rigettato.

B.3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale vengono articolate tre censure.

In primo luogo, viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., “violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1225, 1226, 1227 e 1228 c.c. e artt. 40 e 41 c.p., per aver la Corte territoriale, nell’applicazione del principio del “più probabile che non” all’accertamento del nesso causale tra condotta della struttura sanitaria e l’evento lesivo, omesso di ricercare i necessari elementi di conferma nelle peculiarità del caso concreto, per attestarsi al mero piano delle statistiche Ge. ed astratte che originano le regole cautelari in tesi violate”.

In secondo luogo, viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., “violazione della norma di cui all’art. 112 c.p.c. e derivante nullità della sentenza, nella parte in cui la sentenza impugnata accoglie una domanda di condanna con una motivazione che riconosce non più che la lesione della chance di miglior successo terapeutico, sebbene la relativa domanda non fosse stata proposta e così con violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato”.

In terzo luogo, viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., “violazione della norma di cui all’art. 2236 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello omette di portare la sua cognizione e considerare connotata dalla necessità di risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà, per l’effetto rimproverabile soltanto in caso di colpa grave, la scelta di rinunziare al già disposto taglio cesareo e procedere con parto strumentale a mezzo di ventosa”.

Danno salute e aumento risarcimento solo per casi peculiari

B.3.1. La terza censura è manifestamente infondata.

La ricorrente, movendo dal rilievo che nella fattispecie sarebbe stato “sommamente difficoltoso”, per i sanitari, “la scelta del trattamento da praticare, tra taglio cesareo e ventosa ostetrica, a fronte di una sofferenza fetale che andava palesandosi”, rimprovera al giudice del merito di non aver preso atto del “difetto di prova di colpa grave ex art. 2236 cod. civ.”, alla cui sussistenza è condizionato il giudizio di responsabilità del prestatore d’opera allorché la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Nel formulare questa censura, la ricorrente non considera, peraltro, da un lato, che, nell’ambito della responsabilità contrattuale, non incombe sul creditore l’onere di dimostrare la colpa del debitore (né, tanto meno, la gravità di essa) ma spetta a quest’ultimo il contrario onere di dimostrarne l’assenza (ex multis, Cass. 21/06/2004, n. 11488; Cass. 24/05/2006, n. 12362; Cass. 20/10/2014, n. 22222; Cass. 06/05/2020, n. 8496; Cass. 09/05/2024, n. 12760); dall’altro lato, che la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall’art. 2236 cod. civ. attiene alle sole ipotesi di imperizia (Cass. 19/04/2006, n. 9085; Cass. 11/12/2023, n. 34516; Cass. 17/02/2024, n. 25026), laddove, nella fattispecie, sono state imputate ed accertate condotte omissive negligenti ed imprudenti, quale l’omessa esecuzione del controllo cardiotocografico nella fase pre-parto e l’omessa effettuazione di esami diagnostici e il ritardato trasferimento in neonatologia nella fase post-parto; anche la condotta posta in essere al momento del parto, diretta ad escludere il taglio cesareo e ad applicare la ventosa ostetrica, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, si colloca nell’alveo delle violazioni del canone di diligenza e prudenza, atteso che non è stata accertata l’esecuzione imperita dell’operazione di applicazione della ventosa, ma il carattere negligente della scelta di preferire tale strumento all’intervento chirurgico.

La terza censura articolata con il terzo motivo, pertanto, va rigettata.

B.3.2. Anche la seconda censura è manifestamente infondata e, per come è svolta, appare persino pretestuosa.

La violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per ultra o extra petizione è dedotta sull’assunto che “nella struttura concettuale della relazione di consulenza tecnica d’ufficio … , come recepita dal giudice d’appello, si (sarebbe celata) la descrizione di una “perdita di chance a carattere non patrimoniale consiste(nte) nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale”, nonché sul conseguente rilievo che, non essendo tale domanda mai stata proposta dagli attori, essa non avrebbe potuto essere accolta dal giudice del merito.

La pretestuosità di tale argomentazione è evidenziata dal rilievo che la configurazione, sotto il profilo processuale, della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, quale domanda autonoma e distinta rispetto a quella di risarcimento del danno da perdita del risultato sperato (donde l’implicazione per cui, in ossequio al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, il giudice non può liquidare il primo se sia stato domandato il secondo e viceversa), trova fondamento, sul piano sostanziale, nell’eterogeneità strutturale del pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del risultato sperato rispetto a quello derivante dalla perdita della possibilità o dell’occasione (chance) di conseguirlo, dal momento che il primo consegue ad un illecito costituito da un evento di danno certo e un nesso causale incerto, mentre il secondo consegue ad un illecito costituito da un evento di danno incerto a fronte di un nesso causale certo (ex aliis, Cass. 4/04/2004, n. 4400; Cass. 9/03/2018, n. 5641; Cass. 07/11/2022, n. 32639).

Nel caso in esame, non è stata formulata una domanda di risarcimento del danno da perdita di chance ma neppure il giudice ha accertato un illecito caratterizzato da incertezza eventistica, posto che, al contrario, provvedendo sulla domanda proposta, ha accertato il complesso delle conseguenze risarcibili patrimoniali e non patrimoniali derivate a Ma.Ni. e ai suoi familiari dall’evento dannoso (lesioni cerebrali di carattere ipossico, ischemico ed emorragico) ad essa occorso a causa dell’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria da parte della AUSSL convenuta e dei medici in essa operanti.

La statuizione del giudice, quale statuizione su pretesa risarcitoria da perdita del risultato sperato (e non da perdita di chance), è stata, pertanto, resa su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, in piena conformità al disposto dell’art. 112 cod. proc. civ., senza che sia configurabile il paventato vizio di ultra o extra petizione.

Anche la seconda censura svolta con il terzo motivo del ricorso incidentale va, dunque, rigettata.

B.3.3. Venendo ora alla prima censura articolata con il detto motivo, con essa l’ente ricorrente lamenta, in sintesi, che la Corte d’Appello, sulla scorta della CTU, si sarebbe limitata ad accertare condotte inadempienti dei sanitari (mancanza di continua sorveglianza strumentale del feto; scelta di estrarre il feto mediante ventosa anziché mediante taglio cesareo; scarsa diligenza da parte del neonatologo nelle ore successive alla nascita e ritardato trasferimento della neonata alla divisione di neonatologia) che avrebbero “trattato con ritardo la sofferenza fetale”, omettendo di interrogarsi sia sulla “efficacia causale dello aliud agere in tesi ritenuto doveroso”, sia sul “tema della concorrente efficienza causale del concomitante stato patologico vissuto dalla paziente”.

La censura è inammissibile.

In primo luogo, non è fondato l’assunto secondo cui il giudice del merito, sulla scorta della CTU, avrebbe accertato ritardi nel trattamento di una sofferenza fetale potenzialmente dannosa già in corso indipendentemente dall’inadempimento dei sanitari; al contrario, la Corte d’Appello, alla luce delle risultanze dell’indagine peritale, ha ritenuto che le condotte dei sanitari erano state la causa della sofferenza fetale, la quale era stata, a sua volta, la causa della patologia cerebrale sofferta dalla neonata (pg. 14 della sentenza n. 489/2019, in particolare il sesto, settimo e ottavo rigo).

In secondo luogo, neppure risponde al vero che il giudice del merito non abbia formulato il giudizio circa l’efficacia causale del comportamento doveroso indebitamente omesso; al contrario la Corte d’Appello ha espressamente reputato – facendo corretta applicazione della regola di funzione del “più probabile che non” – che: “a) qualora la paziente fosse stata costantemente monitorata durante il travaglio la sofferenza fetale si sarebbe potuta accertare prima e, conseguentemente, la stessa sarebbe durata meno e avrebbe potuto non provocare danni, ovvero provocarne di minori …; b) qualora si fosse proceduto al taglio cesareo il parto sarebbe stato più rapido e meno rischioso e quindi si sarebbe potuto evitare l’anossia cerebrale che è stata la causa maggiore della patologia riscontrata; c) qualora la neonata fosse stata trasferita nel reparto specializzato sarebbero state approntate cure più specifiche” (p.14 della sentenza n. 489/2019).

Ciò posto, appare dunque evidente che la censura in esame, al di là della formale intestazione, attiene a motivi di fatto e tenta di suscitare dalla Corte di cassazione un giudizio di merito (sull’efficacia causale delle condotte omissive accertate a carico dei sanitari, nonché sulla sussistenza di una patologia potenzialmente dannosa preesistente ad esse) alternativo a quello motivatamente espresso dalla Corte d’Appello, il quale è insindacabile in sede di legittimità.

In definitiva il terzo motivo del ricorso incidentale va complessivamente rigettato, per essere inammissibile la prima censura e infondate la seconda e la terza.

B.4. Il quarto motivo del ricorso incidentale critica la sentenza definitiva n. 635/2022.

Con esso viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., “violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., per avere la Corte di appello disatteso il principio di diritto per cui, in materia di danno da invalidità permanente, il risarcimento per equivalente deve commisurarsi alla differenza fra la somma tabellarmente corrispondente alla percentuale complessiva di danno biologico e la somma tabellarmente corrispondente alla percentuale di danno biologico riconducibile alla lesione spontaneamente insorta nel paziente”.

L’ente ricorrente, movendo dall’assunto che la gestante e la nascitura fossero state colpite da una patologia “concorrente” con l’illecito dei sanitari nella determinazione del danno, lamenta che di essa la Corte d’Appello non abbia tenuto conto ai fini della liquidazione del risarcimento.

Danno salute e aumento risarcimento solo per casi peculiari

B.4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile alla luce dei rilievi appena formulati, (supra, sub B.3.3.) in sede di esame del motivo precedente, con i quali si è osservato che, avuto riguardo al motivato e insindacabile accertamento di merito compiuto dalla Corte territoriale, i danneggiati avevano “fornito la prova che l’insorgenza della patologia … (sofferenza fetale) (fosse) causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari (omesso monitoraggio, omesso taglio cesareo, omesso trasferimento in neonatologia” (pag. 14 della sentenza n. 489/2019), dovendosi quindi escludere, alla stregua di tale accertamento, la sussistenza di una sofferenza fetale potenzialmente dannosa già in corso prima dello (e indipendentemente dallo) inadempimento della azienda sanitaria convenuta.

C. In conclusione, va rigettato sia il ricorso principale proposto da Ra.Lo., in proprio, quale amministratrice di sostegno della figlia Ma.Ni. e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore Ma.Al. (anche quali eredi pro quota di Ma.Do.), sia il ricorso incidentale proposto dalla Gestione Liquidatoria della Azienda USSL n. 10 di A.

D. Le spese del giudizio di legittimità relative al rapporto processale tra le ricorrenti principali e la ricorrente incidentale vanno compensate tra le parti, stante la reciproca soccombenza; quelle relative al rapporto processuale tra le ricorrenti principali e la controricorrente Br.El. seguono la soccombenza dei primi e vanno liquidate come da dispositivo.

E. Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principale e della ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

F. Ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, deve disporsi che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle ricorrenti principali e delle altre persone di cui si fa menzione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità relative al rapporto processuale tra le ricorrenti principali e la ricorrente incidentale.

Condanna le ricorrenti principali a rimborsare alla controricorrente Br.El. le spese del del giudizio di legittimità concernenti il relativo rapporto processuale, che liquida in Euro 6.950,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle ricorrenti principali e delle altre persone in esso menzionate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 27 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

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