Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31684.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

Massima: Il pregiudizio patrimoniale futuro consistente in una spesa da sostenersi periodicamente vita natural durante (nella specie, per l’assistenza personale del danneggiato) è un danno emergente, di modo che la relativa liquidazione, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve rapportarsi al numero di anni per i quali è prevedibile che verrà sopportato l’esborso.
L’incremento fino al 30% stabilito dall’art. 138, comma 3, c.ass., ha ad oggetto esclusivamente il danno biologico e non trova, dunque, applicazione con riferimento al danno morale, il quale, ricorrendone le condizioni, dev’essere liquidato autonomamente, secondo quanto previsto dal comma 2, lett. e), dello stesso art. 138.

 

Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31684. Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

Integrale

Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Patrimoniale e non patrimoniale (danni morali) danno da lesioni di non lieve entità – Liquidazione – Tetto massimo dell’incremento ex art. 138, comma 3, c.ass., come modificato dall’art. 1, comma 17, della l. n. 124 del 2017 – Ambito di applicazione – Danno biologico – Limitazione – Sussistenza – Danno morale – Liquidazione autonoma – Criteri.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Relatore

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 563/2023 R.G. proposto da:

AZIENDA ULSS N.4 “VENETO ORIENTALE”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati MA.RO. e MA.SC.;

– ricorrente –

contro

Ba.El., in proprio e quale Amministratore di Sostegno della figlia Ca.Ga., nonché quale esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore Ca.Om., Do.Gi., rappresentati e difesi dall’avvocato MA.AN.;

– controricorrenti –

nonché sul ricorso incidentale proposto da:

Ba.El., in proprio e quale Amministratore di Sostegno della figlia Ca.Ga., nonché quale esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore Ca.Om., Do.Gi., rappresentati e difesi dall’avvocato MA.AN.;

– ricorrenti incidentali –

contro

AZIENDA ULSS N.4 “VENETO ORIENTALE”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati MA.RO. e MA.SC.;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1310/2022, depositata il 7 giugno 2022;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere ENZO VINCENTI.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

FATTI DI CAUSA

1.- Ba.El., in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sui figli minori Ca.Ga. e Ca.Om., nonché quale erede (unitamente ai figli) di Ca.Ro., deceduto il (Omissis), e Do.Gi. convennero in giudizio l’ Azienda ULSS n. 10 “Veneto Orientale” al fine di sentirla condannare al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, conseguente alla condotta inadeguata tenuta dal personale sanitario nel trattare Ca.Ga. nelle prime ore successive al parto cesareo (effettuato a seguito del distacco di placenta).

La neonata, dapprima depressa dal punto di vista cardiorespiratorio, poi bradicardica, aveva sviluppato un’encefalopatia ipossico-ischemica, la quale a propria volta aveva determinato una tetraparesi spastica con grave ritardo mentale.

1.1.- Per il rigetto delle pretese attoree si costituì in giudizio l’Azienda ULSS n. 10 “Veneto Orientale”.

1.2.- Con sentenza del settembre 2017, l’adito il Tribunale di Venezia, aderendo alle risultanze della CTU, che determinava il danno biologico permanente risentito dalla minore Ca.Ga. nella misura del 90-95%, accertò la responsabilità dell’azienda convenuta, condannandola:

a) al risarcimento del danno non patrimoniale liquidato, sulla base delle tabelle veneziane, nell’importo di Euro 2.154.682,29, e del danno patrimoniale nell’importo di Euro 17.530,00, oltre agli interessi legali alla data della sentenza sino al soddisfo, in favore di Ba.El., in qualità di genitore esercente in via esclusiva la responsabilità genitoriale sulla figlia minore Ca.Ga.;

b) al pagamento in favore di Ba.El., nell’anzidetta qualità, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, di una rendita vitalizia dell’importo di Euro 25.000,00 annui per tutta la durata della vita della beneficiaria (somma da rivalutarsi ogni anno secondo l’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati);

c) al pagamento in favore di Ba.El., in proprio, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma complessiva di Euro 264.000,00, oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia sino al soddisfo;

d) al pagamento in favore di Ba.El., Ca.Ga. e Ca.Om., quali eredi di Ca.Ro., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito da de cuius, della somma complessiva di Euro 264.000,00, oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia sino al soddisfo;

e) al pagamento in favore di Ba.El., in qualità di genitore esercente in via esclusiva la responsabilità genitoriale di Ca.Om., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma di Euro 87.120,00, oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia sino al soddisfo;

f) al pagamento in favore di Do.Gi., nonna materna di Ca.Ga., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma di Euro 58.080,00, oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia sino al soddisfo.

2.- Avverso tale sentenza proponeva gravame l’Azienda ULSS n. 10 “Veneto Orientale”, chiedendone l’integrale riforma in relazione: a) alla liquidazione del danno biologico, effettuata trascurando l’incidenza della ridotta aspettativa di vita futura di Ca.Ga., accertata dalla stessa sentenza di primo grado in anni 20, sulla base della CTU; b) al riconoscimento dell’aumento a titolo di personalizzazione pari al 15% del danno biologico, evidenziando che le circostanze valorizzate a tal fine non costituissero conseguenze “anomale” o “peculiari”, che non fossero già proprie del danno biologico liquidato sulla base delle Tabelle; c) al riconoscimento e alla liquidazione in favore di Ca.Ga. del danno morale in misura pari al 70% del danno biologico, sulla base di una motivazione apparente e comunque errata, poiché valorizzava le medesime circostanze integranti il danno biologico, determinando una duplicazione della medesima voce risarcitoria; d) all’omessa valorizzazione delle spese pregresse nel determinare la rendita annua in favore della danneggiata, nonché di quelle coperte dal SSN e dell’indennità di accompagnamento corrisposta dall’INPS, il cui riconoscimento costituiva fatto non contestato, come statuito dalla stessa sentenza del primo giudice.

2.1.- Impugnavano altresì, la sentenza del Tribunale, in via incidentale, Ba.El., in proprio, quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore Ca.Om. e quale Amministratrice di sostegno della figlia Ca.Ga., nonché Do.Gi., censurando la sentenza: a) per aver omesso di pronunciare sulla domanda di risarcimento del danno patrimoniale patito da Ca.Ga. a causa della soppressione della sua capacità lavorativa e di guadagno; b) per aver liquidato sotto forma di rendita annua vitalizia il danno patrimoniale futuro per le spese mediche di assistenza, contestandone altresì la misura, ritenuta inidonea a fronteggiare tutte le spese; c) per aver compensato le spese di lite tra le parti.

2.2. – La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza resa pubblica il 7 giugno 2022, osservava, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), che: a) l’entità del risarcimento a titolo di danno biologico andava confermata nella misura liquidata in primo grado (pari ad Euro 834.954,00, senza l’aumento del 15% a titolo di personalizzazione, non dovuto in quanto l’incapacità della danneggiata di relazionarsi con l’ambiente esterno era fattore già considerato nella liquidazione del danno biologico), con rigetto della richiesta dell’Azienda sanitaria di rideterminarne l’importo, parametrandolo alla minore aspettativa di vita della danneggiata rispetto a quella di un coetaneo sano, giacché tali minori aspettative erano da ritenersi conseguenza diretta e immediata dell’illecito; a.1.) in particolare, la prognosi circa l’aspettativa di vita della danneggiata non era frutto di certezze, bensì di valutazioni probabilistiche inidonee ad escludere una prospettiva di esistenza più lunga, non solo in considerazione delle condizioni soggettive e della risposta individuale della persona alle terapie, ma anche in considerazione della continua evoluzione della medicina, anche in ambito riabilitativo; a.2) la ridotta aspettativa di vita del danneggiato avrebbe potuto essere valorizzata solo ai fini del riconoscimento del danno non patrimoniale iure successionis o in caso di premorienza del danneggiato rispetto al momento della liquidazione del danno; b) andava confermata anche la liquidazione del danno morale in favore della danneggiata nella misura del 70% del danno biologico come sopra liquidato; c) a titolo di danno non patrimoniale era, pertanto, da riconoscere la complessiva somma, comprensiva di interessi, di Euro 1.873.636,78; d) andava accolto l’appello incidentale in punto di riconoscimento in favore di Ca.Ga. del danno patrimoniale per mancato guadagno da attività lavorativa, da liquidarsi – per anni 16 e (non potendosi conoscersi “quali sarebbero state le sue attitudini”) in base al parametro del “reddito medio nazionale” (euro 21.462,62 netti nell’anno 2022), tenuto conto “dell’aspettativa di vita di Ca.Ga. (altri 20 anni)” e della sua presumibile entrata nel modo lavorativo non prima dei 25 anni – nella misura di Euro 271.287,51 (così determinata in applicazione di un coefficiente di minorazione per l’anticipata liquidazione), oltre interessi legali dalla sentenza al saldo; e) era, altresì, da accogliere l’appello incidentale in punto di riconoscimento del danno patrimoniale per le spese di riadattamento dell’abitazione (euro 6.533,12) e per spese mediche e di assistenza da sostenersi in futuro dalla danneggiata nella misura dell’importo annuo di Euro 41.400,00 – già detratto, in applicazione dell’istituto della compensatio lucri cum damno, il solo importo di Euro 5.200,00, percepito come “Impegnativa di Cure Domiciliari”, ma non l’importo a titolo di indennità di accompagnamento poiché in concreto non provato come determinato o determinabile -, che andava moltiplicato per anni 20, presumibile durata della vita di Ca.Ga., e, quindi, dovuto per complessivi Euro 546.589,02; f) il risarcimento da liquidarsi in favore di Ca.Ga. a titolo di danno patrimoniale ammontava, dunque, ad 824.409,65, oltre interessi legali dalla pronuncia di appello al saldo.

3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’Azienda ULSS n. 4 “Veneto Orientale” (già Azienda ULSS n. 4 “Veneto Orientale”) affidando le sorti dell’impugnazione ad otto motivi.

Resistono con controricorso Ba.El., in proprio e quale esercente in via esclusiva la responsabilità genitoriale sul figlio minore Ca.Om. e quale Amministratrice di sostegno della figlia Ca.Ga., nonché Do.Gi., proponendo, altresì, ricorso incidentale affidato a quattro motivi e ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi.

L’Azienda ULSS n. 4 ha resistito al ricorso incidentale con controricorso e, in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale di Azienda ULSS n. 4 “Veneto Orientale”.

1.- Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1225, 1226, 2056, e 2059 c.c., in materia di liquidazione del danno biologico permanente in caso di ridotta aspettativa di vita, per aver la Corte territoriale escluso la rilevanza della ridotta aspettativa di vita di Ca.Ga. (determinata in anni 20 dalla sentenza di primo grado con statuizione non impugnata e valorizzata dalla stessa sentenza d’appello nella liquidazione di altre voci di danno) nella liquidazione del danno non patrimoniale biologico da invalidità permanente.

La parte ricorrente sostiene che il giudice di appello avrebbe errato: a) nell’affermare che nessuna riduzione del valore tabellare potrebbe applicarsi se la riduzione della aspettativa di vita sia conseguenza dell’illecito; b) nel ritenere che la prognosi sull’aspettativa di vita, essendo frutto di valutazioni probabilistiche, non porterebbero ad escludere la possibilità di una vita più lunga; c) nel reputare che la riduzione del risarcimento sarebbe predicabile solo in caso di decesso “prematuro” e non correlato all’illecito; d) nell’aver proceduto, in ogni caso, ad una automatica liquidazione del danno in base al criterio tabellare della vita media, senza neppure valutare il profilo del c.d. “rischio latente”, come richiesto dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 26118/2021).

2.- Con il secondo mezzo e dedotta, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per difetto di motivazione o motivazione apparente sul riconoscimento del danno morale, liquidato nella misura del 70% del danno biologico, non avendo la Corte territoriale dato conto delle “peculiari sofferenze e disagi” provati dalla danneggiata per effetto della sua condizione derivante dalle lesioni patite, “sostanzianti, però, il danno biologico”.

3.- Con il terzo mezzo e prospettata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1225, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., per avere l’impugnata sentenza riconosciuto il danno morale di Ca.Ga. sulla base delle obiettive condizioni di vita della stessa, anziché sulla base delle sofferenze soggettive in concreto da lei manifestate in relazione a tale condizione.

4.- Con il quarto mezzo e denunciata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1225, 1226, 2056 e 2059 c.c., e del comma 3 e 4 dell’art. 138 del D.Lgs. n. 205/2009 (codice delle assicurazioni private: c.a.p.), come modificato dalla legge n. 124/2017, in relazione alla liquidazione equitativa del danno morale alla vittima della lesione.

L’Azienda ricorrente sostiene che la Corte territoriale, liquidando il danno morale nella misura del 70% del danno biologico si sia discostata dai principi e dai criteri desumibili dalle fonti normative per la liquidazione di tale danno in rapporto a quello biologico, in particolare incorrendo nella violazione della limitazione del 30%, contemplata dall’art. 138 c.a.p.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

Quest’ultima disposizione, sebbene introdotta per effetto della legge n. 124 del 2017, dunque solo successivamente al fatto oggetto di responsabilità, nonché al danno da esso conseguente, risulterebbe pienamente operante, poiché la liquidazione del danno deve avvenire secondo la normativa in essere al momento della sentenza e non già del fatto illecito.

5.- Con il quinto mezzo è prospettata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1225, 1226, 2056 e 2059 c.c., in materia di locupletazione di voci appartenenti alla categoria unitaria del danno non patrimoniale, per aver la Corte territoriale liquidato a Ca.Ga. il danno alla capacità lavorativa generica, come autonoma posta di danno patrimoniale nonostante l’appartenenza di tale voce di danno alla categoria del danno non patrimoniale, in species di tipo biologico, già compiutamente liquidato.

6.- Con il sesto mezzo è dedotto, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto discussione tra le parti nella liquidazione del danno patrimoniale futuro per spese mediche e di assistenza.

La parte ricorrente censura la sentenza d’appello per avere riconosciuto a Ca.Ga. un danno patrimoniale futuro di Euro 31.000,00 annui per spese di trasporto, fisioterapia, massaggiatore, psicologo, nonché per visite specialistiche di neurologo, ortopedico, internista, dermatologo cardiologo, in quanto asseritamente quantificate in tale misura dalla sentenza di primo grado sulla base della CTU, omettendo di considerare: a) che la CTU non conteneva siffatta quantificazione; b) che gli stessi attori, nella comparsa di risposta in appello, avessero quantificato tali spese nel minor importo di Euro 8.000,00 annui; c) che la CTU avesse accertato che nei 13 anni precedenti l’instaurazione del presente giudizio le spese sostenute a tale titolo ammontassero solamente ad Euro 17.530,00.

7.- Con il settimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1225, 1226, 2043, 2056, 2697 c.c., nonché degli artt. 1 della legge 18/1980, 3 della legge 656/1986, 1 della legge 508/1988, 3 e 4 della legge 289/1990, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso l’applicazione dell’istituto della compensatio lucri cum damno tra il danno patrimoniale per spese mediche e di assistenza future in favore di Ca.Ga. e gli importi che quest’ultima percepisce dall’INPS a titolo di indennità di accompagnamento, reputando non provata da essa Azienda ULSS la misura dell’erogazione da parte dell’ente previdenziale, là dove, però, avrebbe dovuto il giudice risalire d’ufficio al suo preciso ammontare, essendo detta misura fissata per legge e, peraltro, indicata dalla stessa parte attrice nei propri atti difensivi (euro 492,67 mensili, come riportato in comparsa di costituzione in appello).

8.- Con l’ottavo motivo è prospettato, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai fini della valutazione della prova della misura dell’indennità di accompagnamento, ossia il fatto che gli stessi attori nella comparsa di costituzione in appello avessero indicato la misura di detta indennità, riferendosi alla somma di Euro 492,97 mensili.

Il ricorso incidentale di Ba.El., in proprio e n.q., e di Do.Gi.

9.- Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione degli artt. 112, 115 e 345 c.p.c.

Le ricorrenti incidentali si dolgono, anzitutto, dell’omessa pronuncia della Corte territoriale in ordine all’eccezione di inammissibilità di tutti i motivi di appello dell’Azienda ULSS “concernenti il quantum debeatur” riconosciuto alle parti attrici, in quanto la stessa Azienda in primo grado aveva svolto al riguardo argomentazioni del tutto generiche.

Inoltre, nel caso si ritenesse che il giudice di appello abbia implicitamente rigettato detta eccezione di inammissibilità, è lamentata lamentano sia la violazione del principio di non contestazione, ex art. 115 c.p.c., non avendo l’Azienda ULSS affatto contestato, in modo specifico e analitico, la “esistenza” e T’ammontare del danno lamentato dall’attrice” e non potendo, dunque, più prospettare la relativa questione in appello, ormai sottratta al thema decidendum; sia la violazione dell’art. 345 c.p.c., avendo la Corte territoriale “affrontato una questione mai introdotta dalla AULSS appellante in primo grado”.

10.- Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 c.c., per aver la Corte territoriale utilizzato due criteri temporalmente diversi per liquidare danni ambedue permanenti, considerando l’aspettativa di vita media ai fini della quantificazione del danno biologico da invalidità permanente, assegnando viceversa rilevanza alla minore speranza di vita futura concreta ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa.

11.- Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., per aver la Corte territoriale valorizzato le ridotte aspettative di vita concrete della danneggiata anche ai fini della quantificazione del danno emergente rappresentato dalle spese future di assistenza e cura. Per tale ragione, questo danno, liquidato in forma capitale, moltiplicando per un coefficiente di capitalizzazione la spesa annua, è stato poi ridotto di due terzi.

12.- Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. e la violazione del diritto vivente in materia di obbligazioni di valore e dei principi affermati da Cass., S. U., n. 1712/1995, per aver la Corte territoriale statuito la decorrenza degli interessi sul maggior credito accordato per il danno patrimoniale da incapacità lavorativa e per spese di assistenza e cura dalla sentenza, anziché dal fatto illecito.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

La decisione sui ricorsi.

13.- Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale nei confronti di Ba.El., in proprio e quale esercente in via esclusiva la responsabilità genitoriale sul figlio minore Ca.Om., nonché di Do.Gi., giacché la sentenza emessa dalla Corte di appello di Venezia viene impugnata esclusivamente nelle statuizioni che riguardano la riconosciuta pretesa risarcitoria in favore della sola Ca.Ga., rappresentata dalla madre Ba.El. quale sua Amministratrice di sostegno.

Avendo, dunque, la decisione impugnata – di condanna della Azienda ULSS al risarcimento del danno anche in favore degli altri intimati in questa sede – ad oggetto posizioni e, dunque, cause scindibili (come correttamente evidenziato anche dalle ricorrenti incidentali: p. 7 del controricorso/ricorso incidentale), la mancata impugnazione delle statuizioni della sentenza di appello riferibili ai danneggiati diversi da Ca.Ga. rende inammissibile il ricorso nei loro confronti.

14.- Sempre in via preliminare, va anzitutto esaminato – in quanto scrutinio logicamente prioritario – il primo motivo di ricorso incidentale della Ba.El., nella qualità di Amministratrice di sostegno della figlia Ca.Ga.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

14.1.- È inammissibile quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., giacché la censura relativa all’omessa pronuncia può formularsi soltanto avverso omissioni di pronuncia inerenti a questioni di merito, che riguardino il bene della vita cui aspira la parte.

Nella specie viene in rilievo non una questione di merito, bensì una questione processuale, in particolare l’omessa pronuncia su un’eccezione di inammissibilità del gravame (tra le tante: Cass. n. 25154/2018; Cass. n. 10422/2019; Cass. n. 26913/2024).

14.2.- È infondato nel resto.

Quanto alla doglianza inerente alla violazione del principio di “non contestazione”, giova ricordare che tale principio non presenta una fisionomia fissa e invariabile, né opera in maniera incondizionata, giacché sono le allegazioni della parte che afferma i fatti costitutivi a sostegno della pretesa alla quale ambisce – e, nella specie, l’esistenza e l’ammontare del danno che si assume patito sono temi di allegazione e prova che gravano sulla parte attrice – a delimitarne di volta in volta la portata e a condizionarne l’operatività.

Di qui, come messo in luce dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. n. 18503/2005; Cass. n. 4249/2012; Cass. n. 3576/2013; Cass. n. 14652/2016; Cass. n. 87/2019; Cass. n. 18074/2020; Cass. n. 4681/2023; Cass. n. 16028/2023; Cass. n. 10629/2024), trovano rilievo talune conseguenze: a) l’ampiezza dell’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sarà il riflesso di quella delle allegazioni oggetto della contestazione stessa; b) la non contestazione – che la parte interessata a farla valere ha l’onere di dedurre prima che abbia ingresso il mezzo istruttorio disposto per l’accertamento del fatto non contestato (altrimenti, emergendo tacitamente una convergente contestazione del fatto stesso, sorge la necessità del relativo accertamento) -, se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento; c) l’operatività della non contestazione implica che i fatti, per i quali si impone l’onere di contestazione, siano noti a entrambe le parti, per cui: c.1) ove i fatti costitutivi del diritto, allegati da una parte, esorbitino dalla sfera di conoscenza di controparte, quest’ultima potrà limitarsi ad una contestazione generica, restando fermo l’onere della prova in capo a chi quei fatti ha allegato; c.2) la denuncia della violazione del principio di non contestazione impone di allegare che la controparte era a conoscenza della circostanza assunta come controversa, non essendo altrimenti configurabile a carico della medesima controparte un onere di contestazione.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

Nella specie, varrà anzitutto osservare, in via assorbente, che le stesse ricorrenti incidentali deducono di aver eccepito la “non contestazione” solo in grado di appello: dunque, intempestivamente, rendendo così necessario l’accertamento dei fatti non contestati.

In ogni caso, va considerato che, come detto, era onere della parte attrice allegare e provare l’esistenza e l’ammontare del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale asseritamente patito in conseguenza dell’illecito di malpractice sanitaria e ciò rispetto alle singole voci di danno pretese (danno biologico, danno morale, danno alla capacità di guadagno, danno per spese sanitarie), la cui precipua attinenza all’ambito della sfera personale della danneggiata (aspetti dinamico-relazionali, sofferenza interiore, esborsi effettuati, specifiche esigenze di assistenza in futuro, etc.) e trascendenti, di per sé, la sfera di conoscenza della controparte, non rendeva esigibile da parte di quest’ultima, in sede di costituzione in giudizio, una contestazione puntuale e analitica di quelle allegazioni sulla base di dati ad essa fisiologicamente estranei.

Né le ricorrenti incidentali deducono, e forniscono idonea prova nel rispetto dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c., di aver specificamente allegato che l’Azienda ULSS fosse a conoscenze di tutte le circostanze assunte come controverse a fondamento del quantum debeatur della pretesa risarcitoria spiegata.

Per quanto già osservato e considerato, ne consegue, altresì, l’inconsistenza della dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c., non avendo l’Azienda ULSS introdotto in sede di gravame alcuna domanda, eccezione (in senso stretto) o questione nuova.

Possono essere ora esaminati i motivi del ricorso principale della Azienda ULSS n. 4

15.- Il primo motivo è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

15.1.- Il principio di diritto che deve trovare applicazione al caso di specie (ossia, di persona sopravvissuta al fatto illecito e in conseguenza di questo rimasta invalida in modo permanente nella misura del 95%) è quello, enunciato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 26118/2021; analogamente Cass. n. 35416/2022) e al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui:

in tema di liquidazione del danno alla persona, il cd. “rischio latente” – cioè, la possibilità che i postumi, per la loro gravità, provochino un nuovo e diverso pregiudizio consistente in una ulteriore invalidità o nella morte ante tempus – costituisce una lesione della salute del danneggiato, da considerare nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente secondo le indicazioni della medicina legale.

Ne consegue che, qualora il grado di invalidità sia determinato tenendo in conto detto rischio, il danno biologico va liquidato in relazione alla concreta minore speranza di vita del danneggiato e non della durata media della vita; se, invece, il “rischio latente” non è stato incluso nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente (o perché non contemplato dal barème utilizzato o per omissione del consulente), il giudice deve tenerlo in considerazione maggiorando la liquidazione in via equitativa, anche scegliendo il valore monetario del punto di invalidità previsto per una persona della medesima età della vittima, dunque, in base alla durata media nazionale della vita, anziché alla speranza di vita del caso concreto.

15.1.1.- Il “rischio latente” e, in definitiva, rappresentato dalla potenziale progressione offensiva insita nella lesione permanente, la cui eventuale degenerazione, in una prospettiva diacronica, è idonea a produrre un nuovo danno che potrà alternativamente consistere nell’insorgenza di una nuova invalidità o nella morte ante tempus del danneggiato.

Ai fini del risarcimento, si rende, quindi, necessario comprendere se tale rischio di ingravescenza dei postumi della lesione sia stato incorporato nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, suggerito dal medico-legale e condiviso dal giudice, quale sua componente.

In tale ipotesi, la liquidazione del danno, per evitare duplicazioni risarcitorie (che si avrebbero nella congiunta applicazione dell’incremento del grado di percentuale dell’invalidità permanente e del parametro della vita media), dovrà effettuarsi in considerazione della “(minore) speranza di vita in concreto, e non di quella media”.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

In questi termini viene a ricomporsi il contrasto, apparente, tra gli orientamenti di questa Corte che privilegiano ora il parametro della “vita media”, ora quella della “speranza della vita in concreto”.

Nel primo senso (Cass. n. 5881/2000; Cass. n. 8204/2003; Cass. n. 28168/2019) si ritiene, infatti, che il danno biologico da invalidità permanente deve essere modulato in rapporto alle aspettative di vita media ascrivibili ad un soggetto sano della stessa età del danneggiato, poiché la contrazione dell’aspettativa di vita concreta del danneggiato, rispetto ad un soggetto medio della medesima età, è causalmente determinata dal fatto illecito e il danneggiante non deve beneficiare di una riduzione del risarcimento in conseguenza di un’aspettativa di vita ridotta che egli stesso ha causato. E tra i pregiudizi da risarcirsi vi sono anche le esperienze e i vantaggi sottratti al danneggiato o, ancora, la possibilità di beneficiare di sopravvenute acquisizioni scientifiche nell’ambito medico, che ne possono consentire una più lunga sopravvivenza.

Per contro, si è reputato (Cass. n. 16525/2003: pronuncia capostipite di tale orientamento) che, ai fini della liquidazione del danno biologico da invalidità permanente, è necessario fare riferimento alla concreta aspettativa di vita del danneggiato ove sia accertato uno scarto tra essa e l’aspettativa di vita media di un soggetto della medesima età, benché ciò sia addebitabile all’illecito commesso dal danneggiante. Tuttavia, per contemperare due esigenze contrapposte frutto di tale impostazione liquidatoria -ossia, evitare, per un verso, che sia vulnerato il principio dell’integralità del risarcimento e, per altro verso, che la funzione del risarcimento stesso possa essere distorta e orientata verso orizzonti punitivi – occorre che il giudice proceda alla “personalizzazione” del risarcimento e, quindi, in base alle specificità del caso concreto, valorizzi la “gravità particolare della lesione, che ha inciso anche sulla capacità recuperatoria, o quanto meno stabilizzatrice, della salute, accelerando la “discesa” verso la morte e rendendo più gravoso quel minus esistenziale che accompagna la residua vita della vittima” (così la citata Cass. n. 16525/2003).

La ricomposizione ad unità delle richiamate posizioni compiuta in base alla valorizzazione del c.d. “rischio latente”, nei termini sopra descritti, pone in rilievo l’elemento comune agli orientamenti (apparentemente) contrapposti, ossia l’esigenza, fondamentale, di rispettare il principio di integralità del risarcimento, per cui è dovuto al danneggiato tutto quanto, in conseguenza dell’illecito, è stato sottratto alla sua sfera patrimoniale, ma non di più (e cioè, secondo una risalente espressione: “tutto il danno e nulla più che il danno”); e questo postula, specularmente, che l’autore del fatto illecito non debba lucrare “uno sconto” sulla integrale liquidazione del danno.

Di qui, pertanto, anche la chiara riconducibilità della liquidazione del danno biologico di cui si discute alla funzione riparatoria e non punitiva della responsabilità civile.

Dunque, a un siffatto risultato mirano, in effetti, entrambi i ricordati orientamenti, sebbene tramite percorsi diversi, la cui sintesi – dalle coordinate innanzi illustrate – è fornita dal condivisibile approdo rappresentato dalla teorica del c.d. “rischio latente”.

15.1.2. – Un’ulteriore conferma in tale prospettiva (e quindi diversamente da quanto opinato dall’Azienda ULSS con il controricorso al ricorso incidentale: p. 6) si rinviene in Cass. n. 31574/2022, che ha enunciato il principio di preferenza della liquidazione del risarcimento del danno grave alla persona sotto forma di rendita vitalizia ex art. 2057 c.c.

In questa pronuncia si è affermato che “se la durata della vita del danneggiato sarà, in concreto o presumibilmente, inferiore alla durata della vita media, e ciò a causa delle lesioni, il responsabile sarà tenuto a risarcire il danno (biologico) sotto forma di rendita -la cui base di calcolo si fonderà non sulla speranza di vita in concreto, bensì su quella media di un soggetto sano” (par. 5.3.9, lett. b).

A tal riguardo, si è, altresì, precisato, significativamente, che la liquidazione del danno biologico tramite la rendita, cessando con la morte del beneficiario, non avvantaggia “il responsabile del fatto illecito in tutti i casi in cui proprio la gravità delle lesioni provochi una ridotta aspettativa di vita per la vittima, determinando una riduzione dello stesso risarcimento” e, quindi, un vulnus al principio della sua integralità.

Ciò in quanto la determinazione del capitale che costituisce il criterio di calcolo da cui ricavare la rendita deve avvenire secondo il coefficiente corrispondente “all’età effettiva del danneggiato” e con riferimento “alla durata media della vita”, senza, dunque, tenere in alcun conto “la minore speranza di vita della vittima” (par. 5.3.1.).

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

In altri termini, il valore della rendita “dovrà essere computato tenendo conto non delle concrete speranze di vita del danneggiato, bensì della vita media futura prevedibile secondo le tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, a nulla rilevando che, nel caso concreto, egli abbia speranza di sopravvivere solo per pochi anni, ovvero che non risulti oggettivamente possibile determinarne le speranze di sopravvivenza, qualora tale ridotta speranza di sopravvivenza sia conseguenza dell’illecito” (par. 5.3.6.). In tal modo, si verranno a risarcire “per equivalente tutte le conseguenze dannose dell’illecito che il danneggiato sarà costretto a sopportare, giorno per giorno, sino alla fine della sua vita”, là dove, poi, “allo spirare dell’esistenza, di danno biologico e morale del soggetto leso non è più dato discorrere” (par. 5.3.7.).

Dunque, la cessazione della corresponsione della rendita vitalizia per la morte del danneggiato ante tempus rispetto all’aspettativa di una vita più lunga secondo quanto previsto dalle statistiche mortuarie non ha come effetto uno “sconto” sul risarcimento in favore dell’autore dell’illecito, giacché quella rendita è stata calcolata secondo un coefficiente che ha tenuto conto della vita media del danneggiato e non della sua minore speranza di vita.

E questo sta a significare, pertanto, che la liquidazione del danno alla salute avviene in base ad un meccanismo correttivo idoneo ad assicurare che la vittima sia ristorata di tutte le “perdite” dinamico-relazionali patite e non di più.

15.2.- Ciò posto, l’inammissibilità del motivo – quale esito che, pertanto, assorbe sia l’eccezione di parte controricorrente (pp. 23/25 del controricorso) di difetto di interesse all’impugnazione, ex art. 100 c.p.c., avanzata sul presupposto che questa, ove accolta, condurrebbe ad una reformatio in pejus della sentenza di appello “a svantaggio” della stessa Azienda ULSS, sia il primo motivo di ricorso incidentale condizionato (pp. 27/29 del controricorso) sulla novità in appello della contestazione dei criteri di liquidazione del danno biologico da parte della Azienda ULSS (peraltro, in quanto replicante le doglianze del primo motivo di ricorso incidentale, già scrutinato con esito negativo) – risiede nel fatto che, a fronte della liquidazione effettuata dalla Corte territoriale in base al grado di invalidità permanente pari al 95% e rapportato alla durata media della vita della danneggiata, l’Azienda ULSS ha veicolato un motivo affatto generico, mancando dare conto, in modo puntuale, se effettivamente il barème utilizzato per la commisurazione del grado percentuale di invalidità includesse, o meno, il c.d. “rischio latente”.

E tale carenza risulta ancor più significativa per il fatto che – come emerge dalla stessa sentenza impugnata (p. 13) – non sono evidenziati elementi per sostenere che i consulenti tecnici abbiano incluso nella formulazione del giudizio inerente alla commisurazione del grado percentuale di invalidità il c.d. “rischio latente” connesso ai postumi permanenti, così da rendere, in tal caso, coerente con il principio di diritto innanzi rammentato la liquidazione del danno biologico in via equitativa tenuto conto della durata media della vita della danneggiata e non già dell’aspettativa di vita concreta determinata in anni 20.

16.- Il secondo e il terzo motivo – da scrutinarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi – sono infondati.

16.1- In punto di diritto, va rammentato che, in forza della vigente disposizione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (violazione del c.d. “minimo costituzionale”), in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S. U., n. 8053/2014).

In particolare, poi, la motivazione è da ritenersi “apparente” ove non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento ovvero, in quanto carente del giudizio di fatto, si basi su affermazioni generali ed astratte, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 4166/2024).

Varrà, altresì, considerare che, mentre il danno biologico è un danno avente base organica, che consiste in alterazioni funzionali dell’organismo suscettibili di essere documentate da rilievo medicolegali e si traduce in un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, diversamente, il danno morale è un pregiudizio non soggetto a riscontri medici, inerendo ad una sofferenza che si dispiega nel foro interno del danneggiato e che ivi si arresta.

Il danno morale, infatti, consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore che prescinde dalle vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato – che, tuttavia, può pure influenzare – e si caratterizza, fenomenologicamente, in esperienze soggettive come il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione (tra le altre: Cass. n. 7513/2018; Cass. n. 9006/2022).

Pertanto, ove dedotto e provato, il danno morale deve formare oggetto di separata valutazione ed autonoma liquidazione rispetto al danno biologico in quanto, nella liquidazione dell’importo complessivo del risarcimento, è necessario assicurare l’integralità del risarcimento, avendo riguardo a tutti gli aspetti non patrimoniali e areddituali su cui incide l’illecito, senza, però, incorrere in duplicazioni risarcitorie.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

È necessario, pertanto, che il giudice del merito dia adeguatamente conto in motivazione dei pregiudizi concretamente inflitti ai diversi aspetti della persona che si intendono valorizzare ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale e a quale titolo si intenda farlo: se di danno biologico o di danno morale.

L’onere motivazionale, che deve essere orientato a dare evidenza alla fenomenologia dei pregiudizi patiti dal danneggiato -e che, pertanto, è precipitato di un’istruttoria svolta con cura e completezza, potendo il giudice del merito anche far tesoro di utili strumenti chiarificatori delle allegazioni a sostegno della domanda, come, tra gli altri, la comparizione delle parti (art. 171-bis c.p.c.) -, assolve, dunque, ad una funzione essenziale, soprattutto in considerazione del fatto che, come detto, la liquidazione di una tipologia di danno non esclude l’altra, ben potendo esse coesistere.

16.2.- Nella specie, la Corte territoriale ha correttamente inquadrato i caratteri tipici del danno morale che andava a risarcire (ossia, richiamando la “sofferenza psicologica” comprensiva di tutti gli stati d’animo che possono affliggere l’individuo “quali tristezza, malinconia, senso di vergogna, mancanza di autostima, disperazione alla prospettiva di dover sopportare la vita, frustrazione connessa alla propria diversità e alla mancanza di prospettive di miglioramento”: p. 14 della sentenza di appello), senza, però, esaurire l’obbligo motivazionale nel solo riferimento – correlato, piuttosto, al dato esperenziale-relazionale dell’esistenza che sostanzia il danno biologico – alla tragica situazione in cui versa la danneggiata, siccome “costretta ad una condizione esistenziale in cui sostanzialmente ogni esperienza di cui si alimenta la vita le è per sempre preclusa” (p. 15 della sentenza di appello).

La motivazione adottata dal giudice di appello – diversamente da quanto assunto dalla ricorrente principale – non si sottrae dal dare conto della fattualità del pregiudizio al foro interno della danneggiata, avendo messo in adeguato risalto specifiche circostanze rivelatrici del patimento interiore sofferto da Ca.Ga. in conseguenza dell’illecito (ossia “la sofferenza morale cagionata dall’uso della carrozzina, dalla gastrostomia, dall’incontinenza, la soppressione dell’autostima, il disagio conseguente alla condizione di invalida”: p. 14 della sentenza di appello), distinte dagli aspetti dinamici-relazionali, sebbene idonee anch’esse ad incidervi.

Si tratta, dunque, di una motivazione ben al di sopra del c.d. “minimo costituzionale” e rispettosa delle coordinate giuridiche della materia, non implicando la stessa alcuna duplicazione risarcitoria.

17.- Il quarto motivo – sebbene ammissibile (poiché non censura una quaestio facti – come dedotto dai controricorrenti -, ma un asserito error iuris) – è infondato.

È corretta la premessa da cui muove la denuncia di parte ricorrente, ossia che il dettato normativo dell’art. 138 c.a.p. – così come risultante dalle modifiche ad esso apportate dalla legge n. 124 del 2017 e successivamente dal D.L. 228 del 2021 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 15 del 2022) – trova applicazione retroattiva, con il limite dei rapporti giuridici esauriti, e, quindi, ben può orientare il giudizio sulla liquidazione dei danni verificatisi in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge sopravvenuta, nell’ambito dei giudizi ancora in corso (Cass. n. 28990/2019).

Tuttavia, la censura non coglie nel segno.

Va, difatti, osservato che l’art. 138 c.a.p. prevede la predisposizione, con fonte regolamentare, “di specifiche tabelle uniche per tutto il territorio della Repubblica: a) delle menomazioni all’integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti; b) del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso” (comma 1).

Dette tabelle sono redatte in base a determinati criteri, indicati alle lettere da a) a d) del comma 2 dello stesso art. 138.

A sua volta, la lett. e) del citato comma 2 dell’art. 138 dispone che “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione”.

Il successivo comma 3 del medesimo articolo prevede, poi, che “(q)ualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 1, lettera b), può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento”.

La norma dell’art. 138 c.p.a. stabilisce, dunque, che il danno morale, ricorrendone le condizioni, debba essere liquidato in via autonoma rispetto al danno biologico (comma 2, lett. e) e che l’aumento dalla stessa stabilito sino al 30% ha ad oggetto esclusivamente il danno biologico e non anche quello morale (comma 3).

Ed è in tal senso il condivisibile principio già enunciato da questa Corte con l’ordinanza n. 2433/2024, che l’Azienda ULSS richiama solo in parte con la memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c. (p. 6/7) – ossia, per quanto concerne l’affermazione dell’immediata operatività e vincolatività dell’aumento del 30% -, ignorando, però, che detta pronuncia ha anche affermato che quell’aumento riguarda unicamente il danno biologico.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

Va, dunque, ribadito il seguente principio di diritto:

l’aumento sino al 30% stabilito dal comma 3 dell’art. 138 del D.Lgs. n. 209/2005 ha ad oggetto esclusivamente il danno biologico e non trova, dunque, applicazione in riferimento al danno morale, che, ricorrendone le condizioni, va liquidato autonomamente, secondo quanto previsto dal comma 2, lett. e), dello stesso art. 138.

18.- Il quinto motivo è infondato.

Va rammentato che, secondo l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. n. 17411/2019; Cass. n. 17931/2019; Cass. n. 12605/2023; Cass. n. 16628/2023), il c.d. danno da cenestesi lavorativa, che si concretizza nel danno da perdita della capacità lavorativa generica, si qualifica come danno non patrimoniale, assorbito in particolare dalla voce del danno biologico.

Tuttavia, la nozione di danno da cenestesi lavorativa, di matrice giurisprudenziale e alla quale tale orientamento fa riferimento, consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà fronteggiate nello svolgimento dell’attività lavorativa che si risolvono in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, non incidendo, neanche sotto il profilo delle opportunità, sul reddito della persona offesa (Cass. n. 16628/2023, citata).

Esso si distingue dal danno da perdita della capacità lavorativa specifica, che invece si configura come danno produrre reddito, in base alle proprie attitudini lavorative patrimoniale in quanto incidente sulla capacità del danneggiato di specifiche, compromesse dall’illecito subito.

Nel caso di minore – e, dunque, di soggetto che non abbia ancora intrapreso attività lavorativa – il risarcimento di tale danno andrà calcolato, di norma, sulla base di una previsione della sua futura attività lavorativa, da compiersi tenendo conto degli studi effettuati e delle sue inclinazioni, nonché della posizione economico-sociale della famiglia di appartenenza (tra le tante, già Cass. n. 10074/2010).

La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, precisato che la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima (tra le altre, Cass. n. 12605/2023, in caso di invalidità permanente al 50%).

Tuttavia, si è ritenuto – con affermazione che il Collegio condivide e alla quale intende dare continuità – che il danno da definitiva e totale perdita della capacità di lavoro conseguente ad errata prestazione sanitaria, a carico di soggetto che non è mai stato percettore di reddito, va risarcito a titolo di danno patrimoniale futuro, pur non potendosi fare riferimento alla capacità di lavoro specifica, e non (soltanto) a titolo di danno biologico e può essere liquidato, in assenza di un ragionevole parametro di riferimento, con il criterio, residuale, del triplo della pensione sociale (Cass. n. 16844/2023, citata).

È, difatti, “evidente, invece, che in presenza di un soggetto che è divenuto invalido al 100 per cento fin dalla nascita a causa di una malpractice sanitaria (analogamente nel caso di specie, là dove l’invalidità è al 95% e la Corte territoriale ha precisato che “Ca.Ga. non potrà mai svolgere alcuna attività lavorativa”: p. 17 della sentenza di appello) … ogni discussione circa la distinzione tra capacità lavorativa generica e specifica e sulla possibile ricomprensione del danno patrimoniale in quello biologico è del tutto fuor di luogo” (così la citata Cass. n. 16844/2023).

Sicché, non è dato dubitare che il risarcimento del danno patrimoniale futuro spetti al soggetto al quale, in conseguenza dell’illecito, sia stato inibito l’accesso al lavoro sin dalla nascita e, con ciò, la possibilità stessa di percepire un reddito remunerativo dallo svolgimento della relativa attività (in termini si veda anche la citata Cass. n. 26118/2021, par. 8.1.).

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

Va, dunque, ribadito il seguente principio di diritto: il danno da definitiva e totale perdita della capacità di lavoro, conseguente ad illecito, sofferto da soggetto (come un neonato) che non è mai stato percettore di reddito, va risarcito non soltanto a titolo di danno biologico, ma anche a titolo di danno patrimoniale futuro, pur non potendosi fare riferimento alla capacità di lavoro specifica, e può essere liquidato, in assenza di un ragionevole parametro di riferimento, con il criterio, residuale, del triplo della pensione sociale.

20.- Il sesto motivo è inammissibile.

Il vigente art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che la relativa deduzione deve essere formulata nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., S. U., n. 8053/2014).

Ciò che, invece, censura la parte ricorrente è la valutazione delle risultanze processuali da parte della Corte territoriale in ordine alla sussistenza e alla consistenza di un danno patrimoniale futuro per esborsi da effettuare – e, dunque, non rispetto ad accadimenti materiali già verificatesi -, adducendone, piuttosto, il contrasto con taluni atti del giudizio (c.t.u. e comparsa di costituzione in appello della controparte), in termini tali che non è neppure dato ricondurre ad un “travisamento della prova”, ossia di svista, avente carattere decisivo, concernente il fatto probatorio in sé, e non (come nel caso) di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio (Cass., S. U., n. 5792/2024).

21.- Va ora esaminato il settimo motivo del ricorso principale.

21.1.- Lo scrutinio nel fondo delle censure deve, però, essere preceduto dall’esame del secondo motivo di ricorso incidentale condizionato che è stato proposto sulle medesime questioni oggetto dell’anzidetto mezzo del ricorso principale.

Le ricorrenti incidentali si dolgono che la Corte territoriale non abbia pronunciato, così violando l’art. 112 c.p.c., sull’eccezione di “inammissibilità del motivo di appello con cui si invocava il principio della compensatio, a causa della sua novità”, giacché l’Azienda ULSS, nel costituirsi in primo grado, non aveva contestato “né genericamente, né specificamente, la domanda di risarcimento del danno patrimoniale per le spese di assistenza, e nulla osservò sul tema della compensatio lucri cum damno”; in alternativa, è denunciato la violazione dell’art. 345 c.p.c., per aver il giudice di appello esaminato detto motivo, senza, però, dichiararlo inammissibile.

Le censure sono in parte inammissibili e in parte infondate.

È inammissibile la doglianza di violazione dell’art. 112 c.p.c. per le stesse ragioni indicate in sede di esame del primo motivo di ricorso incidentale, cui si rinvia (par. 14.1, che precede).

È infondata la doglianza che prospetta la violazione dell’art. 345 c.p.c.

Costituisce, difatti, diritto vivente che l’eccezione di compensatio lucri cum damno, essendo finalizzata ad accertare se il danneggiato abbia conseguito un vantaggio in conseguenza dell’illecito e non già a verificare l’esistenza di contrapposti crediti, non ha natura di eccezione in senso stretto e non è soggetta a preclusioni (tra le molte: Cass. n. 992/2014; Cass. n. 16808/2023; Cass. n. 33900/2023).

Pertanto, avendo il Tribunale pronunciato in ordine alla questione (su cui esclusivamente vertono i motivi del ricorso principale) che riguardava il diffalco dall’importo risarcitorio dell’indennità di accompagnamento, negando che ciò potesse essere riconosciuto, l’appello interposto dall’Azienda ULSS su tale statuizione non può affatto reputarsi inammissibile in violazione dell’art. 345 c.p.c.

21.2.- Il settimo è ammissibile (in quanto intercetta chiaramente la ratio decidendi della sentenza impugnata) e anche fondato per quanto di ragione.

Giova rammentare, anzitutto, che dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall’illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto (Cass., S. U., n. 12567/2018).

Ciò premesso, varrà, quindi, considerare, alla luce del più recente e condivisibile orientamento che si è venuto a consolidare nella giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. n. 20909/2018; Cass. n. 8866/2021; Cass. n. 7345/2022; Cass. n. 16808/2023; Cass. n. 2840/2024), che: a) l’eccezione di compensatio lucri cum damno è (come detto) un’eccezione in senso lato, configurandosi, quindi, come mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato e, come tale, è rilevabile d’ufficio e il giudice, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio; b) la compensatio non può operare qualora manchi la prova – di cui è onerata la parte che la eccepisce – che la somma sia stata corrisposta e tantomeno sia determinata o determinabile nel suo preciso ammontare; c) sono, dunque, soggette a compensazione non soltanto le somme già percepite al momento della pronuncia, ma anche le somme da percepire in futuro, in quanto riconosciute e, dunque, liquidate e determinabili; d) il giudice di merito può a tal fine anche avvalersi del potere officioso di sollecitazione presso gli uffici competenti e ciò, segnatamente, quando la percezione dell’indennizzo non sia negata.

Di tali principi non ha fatto buon governo la Corte territoriale, erroneamente negando la detraibilità dall’importo risarcitorio riconosciuto alla danneggiata delle somme a titolo di indennità di accompagnamento nonostante non ne fosse affatto contestata la corresponsione (p. 18 della sentenza di appello), per cui non era affatto inibita l’attivazione del potere ufficioso di richiedere informazioni all’INPS (ex art. 213 c.p.c.) sull’esatto importo della stessa indennità versato in favore della Ca.Ga., a fronte, peraltro, di ammissioni contenute negli scritti difensivi (comparsa di costituzione in appello p. 56) che, pur non avendo valore confessorio, erano liberamente valutabili ai sensi dell’art. 116 c.p.c. (tra le tante: Cass. n. 23634/2018; Cass. n. 7702/2029), soprattutto in uno specifico contesto che registra la determinabilità della prestazione assistenziale in base ai presupposti e alle misure stabiliti dalla normativa di settore (a partire dalla legge n. 18/1980).

22.- L’esame dell’ottavo motivo di ricorso principale è assorbito dall’accoglimento del settimo motivo.

Vanno ora scrutinati i restanti motivi del ricorso incidentale di Ba.El., quale Amministratrice di sostegno della figlia Ca.Ga.

23.- Il secondo motivo è fondato.

Con esso ci si duole, segnatamente, che la Corte territoriale abbia liquidato in favore di Ca.Ga. il danno patrimoniale futuro, da mancato guadagno per esserle totalmente inibita l’attività lavorativa, facendo riferimento non già – come avrebbe dovuto, al pari di quanto ritenuto in punto di liquidazione del danno biologico – all’aspettativa di vita media della danneggiata, bensì alla sua minore aspettativa di vita in concreto di anni 20 e, dunque, nel presumere l’entrata nel mondo lavorativo a 25 anni, parametrando il pregiudizio subito a 16 anni soltanto di attività di lavoro remunerativa.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

23.1.- La censura coglie nel segno, giacché la statuizione contrasta con il principio di integralità del risarcimento a fronte di un danno patrimoniale futuro correlato ad una permanente invalidità, inibente totalmente e per sempre l’attività lavorativa, causata dall’illecito e, dunque, da questo derivando eziologicamente (prima ancora che rilevi il criterio di imputazione) anche la minore aspettativa di vita in concreto della danneggiata.

Pertanto, sotto il profilo del rispetto del principio di integralità del risarcimento (art. 1223 c.c.), la circostanza che l’invalidità permanente sia cagionata dall’illecito e che questo abbia negativamente inciso sulla stessa aspettativa di vita in concreto della persona danneggiata, comporta che i danni-conseguenza da essa derivanti, quello biologico e quello patrimoniale da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, in quanto entrambi proiettantisi nel futuro, debbano trovare criteri sostanzialmente omogenei di liquidazione.

In tal senso, come si è visto (cfr. par. 15, che precede, e la giurisprudenza ivi richiamata), nella liquidazione del danno biologico la valorizzazione del dato della minore speranza di vita si lega al correttivo della inclusione del “rischio latente” nella costruzione del barème, ma là dove ciò non accada la liquidazione stessa deve effettuarsi tenendo conto del parametro della durata media nazionale della vita.

Nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa il correttivo anzidetto non e, logicamente, utilizzabile, non essendovi un barème medico-legale che misuri la perdita della capacità produttiva di reddito lavorativo, e, pertanto, residua e trova applicazione il criterio della durata media nazionale della vita.

Del resto, in tal senso è orientata la giurisprudenza di questa Corte che, ai fini della liquidazione di tale danno patrimoniale, richiede di moltiplicare il reddito perduto per un adeguato ed affidabile coefficiente di capitalizzazione, in quanto aggiornato e scientificamente corretto (come, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano), composto da due variabili, ossia il montante di anticipazione (individuato sulla scorta di un certo tasso di interesse) e, per l’appunto, la durata media della vita, in base alle tavole di mortalità (Cass. n. 10499/2017; Cass. n. 16913/2019).

Non è pertinente con le argomentazioni che precedono il rilievo dell’Azienda ULSS (p. 7/8 del controricorso al ricorso incidentale) per cui, in tal modo, si verrebbe ad “attribuire al risarcimento una funzione punitiva” e non già riparatoria e ciò sarebbe stato evidenziato da questa stessa Corte “in materia di (non risarcibilità del) danno tanatologico” anche con la più recente Cass. n. 28989/2019.

Si è, infatti, già messo in risalto come nelle ipotesi in esame operi, in funzione riparatoria e non già punitiva, il principio di integralità del risarcimento (cfr. ancora supra par. 15) e il precedente giurisprudenziale richiamato dall’Azienda ULSS non smentisce affatto tale approdo, avendo deciso sul ben diverso caso del “danno, iure haereditario, per la perdita, da parte della de cuius, del bene della vita in sé considerato, ossia di un danno in sé diverso, tanto dal danno alla salute, quanto dal c.d. danno biologico terminale e dal c.d. danno morale terminale” (pp. 14/15 della citata Cass. n. 28989/2019).

Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto:

il danno patrimoniale futuro da mancato guadagno per la perdita totale della capacità di lavoro in conseguenza dell’illecito va liquidato facendo riferimento al parametro dell’aspettativa di vita media del soggetto danneggiato e non alla sua minore aspettativa di vita in concreto accertata.

24.- Il terzo motivo è infondato.

È, infatti, corretta la decisione della Corte territoriale (cfr. par. 2.2. dei “Fatti di causa”; p. 19/20 della sentenza di appello) di liquidare, in favore di Ca.Ga., il danno futuro per le spese mediche e di assistenza tenuto conto dell’aspettativa di vita residua di anni 20 e non della “vita media di un soggetto di sesso femminile (82 anni)”.

Trova, infatti, applicazione il principio, consolidato, per cui (secondo quanto qui specificamente interessa) il danno permanente futuro, consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante (nella specie, per spese mediche e di assistenza a persona invalida permanente al 95%), deve essere liquidato, ai sensi dell’art. 1223 c.c., stimando il costo presumibile delle prestazioni di cui la vittima avrà bisogno in considerazione delle menomazioni da cui è afflitta, rapportato alla durata presumibile dell’esborso e, quindi, per il numero di anni che lo stesso verrà sopportato (tra le altre: Cass. 11393/2019; Cass. n. 17815/2019; Cass. n. 13881/2020; Cass. n. 13727/2022; Cass. n. 16844/2023).

Di qui, pertanto, la coerente precisazione della citata Cass. n. 11393/2019 (che ha confermato la decisione impugnata in punto di liquidazione dell’importo annuale delle spese mediche dovute per assistenza fisioterapica per la prognosi di durata della vita del danneggiato, calcolata in misura pari a 35 anni) secondo cui, ai fini della liquidazione di detto danno, rileva non la speranza di vita media nazionale, ma, per l’appunto, la prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato (per cui al criterio della “vita media” potrà farsi riferimento soltanto nel caso in cui non sia possibile una prognosi specifica sulla durata della vita del danneggiato medesimo: Cass. n. 13727/2022).

Tale principio non confligge con la diversa conclusione che, come detto (al par. 15, che precede), risulta pertinente al danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, poiché vengono in rilievo, secondo la distinzione posta dallo stesso art. 1223 c.c., danni diversamente caratterizzati (e, quindi, erroneamente l’Azienda ULSS lo ha reputato applicabile anche nella fattispecie anzidetta: pp. 9/10 del controricorso al ricorso incidentale).

Nell’un caso (danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa) si tratta di un “mancato guadagno” e, quindi, della perdita di una utilità futura che il danneggiato avrebbe acquisito se fosse rimasto in vita più a lungo e ciò gli è stato, però, impedito dall’illecito; nell’altro caso (danno patrimoniale futuro per spese di assistenza), si configura un “danno emergente” (così esplicitamente la citata Cass. n. 17815/2019), ossia un esborso che sarà necessario sostenere, ma soltanto finché si è in vita, per cui il sopraggiungere della morte, anche se per effetto dell’illecito, farà comunque cessare quella perdita patrimoniale, con la conseguenza che non sarà più apprezzabile l’esistenza di un danno risarcibile.

Va, dunque, ribadito (e precisato) il seguente principio di diritto:

il danno patrimoniale permanente futuro consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante è un danno emergente e, quindi, la relativa liquidazione, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve avere come parametro temporale di riferimento la durata presumibile dell’esborso e, quindi, il numero di anni per i quali lo stesso verrà sopportato.

25.- Il quarto motivo è fondato nei termini di seguito precisati.

La Corte territoriale ha liquidato il danno patrimoniale futuro in complessivi Euro 824.409,65, di cui Euro 271.287,51 per “mancato guadagno”, su cui ha applicato lo sconto matematico, ed Euro 546.589,06, per “spese future”, su cui non risulta applicato alcuno sconto (cfr. par. 2.2. dei “Fatti di causa”; pp. 17 e 19/20 della sentenza di appello).

Varrà osservare che, in seguito alla liquidazione dell’importo dell’obbligazione risarcitoria per effetto della pronuncia giudiziale, il dies a quo di fini della decorrenza degli interessi moratori retroagisce alla data dell’illecito e il credito risarcitorio è immediatamente esigibile da parte del danneggiato dal giorno della pubblicazione della sentenza.

Infatti, ai sensi dell’art. 1219, comma secondo, n. 3, c.c., opera la mora ex re. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale regola non soffre alcuna eccezione nel caso in cui oggetto dell’obbligazione risarcitoria sia un importo liquidato a titolo di danno patrimoniale futuro: “infatti anche chi causa un danno futuro è in mora dal giorno del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1219 c.c., per il pagamento del relativo risarcimento; tale mora andrà calcolata sul credito risarcitorio scontato e reso attuale, ma andrà pur sempre calcolata con decorrenza dalla data dell’illecito” (Cass. n. 18049/2017).

A tale principio dovrà, altresì, attenersi il giudice di appello nel provvedere alla rinnovata liquidazione del complessivo danno patrimoniale in favore della danneggiata in applicazione dei principi di diritto sopra enunciati con riferimento ai motivi accolti.

Conclusioni

Quanto al ricorso principale della Azienda ULSS n. 4 “Veneto Orientale”: a) va dichiarato inammissibile il ricorso nei soli confronti di Ba.El., in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore Ca.Om., nonché di Do.Gi.; b) va accolto il settimo motivo e dichiarato assorbito l’ottavo motivo; c) vanno rigettati i restanti motivi.

Quanto al ricorso incidentale di Ba.El., quale Amministratrice di sostegno della figlia Ca.Ga.: a) va accolto il secondo e il quarto motivo; b) vanno rigettati i restanti motivi, anche quelli proposti in via condizionata.

La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata in relazione ai motivi accolti di entrambi i ricorsi e la causa rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che si atterrà, nella sua delibazione, ai principi sopra enunciati e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Danno futuro: calcolo su vita e danno morale separato

P.Q.M.

Sul ricorso principale:

a) lo dichiara inammissibile nei soli confronti di Ba.El., in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore Ca.Om., nonché di Do.Gi.;

b) accoglie il settimo motivo e dichiara assorbito l’ottavo motivo;

c) lo rigetta nel resto;

sul ricorso incidentale:

a) accoglie il secondo e il quarto motivo;

b) rigetta tutti i restanti motivi, anche quelli proposti in via condizionata;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione del presente provvedimento in qualsiasi forma, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di Ca.Ga. e di Ca.Om., ivi riportati.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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