Danni da occupazione di beni sine titulo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25457.

Danni da occupazione di beni sine titulo

In caso di danni da occupazione di beni “sine titulo”, ai fini della verifica dell’esistenza del pregiudizio in capo al proprietario del bene non occorre, necessariamente, che l’occupante abusivo abbia tratto un utile dalla propria condotta illecita.

Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25457. Danni da occupazione di beni sine titulo

Data udienza 2 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione – Occupazione senza titolo di un immobile – Pregiudizio risarcibile al proprietario – Utilità ritratta dall’occupante abusivo dalla propria condotta illecita – Necessità – Esclusione – Fattispecie relativa ad azione di risarcimento danni da illegittima occupazione di fondi rustici

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 731-2021 proposto da:

La.Mo., elettivamente domiciliata in Roma, via Do.20., presso lo studio dell’Avvocato Ma.MA., rappresentata e difesa dagli Avvocati An.CE. e Ro.CE.;

– ricorrente –

contro

La.Mo., domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Vi.Di.;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza n. 1349/2020 della Corte d’Appello di Bari, depositata in data 09/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale in data 02/05/2024 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

Danni da occupazione di beni sine titulo

FATTI DI CAUSA

1. La.Mo. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1349/20, del 9 ottobre 2020, della Corte d’Appello di Bari, Sezione Specializzata Agraria, la quale – in accoglimento solo parziale del gravame da essa esperito avverso la sentenza n. 1850/19, del 18 luglio 2019, della Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Foggia – ha rideterminato in Euro 102.621,60, oltre interessi e rivalutazione, la somma dalla stessa dovuta alla sorella La.Mo., a titolo di risarcimento del danno da illegittima occupazione di fondi rustici.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio da La.Mo., la quale agiva per conseguire la liquidazione dei danni – ormai accertati giudizialmente – da illegittima occupazione di fondi agricoli. L’allora attrice, infatti, aveva assunto tale iniziativa in forza di sentenza passata in giudicato, la quale – rigettata la domanda proposta da La.Mo., volta al riconoscimento della qualità di affittuaria dei fondi rustici facenti parte dell’azienda agricola “La.Mo.”, ivi compresi i terreni dell’estensione di quarantotto ettari siti in agro di S – aveva, invece, accolto la riconvenzionale della germana La.Mo., finalizzata al rilascio dei terreni suddetti e alla condanna al risarcimento dei danni da illegittima occupazione.

Danni da occupazione di beni sine titulo

In forza di tale giudicato, La.Mo. adiva, dunque, la sezione specializzata agraria del Tribunale foggiano, quantificando la misura del risarcimento sia in Euro 103.637,00, oltre interessi e rivalutazione, per mancato utile di gestione in relazione alle annate agrarie 2002/2003, 2003/2004 e 2004/2005, sia in ulteriori Euro 28.000,00 – ovvero, nella diversa somma da accertarsi a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio – a titolo di reddito che l’attrice avrebbe potuto percepire se avesse concesso il terreno a terzi per colture intercalari.

Costituitasi in giudizio, l’odierna ricorrente esponeva di aver effettivamente condotto e coltivato, dal marzo 2003 fino al sequestro giudiziario avvenuto il 30 settembre dello stesso anno, l’intera azienda agricola “La.Mo.”, e quindi pure l’estensione di circa quarantotto ettari già rivendicata dalla sorella, sostenendo, però, che da tale compendio dovesse detrarsi sia la quota di sua spettanza (pari ad un quinto dell’intero), corrispondente ai terreni oggetto di collazione, come da sentenza n. 1844/09 resa dalla Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Foggia, nonché l’ulteriore quota trasferitagli dalla sorella La.Mo. con atto del 2002, donde la riduzione dell’estensione dei terreni di esclusiva proprietà di quest’ultima a poco più di trentotto ettari. La convenuta, pertanto, contestava, anche su tali basi, la quantificazione degli utili retraibili dalla germana dai propri terreni.

Danni da occupazione di beni sine titulo

Istruita la causa attraverso lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di prime cure accoglieva la domanda, quantificando i danni subiti da La.Mo. in Euro 178,665,05, oltre interessi e rivalutazione, somma poi ridotta dal giudice d’appello – nella misura già indicata – in accoglimento parziale del gravame esperito dall’odierna ricorrente.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione La.Mo., sulla base – come detto – di due motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 745 cod. civ., 324 cod. proc. civ., 112 cod. proc. civ., 279, comma 1, n. 2), cod. proc. civ., 1242 e 1243 cod. civ., nonché dell’art. 111 Cost.

Si censura la sentenza impugnata per “violazione dei principi generali in materia di giudicato formale e sostanziale”.

In particolare, si addebita alla Corte territoriale di non aver escluso, nella quantificazione del danno da illegittima occupazione patito da La.Mo., la somma corrispondente ai frutti dei terreni oggetto di collazione da parte dell’odierna ricorrente, esito al quale la sentenza oggi impugnata è pervenuta – come già quella del primo giudice – sul rilievo che, nel giudizio divisionale nel quale l’azione di collazione era stata esperita e conclusosi con pronuncia passata in giudicato, la domanda concernente la restituzione dei frutti era stata ritenuta tardiva, sul presupposto che essa non potesse considerarsi meramente accessoria e consequenziale a quella esperita a norma dell’art. 737 cod. civ.

Danni da occupazione di beni sine titulo

Senonché, essendo quella passata in giudicato – all’esito del suddetto giudizio divisionale – una pronuncia solo “in rito”, essa avrebbe lasciato impregiudicato, secondo la ricorrente, il merito della domanda relativa al riconoscimento dei frutti, sicché la stessa ben poteva essere riproposta nel presente giudizio, sotto forma di richiesta di compensazione con il credito risarcitorio già riconosciuto ad La.Mo. La Monaca e solo da quantificarsi.

Si assume, inoltre, che l’impugnata sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui ha omesso di valutare la richiesta di essa ricorrente di “compensazione del credito dei frutti di cui alla collazione”. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta sul rilievo che la domanda di restituzione dei frutti non risulterebbe “proposta nell’ambito del presente giudizio”; conclusione, tuttavia, errata, dal momento che essa La.Mo. ha eccepito in compensazione, sin dal primo atto difensivo (viene riportata la memoria di costituzione del 23 maggio 2017), il credito relativo ai frutti del terreno oggetto di collazione.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., nonché degli artt. 1223 e 2697 cod. civ. in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. anche in violazione dell’art. 2033 cod. civ., nonché dell’art. 23 Cost.

Il motivo si articola in più censure, la prima delle quali lamenta l’errato riconoscimento, al notaio La.Mo., della qualifica di imprenditore, nonché la “mancata prova almeno in punto di allegazione del danno conseguenza” asseritamente patito dalla stessa. Si censura, in particolare, la sentenza impugnata per aver identificato il danno “per mancato utile di gestione”, per le annate agricole dal 2002 al 2005, nel “reddito netto spettante al proprietario fondiario anche imprenditore, scaturito dalla deduzione di tutti i costi extra aziendali dovuti al consumo di capitali durante il ciclo produttivo, quote ed altri costi della produzione lorda vendibile”. Così pronunciandosi, tuttavia, la sentenza impugnata avrebbe “violato i principi in materia di risarcimento del danno e le norme in epigrafe richiamate”, là dove “ha completamente omesso di valutare la circostanza emersa dagli atti e pacifica tra le parti” della inesistenza, in capo a La.Mo., “della qualifica di imprenditore agricolo, attesa la sua indiscussa ed incontrovertibile incompatibilità con la qualifica professionale di Notaio”, diversamente “dall’altrettanto pacifica qualità di coltivatrice diretta” posseduta, invece, dall’odierna ricorrente.

Danni da occupazione di beni sine titulo

Si censura, inoltre, la sentenza impugnata là dove ha fatto riferimento, nella quantificazione del danno, “al possibile eipotetico utile retraibile dalla coltivazione”, atteso che essa, così argomentando sulla base dell’espletata CTU, avrebbe riconosciuto a La.Mo. un danno “in re ipsa”, non contemplato nel nostro ordinamento, giacché esso verrebbe ad assumere – in spregio all’art. 23 Cost. – i connotati di un “danno punitivo”.

La ricorrente sottolinea, altresì, di aver documentato – benché non vi fosse onerata – attraverso “atti anche contabili ufficiali (fatture, rendiconti, contratti, F24, estratti conto ecc…) l’effettivo andamento della gestione dei conti ed il reale e concreto rendimento degli stessi durante la sua detenzione con date, riscontri e documenti perfettamente in linea con il rendimento reale e concreto dei fondi oggetto di causa anche con riferimento alle zone limitrofe”, oltre che “alla loro destinazione agricola consuetudinariamente scelta dalle parti”; documentazione, questa, non resa oggetto di “alcuna specifica, puntuale e precisa contestazione”, con conseguente violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.

La sentenza, poi, meriterebbe censura – per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1223 e 2056 cod. civ. – anche in ordine al presunto “avvicendamento colturale dei broccoletti”, in realtà mai avvenuto, avendo la Corte territoriale ritenuto che la sussistenza di tale circostanza sia stata oggetto di “condivisone” ad opera del consulente tecnico di parte ricorrente, condivisione, in realtà, mai avvenuta, secondo quanto emergerebbe dalla lettura dei verbali del 13 agosto e 23 agosto 2018. Il secondo di tali verbali, inoltre, escluderebbe che il predetto consulente abbia affermato che sui terreni oggetto di causa – a differenza di quanto si legge in sentenza – “fosse consuetudine adottare una rotazione di tipo triennale comportante una coltura orticola-primaverile-estiva alternata a due anni di coltura cerealicola”, essendosi limitato a riferire che nell’annata agraria 2004-2005 “è stata coltivata anche la barbabietola da zucchero”; sicché la sola circostanza che egli ha confermato è quella dell’utilizzo “del sistema di rotazione triennale tra coltura orticola alternata a due anni con coltura cerealicola”.

Danni da occupazione di beni sine titulo

Infine, si censura la sentenza impugnata perché avrebbe attribuito un ingiustificato arricchimento e/o (escluso, n.d.r.) la “compensatio lucri cum damno”, non avendo operato la detrazione, dal “quantum” del risarcimento, del ricavato relativo alla raccolta di pomodori e grano duro per l’annata agraria 2002-2003, come attestato dal difensore di La.Mo. nella copia del telegramma e della missiva del 22 gennaio 2004.

La Corte territoriale, infatti, avrebbe ritenuto, erroneamente, che tali documenti non fossero stati allegati agli atti di causa.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, La.Mo., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, svolgendo, inoltre, ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.

4.1. Esso denuncia – in relazione ai nn. 3) e 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 cod. civ.

Viene censurata la sentenza impugnata là dove ha accolto, ancorché solo “in parte qua”, il gravame avversario, escludendo dal danno risarcibile la voce costituita dalla perdita dei contributi comunitari corrisposti dall’AGEA (per l’importo di Euro 44.347,68), giacché oggetto di richiesta “sovrapposta” da parte delle due sorelle La.Mo.

In particolare, si contesta l’affermazione posta alla base della decisione, vale a dire l’assenza di prova che La.Mo. abbia riscosso tali contributi, trattandosi di circostanza, a dire della ricorrente incidentale, del tutto irrilevante, atteso che, allegata, nella specie, la ricorrenza di un danno da mancato guadagno, per la sua liquidazione era sufficiente acquisire la prova – anche solo indiziaria – che tali contributi non fossero stati percepiti da essa La.Mo., in ragione del comportamento illegittimo della propria sorella.

Danni da occupazione di beni sine titulo

5. La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

7. Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso principale va accolto, nei limiti di seguito precisati.

8.1. Il primo motivo – che, come detto, si articola in due censure – è fondato, per quanto di ragione.

8.1.1. Con la prima censura si contesta alla pronuncia impugnata di aver attribuito valore di giudicato alla sentenza della stessa Corte barese – resa all’esito del giudizio di divisione – che aveva ritenuto “tardiva” la domanda inerente la restituzione dei terreni oggetto di collazione.

Tale doglianza, però, è inammissibile, giacché dal testo del provvedimento sottoposto al vaglio di questo giudice di legittimità non è dato affatto cogliere alcun riconoscimento dell’efficacia di “cosa giudicata” alla declaratoria di tardività della domanda suddetta. Il riferimento al giudicato, infatti, è chiaramente circoscritto all’affermazione secondo cui La.Mo. “per tre annate agrarie oggetto di causa” (dal 2002 al 2005), “pur non essendo legittimata, ha detenuto i predetti terreni senza soluzione di continuità, traendone gli utili”.

8.1.1. Fondata, al contrario, è la seconda censura, sempre oggetto del primo motivo.

La riproduzione – nelle pagg. da 14 a 16 del ricorso – del contenuto della memoria di costituzione del 23 maggio 2017 (con ciò avendo la ricorrente principale soddisfatto la condizione di ammissibilità di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.), attesta, in modo inequivoco, che La.Mo. ebbe a concludere per il rigetto della domanda risarcitoria della sorella “anche in virtù dell’eccepita compensazione”. Eccezione, peraltro, formulata sul rilievo che l’odierna ricorrente principale, in quanto risultata – all’esito del giudizio divisionale – proprietaria di nove ettari dei terreni per cui è causa (e, dunque, di un quinto dell’intero), fosse titolare di “un credito pari a 1/5 del canone riscosso”, nonché di “1/5 del ricavato della vendita del grano mietuto”, vale a dire, appunto, i frutti dei terreni oggetto di collazione.

Danni da occupazione di beni sine titulo

Ne consegue, pertanto, che merita accoglimento la doglianza con cui la ricorrente principale lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., essendo configurabile il vizio di omessa pronuncia anche in relazione ad eccezioni “di merito” (“ex multis”, Cass. Sez. 2, ord. 14 ottobre 2021, n. 28072, Rv. 662554-01), qual è quella di compensazione.

8.2. Il secondo motivo del ricorso principale – che non è assorbito dall’accoglimento (parziale) del primo, vertendo sui criteri attraverso i quali è stato quantificato il danno da illegittima occupazione riconosciuto a La.Mo. – è, invece, in parte non fondato e in parte inammissibile.

8.2.1. Non fondata, in particolare, è la censura con cui si addebita alla Corte barese di aver errato nel riconoscere alla Notaia La.Mo. la qualifica di “imprenditrice agricola”. Condivisibili, infatti, sono i rilievi espressi nel controricorso, ove si sottolinea (pag. 9), che il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, deve intendersi compiuto non con riguardo alla qualifica di “imprenditore agricolo professionale” (da riconoscersi, ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, solo a chi “dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro”, qualifica, come tale, sicuramente incompatibile con l’esercizio della professione notarile), bensì alla qualifica di “imprenditore agricolo”, ovvero che di eserciti attività d’impresa nel settore agricolo. Qualifica, peraltro, che La.Mo. possiede, risultando iscritta presso la Camera di Commercio di Foggia nel settore “Attività agricole – coltivazione di cereali e altri seminativi”.

8.2.2. Non fondata, del pari, è la censura secondo cui la sentenza impugnata avrebbe configurato quello da occupazione illegittima come un danno “in re ipsa”, così conferendogli connotati “punitivi”. Invero, la sentenza impugnata ha identificato il danno patito da La.Mo. nel “mancato utile di gestione” (qualificato come “lucro cessante”), ovvero nella perdita “del reddito retraibile dal terreno per le annate agricole 2002/2003, 2003/2004 e 2004/2005, in cui è stata accertata, con sentenza passata in giudicato, la illegittima detenzione da parte di La.Mo.”, reddito che rappresenta il “netto spettante al proprietario fondiario anche imprenditore, scaturito dalla deduzione di tutti i costi extra aziendali dovuti al consumo di capitali durante il ciclo produttivo, quote ed altri costi della produzione lorda vendibile”.

Così argomentando, essa si è adeguata a quanto affermato da questa Corte nella sua massima sede nomofilattica, ove si è ritenuto che, in tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, “il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito” (esemplificativamente indicato come “perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato”), danno “di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza”, con l’ulteriore precisazione secondo cui, “poiché l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l’onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno” (Cass. Sez. Un., sent. 15 novembre 2022, n. 33645, Rv. 666193-04).

Danni da occupazione di beni sine titulo

8.2.3. Inammissibile, invece, è la censura con cui la ricorrente principale assume che, in merito all’effettivo “rendimento” dei terreni da essa detenuti, come risultante dalla documentazione prodotta in giudizio, sarebbe stata necessaria – da parte di La.Mo. – una specifica contestazione, in difetto della quale da tali risultanze documentali non si sarebbe potuto prescindere nella liquidazione del danno.

Sul punto, infatti, deve ribadirsi il principio secondo cui “l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice” (Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 2020, n. 6172, Rv. 657154-01), sicché “il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti” (Cass. Sez. 3, sent. 21 giugno 2016, n. 12748, Rv. 640254-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 11 febbraio 2020, n. 3306, Rv. 657014-01).

8.2.4. Inammissibile, nuovamente, è la censura che investe le affermazioni relative al contestato “avvicendamento colturale dei broccoletti”, nonché alla – del pari contestata – “rotazione di tipo triennale comportante una coltura orticola-primaverile-estiva alternata a due anni di coltura cerealicola.

Difatti, neppure astrattamente ipotizzabile è la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probata partium” – giacché essa “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01; in senso conforme Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-01).

Inammissibile, parimenti, è la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre “ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01) o di inconciliabilità logica (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), tali da rendere le sue “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01).

Medesimo esito deve predicarsi in relazione alla dedotta violazione degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., se è vero che la violazione di legge “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (“ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01). Ne consegue, quindi, che il “discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442) evenienza, quest’ultima, che ricorre nel caso di specie, visto che il presente motivo sollecita, in realtà, un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie.

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8.2.5. Infine, inammissibile è pure la censura con cui si addebita alla Corte barese di aver escluso esservi traccia, agli atti del giudizio, di copia del telegramma e della missiva del 22 gennaio 2004, attestanti la necessità di detrarre dal “quantum” del risarcimento il ricavato relativo alla raccolta di pomodori e grano duro per l’annata agraria 2002-2003.

La sentenza impugnata, per vero, non afferma affatto che la missiva suddetta non fosse stata depositata, ma solo che dalla stessa non emergesse “con chiarezza” a quale annata agraria e a quali ricavi si riferisse. Quanto, invece, al telegramma, solo a pag. 34 del ricorso (ove è riprodotto) se ne indica la data nell’11 giugno 2003, senza che risulti con chiarezza – al di là di una non meglio precisata indicazione come “prod. C) Avv. Ce. primo grado” – il momento processuale di avvenuta produzione dello stesso.

9. Passando, invece, all’esame del ricorso incidentale, il solo motivo da esso proposto è fondato.

9.1. Invero, ai fini del risarcimento del danno – da lucro cessante – consistito nella mancata percezione dei contributi erogati da AGEA, era del tutto irrilevante la circostanza (valorizzata, invece, dal giudice d’appello) che essi non fossero stati percepiti neppure dall’occupante abusiva i terreni, ovvero da La.Mo.

Infatti, ai fini del riconoscimento del danno da lucro cessante, condizione necessaria – ma anche sufficiente – è “la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale”, occorrendo, pertanto, che “dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece – anche semplicemente in considerazione dell’id quod plerumque accidit – connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità” (così, in motivazione, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 19 febbraio 2009, n. 4052, Rv. 607021-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, ord. 8 novembre 2007, n. 23304, Rv. 600375-01; Cass. Sez. 2, sent. 30 gennaio 2003, n. 1443, Rv. 560178-01).

Ne consegue, pertanto, che la circostanza per cui l’occupante abusiva dei terreni agricoli oggetto di causa non abbia tratto quel particolare utile – l’erogazione del contributo AGEA – dalla (illecita) disponibilità dei terreni, non esclude affatto che la medesima sia chiamata a rispondere delle conseguenze che l’incertezza, da essa causata, in merito all’effettiva titolarità di quei terreni ha determinato, quanto alla perdita della possibilità di fruire dei suddetti contributi da parte della proprietaria dei terreni, non sussistendo, necessariamente, tra l’una e l’altra evenienza una corrispondenza biunivoca.

Danni da occupazione di beni sine titulo

10. In conclusione, il solo primo motivo del ricorso principale va accolto, per quanto di ragione, così come l’unico motivo del ricorso incidentale, sicché la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito, oltre che sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, affinché si pronunci sull’eccezione di compensazione sollevata da La.Mo. (e sopra meglio indicata), oltre che sulla domanda risarcitoria di La.Mo., in questo caso alla stregua del seguente principio di diritto:

“in caso di danni da occupazione di beni “sine titulo”, ai fini della verifica dell’esistenza del pregiudizio in capo al proprietario del bene non occorre, necessariamente, che l’occupante abusivo abbia tratto un utile dalla propria condotta illecita”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso principale, per quanto di ragione, rigettando il secondo, e accoglie anche il ricorso incidentale.

Cassa, in relazione, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito, oltre che sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 2 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2024.

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