Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite
sentenza 17 ottobre 2014, n. 22035
Svolgimento del processo
Con citazione dell’agosto 2001 la s.p.a. Vittoria Assicurazioni – premesso che aveva provveduto a risarcire i danni conseguenti alla perdita di colli di una spedizione, affidati per il trasporto aereo nel novembre del 2000 dallo spedizioniere Franco Vago s.p.a. alla Delta Air Lines Inc. (di seguito, brevemente, Delta Inc.) e che si era, quindi, surrogata nei diritti della propria assicurata Franco Vago s.p.a., della destinataria americana del trasporto Vital International Freight Vago s.p.a., nonché della Gilmar s.p.a. e della Gilmar USA Inc., rispettivamente, queste ultime, alienante e acquirente della mercé – conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la predetta società Delta Inc. per sentirla condannare al rimborso della somma di L. 69.677.830 da essa corrisposta o di altra ritenuta di giustizia, oltre accessori.
La convenuta, nel costituirsi in giudizio, eccepiva il difetto di giurisdizione della A.G. italiana, il difetto di legittimazione dell’attrice e la decadenza dall’azione, nonché, nel merito, l’infondatezza della domanda.
Con sentenza n. 9838 in data 03.05.2005 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando la convenuta, al pagamento di Euro 35.985,60 oltre interessi e spese; mentre la Corte di appello di Roma con sentenza n.6269 in data 13.12.2012, in accoglimento dell’appello della Delta Inc., dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice italiano e, di conseguenza, annullava la gravata sentenza; compensava, infine, le spese dei due gradi del giudizio.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.p.a. Vittoria Assicurazioni, svolgendo due articolati motivi.
Ha resistito la Delta Airlines Inc., depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale tardivo, affidato a unico motivo.
La s.p.a. Vittoria Assicurazioni ha, a sua volta, depositato controricorso avverso ricorso incidentale, deducendo l’inammissibilità di quest’ultimo; ha, altresì, depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti in via principale e incidentale avverso la medesima sentenza sono oggetto di trattazione congiunta ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..
1.1. Costituisce questione pregiudiziale quella dell’ammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale, formulata dalla ricorrente principale (cfr. controricorso avverso ricorso incidentale e memoria), sul presupposto del difetto di potere rappresentativo del sign. D.G.R. che ha sottoscritto la procura speciale in calce a detto atto. In particolare la ricorrente principale deduce la nullità del controricorso e dell’impugnazione incidentale ivi spiegata, per nullità della procura alle liti, denunciando il difetto di prova e, anzi, la stessa mancata menzione della procura con la quale la società avrebbe conferito al predetto D.G.R. i necessari poteri rappresentativi.
1.2. Al riguardo va, innanzitutto, operata una distinzione tra onere di indicazione della fonte del potere rappresentativo e onere della relativa dimostrazione; va, altresì, rilevato che, nello specifico, il sottoscrittore della procura alle liti, agendo nella dichiarata qualità di “legale rappresentante per l’Italia della Delta Air Lines, Inc., con sede secondaria in (…)”, ha inequivocamente fatto riferimento all’organo, cui è statutariamente conferita la rappresentanza in Italia della predetta società Delta Inc.; va, infine, precisato che nessuna indicazione di segno contrario a siffatta spendita di potere rappresentativo è dato desumere dalla visura allegata al ricorso, trattandosi di estratto di epoca risalente.
In punto di diritto si rammenta che queste Sezioni Unite (sentenza 1 ottobre 2007, n. 20596) hanno chiarito che, in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto (attesa l’equivalenza dell’indicazione di un organo che deriva il potere di rappresentanza processuale dall’atto costitutivo o dallo statuto della società all’indicazione di altro atto di conferimento dei poteri rappresentativi, fondandosi il potere di rappresentanza su atti societari aventi, a tal fine, la medesima efficacia legittimante); e ciò in quanto i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale, con la conseguenza che spetta a loro fornire la prova negativa. Se, dunque, è messa in discussione l’esistenza del potere di conferire procura alle liti da parte di una persona giuridica, non spetta al soggetto interessato l’onere di dare la prova di quali siano i poteri dei suoi organi, nemmeno se si tratta di persona fisica diversa dal legale rappresentante; spetta invece al soggetto che contesti l’esistenza dei poteri in questione di documentare la propria eccezione, avvalendosi di opportuna consultazione degli atti soggetti a pubblicità legale, e fornire quindi l’eventuale prova negativa. Soltanto quando il potere rappresentativo derivi da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, spetta a chi agisce l’onere di provare l’esistenza di tale potere, sempreché venga sollevata contestazione sul punto.
Ciò posto e considerato che, per quanto sopra evidenziato, nella specie, a fronte dell’indicazione dei poteri rappresentativi del sottoscrittore della procura non è stata fornita la necessaria prova negativa incombente sull’altra parte, l’eccezione va rigettata.
2. L’esame del ricorso principale, siccome attinge la declaratoria del difetto di giurisdizione, è logicamente prioritario.
Al riguardo la Corte territoriale – positivamente scrutinata l’ammissibilità dell’appello sul punto della giurisdizione, per la considerazione che, ai sensi dell’art. 11 L. n. 218/1995, il difetto di giurisdizione “può essere rilevato in qualunque stato e grado del processo” (salvo il limite del giudicato interno) nell’ipotesi in cui “la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale” e rinvenuta detta norma, con riguardo al caso di specie, nell’art. 28 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 – ha rilevato che nessuno dei criteri indicati nella citata disposizione era idoneo a radicare la giurisdizione del giudice italiano.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 nn. 1 e 3 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art. 11 L. 31.05.1995, n.218 e dell’art. 28 della Convenzione di Varsavia per avere la Corte di appello dichiarato d’ufficio il difetto di giurisdizione della A.G. italiana. Al riguardo parte ricorrente osserva che – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello – l’art. 28 della Convenzione di Varsavia non esclude affatto la giurisdizione italiana, ma, anzi, l’afferma, prevedendo la prima parte della norma che l’azione di responsabilità venga proposta “a scelta del richiedente nel territorio d’una delle alte parti contraenti” (tra le quali rientra pacificamente l’Italia); mentre la seconda parte – a tenore della quale l’azione va proposta “sia davanti al tribunale del domicilio del vettore, sia dinanzi a quello della sede principale della sua attività, sia davanti al tribunale del luogo di destinazione o, infine, adendo il giudice competente nel luogo ove il vettore possiede uno stabilimento a cura del quale il contratto è stato concluso” – riguarderebbe la competenza e non la giurisdizione. Ne conseguirebbe l’intempestività dell’eccezione della Delta Inc., per essersi detta società costituita tardivamente nel primo grado del giudizio.
2.2. Con il secondo e (subordinato) motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 n. 1 cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art.28 della Convenzione di Varsavia e degli artt. 46 e 47 cod. civ., nonché ai sensi dell’art. 360 n. 3 (rectius n. 5) cod. proc. civ. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Al riguardo parte ricorrente deduce che dalla visura camerale già prodotta in sede di merito e allegata al presente ricorso risultava che la Delta Inc. aveva una sede e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio in Italia (e quindi domicilio in Italia), tanto da essere stata citata in primo grado e dall’essersi costituita, con nuovo difensore in appello, come “Delta Airlines Inc. con sede in (omissis) Aeroporto di (omissis)…” e dall’aver riconosciuto, nella comparsa conclusionale in appello, la giurisdizione italiana, indicando come competente per territorio il Tribunale di Civitavecchia; inoltre dal contratto di trasporto emergerebbe in maniera inconfutabile la intromissione della Delta italiana nella conclusione del contratto; in particolare dalle AWB si desumerebbe che il contratto venne stipulato in Firenze dalla Franco Vago, quale agente del vettore Delta e che l’indirizzo del “primo vettore” era l’aeroporto di partenza, indicato in quello di Ancona, risultando, altresì, il riferimento per la fatturazione quello della Delta Airlines Aeroporto Fiumicino.
2. Il ricorso, pur superando l’eccezione pregiudiziale, formulata da parte controricorrente sul presupposto dell’inammissibilità della deduzione di plurime censure con ognuno dei motivi, va rigettato.
In via di principio occorre, infatti, escludere che la contestuale deduzione con un unico motivo della violazione di legge e del vizio di motivazione (ovvero di plurime violazioni della legge processuale e sostanziale) possa determinare di per sé una preclusione della impugnazione una volta che le censure si mantengano distinte (cfr. in tal senso sulla questione, in rapporto ai quesiti di diritto, S.U. 31 marzo 2009 n. 7770). In altri termini occorre distinguere il caso in cui il contemporaneo riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 cod. proc. civ. si traduca in una inammissibile mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, prospettando la medesima questione sotto profili incompatibili (in cui ricorre sicuramente il difetto di specificità), da quello (che si sottrae alla sanzione di inammissibilità) del motivo formalmente unico che risulti, però, articolato in autonomi e differenziati profili di violazione o falsa applicazione di legge ovvero del motivo complesso, in cui uno stesso mezzo include diverse censure, di violazione di legge e di vizio motivazionale, aventi un proprio, specifico e ben delimitato oggetto.
Nel ricorso all’esame – seppure con un’esposizione non sempre lineare, che, ad onta dell’ordine formalmente subordinato delle censure, ne imporrà una trattazione, in parte, congiunta – rimangono distinte (come emerge dalla sintesi sopra riportata) le denunce di violazioni di legge, svolte in punto di interpretazione della norma internazionale e correlativa ammissibilità della eccezione di giurisdizione, nonché le censure in ordine all’individuazione e applicazione dei criteri di collegamento, al cui riguardo si lamenta (in subordine) anche l’omesso esame di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.. E tanto basta a sottrarre i motivi all’eccezione di inammissibilità, così come formulata.
2.1. Ciò precisato, si osserva, innanzitutto, che, nella controversia in esame, non è in discussione (né discutibile) l’applicabilità ratione temporis della Convenzione di Varsavia del 12.10.1929, approvata con L. 19 maggio 1932, n. 841, modificata con il protocollo dell’Aja del 28.9.1955, reso esecutivo con L. 3 dicembre 1962, n. 1832, che all’art.28 (nel testo francese, privo di traduzione ufficiale) recita così: “1. L’action en responsabilità devra etre porteè, au choix du demandeur, dans le territoire d’une des hautes parties contrattantes, soit devant le tribunal du domicile du transporteur, du siege principal de son exploitation ou du lieu ou il possedè un etablissement par le soin duquel le contrat a ètè conclu, soit devant le tribunal du lieu de destination. 2. La procedure sera reglee par la loi du tribunal saisi”. (1.L’azione di responsabilità dovrà essere promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di una delle Alte Parti contraenti sia davanti al tribunale del domicilio del vettore, della sede principale della sua attività o del luogo ove questi possiede uno stabilimento a cura del quale il contratto è stato concluso, sia davanti al tribunale del luogo di destinazione. 2. La procedura è regolata dalla legge del tribunale adito). Invero la “Convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale”, stipulata a Montreal il 28 maggio 1999 (che all’art. 33 regola la “competenza giurisdizionale”, prevedendo, peraltro su linee non dissimili, che “l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti, o davanti al tribunale del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al tribunale del luogo di destinazione”) è stata ratificata in Italia solo con L. 10 gennaio 2004, n. 12, successivamente alla proposizione della domanda di cui trattasi.
Va, altresì, precisato, che nella fattispecie non può trovare applicazione l’art. 3 della L. 31 maggio 1995, n. 218, che fissa l’ambito della giurisdizione italiana, prevedendo, in via di principio, che essa sussiste “quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge”, atteso che la medesima legge, al precedente art. 2, statuisce che “le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia”, disponendo, altresì, al comma 2 che “nell’interpretazione di tali convenzioni si terrà conto del loro carattere internazionale e dell’esigenza della loro applicazione uniforme”.
Può, dunque, anticiparsi sin da ora – dal momento che la questione, pur profilata con il secondo e subordinato motivo, sarebbe, altrimenti, assorbente – che l’enfasi posta da parte ricorrente sull’esistenza di un rappresentante in Italia, autorizzato a stare in giudizio per la Delta Inc. (società americana) si rivela inconducente ai fini di cui trattasi.
2.2. Il primo motivo propone, innanzitutto, una questione di interpretazione del comma 1 dell’art. 28 della già cit. Convenzione di Varsavia, giacché la ricorrente – “isolando”, nella sostanza, la prima parte della disposizione (“L’action en responsabilitè devra etre porteè, au choix du demandeur, dans le territoire d’une des hautes parties contractantes…”) – finisce per collocare le alternative di cui alla seconda parte del comma 1 della medesima disposizione (“…soit devant le tribunal du domiate du transporteur, du siege principal de son exploitation ou du lieu ou il possedé un etablissement par le soin duquel le contrat a etè conclu, soit devant le tribunal du lieu de destination”) nell’alveo della competenza e segnatamente, della competenza per territorio, con tutte le ricadute in tema di tempestività dell’eccezione oltre che della sua completezza.
Senonchè il canone di interpretazione dettato dal comma 2 dell’art. 2 L. n. 218/1995 sopra cit., unitamente al fondamentale criterio ermeneutico di cui all’art. 12 delle preleggi, rendono insostenibile l’assunto proposto dalla ricorrente, senza tener conto della “connessione delle parole”, che rende inscindibili le proposizioni richiamate, dimostrando che l’inciso contenuto nella prima parte della disposizione (“au choix du demandeur”) va letto in correlazione con la seconda parte, che individua i criteri di collegamento nell’ambito dei quali può essere operata dalla parte istante la “scelta” della giurisdizione di uno degli Stati contraenti. In altri termini l’art. 28 della Convenzione di Varsavia (come del resto l’art. 33 della Convenzione di Montreal del 1999, non a caso intitolato “competenza giurisdizionale”) richiama i fori alternativi suddetti solo come criteri di collegamento giurisdizionale e non come criteri di competenza per territorio (tantomeno come criterio di competenza per materia, come dovrebbe opinarsi, per l’uso dell’espressione “tribunal”, se la norma fosse riferita alla competenza), atteso che questa rimane soggetta al regime interno dello Stato. Il che trova riscontro nel criterio logico, atteso che la ratio della disposizione è quella di risolvere conflitti di giurisdizione tra le parti contraenti; ed è altresì confermato dal comma successivo della medesima disposizione (“La procedure sera reglee par la loi du tribunal saisi”), che rimette “la procedure” – e, quindi, anche l’individuazione del criterio di competenza -alla legge del Giudice adito. In tale contesto l’espressione tribunal non determina né individua una competenza per materia, dovendo tale termine essere interpretato come “ufficio giudiziario” e riferendosi, quindi, a qualsiasi organo giurisdizionale che eserciti la funzione di sua competenza in base alle normali regole processuali del proprio stato di appartenenza, senza contenere alcuno specifico riferimento all’ufficio giudiziario di cui all’art. 9 del nostro codice di rito.
Va, dunque, ribadito il principio, acquisito nella giurisprudenza delle Sezioni semplici (cfr. Cass. 15 luglio 2005, n. 15028; Cass. ord. 26 maggio 2005, n. 11183), in base al quale la previsione di cui al comma 1 dell’articolo 28 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1939, nel testo di cui al protocollo di modifica dell’Aja del 28 settembre 1955 (recepiti nell’ordinamento italiano rispettivamente con la legge 19 maggio 1932 n. 841 e con la legge 3 dicembre 1962 n. 1832) – secondo cui “l’azione di responsabilità dovrà essere promossa a scelta dell’attore nel territorio di uno Stato contraente innanzi al tribunale del domicilio del vettore, ovvero della sede principale del suo esercizio ovvero del luogo in cui il vettore possiede una organizzazione a cura della quale sia stato concluso il contratto, oppure, infine, innanzi al tribunale del luogo di destinazione” – ha predisposto solo il criterio di collegamento al fine di determinare lo Stato aderente ove è giustificato radicare la giurisdizione sulle controversie relative al trasporto aereo internazionale, e non vale come criterio attributivo della competenza interna dello Stato aderente del quale è stata determinata la giurisdizione. Dal tenore dell’intera disposizione, infatti, si ricava che il disegno manifestato dal legislatore uniforme con la norma de qua è stato quello di affidare al criterio del collegamento a uno dei fori alternativi contemplati dalla norma in oggetto la individuazione dello Stato aderente, in cui è giustificato radicare la giurisdizione per tali controversie e di lasciare all’ordinamento giuridico interno la disciplina del processo introdotto innanzi al giudice dello Stato aderente, disciplina necessariamente comprendente le regole della competenza territoriale interna, esse pure regole di procedura.
2.3. Per altro verso – integrando e, in parte, rettificando la motivazione della decisione impugnata, laddove ha ritenuto decisiva la circostanza che l’esclusione della giurisdizione derivasse da una “norma internazionale” – si rammenta che queste Sezioni Unite (ord. 03 maggio 2005, n. 9107) hanno, da tempo, chiarito il coordinamento non sempre agevole tra gli artt. 4 e 11 della cit. legge n. 218 del 1995 e di dette norme con gli artt. 37, 166, 167, 180 e 183 cod. proc. civ., nel senso che il principio sancito dall’art. 11 cit. della rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione, fino alla costituzione del convenuto, comporta che il convenuto contumace può anche nel corso del giudizio eccepire il difetto di giurisdizione del giudice adito dall’attore, purché ciò faccia nella prima difesa (e sempre che sulla giurisdizione non si sia formato il giudicato). Il che nella specie è avvenuto, dal momento che, nel costituirsi in giudizio, la convenuta Delta Inc., con il suo primo atto difensivo, consistente nella comparsa di risposta innanzi al Tribunale, ha, prima di ogni altra difesa, eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello statunitense.
È il caso di precisare (ancorché uno specifico rilievo sul punto sia svolto solo con riferimento al secondo e subordinato motivo) che – una volta escluso che vi sia stata un’accettazione tacita della giurisdizione, in considerazione della specifica eccezione, formulata nel primo atto difensivo e riproposta in appello, come motivo di impugnazione – nessun rilievo può accordarsi, ai fini di cui trattasi, ad alcune considerazioni in tema di competenza svolte dal nuovo difensore della Delta nella comparsa conclusionale depositata nel secondo grado del giudizio.
2.4. Ciò posto in punto di ammissibilità del rilievo del difetto di giurisdizione, si rileva che la Corte territoriale ha correttamente enunciato i principi in base ai quali, ai sensi dell’art. 28 della Convenzione di Varsavia, l’azione di responsabilità può essere promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di una delle alte parti contraenti, sia davanti al tribunale del domicilio del vettore, sia dinanzi a quello della sede principale della sua attività, sia davanti al tribunale del luogo di destinazione o, infine, adendo il giudice competente nel luogo ove il vettore possiede uno stabilimento a cura del quale il contratto è stato concluso; e a tal fine, ha precisato – in dichiarata adesione a quanto affermato da queste Sezioni Unite (14 giugno 2006, n.13689) – che quest’ultimo (sotto)criterio di collegamento, rilevante ai fini della giurisdizione, ponendo riferimento al luogo in cui il vettore abbia uno stabilimento, non richiede che il vettore abbia uno stabilimento, “qui” ha concluso il contratto o “par lequel” è stato concluso il contratto, ma “par le soin duquel”, e cioè “a cura del quale” il contratto è stato concluso.
Sulla scorta di tale corretto approccio ermeneutico, la Corte territoriale ha, quindi, ritenuto che nessuno dei suddetti criteri di collegamento fosse idoneo a radicare la giurisdizione del giudice italiano: non il primo criterio, rappresentato dal “domicilio del vettore” (per essere la sede della Delta Inc. pacificamente negli Stati Uniti di America); non il terzo criterio di collegamento, rappresentato dalla “destinazione del viaggio” (che risultava essere negli Stati Uniti); e neppure i due sottocriteri, in cui si scomponeva il secondo criterio, dal momento che uno di essi era rappresentato dalla “sede principale” (Stati Uniti), mentre, relativamente all’altro sottocriterio – e, cioè, la sede dello stabilimento, a cura del quale il contratto era stato concluso – sarebbe stata necessaria la prova che lo spedizioniere aveva stipulato il contratto con l’organizzazione italiana della Delta Inc. o, quantomeno, che questa si fosse intromessa nel contratto; il che era da escludere sulla base del tenore della lettera di trasporto.
2.5. Queste le principali linee argomentative della decisione impugnata, si osserva che – indiscussa l’individuazione negli Stati Uniti del “luogo di destinazione”, nonché della “sede principale” della Delta Inc. – le censure, svolte con il secondo e subordinato motivo, risultano sostanzialmente focalizzate sull’omessa considerazione della visura camerale (estratta nell’anno 2002) attestante l’esistenza di una sede (secondaria) in Italia (Roma Fiumicino) della Delta Inc. e si incentrano sull’individuazione del criterio del “domicilio” della società, che non sarebbe stato affatto pacificamente individuabile negli Stati Uniti, nonché sull’applicazione dell’ultimo dei “sottocriteri” sopra richiamati (quello dello stabilimento “a cura del quale” il contratto sarebbe stato concluso), che la documentazione relativa al trasporto, unitamente all’indicata visura, consentirebbe di individuare nella sede italiana della Delta Inc., in Italia.
Orbene dette censure risultano infondate sotto il profilo della violazione di legge, mentre vanno dichiarate inammissibili con riguardo al vizio motivazionale.
2.5.1. Sotto il primo profilo si osserva, innanzitutto che il problema della qualificazione del criterio di collegamento del “domicilio” va risolto alla stregua della lex fori e, segnatamente, con riguardo all’art. 25 della stessa L. 1995 n. 218 che, relativamente alle società, assimila la sede statutaria a quella effettiva o sede dell’amministrazione, da intendersi come quella in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e dove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi, ossia il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento dei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente (Cass. 18 gennaio 1997, n. 497).
Non appare superfluo osservare – ancorché nella specie non si tratti di norma di matrice comunitaria – che indicazioni analoghe si rinvengono nella disciplina comunitaria, atteso che l’art. 60, lett. a), del Regolamento CE n. 44/2001 (concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) indica, come domicilio della società, in primo luogo la sede statutaria e, quindi la sua amministrazione centrale oppure il suo centro di attività principale, mentre l’art. 3 del Regolamento CE n. 1346/2000 (relativo alle procedure di insolvenza) stabilisce che il centro degli interessi principali di società e persone giuridiche si presume che sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria; sicché esigenze di armonizzazione della normativa comunitaria hanno indotto ad attribuire al criterio giuridico di sede statutaria, indicato nell’art. 60 lett. a), analoga valenza presuntiva della sussistenza, salvo diversa prova contraria, degli altri due legami “di fatto” menzionati (cfr. Cass. Sez. Unite, 01 febbraio 2010, n. 2224).
Merita, altresì, puntualizzare che la giurisprudenza di questa Suprema Corte, ribadendo che la sede effettiva è il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente (cfr. Cass. 13 aprile 2004, n. 7037; Cass. 28 luglio 2000, n. 9978).) e, correlativamente, identificando il domicilio, nei riguardi della società, con la sede principale (cfr. Cass. ord. 09 novembre 2012, n. 19473), ha escluso che valga ad inficiare il principio di equiparazione tra sede effettiva e sede legale fissato dall’art. 46 cod. civ., il fatto che talune attività sociali risultino decentrate o che vi sia altro luogo utilizzato come recapito per ragioni organizzative o nel quale si trovi una persona che genericamente curi gli interessi della società stessa o sia preposta ad uffici di rappresentanza, dipendenze o stabilimenti (Sez. Unite, 01 febbraio 2010, n. 2224; cfr. anche Cass. 22 giugno 2007, n. 14599; Cass. n. 5359 del 1988; Cass. n. 3910 del 1988).
Ciò precisato e richiamato quanto evidenziato suo 2.1. in ordine alla specialità e conseguente prevalenza dell’art. 28 della Convenzione di Varsavia rispetto all’art. 3 L. n. 218 del 1995, si osserva che – mentre il riferimento nella decisione impugnata alla pacifica individuazione del domicilio della Delta Inc. negli Stati Uniti allude chiaramente alla sede principale della società, in coerenza con l’indicata presunzione – le deduzioni di segno contrario di parte ricorrente sovrappongono e confondono i criteri previsti dalle norme cit., invocando, a sostegno dell’individuazione del “domicilio” della Delta Inc. in Italia ai sensi dell’art. 28, che qui rileva, una diversa situazione, che è sostanzialmente coincidente con quella prevista dall’altra disposizione di cui all’art. 3 cit..
2.5.2. Le deduzioni stesse si rilevano, poi, prive di decisività con riferimento all’altro “sottocriterio” dello stabilimento a cura del quale il contratto è stato concluso, attesa l’insindacabilità dell’accertamento fattuale svolto sul punto dai giudici del merito.
Invero parte ricorrente – pur formalmente evocando il vizio di “omesso esame” di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., genericamente riferito a “fatti decisivi per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti” – deduce, in realtà, un vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di appello per avere affermato, contrariamente, ai suoi desiderata, sulla base della lettera di trasporto, siccome emessa (issued) presso l’Hartfield Atlanta Intl Airport Atlanta Georgia, che “questa è l’organizzazione che risulta essere stata investita dalla Vago per la conclusione del contratto, e non certo la sede italiana della Delta richiamata nella lettera di trasporto solo sotto la voce Accounting Information” e per avere, quindi, ritenuto, anche sulla scorta delle emergenze di altro documento (master awb ricevuto dalla Franco Vago) che “il luogo dello stabilimento del vettore, per cura del quale il contratto è stato concluso… non è in Italia, ma negli Stati Uniti”, inequivocamente escludendo, con valutazioni non sindacabili in questa sede, che la rappresentanza in Italia si sia intromessa nella conclusione del contratto.
Si rammenta che – secondo i principi fissati da Sez. Unite 7 aprile 2014, n. 8053) – l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti, come, nella sostanza, pretenderebbe l’odierna ricorrente.
In definitiva l’esame complessivo delle censure conduce al rigetto del ricorso principale.
3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denuncia ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. nullità della sentenza in relazione all’art.112 cod. proc. civ. per avere omesso la Corte di appello di pronunciarsi sulla domanda restitutoria, nonostante l’annullamento della sentenza di primo grado comportasse l’obbligo di restituire la somma percepita in primo grado, altrimenti sussistendo un indebito arricchimento.
3.2. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già affermato che incorre nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, accogliendo l’appello avverso sentenza provvisoriamente esecutiva, ometta di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in forza della decisione riformata, pur essendo stata ritualmente introdotta con l’atto di impugnazione la relativa domanda restitutoria, non potendosi utilizzare la riforma della pronuncia di prime cure, agli effetti di quanto previsto dall’art. 474 cod. proc. civ., nonché dall’art. 389 cod. proc. civ. per le domande conseguenti alla cassazione, come condanna implicita (ex multis: Cass. 28 ottobre 2013, n. 24259; Cass. 05 febbraio 2013, n. 2662).
È il caso di precisare che non contrasta con tale principio, acquisito nella giurisprudenza delle Sezioni semplici, quanto affermato da queste Sezioni Unite con sentenza 10 maggio 2011, n. 10174, riferibile alla diversa ipotesi di cassazione per difetto di giurisdizione, con rimessione delle parti al giudice amministrativo, nella quale, per effetto della traslatio iudici, è configurabile una fattispecie di “cassazione con rinvio”.
Nella specie, l’appellante, odierna ricorrente incidentale, invocando la declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice italiano o, in subordine, il rigetto della domanda avversaria, aveva altresì chiesto “in ogni caso” di condannare l’appellata alla restituzione della somma di Euro 45.821,04 (cfr. epigrafe della decisione impugnata). Si tratta di una domanda che è autonoma rispetto all’eventuale giudizio da instaurarsi davanti al giudice straniero, assolvendo all’esigenza di garantire alla parte la possibilità di ottenere al più presto la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione annullata. Sussiste, dunque, il vizio di omessa petizione, perché la Corte territoriale, dopo avere dichiarato il difetto di giurisdizione italiana e annullato la sentenza di primo grado, ha omesso di pronunciare sulla domanda restitutoria.
Conclusivamente va rigettato il ricorso principale, mentre il ricorso incidentale va accolto; la sentenza va cassata in relazione ed, essendo necessari accertamenti ulteriori che precludono la cassazione sostitutiva ex art.384 cod. proc. civ., la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio.
La circostanza che il ricorso principale è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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