Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 17 ottobre 2014 n. 22078

Svolgimento del processo

I fratelli M.B. e G.B., premesso che la madre degli esponenti R.S. era deceduto il 27-4-1997 lasciando un testamento olografo del 2-8-1994 pubblicato il 28-7-1997, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Pordenone l’altro fratello G.B. chiedendo dichiararsi la divisione della relativa eredità secondo le disposizioni della defunta, la quale aveva istituito erede la figlia M. per 2/4, il figlio G. per 1/4 ed il figlio G. per 1/4.
Il convenuto costituendosi in giudizio preliminarmente contestava che la sottoscrizione apposta in calce alla copia dell’atto pubblico (la cui corrispondenza nel contenuto all’originale pure contestava) fosse di pugno della madre, con la conseguenza che l’eredità restava devoluta in parti uguali tra i tra fratelli secondo le norme della successione legittima; eccepiva inoltre l’incapacità di intendere e di volere della testatrice al momento della redazione dell’atto.
Il giudice istruttore assegnava alle parti i termini di cui all’art. 384 c.p.c. per la deduzione dei mezzi istruttori, ed all’udienza del 9-1-2002, dopo la scadenza dei suddetti termini e dopo che il convenuto aveva eccepito l’omessa proposizione dell’istanza di controparte di verificazione della scrittura, l’istanza stessa veniva proposta; il giudice istruttore la accoglieva, avendola ritenuta implicitamente manifestata già nella memoria ex art. 183 ultimo comma c.p.c.
Il Tribunale con sentenza non definitiva del 13-5-2004 accoglieva l’istanza di verificazione proposta dagli attori ex art. 216 c.p.c., e per l’effetto dichiarava che la sottoscrizione in calce al testamento olografo del 2-8-1994 era autografa di R.S., rigettava la domanda di annullamento del testamento formulata dal convenuto ai sensi dell’art. 591 n. 3 c.p.c., accertava che l’eredità della Sozzi era devoluta alle parti sulla base del testamento olografo del 2-8-1994 e disponeva come da separata ordinanza per il prosieguo del giudizio.
Proposto gravame da parte di G.B. cui resistevano G.B. e M.B. la Corte di Appello Trieste con sentenza del 27-10-2007, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato inammissibile l’istanza di verificazione dei disconosciuto testamento olografo sopra menzionato in quanto non proposta in modo non equivoco; inoltre il giudice di appello ha aggiunto che gli attori nel primo grado di giudizio nel termine di cui all’art. 184 c.p.c. non solo non avevano dichiarato espressamente di voler introdurre il procedimento di verificazione, ma neppure avevano indicato i mezzi di prova o prodotto le scritture di comparazione, né avevano prodotto l’originale dei testamento; per l’effetto quindi la Corte territoriale, ritenuta l’inutilizzabilità degli atti e dei documenti all’uopo assunti, ha dichiarato devoluta agli eredi per un terzo ciascuno, secondo le regole della successione legittima, l’eredità della Sozzi, ed ha disposto per la prosecuzione dei giudizio.
Avverso tale sentenza M.B. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in due motivi cui G.B. ha resistito con controricorso depositando successivamente una memoria; G.B. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione del controricorrente di irritualità del ricorso in quanto la natura oggettivamente inscindibile della causa imponeva alla ricorrente di estendere il contraddittorio anche a G.B., anche lui beneficiario, in virtù della successione legittima dichiarata dalla sentenza impugnata, di una chiamata all’eredità nella quota di 1/3, e non di 1/4, come sarebbe stato in caso di riconosciuta successione testamentaria; l’eccezione deve essere disattesa, posto che il ricorso in oggetto è stato ritualmente notificato anche a G.B., che peraltro non ha ritenuto di svolgere attività difensiva in questa sede.
Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, rileva che la Corte territoriale, dopo aver affermato che non sono richieste formule sacramentali per la proposizione dell’istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c., ha poi aggiunto che detta istanza non deve essere equivoca e deve contenere la proposizione dei mezzi di prova ritenuti utili e la produzione o l’indicazione delle scritture di comparazione, ed ha rilevato che nella fattispecie gli attori nel giudizio di primo grado nel termine di cui all’art. 184 c.p.c. non solo non avevano dichiarato espressamente di voler introdurre il procedimento di verificazione, ma neppure avevano indicato i mezzi di prova o avevano prodotto le scritture di comparazione, e nemmeno avevano prodotto l’originale del testamento; orbene, premesso che era contraddittorio affermare da un lato la non necessità di formule sacramentali per la proposizione dell’istanza di verificazione e dall’altro la necessità che la stessa non fosse equivoca, la ricorrente sottolinea che non era stata svolta alcuna argomentazione per spiegare cosa il giudice di appello avesse inteso ritenere per istanza non equivoca; inoltre evidenzia che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte l’istanza di verificazione di una determinata scrittura privata non richiede formule sacramentali e deve ritenersi implicitamente proposta quando si insista per la pretesa presupponente l’autenticità della scrittura privata stessa.
Con il secondo motivo M.B., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 216 c.p.c., ritiene che, contrariamente all’assunto della sentenza impugnata, la produzione di scritture di comparazione quali allegati al documento costituito da perizia grafologica di parte non può intendersi come mancato rispetto della previsione dell’art. 216 c.p.c.; invero, se si dà atto della produzione di una perizia di parte, la produzione non investe esclusivamente la relazione peritale, ma gli stessi documenti ad essa allegati che costituiscono un corpo unico rispetto al documento “perizia” prodotto.
Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondate.
Sotto un primo profilo deve rilevarsi che non è condivisibile il convincimento del giudice di appello in ordine alla necessità che la parte che intenda avvalersi della scrittura privata disconosciuta deve presentare l’istanza di verificazione in modo non equivoco, entro il termine perentorio per le deduzioni istruttorie delle parti (richiamando a tale proposito la pronuncia di questa Corte del 7-2­2005 n. 2411); ritiene invero il Collegio che tale esigenza non sussiste, allorché da (complessivo comportamento della parte è possibile desumere in modo inequivocabile la sua volontà di proporre implicitamente detta istanza, come quando si insista per l’accoglimento della pretesa presupponente l’autenticità del documento, essendo evidente che, una volta disconosciuta la scrittura privata dalla parte nei cui confronti è stata prodotta, insistere sulla fondatezza della propria domanda basata sull’autenticità del documento prodotto significa inequivocabilmente proporre sia pure implicitamente l’istanza di verificazione di tale scrittura privata, costituente invero lo specifico strumento processuale per ottenere la declaratoria di autenticità di essa; in proposito quindi si ritiene di aderire all’orientamento prevalente di questa Corte che si è espresso in tali termini (Cass. 11-6-1991 n. 6613; Cass. 23-10-2001 n. 12976; Cass. 6-6-2006 n. 13258; Cass. 24-5-2012 n. 8272, quest’ultima pronuncia con specifico riferimento all’istanza di verificazione di un testamento olografo).
Nondimeno deve rilevarsi l’infondatezza dell’assunto sostenuto dalla ricorrente in ordine alla non necessità della produzione o della indicazione delle scritture di comparazione previste dall’art. 216 primo comma c.p.c., essendo a tal fine sufficienti i documenti allegati alla perizia di parte prodotta.
AI riguardo la sentenza impugnata, nell’affermare che gli attori nel giudizio di primo grado avevano presentato una perizia di parte concludente per l’autografia della firma sulla copia del testamento olografo per cui è causa allegando le scritture delle quali il perito di parte si era avvalso per la comparazione, ha correttamente osservato che una cosa è produrre le scritture di comparazione indicandole al giudice ed alle controparti, ed altra cosa è allegarle semplicemente quali documenti ad una perizia di parte; infatti secondo il procedimento delineato dal codice di rito, la parte che intende valersi della scrittura privata disconosciuta, nel chiederne la verificazione, deve proporre i mezzi di prova ritenuti utili e produrre o indicare le scritture di comparazione (art, 216 primo comma c.p.c.), ed anzi a tal riguardo il giudice stabilisce il termine per il deposito in cancelleria delle scritture di comparazione e poi determina quelle che debbono servire di comparazione, mentre la nomina di un consulente tecnico è comunque eventuale (art. 217 primo e secondo comma c.p.c.), potendo il giudice di merito procedere direttamente alla verifica, senza necessità di ricorrere alla perizia grafologica (Cass. 29-1-2003 n. 1282), desumendo la veridicità del documento attraverso la comparazione di esso con altre scritture incontestabilmente provenienti dalla medesima parte e ritualmente acquisite al processo (Cass. 19-5-2008 n. 12695); pertanto la produzione o l’indicazione delle scritture di comparazione da parte di colui che intende valersi della scrittura privata disconosciuta costituisce un onere imprescindibile per una corretta proposizione dell’istanza di verificazione; né evidentemente tale onere può essere assolto mediante l’allegazione di tali scritture ad una perizia di parte, tale fase del procedimento attenendo all’ espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio che comunque, oltre che eventuale, è in ogni caso successiva alla proposizione dell’istanza di verificazione.
Inoltre neppure è censurata l’ulteriore statuizione della sentenza impugnata in ordina alla mancata produzione dell’originale del testamento olografo, originale evidentemente necessario per la procedura di verificazione (Cass. 27-7-2000 n. 9869).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di euro 200,00 per esborsi e di euro 3.000,00 per compensi oltre spese forfettarie.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *